Anche l’Armenia vuole l’Europa, ma si deve ancora liberare della Russia (L’Inkiesta 24.01.25)
L’Armenia vuole entrare nell’Unione europea e molto probabilmente presenterà una domanda formale di adesione. «Si tratta di un’iniziativa della società civile; le organizzazioni hanno raccolto le cinquantamila firme necessarie, trasformando automaticamente l’iniziativa popolare in un disegno di legge che sarà sottoposto al voto del parlamento», ha dichiarato il ministro degli Esteri Ararat Mirzoyan durante una conferenza stampa congiunta a Mosca con il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov. «Si prevede che la maggioranza di governo voterà a favore», ha aggiunto. La commissaria per l’allargamento dell’Unione europea, Marta Kos, ha dichiarato a proposito che «la domanda di adesione sarà accettata, se verrà presentata» e che ha in programma di visitare ufficialmente Yerevan, la capitale dell’Armenia, nel primo semestre di quest’anno. La risposta dalla Russia è secca: un’eventuale adesione dell’Armenia all’Unione europea significherebbe la fine della sua partecipazione all’Unione economica eurasiatica (Uee), anche perché Unione eurasiatica e Unione europea usano sistemi tariffari differenti, e fra di loro incompatibili.
L’Armenia, che dipende infatti fortemente dalla Russia, dovrà quindi affrontare sfide geopolitiche e interne per discostarsi politicamente dal Cremlino. Storicamente sottoposta a Mosca, l’Armenia ha iniziato solamente negli ultimi anni un percorso di avvicinamento all’Unione europea, e in generale con i Paesi occidentali, firmando accordi strategici con gli Stati Uniti e rafforzando le relazioni commerciali con l’Ue. Siamo di fronte quindi a una significativa evoluzione nelle storiche alleanze geopolitiche tradizionali del Paese.
Come spiega a Linkiesta Nona Mikhelidze, responsabile di ricerca presso l’Istituto affari internazionali (Iai), i negoziati risalgono al 2013 quando la Russia riuscì a fare pressione sull’Armenia affinché non sottoscrivesse un Accordo di associazione con l’Unione europea e aderisse invece all’Unione economica eurasiatica (Uee). Serzh A. Sargsyan, allora presidente armeno, considerava infatti «la Russia come garante in caso di un attacco militare degli azeri».
Il 2017 segna invece un iniziale, seppur debole, cambiamento di rotta, con l’Accordo di partenariato globale e rafforzato tra l’Unione europea e l’Armenia (Cepa), firmato a margine del Vertice del Partenariato orientale tenutosi a Bruxelles nel novembre 2017 ed entrato in applicazione prima in via provvisoria l’1 giugno 2018, e poi ufficialmente l’1 marzo 2021. Parallelamente, aggiunge Mikhelidze, la rivoluzione in Armenia depone la vecchia guardia cleptocratica filorussa, e porta al potere il giovane riformatore Nikol Pashinyan.
Ma è nel 2023, quando le tensioni tra Armenia e Azerbaijan culminano in una nuova offensiva azera nella regione del Nagorno-Karabakh, che le cose cambiano davvero. La Russia infatti, che avrebbe dovuto assistere l’Armenia secondo i patti dell’Otsc, nonostante le aspettative di Yerevan basate sull’alleanza strategica e sugli impegni di sicurezza reciproca, non ha fornito gli aiuti necessari, sia per le pressioni derivanti dalla guerra in Ucraina sia per la volontà di non inimicarsi la Turchia, forte alleata di Baku. In altre parole, Mosca ha abbandonato l’Armenia a se stessa. L’operazione si è infatti conclusa con la resa delle forze separatiste armene e l’esodo di decine di migliaia di armeni dal Karabakh: un cambiamento storico nella regione, e la fine de facto, almeno per ora, della presenza armena nell’enclave.
Riguardo alla mancata azione russa durante il conflitto, Pashinyan aveva detto che «l’Otsc non ha adempiuto ai suoi obblighi», alimentando quindi discussioni su un possibile allontanamento di Yerevan da Mosca. La Russia al tempo aveva tuttavia respinto le critiche, sostenendo che l’alleanza opera secondo interessi collettivi, e che, dato che l’attacco non aveva interessato espressamente il territorio armeno ma solamente la zona del Nagorno Karabakh, un intervento era al di fuori dagli accordi. Scuse che tuttavia non sembra siano piaciute all’Armenia. Il Paese ha infatti avviato ufficialmente il processo per presentare domanda di adesione all’Unione europea.
