BUGIE E NEGAZIONISMO, LA DURA VITA DI UN AMBASCIATORE AZERO ALLA CORTE DI UN DITTATORE
Nei giorni scorsi alcune testate giornalistiche, tra cui notiziegeopolitiche.net, (risposta) politicamentecorretto.com, (risposta) sardegnagol e opinione, avevano pubblicato una lettera dell’Ambasciatore Azero in Italia alla quale ci siamo sentiti nel dovere di rispondere in quanto piena di notizie false e fuorvianti.
Nel ringraziare le testate sopracitate per aver ospitato la nostra risposta, riportiamo qui di seguito il testo della nostra missiva, qui illink alla lettera dell’ambasciatore e una nostra nota di precisazioni inviata alla redazione di notizie geopolitiche.
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BUGIE E NEGAZIONISMO: LA NOSTRA RISPOSTA ALL’AMBASCIATORE AZERO IN ITALIA
Se la ride S.E. Mammad Ahmadzada, ambasciatore dell’Azerbaigian in Italia, citando la presunta abilità armena di contraffare la verità che a suo dire genera “ilarità”.
Fossimo in lui, rappresentante diplomatico di una delle peggiori dittature al mondo (Freedom press index colloca l’Azerbaigian al 167° posto su 180 nazioni, poco sotto la Corea del nord…), ci preoccuperemmo delle sorti del suo Paese dove l’opposizione è inesistente, i giornalisti e i membri delle ong non allineati vengono sbattuti in galera.
Nonostante i tanti soldi che regala in giro per l’Europa (Italia compresa), Aliyev rimane un dittatore al pari di Lukashenko o Kim Jong-un e la sua famiglia governa da più di trenta anni una nazione fatta crescere nell’odio contro gli armeni.
Accusa gli armeni, prima nazione al mondo ad aver abbracciato ufficialmente la fede cristiana nel 301, di essersi “appropriati della Chiesa dell’Albania caucasica” ma non spiega perché allora l’Azerbaigian ha distrutto tutti i monumenti e le chiese armene in Nakhichevan, comprese diecimila croci di pietra (katchkar) di epoca medioevale a Julfa. Come i barbari talebani in Afghanistan con i buddha di Bamiyan… E non sono gli armeni a proclamarsi primo popolo cristiano ma lo dice la storia della Chiesa.
Bugie continua a ripetere la feluca azera sulla storia armena e su quella del Nagorno Karabakh-Artsakh (che non è mai stato storicamente un territorio azero e che giusto un secolo or sono vantava il 95% della popolazione di etnia armena) mescolando a caso informazioni e propaganda, tanto su un tema così complicato e delicato il lettore medio difficilmente riesce a raccapezzarsi.
Sorvola sui massacri e le pulizie etniche che gli armeni residenti in Azerbaigian dovettero subire nei decenni scorsi da Sumgayt in poi e mente sugli antefatti storici della guerra che l’Azerbaigian scatenò contro la piccola repubblica del Nagorno Karabakh, territorio di circa 4000 km2 gentilmente donato da Stalin agli azeri negli anni Venti del secolo scorso.
Un tavolo negoziale per la soluzione pacifica del contenzioso è stato istituito con il Gruppo Minsk dell’OSCE ma dalle affermazioni dell’Ambasciatore si evince che il suo Paese è contrario al dialogo e non accetta il principio che la questione del Nagorno Karabakh possa arrivare a conclusione senza l’uso della forza.
“L’Armenia è un aggressore e l’Azerbaigian è una vittima” scrive l’esimio Ambasciatore al quale rinnoviamo due domande molto semplici: “Cosa ci faceva il 12 luglio scorso un veicolo militare azero nella zona cuscinetto sul confine azero armeno? Una gita fuori porta?” E la seconda: “Cosa ci facevano i soldati azeri nella stessa buffer zone? Un pic-nic?”.
