Aldo Ferrari: «A 110 anni di distanza, il silenzio turco sul genocidio armeno brucia ancora» (Krisis 21.04.24)

Dalla discriminazione nell’Impero ottomano al nazionalismo dei Giovani turchi, passando per la diaspora. Nell’anniversario del genocidio armeno, il professor Aldo Ferrari ripercorre cause e conseguenze del primo sterminio di massa del Novecento. Un’analisi che mette in luce come memoria e identità condizionino ancor oggi i rapporti tra armeni e turchi.

«Sotto l’Impero ottomano gli armeni riuscivano a vivere, nonostante le discriminazioni. Con l’avvento dei Giovani Turchi e del loro nazionalismo, la distruzione del popolo armeno divenne non solo possibile, ma deliberata». In occasione dell’anniversario del genocidio armeno, perpetrato dall’Impero ottomano durante la Prima guerra mondiale, Krisis ha intervistato Aldo Ferrari. Ordinario all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove insegna Storia dell’Eurasia, Storia del Caucaso e dell’Asia Centrale e Letteratura Armena, Ferrari è considerato il massimo esperto di Caucaso in Italia.

Professor Ferrari, il 24 aprile si celebra il 110° anniversario del genocidio armeno. Che cosa rappresenta questa data per l’Armenia?

«L’anniversario non si celebra solo in Armenia. La maggior parte della popolazione armena vive oggi in diaspora, eppure ricorda questa data che rappresenta una pagina tragica della storia. Il popolo armeno ha rischiato veramente di essere cancellato dalla storia con l’aggravante, che a differenza del genocidio degli ebrei, lo Stato erede dell’Impero ottomano, la Turchia, continua a negarlo. Quindi non si tratta soltanto di un atto di verità storica ma anche di giustizia negata a un’intera popolazione».

Memoriale del genocidio armeno a Erevan. I lavori furono avviati nel 1965 dal governo sovietico. Foto Public Domain.
Memoriale del genocidio armeno a Erevan. I lavori furono avviati nel 1965 dal governo sovietico. Foto Public Domain.

Da chi fu perpetrato il genocidio e per quali ragioni?

«Il genocidio iniziò ufficialmente il 24 aprile, quando a Costantinopoli, capitale dell’Impero ottomano, vennero arrestati e poi uccisi alcune centinaia di intellettuali, l’élite del popolo armeno. Dopodiché nel 1915, attraverso una politica di deportazione, venne quasi completamente annientato l’intero popolo armeno. Ci furono altri episodi negli anni successivi, fino al 1923, ma l’apice del massacro si raggiunse nella primavera-estate del 1915, a opera del governo dei Giovani turchi. Il movimento aveva preso il potere con la rivoluzione del 1908, esautorando di fatto il sultano e proponendo al paese una modernizzazione su base nazionalista. All’interno del multietnico impero, c’erano minoranze nazionali non compatibili con questo disegno: gli armeni, naturalmente, ma anche i greci e i siro-cristiani furono colpiti da violente repressioni».

Eppure, gli armeni erano considerati la comunità più leale dell’Impero ottomano. Come si spiega questo cambio di politica?

«Non fu un cambiamento politico così improvviso come si potrebbe sembrare. La fedeltà degli armeni era basata sulla loro completa accettazione dello statuto di discriminazione all’interno dell’Impero ottomano. Quando, nella seconda metà dell’Ottocento, l’impero attraversò il punto più critico della sua inarrestabile decadenza, gli armeni si distinsero in diversi campi: istruzione, cultura e miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Cominciarono a mostrare la volontà di non voler essere più i soggetti passivi delle incursioni dei curdi e dalle discriminazioni ottomane. L’Impero ottomano, poi, iniziò a sospettare della lealtà stessa degli armeni. In quel periodo, la Sublime porta era impegnata militarmente contro l’Impero russo su diversi fronti, ma che non erano certo vittoriosi per gli ottomani, a causa della dilagante crisi. Gli armeni dell’Impero russo che combattevano contro gli ottomani erano numerosi e spesso avevano ruoli di rilievo. Per gli ottomani, questa scelta creava il sospetto che anche gli armeni stessero dalla parte dei russi. Cominciarono quindi a considerarli una sorta di quinta colonna pericolosissima per la sopravvivenza stessa dell’Impero.

