ARMENIA: IL PAESE NELLA GRANDE GUERRA. IL RICORDO DEL TRAGICO DESTINO DI UN POPOLO MILLENARIO E DEL SUO GENOCIDIO AVVENUTO NEL 1915 (Report Difesa 03.05.25)
Di Gerardo Severino*
EREVAN (nostro servizio particolare). Nonostante l’abbondante letteratura e la cinematografia, ancora oggi in pochi ricordano o quantomeno conoscono la tragedia vissuta dal Popolo armeno, se non altri a partire dalla Prima guerra mondiale, allorquando esso, soggiogato dall’allora Impero Ottomano, fu vittima di un vero e proprio genocidio.

La deportazione degli Armeni nel 1916
A volerlo era stato il Governo, ultranazionalista, dei “Giovani Turchi”, un’emanazione del Partito “Unione e Progresso”, fortemente determinato nel perseguire l’assurda idea di “turchizzare” l’area anatolica, in virtù della quale occorreva deportare e sterminare proprio l’etnia armena, peraltro presente in quell’area geografica sin dal 7° secolo a.C.
La Prima Guerra mondiale offrì, quindi, ai “Giovani Turchi” l’occasione per risolvere, una volta per tutte, la “Questione armena”, esplosa, in verità, già al tempo del Trattato di Berlino del 1878, il quale aveva posto fine alla guerra russo-turca.
Per meglio comprendere quale sia stata l’effettiva portata di tale “Olocausto”, oggi giustamente ricordato come uno degli antesignani dei genocidi successivi, ricostruiamo le varie fasi legate alla situazione dell’Armenia nel corso della stessa “Grande Guerra”.
L’Armenia nella “Grande Guerra”
Ebbene, sin dai primordi del Primo conflitto mondiale, l’allora ancora potentissimo Impero Ottomano, entrato nella conflagrazione europea a fianco degli Imperi Centrali, onde prevenire l’offensiva russa in Armenia, considerata giustamente pericolosissima per via dell’eventuale conquista dell’Anatolia, ovvero per le operazioni dirette al Golfo Persico, decise di penetrare nella Georgia, vale a dire nella provincia transcaucasica a tergo dell’Armenia russa.
In particolare, la strategia turca contro la Russia prevedeva la difensiva sull’ala sinistra del fronte, appoggiata alla grande piazzaforte di Erzerum, e la contemporanea offensiva con l’ala destra, muovendo dai bacini di Van e di Urmia verso la media valle dell’Arasse, in maniera tale da investire da mezzogiorno a da levante la piazzaforte di Karnità.
A tal fine, la Turchia ammassò circa quattro Corpi d’Armata (circa 150 mila unità) alla frontiera russa dell’Armenia, ponendoli al comando di Hassan Izzet Pascià, coadiuvato da Enver Pascià.
Molto forte sarebbe stata l’influenza militare germanica, tanto è vero che molti sarebbero stato gli ufficiali tedeschi chiamati a far parte dello Stato Maggiore turco, mentre al Colonnello tedesco, Paulsen Pascià, nell’ottobre dello stesso 1914, fu anche dato il comando della piazzaforte di Erzeruin.
Per garantire la difesa attiva di Erzerum contro l’eventuale investimento russo, Enver Pascià non esitò ad avanzare in territorio russo, occupando i monti a cavaliere della bassa valle del Ciorok e la valle di Olty, nella quale facilmente si perviene da quella del Kura.
A fronte di tali occupazioni, le avanguardie russe non stettero certo a guardare, avendo avanzato anche loro verso la frontiera.
Ne conseguirono numerosi scontri, in prevalenza favorevoli ai russi, come lo furono i combattimenti che dal 6 all’11 novembre si svolsero attorno alla posizione di Kòprikòi, ritenuta strategica per la difesa del fronte settentrionale della piazza di Erzerum. Questa, infatti, malgrado l’energica controffensiva turca, rimase saldamente nelle mani dei russi.
Alcuni giorni dopo (il 14 novembre 1914), i turchi assaltarono alla baionetta, riprendono la posizione e facendo, inoltre, circa 4 mila prigionieri.

Mustafa Kemal Ataturk con Enver Pascià
Enver Pascià, dall’alta valle di Olty, dove era rimasto saldamente aggrappato, tentò allora una larga manovra sul fianco russo, e, verso la fine di dicembre, minacciò le comunicazioni di Kars con la Georgia.