L’Azerbaigian deve capire che deve arrendersi all’evidenza che la Storia non può essere raccontata a suon di petrodollari…
Ma invero, se una ricostruzione di parte può anche essere scontata (visto il recente richiamo del dittatore Aliyev ai propri ambasciatori perché si diano da fare a livello di comunicazione…), appare tuttavia moralmente inaccettabile il richiamo negazionista – d’altronde buon sangue turco non mente – quando parla degli “eventi della prima guerra mondiale” riferendosi evidentemente al genocidio armeno perpetrato dall’impero ottomano contro la minoranza armena.
Ecco, vedere riportato su una testata italiana l’intervento di un rappresentante di uno Stato dittatura che mistifica la realtà e pronuncia frasi negazioniste sul genocidio di un milione e mezzo di armeni senza che la redazione senta il dovere di prendere un minimo di distanza da certe affermazioni fa male.
Quale reazione vi sarebbe, chiediamo, se l’ambasciatore di un Paese non democratico inviasse una nota nella quale tra l’altro nega l’Olocausto?
Viviamo in una nazione, l’Italia, nella quale per fortuna tutti hanno diritto di parola e la libertà di informazione è garantita. Ciò però non significa avallare pedissequamente un crimine contro l’umanità.
Distinti saluti
CONSIGLIO PER LA COMUNITÀ ARMENA DI ROMA
Contro risposta a Notizie geopolitiche 30.08.20
A margine dell’articolo da noi inviato e pubblicato sulla testata è stata aggiunta questa “nota” alla quale abbiamo dato risconto come segue.
Essendo stata citata la Redazione del nostro giornale, mi sento il dovere di ribadire l’assoluta indipendenza di Notizie Geopolitiche, che da sempre dà spazio a posizioni anche contrapposte. In questo intervento, che proprio per la libertà che ci distingue pubblichiamo, più che sul sarcarsmo e sulle accuse all’Azerbaijan di essere una dittatura (i fatti di cronaca recenti dimostrano come anche l’Armenia non scherzi), punterei a rispondere in merito alle citate quattro Risoluzioni Onu. D’altronde anche la Crimea era stata donata da Stalin all’Ucraina, ma questo non vuol dire che il dittatore Putin possa farla russa con un referendum farlocco. Enrico Oliari.
Egr. dott. Oliari,
La ringraziamo per la pubblicazione del nostro intervento in risposta alle affermazioni dell’ambasciatore azero. Non avevamo dubbi al riguardo.
Proprio perché consideriamo la Sua testata seria, qualificata e obiettiva ci siamo meravigliati che non sia stato fatto alcun cenno redazionale riguardo alle gravi affermazioni negazioniste del rappresentante dell’Azerbaigian che è arrivato a definire il genocidio armeno alla stregua di “eventi della prima guerra mondiale” accodandosi alla più becera immorale propaganda turca. Ma forse il passaggio è sfuggito.
La Sua cortese replica ci fornisce invero l’occasione per sottolineare – nello spirito di un dibattito costruttivo sui problemi sud caucasici a beneficio dei Suoi lettori – due aspetti che riteniamo significativi.
In primo luogo, è un dato di fatto che l’Armenia (e l’Artsakh) e l’Azerbaigian viaggiano su due diversi piani di democrazia pur essendo provenienti dalla stessa esperienza sovietica.
La già citata classifica mondiale sulla libertà di informazione (Freedom press index) colloca l’Armenia al 61° posto (venti gradini sotto l’Italia, 41a) mentre l’Azerbaigian è al 167° posto e la Turchia al 154°. Con tutti i limiti e le difficoltà di sviluppo della società civile e politica armena, il paragone evidenzia posizioni ben differenti. Non lo diciamo noi, ma le organizzazioni internazionali che chiedono la liberazione di giornalisti e attivisti azeri imprigionati a centinaia nelle carceri di Aliyev la cui famiglia – altro dato significativo – da oltre trenta anni governa il Paese.
Ecco perché continuiamo a sorprenderci ogni qual volta sulla libera stampa italiana vediamo riportate sic et simpliciter le dichiarazioni di un rappresentante di Baku.