Il 15 gennaio 2025, il governo armeno ha presentato un disegno di legge per l’adesione: un passo significativo verso l’integrazione europea. Questa iniziativa si inserisce comunque nel contesto di precedenti mosse volte a ridurre la presenza del Cremlino, come il ritiro delle guardie di frontiera russe da alcuni valichi e dall’aeroporto di Yerevan. Nonostante ciò, l’Armenia continua a dipendere dalla Russia per il commercio e l’energia. Ma il primo ministro era già stato chiaro lo scorso settembre, quando aveva commentato che l’Otsc «rappresenta una minaccia per la sicurezza dell’Armenia, nonché per la sua esistenza futura, sovranità e statualità. […] Esiste un concetto noto come “punto di non ritorno”: non lo abbiamo ancora raggiunto, ma la possibilità che ciò accada è molto alta». Che la decisione di presentare il disegno di legge segni proprio questo punto di non ritorno?
Aggiungiamo anche che l’Armenia ha recentemente firmato un Accordo di cooperazione strategica con gli Stati Uniti, siglato a Washington D.C, e sottoscritto dal ministro degli Esteri Mirzoyan e dall’ex presidente Joe Biden poco prima che lasciasse l’incarico. Questa decisione segna un importante Patto di partenariato strategico volto a incrementare la collaborazione nell’ambito energetico, politico e, in particolare, di sicurezza e difesa.
Ma è anche dal punto di vista economico che l’Armenia guarda verso occidente. Dal 2024 sono infatti aumentate le esportazioni armene verso quattordici Stati membri dell’Unione europea, come ha dichiarato il ministro dell’economia Gevorg Papoyan. I Paesi che hanno visto un incremento degli scambi includono Francia, Italia, Belgio, Polonia e Romania. Papoyan ha anche sottolineato che le esportazioni verso altre economie globali, come Stati Uniti, India, Giappone e Cina, sono cresciute, mentre quelle verso paesi come Russia e Kazakhstan sono diminuite. Tutti segni di un avvicinamento. Ma la Russia?
Il Cremlino ha subito criticato gli Stati Uniti per il loro ruolo destabilizzante nel Caucaso meridionale, accusandoli di cercare di attrarre l’Armenia nella loro sfera di influenza. Nonostante ciò, il portavoce di Vladimir Putin Dmitry Peskov ha, allo stesso tempo, ribadito che la Russia apprezza la sua relazione con l’Armenia e intende continuare a svilupparla. Se però si considerano gli sviluppi interni della politica armena, e la realtà sul campo in Nagorno-Karabakh, questi commenti sembrano più le ultime grida di un uomo ormai sconfitto. A sottolinearlo c’è anche il caso dell’Ucraina. Sebbene sulla carta sia ancora sotto l’influenza della Russia, l’Armenia non sostiene la guerra di Mosca all’Ucraina, e ha inviato aiuti umanitari a Kyjiv. Mentre il ministro degli Esteri armeno ha lodato l’impegno degli Stati Uniti nella risoluzione del conflitto con l’Azerbaijan.
Gli sviluppi futuri, tuttavia, dipenderanno anche dall’evoluzione dei rapporti tra Mosca e la nuova amministrazione Trump. Il nuovo Presidente aveva dichiarato in campagna elettorale di voler «proteggere tutti i cristiani perseguitati», e che si sarebbe quindi impegnato a ripristinare la pace tra Armenia e Azerbaijan. Se da un lato, quindi, è probabile che Trump continui sulla strada del partenariato iniziata da Biden, dall’altro non sappiamo però fin dove le sue trattative con Putin sull’Ucraina possano portarlo, e quali saranno i contraccolpi nella regione.
Un ultimo aspetto da considerare riguarda la percezione dell’Unione europea da parte del popolo armeno. Secondo l’indagine annuale del 2024 sull’opinione pubblica in Armenia del dipartimento del Vicinato orientale dell’Unione europea – la sezione che mira a rafforzare le relazioni politiche, economiche e sociali con i paesi dell’Europa orientale e del Caucaso – il sessantadue per cento degli armeni ripone fiducia nell’Unione: più che in qualsiasi altra istituzione internazionale. L’indagine ha anche rilevato che l’ottanta per cento degli armeni era a conoscenza del sostegno finanziario dell’Unione europea al loro paese (rispetto al sessantadue per cento nel 2016), e che il quarantotto per cento riteneva che fosse efficace (con un aumento di undici punti rispetto all’anno scorso). Non solo il governo sembra avere quindi le idee chiare.