Seguendo la propria strategia, i turchi diedero vita ad un’offensiva, partendo dal bacino di Van e da mezzogiorno del lago d’Urmia, avvalendosi prevalentemente di orde e di Reggimenti curdi, le quali, non trovando resistenza nel violato territorio neutrale dell’Armenia persiana, occuparono (era il 16 gennaio 1915) la città di Tabris, e di là proseguirono per varie strade verso la frontiera russa.
A quel punto, la situazione apparve sfavorevole ai russi, tanto è vero che tra la valle di Olty e quella dell’Arasse grossi reparti turchi varcarono la frontiera di fronte a Zarikamisch, per poi avvicinarsi a Kars, ingaggiando, tra il 26 ed il 31 dicembre, non pochi combattimenti di posizione e d’incontro, sebbene con alterni esiti, a cavaliere della strada Zarikamisch-Kars.
Nel frattempo, sulle coste del Mar Nero si erano verificate incursioni di navi avversarie e bombardamenti da ambo le parti. Nella prima quindicina del gennaio 1915, i russi intrapresero, tuttavia, una vigorosa controffensiva in direzione di Zarikamisch, nei cui dintorni si combatté tenacemente, anche se a svantaggio dei turchi, i quali subirono notevoli perdite, sia di uomini che di mezzi.
Si era trattato di scontri di elevata asprezza, oltre che violenza, compiuti a circa 3 mila metri d’altitudine, con un freddo intensissimo.
L’avanzata russa sembrò inarrestabile, tanto che di lì a qualche settimana, la vittoria fu completa. Il IX Corpo d’Armata turco, con il suo comandante, Iskan Pascià, e gli altri comandanti di Divisione furono fatti prigionieri, così come lo fu il resto della truppa.
Ma i russi non si fermarono certo a quel punto, in quanto iniziarono l’inseguimento del X Corpo d’Armata turco, che si stava ritirando dalla valle del Ciorok.
Con gravi stenti ed a costo di ingenti perdite, ormai causate più dall’inclemenza del clima e dalla mancanza dei rifornimenti che non dal nemico stesso, il X Corpo riuscì, tuttavia, ad evitare il disastro più completo.
Ma la situazione strategica si era rivelata compromettente anche per le altre forze turche operanti sull’ala destra del fronte, nel bacino di Van e nell’Armenia persiana. E fu proprio lì che la successiva battaglia di Kara-Urgan (7-12 gennaio 1915), finita con un’altra vittoria russa, decise la ritirata di quelle forze verso la linea di confine.
Soltanto Enver Pascià, aggrappatosi leoninamente al terreno, rimase attivo nella valle di Olty, riuscendo a minacciare tanto la piazza di Kars, quanto lo sbocco della valle del Ciorok ed il suo porto militare di Batum.
A quel punto, i russi si concentrarono su Tabris per la ripresa della campagna, nella primavera del 1915.
Agli ordini del Generale Woronzov-Dachkov, verso la metà di maggio, l’Esercito zarista occupò Van ed il 26 dello stesso mese entrò a Bitlis, fra i monti del Tauro armeno.
Truppe di Fanteria leggera turca si limitano a tenere il contatto con le forze russe.
L’immediato scopo della ripresa russa, vale a dire di far sgombrare l’Armenia persiana, fu, quindi, completamente raggiunto.
Sull’altra ala del fronte, invece, la situazione, nel complesso, era rimasta pressoché invariata, grazie alla tenacia di Enver Pascià, il quale continuò a restarsene annidato nella valle di Olty.
Fu nel giugno che egli tentò un grosso colpo di mano verso Batum, il quale, tuttavia, fu destinato al fallimento.
Bisognerà attendere il gennaio del 1916, allorquando ebbe inizio l’offensiva russa che conduceva alla caduta di Erzerum, a seguito della quale il Granduca Nicola, il quale aveva, nell’ottobre del ’15, assunto il comando delle truppe, ordinò l’avanzata contemporanea di alcuni Corpi d’Armata su Trebisonda, sul litorale, e su Bitlis, attraverso l’Eufrate orientale ed il bacino di Van.
La caduta di Trebisonda rappresentò, quindi, per i turchi la perdita della loro base navale sul Mar Nero.