Quanto alle citate quattro risoluzioni delle Nazioni Unite (822, 853, 874, 884), invocate dall’Azerbaigian in ogni occasione, è opportuno sottolineare che furono votate dal Consiglio di sicurezza fra l’aprile e il mese di novembre 1993 in una situazione contingente legata allo sviluppo progressivo della guerra in atto.
Le prime tre chiedono 1) la cessazione delle ostilità; 2) il ritiro delle forze armene dai territori che le forze armate azere in rotta abbandonavano (Kelbajar, Aghdam, Fizuli e le regioni meridionali al confine con l’Iran); 3) la ripresa dei negoziati; 4) l’attuazione di tutte le misure umanitarie finalizzate ad alleviare le sofferenze delle popolazioni. La quarta, in aggiunta alle precedenti disposizioni, chiede all’Armenia di “usare la sua influenza nei confronti degli armeni del Nagorno Karabakh per l’applicazione delle precedenti risoluzioni”, di fatto avallando la neonata piccola repubblica di Stepanakert come soggetto sostanzialmente distinto (al punto che i suoi rappresentanti firmarono l’accordo del cessate-il-fuoco nel maggio 1994 con Armenia e Azerbaigian).
È pleonastico sottolineare che nessuna delle parti in causa rispettò le risoluzioni ONU a cominciare dalle forze armate azere che continuarono a combattere (e a perdere terreno a favore dei partigiani armeni). Quando dunque Baku invoca le citate pronunce del Consiglio di Sicurezza dovrebbe in primo luogo spiegare perché l’Azerbaigian per primo non rispettò le stesse e in secondo prendere atto che già le Nazioni Unite, sia pure con il linguaggio che si conviene ai diplomatici, consideravano acquisito de facto un embrione di statualità della repubblica del NK.
Erano comunque, ripetiamo, risoluzioni legate al contingente sviluppo degli eventi bellici; al pari di quella del Parlamento europeo che nel 1988 (e poi nel 1990) condannava i massacri degli a
armeni nell’Azerbaigian ed esprimeva il proprio sostegno alla popolazione del Nagorno Karabakh nella sua richiesta di unificazione all’Armenia.
La vicenda del conflitto del Nagorno Karabakh è, come ben sa, alquanto complicata e il dibattito a più voci sull’argomento quanto mai opportuno.
Lieti per questo proficuo scambio di opinioni, ci è gradita l’occasione per rinnovare i migliori saluti e auguri di buon lavoro.
Consiglio per la comunità armena di Roma
Risposta del Consiglio per la comunità armena di Roma a articolo apparso su “L’Antidiplomatico”.
Spett. redazione,
“L’antidiplomatico” ha già avuto modo di analizzare la recente crisi alla frontiera armeno-azera di metà luglio e i suoi lettori si saranno sicuramenti fatti un’idea di cosa sia accaduto in quei giorni nel Caucaso.
Ecco perché il titolo dell’articolo del 4 agosto (“Perché l’Armenia ha attaccato l’Azerbaigian?”) risulta fuorviante e assolutamente non corrispondente alla realtà dei fatti.
Il richiamo all’articolo del giornalista turco Bostan sul Daily Sabah riporta una versione dei fatti e della storia del Nagorno karabakh in alcun modo condivisibile.
Nei giorni scorsi ci siamo, provocatoriamente, rivolti all’ambasciatore azero in Italia chiedendo una risposta a due semplici domande: cosa ci faceva un veicolo militare azero nella buffer zone domenica 12 luglio e perché c’erano corpi di militari azeri nella predetta zona cuscinetto tra le due linee di contatto.
Tali dati sono noti e supportati da evidenze documentali che non lasciano dubbi sul fatto che le forze armate dell’Azerbaigian abbiano tentato una sortita nel territorio dell’Armenia, Paese membro delle Nazioni Unite e di numerose organizzazioni europee.
La favoletta della “aggressione armena” è stata rapidamente smontata proprio dai fatti. E non è un caso che gli azeri non abbiano attaccato lungo la linea di contatto tra Azerbaigian e Artsakh (Nagorno Karabakh) perché dopo la guerra dei quattro giorni del 2016 la stessa è stata, da parte armena, dotata di un sofisticato e capillare sistema di vigilanza visiva, anche a raggi infrarossi, che consente di smascherare eventuali sortite nemiche e sbugiardare la propaganda di Baku.