In che senso?

«Gli armeni, che erano insediati dal Caucaso fino alla Cilicia, non costituivano la maggioranza della popolazione, ma erano comunque una componente importante e influente. Una loro eventuale indipendenza avrebbe probabilmente posto fine all’esistenza dell’Impero ottomano. Già nel 1894-96 ebbero luogo diversi massacri denominati hamidiani dal nome del sultano Abdul Hamid II, che causarono tra le 100 e le 200 mila vittime. Un numero altissimo, quindi, corrispondente a quasi un decimo della popolazione armena totale. Nel 1915 dunque non nacque al nulla un genocidio: la situazione dei decenni precedenti in qualche maniera l’aveva preparato».

Mappa che mostra i principali centri del genocidio armeno, perpetrato dall’Impero ottomano a partire dal 1915, in particolare i sei vilayet dell’Anatolia orientale. Foto Public Domain
Mappa che mostra i principali centri del genocidio armeno, perpetrato dall’Impero ottomano a partire dal 1915, in particolare i sei vilayet dell’Anatolia orientale. Foto Public Domain

Lo storico armeno Vakahn Dadrian individua un fil rouge tra i massacri hamidiani e la politica dei Giovani turchi. È corretta questa interpretazione?

«Solo in parte. I massacri hamidiani furono violentissimi. È però molto importante, per la comprensione delle tragedie storiche, distinguere tra massacro e genocidio. I massacri possono essere spaventosi, ma non puntano all’annientamento totale di una popolazione, a differenza dei genocidi. Il termine genocidio andrebbe usato poco, soltanto nei casi in cui sia evidente il progetto di sterminio e sia evidente che questo progetto è giunto a compimento. Per fortuna né quello ai danni degli armeni, né quello ai danni degli ebrei riuscirono ad annientare totalmente la popolazione. Nel caso degli armeni, però, il genocidio riuscì a scacciarli completamente attraverso deportazioni e massacri dai loro territori ancestrali. C’è certamente una continuità tra i massacri hamidiani e il genocidio del 1915, ma a mio giudizio è importante comprendere anche la differenza ideologica. Nel contesto musulmano tradizionale dell’Impero ottomano agli armeni era consentito vivere, sia pur in una situazione di discriminazione. Nel momento in cui si ribellavano a questa discriminazione, potevano essere puniti anche con massacri spaventosi, ma non c’era un progetto storico, giuridico o culturale di annientamento totale. Questo invece avvenne, quando con i Giovani turchi e con il loro nazionalismo etnico, si trovò la base politica e culturale per compiere una completa distruzione di questo popolo».

Si possono individuare dei collegamenti tra il genocidio armeno e la Shoah?

«Sicuramente sì. Bisogna, però, anche stare attenti a vederne le differenze. In entrambi i casi si trattò della volontà di annientare un intero popolo e questa volontà fu largamente realizzata. C’è però una differenza sostanziale: il genocidio degli ebrei, oltre al suo dato criminale, aveva una illogicità di fondo. Gli ebrei non costituivano una minaccia concreta e verificabile per la Germania. Gli armeni, al contrario, erano una popolazione in reale competizione con i turchi per il controllo di un vasto territorio: tutta l’attuale Turchia orientale era storicamente Armenia. Esisteva davvero un conflitto, che si sarebbe potuto risolvere diversamente. Eppure nel genocidio degli armeni non era presente quel fortissimo elemento di criminale irrazionalità che c’era invece in quello ebraico. Il genocidio armeno fu orribile, criminale, ma razionale. Quando gli armeni furono sterminati, finì la competizione territoriale tra loro e i turchi per gli spazi dell’Armenia storica. Gli armeni, poi, erano benestanti e furono dunque incamerati i loro beni con un evidente vantaggio economico, almeno momentaneo a molti turchi. Nel caso degli ebrei il movente economico c’era, almeno in parte, ma quello territoriale sicuramente mancava. Il genocidio degli armeni è stato un gigantesco atto di pulizia etnica e di impossessamento dei beni di una minoranza all’interno di uno stato multietnico, peraltro dal punto di vista ideologico. L’idea che sia possibile e necessario nell’interesse statale annientare un’intera popolazione unisce evidentemente i due genocidi».