Il Granduca Nicola
II Granduca Nicola si proponeva, quindi, di avanzare con altre forze da Erzerum verso Ersingian, nella valle dell’Eufrate occidentale, un importantissimo nodo stradale e centro amministrativo del Paese. In questa direzione, le operazioni non si spinsero molto oltre la città di Mamachatun (a circa metà strada fra Erzerum ed Ersingian), della quale i russi s’impadronirono il 17 marzo 1916, catturando convogli e artiglierie.
Anche l’ala sinistra russa avrebbe conseguito alcuni importanti successi, nonostante la gravissima situazione del terreno, raggiungendo nel Tauro armeno il prefissato obiettivo di Bitlis (metri 1.560). La posizione fu, quindi, oltrepassata, verso la fine di maggio, consentendo così ai russi di occupare Rudvan, per poi minacciare le comunicazioni turche tra Diarbekir e Mossul, lungo il Tigri.
Intanto altre forze russe, al comando del Generale Baratov, si erano inoltrate nella Persia ed avevano, al termine di una lunga serie di marce, raggiunto Scenikyn, alla frontiera della Mesopotamia, volendo tendere la mano alle forze inglesi che stavano rimontando la valle del Tigri verso Bagdad.
Di fronte a tali insuccessi, i turchi registrarono al loro attivo soltanto la presa di Kut-el-Amara, strappata agli inglesi nell’aprile 1916.
In seguito, aiutati con mezzi e ufficiali dell’esercito tedesco, nel giugno seguente, ripresero l’offensiva, partendo dal litorale del Mar Nero, attraversando così l’Armenia.
I russi, i quali non si attendevano una ripresa nemica così tanto vigorosa, rimasero spiazzati, tanto che per poterla neutralizzare dovettero cedere terreno su gran parte della loro lunga linea, Erzerum compresa. Tuttavia, già nel luglio seguente, essi ebbero modo di riprendere energicamente la controffensiva, la quale fu sviluppata sulla loro ala destra, dove non soltanto riguadagnarono il terreno perduto, ma riuscirono anche ad occupare Ersiugian (25 luglio), oltre 100 km. a ponente di Erzerum, nella valle dell’Eufrate occidentale.
Malgrado i massicci sforzi, le truppe Zariste non ebbero, tuttavia, modo di portare l’avanzata verso il centro e la sinistra della estesa fronte, tanto che l’autunno dello stesso 1916 le trovò in atteggiamento difensivo, a cavaliere dei bacini dei laghi di Van e di Urniia.
Dovette trascorrere quasi un anno, prima che gli inglesi del Generale Maude riuscissero a rimettere piede a Kut-el-Amara (24 febbraio 1917), per poi raggiungere Bagdad, appena un mese dopo.
Fu allora che il Generale Baratov, dalla Persia, dove nel frattempo si era asserragliato, si ravvicinò alla frontiera della Mesopotamia.
Da qui, con colonne dirette verso Scenikyn e Mossul, tentò di ricucire l’ampia breccia che separava il fronte armeno dai russi e dagli inglesi.
Il 18 marzo 1917, i russi si battono sulle sponde del Lago di Van, riuscendo a rioccupare quella città, mentre il 25 penetrarono anche a Mossul.
L’8 aprile fu, infine, raggiunto il desiderato collegamento delle forze russe con quelle anglo-indiane, a sud-ovest di Scenikyn.
Mentre accadeva tutto questo, l’Impero degli Zar fu sconvolto dalla nota Rivoluzione, tanto è vero che anche sul fronte armeno la resistenza russa crollò automaticamente.
Nel luglio del 1917, l’Esercito russo si ritirava, quindi, entro l’antico confine, mentre la Turchia rientrava in possesso, a questo punto “pacificamente”, dei territori che l’esercito dello Zar Nicola le aveva conquistato.
La vendetta contro gli armeni, accusati ingiustamente di essere filo-russi, avrebbe, quindi, avuto un maggior vigore e, soprattutto, una “soluzione finale”, precisando il fatto che essa era iniziata già nell’aprile del 1915.

La deportazione degli Armeni nel 1916
La tragedia di un intero popolo, tra passato e presente
Ebbene, il genocidio subito dal popolo armeno nel corso della “Grande Guerra” era già iniziato una ventina d’anni prima, essendo stato preceduto dai pogrom (lgs. sommosse popolari verso minoranze religiose) del 1894-96, voluti dal Sultano Abdul Hamid II, così come da altri terribili massacri, come lo fu quello del 1909, in Cilicia, all’indomani della rivoluzione intrapresa dal citato movimento dei “Giovani Turchi”, nonostante esso avesse preso il potere, appena l’anno prima, inneggiando paradossalmente alla libertà e all’eguaglianza per tutti i popoli dell’Impero.