Errata è anche l’asserzione della “occupazione armena” del Nagorno Karabakh e le cifre fornite dal giornalista turco sul ripopolamento armeno della regione. La storiografia turco-azera cerca sempre di mescolare le carte e di trovare l’appiglio per giustificare l’insediamento armeno del territorio dove – detto per inciso – insistono chiese e monasteri armeni risalenti anche a dieci secoli or sono. E non è un caso se, laddove ne hanno avuto la possibilità materiale, turchi e azeri si sono periziati di distruggere qualsiasi testimonianza che poteva documentare la presenza armena (citiamo ad esempio la distruzione di diecimila katchkar medioevali armeni a Julfa nel Nakhchivan o la cartellonistica all’ingresso della città imperiale di Ani al confine con l’attuale Armenia dove sono elencati tutti i popoli che hanno abitato quelle terre ma la presenza armena stranamente scompare…).
Ma a furia di retrodatare queste presunte migrazioni, gli storici turchi devono fare attenzione perché l’invasione ottomana del Caucaso e dell’Anatolia è datata tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV…
Grazie per l’attenzione.
Cordiali saluti e buon lavoro
CONSIGLIO PER LA COMUNITA’ ARMENA DI ROMA
Comunicato stampa – IL CALCIO DELLA VERGOGNA
Comunicato stampa
IL CALCIO DELLA VERGOGNA
La vicenda del centrocampista armeno dell’Arsenal, HenrikhMkhitaryan, costretto a saltare per motivi di sicurezza la finale di Europa League a Baku, è nota e ha suscitato sdegno in tutto il mondo.
E’ alquanto surreale che uno sportivo debba rinunciare ad una partita così importante per lui, per la squadra e per gli stessi tifosi, solo perché il Paese ospitante, l’Azerbaigian, non è in grado di assicurare l’incolumità fisica del giocatore, avendo peraltro fomentato e ingigantito una questione che di per sé doveva e deve rimanere nel suo ambito di sport.
Il Governo di Baku ha perso un’altra occasione e non ha fatto altro che mostrare al mondo, il volto e la natura di un Paese che fa fatica ad accettare valori come democrazia, uguaglianza di diritti e libertà primarie e di informazione (166° su 180 nazioni nella classifica di Reporter Senza Frontiere!
Persino tifosi inglesi che avevano l’unica colpa di un cognome terminante in –ian (suffisso che contraddistingue i cognomi armeni ma ovviamente non solo quelli…) si sono visti rifiutare il visto in quanto ospiti sgraditi.
Nell’invitare il mondo sportivo e quello politico a condannare ancora una volta e con forza tali comportamenti antidemocratici, facciamo appello alla UEFA ed a tutti i dirigenti sportivi di valutare lo spostamento delle gare del Campionato Europeo 2020 dall’Azerbaigian ad altra sede.
Un provvedimento che deve far comprendere a certi governi, a tutti i governi, che su determinati valori e principi non si può e non si deve transigere.
Consiglio per la comunità armena di Roma
Comunicato Stampa – 24 aprile 1915 – 24 aprile 2019 – 104° ricordo del Medz Yeghern – Atto di commemorazione
Comunicato Stampa
24 aprile 1915 – 24 aprile 2019
104° ricordo del Medz Yeghern
A una settimana dal Giorno della Memoria Armena (24.04.19) e a una settimana dall’approvazione da parte della Camera dei Deputati della risoluzione sul genocidio armeno (10.04.19) il Consiglio per la comunità armena di Roma, in accordo con la rappresentanza diplomatica armena in Italia, organizza per mercoledì 17 aprile p.v. alle ore 15.00 una cerimonia presso il Giardino del Genocidio Armeno in Piazza Augusto Lorenzini per onorare la Memoria del milione e mezzo di martiri Armeni.