Fotografia scattata a Urfa il 5 gennaio 1915 dal prete cattolico Padre Rafael che ritrae i sopravvissuti al genocidio che seppelliscono i propri morti. Foto Public Domain.
Fotografia scattata a Urfa il 5 gennaio 1915 dal prete cattolico Padre Rafael che ritrae i sopravvissuti al genocidio che seppelliscono i propri morti. Foto Public Domain.

Per quale ragione un leader progressista come Mustafa Kemal negò il genocidio armeno?

«Io non sono così d’accordo che la parola progressista sia positiva. Erano progressisti anche i bolscevichi che massacrarono più persone sia dei turchi sia dei nazisti. Non necessariamente essere progressisti determina comportamenti morali e positivi. Kemal Atatürk aveva lo stesso retroterra culturale e intellettuale dei Giovani turchi, ma riuscì a realizzare il suo programma con maggiore coerenza, maggiore linearità. Poiché gli armeni si erano ormai ridotti a una sparuta minoranza, il primo presidente turco si concentrò sulla repressione dei curdi. Atatürk non riuscì ad annientarli perché erano troppo numerosi, ma furono duramente repressi. La figura di Kemal Atatürk è quella di un grande politico, cha deve essere giudicato per i successi che ha ottenuto e ne ha ottenuti di importanti. Questo però non vuol dire che sia necessario leggerlo in un’ottica unicamente positiva. Bisogna valutare tutte le azioni che ha compiuto e tra queste molte sono difficilmente accettabili, a prescindere dal definirlo o meno un progressista».

Oggi la Turchia non riconosce il genocidio armeno. Si puà dire che la storiografia turca sta attuando un revisionismo storiografico?

«Più che revisionismo, io definirei la posizione della maggior parte degli storici turchi come riduzionista. Essi non negano che il numero di vittime armene sia elevato, ma si rifiutano di inserirlo nel quadro ideologico di un genocidio. Si cerca disperatamente di inserire queste morti all’interno della Grande guerra, nel corso della quale anche i turchi hanno sofferto. Si tratta soprattutto di evitare l’accusa di genocidio che è gravissima dal punto di vista morale, ma anche da quello giuridico, perché accettare di aver compiuto un genocidio avrebbe per la Turchia conseguenze politiche, economiche, morali devastanti. Accettare che 110 anni fa i padri della patria – perché tali sono i Giovani turchi – in realtà abbiano sterminato un intero popolo, significa accettare che i propri eroi nazionali siano stati ladri e assassini. Vuole dire inoltre riconoscere che per più di un secolo lo Stato intero ha mentito, a partire dai libri di testo adottati nelle scuole».

Ritrovamento delle ossa delle vittime del genocidio nel 1938. Autore sconosciuto. Foto Public Domain.
Ritrovamento delle ossa delle vittime del genocidio nel 1938. Autore sconosciuto. Foto Public Domain.

In Turchia è illegale parlare del genocidio armeno in pubblico?