Fossa comune con i resti degli Armeni assassinati
Al di là di ciò, una vera e propria “soluzione finale” sarebbe scaturita solo nel 1913, allorquando, con il sopravvento dell’ala oltranzista del Partito “Unione e Progresso”, sorse una vera e propria dittatura militare, capeggiata dal Triunvirato, Djemal, Enver e Talaat, gli uomini più forti dello stesso regime.
Gran parte degli storici sono concordi sul fatto che il vero movente che avrebbe ispirato il Governo dei “Giovani Turchi” e, quindi, lo stesso triumvirato è da identificarsi nell’ideologia “Panturchista”, vale a dire l’idea di dare vita ad una Nazione che abbracciasse l’immensa area geografica che va dal Mediterraneo all’Altopiano turanico, dando così vita ad una entità monoetnica, quindi linguisticamente e culturalmente omogenea.
Ciò avrebbe interessato, come si diceva prima, un territorio vastissimo, ove, sino a quel momento, convivevano armeni, greci, assiri e persino ebrei, tutti facenti parte di un complesso mosaico di etnie e religioni.
In verità, la popolazione armena era la più numerosa, peraltro era di religione cristiana, ma soprattutto caratterizzata da una filosofia che avvicinava quel popolo agli ideali dello stato di diritto, tipici del mondo occidentale e peraltro latrice di sempre più insistenti rivendicazioni libertarie. Ovviamente, tale atteggiamento rappresentava, come è facile intuire, un fortissimo ostacolo al progetto di omogeneizzazione voluto dal regime turco.
Va da sé che a quel punto i “Giovani Turchi” optarono per la soluzione più drastica: la cancellazione della comunità armena, sia come soggetto storico, sia come soggetto culturale e politico.
Ma non solo, soprattutto se pensiamo che la razzia dei beni della forte comunità armena avrebbe contribuito alla rinascita economica della Turchia, sia durante la stessa “Grande Guerra” che, in seguito, con il varo della Repubblica kemalista.

La marcia della morte del popolo Armeno
Lo sterminio fu, quindi, “pianificato” tra il dicembre del 1914 e il febbraio del 1915, peraltro anche grazie al contributo di consiglieri tedeschi, ricordando la citata alleanza che univa allora la Turchia alla Germania.
La storia di quel periodo ci ricorda come l’ala più intransigente del Comitato Centrale del “Partito Unione e Progresso” (CUP) pianificò dettagliatamente il genocidio, per il quale fu appositamente studiata una vera e propria struttura criminale, su basi paramilitari, che rispondeva al nome di “Organizzazione Speciale (O.S)”, affidata a due medici, Nazim e Behaeddin Chakir.
L’Organizzazione Speciale, che dipendeva dal Ministero della Guerra, attuò il genocidio con la supervisione del Ministero dell’Interno e del Ministero della Giustizia.
Fu così che già la notte del 24 aprile 1915, l’élite armena che viveva a Costantinopoli fu arrestata, deportata e, purtroppo, eliminata fisicamente. Si procedette, quindi, al disarmo e al massacro dei militari armeni, mentre alcuni di loro sarebbero stati poi costretti ai lavori forzati, lavorando duramente sulla linea ferroviaria Berlino-Baghdad.
Nella primavera 1916 fu, infine, dato il via alla deportazione di massa dell’intera popolazione armena verso il deserto di Deir el-Zor, ove giunsero in pochi.
Furono, quindi, i turchi a “riprendere in mano” la nefasta idea di eliminare il prossimo attraverso vere e proprie “marce della morte”, purtroppo rese famose dai tedeschi durante la Seconda guerra mondiale.
Sta di fatto che la quasi totalità degli armeni scomparve per sempre da quella terra che abitava da più di duemila anni, costretta a vivere un futuro incerto, corredato di ulteriori vedette, odi e violenze d’ogni genere, così come dall’onta di non sentirsi affatto tutelata, nemmeno dinanzi al giudizio della Storia, considerata la scarsità di riferimenti che si possono cogliere negli stessi testi scolastici.
*Colonnello (Aus) della Guardia di Finanza – Storico Militare. Membro del Comitato di Redazione di Report Difesa