L’approvazione della mozione con la quale la Camera dei Deputati basandosi su istanze storiche, legali ed istituzionali, invita il Governo italiano a riconoscere ufficialmente il Genocidio del Popolo Armeno e dare a quel riconoscimento risonanza internazionale, dimostra, ancora una volta, che certi valori non possono essere oggetto di negoziazione e non possono essere sacrificate a favore di interessi politici ed economici.
Il Consiglio per la comunità armena rinnovando il proprio ringraziamento ai rappresentanti del popolo italiano per il coraggio e la determinazione con la quale hanno scelto di schierarsi dalla parte della verità e della giustizia e ricordando con altrettanta gratitudine il recente analogo pronunciamento del Consiglio regionale del Lazio, intende, con la cerimonia di cui sopra, non solo mantenere viva la Memoria delle vittime del genocidio del 1915 ma valorizzare anche l’importanza della solidarietà umana.
La toponomastica del Giardino di Piazza Lorenzini (quartiere Portuense) intitolato al Genocidio Armeno fu inaugurata a seguito della delibera della Giunta Capitolina, il 28 maggio 2010, alla presenza di autorità capitoline e dei rappresentanti del “Consiglio per la comunità armena di Roma”. Tale iniziativa rafforzava ancora di più il legame tra la Capitale d’ Italia e il popolo armeno, dopo che nel 2006, sempre su delibera del comune di Roma, venne scoperta una targa dedicata ai martiri del Metz Yeghern, nello slargo antistante la chiesa armena di s. Nicola da Tolentino.
“SPITAK 30” – Appello Raccolta Fondi.
“SPITAK 30″ – Appello Raccolta Fondi.
Cari amici e connazionali ,
nei giorni scorsi abbiamo lanciato un appello di raccolta fondi da destinare ad un progetto di solidarietà intitolato “SPITAK 30” da destinare ad una zona terremotata italiana sul quale stiamo lavorando, in occasione della ricorrenza del trentennale del terremoto di Spitak .
Sono già arrivati i primi contributi (grandi e piccoli) per i quali non possiamo che essere grati con la speranza che anche altri tra voi aderiscano a questo nostro appello, in modo che l’atto di prossimità e di vicinanza sia veramente rappresentativo di TUTTI.
Abbiamo bisogno del vostro aiuto piccolo o grande che sia.
Chi è interessato può inviare il porpio contributo possibilmente entro il 30 ottobre
C/O BPM – IBAN IT 20 M 05584 032010 000000 52676
intestato a Comunità Armena di Roma – con causale “SPITAK 30”,
inviando nel contempo la comunicazione dell’avvenuto pagamento a email@comunitaarmena.it.
Sarà ovviamente nostra cura rappresentare nei prossimi giorni tutti dettagli dell’iniziativa .
SPITAK 1988-2018 – SOLIDARIETA’ SENZA FRONTIERE
SPITAK 1988-2018 – SOLIDARIETA’ SENZA FRONTIERE
Cari amici e connazionali,
in occasione della prossima ricorrenza del terremoto di Spitak stiamo lavorando su un progetto di solidarietà finalizzato a rafforzare ancora di più i legami tra gli armeni e l’Italia. Si tratta di un piccolo gesto di prossimità, senza eroismi.Un modo per ricambiare l’immenso bene ricevuto dalla squadra dei soccorritori italiani arrivati per primi sul posto della tragedia.
A tal riguardo abbiamo lanciato una raccolta fondi intitolata “SPITAK 30”. Non è che si abbia bisogno di ingenti somme di denaro, l’intento è quello di coinvolgere più persone possibili e dar loro occasione,anche con un minimo contributo, di partecipare all’iniziativa, in modo che sia rappresentativa di TUTTI. Abbiamo ancora un volta bisogno del vostro piccolo grande aiuto.
Chi è interessato all’iniziativa può inviare il suo contributo (entro il 30 ottobre) C/O BPM – IBAN IT 20 M 05584 032010 000000 52676 intestato a Comunità Armena di Romacon causale “SPITAK 30”, inviando nel contempo la comunicazione dell’avvenuto pagamento a email@comunitaarmena.it.