«La Turchia è un grande Paese molto complesso. Negli ultimi anni sono nate diverse cattedre di studi armeni, chiaramente non in contrasto con la posizione ufficiale del governo. Non è facile parlare di quello che è successo agli armeni. Negli anni passati molti erano condannati al carcere per le loro posizioni. In questo senso, i primi anni della presidenza di Recep Tayyip Erdoğan, in qualche misura, avevano sdoganato la possibilità di parlare di questo tema. Molti avevano iniziato a parlarne, evitando però il termine diretto “genocidio”, per non caricare il Paese di una responsabilità storica, morale, giuridica, economica così grave. Sembrava sul procinto di cadere il muro che l’epoca kemalista aveva eretto. Oggi, la Turchia nonostante tutti i suoi problemi, ha una vita intellettuale e accademica molto variegata. E si parla degli armeni e della loro storia più spesso che in passato. Per noi, il periodo kemalista laico è automaticamente visto come positivo rispetto a quello successivo legato a Erdogan. La Turchia di oggi è invece più ricca e più complessa rispetto a quella kemalista del secolo scorso e sta facendo molto anche riguardo al riconoscimento della tragedia degli armeni. Ma è il termine genocidio a essere impronunciabile e a suscitare gravi reazioni ai danni di chi ne fa uso».

La Turchia è candidata a entrare nell’Unione europea. È corretto affermare che uno dei maggiori ostacoli alla sua integrazione è il mancato riconoscimento del genocidio?

«In questo caso la risposta è chiara: no assolutamente. L’Europa non ha mai posto come precondizione per l’ingresso della Turchia nell’Unione il riconoscimento del genocidio. Questo va probabilmente a discredito dell’Unione Europea, ma non è questa la ragione per cui la Turchia non entra. Nei confronti dell’Armenia del genocidio c’è stata una sostanziale indifferenza. Benché molti Paesi europei abbiano riconosciuto il genocidio, la Turchia non è mai stata obbligata a riconoscerlo per entrare nell’Ue».

Nel 2015 l’Armenia ha celebrato il 100° anniversario del genocidio armeno con una cerimonia, in cui il presidente armeno Serzh Sargsyan ha reso omaggio alle vittime del genocidio. Foto Public Domain.
Nel 2015 l’Armenia ha celebrato il 100° anniversario del genocidio armeno con una cerimonia, in cui il presidente armeno Serzh Sargsyan ha reso omaggio alle vittime del genocidio. Foto Public Domain.

Durante il governo di Erdogan, i rapporti turco-armeni sono peggiorati?

«Per Erdogan e per il governo turco, il genocidio armeno è solo uno dei tanti problemi, ma sicuramente non è tra i principali. Alcuni anni fa Erdogan fece un discorso in cui quasi parlò di genocidio senza nominarlo direttamente. In quell’occasione espresse il suo compianto per le tante sofferenze e le vittime armene, spingendosi forse più in là di qualsiasi altro Capo di Stato turco nel fare riferimento alla tragedia. La questione non è solo tra Turchia e Armenia. In primo luogo, perché gli armeni vivono più in diaspora che in Turchia, ma tutti sono comprensibilmente sensibili al tema del genocidio. È estremamente doloroso che tanti Stati non lo riconoscano e che non facciano pressione sulla Turchia affinché lo riconosca. Ma Erdogan non ha certo promosso un discorso pubblico turco peggiore di quello dei suoi predecessori laici e non ha apportato cambiamenti sostanziali, ma non direi proprio che abbia peggiorato la situazione».

Quanto pesa ancora oggi il dramma del genocidio nelle relazioni tra il popolo turco e il popolo armeno? 

«Evidentemente l’ombra del genocidio pesa tantissimo. Molti armeni desidererebbero avere rapporti migliori con la Turchia, ma nonostante i passi avanti compiuti negli ultimi decenni, i turchi non vogliono in alcun modo riconoscere che si è compiuto un genocidio. Questo determina il fatto che gli armeni fanno molta fatica a parlare con i turchi. La situazione rimane estremamente complicata. Esiste un nazionalismo armeno, esiste un nazionalismo turco, ma esistono turchi e armeni non nazionalisti assai più disponibili a conoscersi e a parlarsi. Ancor oggi, per gli armeni nel mondo, il solo nome “Turchia” evoca un brivido di memoria lacerante. Un orrore tramandato di generazione in generazione, che assume forme diverse ma non si cancella».

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