Sarà ovviamente nostra cura rappresentare i dettagli dell’iniziativa non appena avremmo definito tutti i particolari.
Grazie in anticipo a tutti coloro che vorranno unirsi a questa iniziativa di solidarietà. Grazie di cuore.
La questione armena va riconosciuta. Risposta all’Ambasciatore turco in Italia (Il Messaggero 18.09.18)
La questione armena va riconosciuta (Il Messaggero 18.09.18)
Nvart Cricorian*
Gentile Direttore, ci pare opportuna un’ ultima replica all’ intervento dell’ ambasciatore di Turchia, Murat Salim Esenli, pubblicata in data 8 settembre scorso. Non possiamo che condividere il senso di gratitudine nei confronti de Il Messaggero per aver ospitato nei mesi passati lo scambio di vedute tra l’ ambasciata turca e la nostra organizzazione e cogliamo anche l’ occasione per ringraziare pubblicamente i tanti lettori che ci hanno espresso vicinanza, stima e solidarietà. Confidavamo invero che l’ occasione fosse propizia per un franco confronto sull’ annosa questione del riconoscimento del genocidio armeno da parte del governo turco e che, proprio dalle colonne di codesto giornale, emergessero segnali di cambiamento rispetto alla politica ufficiale di Ankara. Ma, evidentemente ci siamo sbagliati. Come si evince nell’ ultimo intervento del rappresentante diplomatico, prendiamo amaramente atto che dopo aver negato il genocidio, anche la stessa presenza armena nella regione viene messa in dubbio; come dire, eliminata la causa, eliminato il problema. Quando S.E. vorrà farsi una passeggiata a via dei Fori imperiali potrà notare sulla quarta lastra marmorea che descrive l’ Impero romano ben impressa la parola Armenia a indicare tutta l’ attuale parte orientale del suo Paese. Una storia millenaria non si cancella neppure con il più rigoroso negazionismo. Dalle parole dell’ ambasciatore apprendiamo poi che in Turchia oggi si può parlare liberamente della questione armena, (evidentemente i processi intentati a giornalisti, premi Nobel e professori ai sensi del famigerato art. 301 del c.p. sono sfuggiti al nostro interlocutore), e che il governo turco è fortemente impegnato per la pace nel Caucaso e in Medio oriente. Anche se non riusciamo a far collimare questo concetto con le notizie riportate dalla stampa mondiale. Poiché, dunque, ci sembra inutile abusare della disponibilità di codesto quotidiano per continuare a smentire altre argomentazioni, a dir poco fantasiose, a cui fa cenno il diplomatico di Ankara, (vedi ratifica dei protocolli di Zurigo che giacerebbero da 10 anni all’ o.d.g. dell’ agenda parlamentare) non ci resta che ritenere esaudita la nostra pubblica partecipazione al dibattito e considerare, per quel che ci riguarda, chiuso ogni scambio di opinione.
*Presidente del Consiglio per la comunità armena di Roma.
Anche l’ Armenia apra al dialogo sui fatti del 1915 (Il Messaggero 08.09.18)
Murat Selim Esenli*
Gentile Direttore, le scrivo la presente in risposta alla lettera del Signor Nevart Cricorian, pubblicata il 5 agosto 2018. Sono grato aIl Messaggero per aver fornito una piattaforma dove poter esprimere la posizione della Turchia su un argomento così controverso come gli eventi del 1915. Riteniamo che questa discussione civile sia molto utile per i lettori de Il Messaggero per comprendere il fulcro della questione, spoglio dalla narrativa soggettiva degli armeni assorbita dall’ oppressione intellettuale. Il Signor Cricorian e la diaspora armena dovrebbero capire che questo cupo periodo storico è stato molto traumatico anche per la popolazione turca la quale ha sofferto enormemente a causa delle ostilità perpetrate dalle milizie armene. Diversamente dalla descrizione fornita nella lettera del Signor Cricorian, gli eventi del 1915 non sono un tabù per la Turchia. I libri, i dibattiti televisivi, le colonne dei giornali, le conferenze, che difendono e riportano la versione armena degli eventi e della storia compaiono liberamente in Turchia. In effetti, sarebbe uno sviluppo positivo se l’ Armenia adottasse un atteggiamento simile, lasciando che venga data voce a narrative alternative, in linea con la decisione della CEDU (Perinçek vs Svizzera) ed esponendo il loro materiale in archivio sugli eventi del 1915. In merito alle cifre sulla popolazione armena prima degli eventi del 1915, ritengo sia necessaria un’ ulteriore correzione. Gli armeni non hanno rappresentato una maggioranza in nessuna provincia dell’ Impero Ottomano da ben prima del 1800. Un punto ancora più indicativo, l’ unico modo per conoscere il numero di una popolazione è censirlo e gli ottomani non hanno mai censito la propria popolazione per gruppi etnici o per una qualsiasi altra categoria al di fuori della religione, e nessun’ altro (eccetto il sistema di registrazione della popolazione ottomana) ha mai censito del tutto la popolazione musulmana. Quindi come è possibile trarre la conclusione che gli armeni rappresentavano una maggioranza nell’ Anatolia orientale? La Turchia ha perseguito i suoi sforzi per normalizzare le relazioni con l’ Armenia su diversi livelli da quando l’ Armenia ha proclamato la propria indipendenza nel 1991. In questo contesto, i Protocolli di Zurigo del 2009, il cui obiettivo è quello di normalizzare le relazioni tra la Turchia e l’ Armenia, sono il risultato di negoziazioni facilitate dalla Svizzera. Tuttavia, il ritiro dei Protocolli di Zurigo da parte del Parlamento armeno per poi dichiararli nulli sono segni indicativi della loro volontà di alimentare lo scontro ed inoltre confermano la riluttanza della parte armena a normalizzare le relazioni. È risaputo che la diaspora armena era contraria alla firma dei Protocolli sin dall’ inizio ed ha esercitato pressioni sul Governo armeno al fine di non ratificarli. Questo approccio negativo si evince facilmente dalla lettera del Signor Cricorian in quanto egli rappresenta la diaspora. Nonostante la posizione negativa dell’ Armenia in merito ai detti Protocolli, quest’ ultimi sono ancora nell’ ordine del giorno della Grande Assemblea Nazionale turca e per la loro ratificazione è essenziale che vengano assicurate sia un’ atmosfera politica favorevole che la pace nel Caucaso meridionale. L’ obiettivo primario della Turchia relativo al processo dei Protocolli è quello di normalizzare le relazioni tra la Turchia e l’ Armenia, in modo da garantire pienamente pace e stabilità nel Caucaso meridionale. In tale ottica, è necessario che per la soluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh vengano fatti progressi, basati sull’ integrità territoriale dell’ Azerbaigian alla luce delle relative risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ Onu (per coloro che non fossero familiari con la questione, il venti per cento dei territori dell’ Azerbaigian è ancora sotto occupazione armena). In ogni caso, l’ Armenia deve porre fine alla propria invasione dei territori dell’ Azerbaigian e deve rispondere ad uno dei più gravi crimini contro l’ umanità nella storia recente, il massacro di Khojaly nel 1992.
* Ambasciatore della Repubblica di Turchia
Il Messaggero: Continua la botta e risposta con l’ambasciatore turco in Italia
Lo scorso 11 luglio 2018, L’Ambasciatore turco in Italia, aveva replicato, sempre sul quotidiano il Messaggero, all’ultima lettera dell’Ambasciatrice Baghdassarian, ribadendo ancora una volta le tesi negazioniste della Turchia. In data 17 luglio 2018 il Messaggero ha pubblicato la risposta del “Consiglio per la comunità armena di Roma” che ripotiamo di seguito, insieme alla lettera del diplomatico turco in Italia.
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La questione armena controversia senza fine
Nevart Cricorian*
Atteso che il dibattito sul genocidio armeno prosegue con un nuovo intervento dell’ ambasciatore turco Murat Selim Esenli, riteniamo doverosa una nostra ulteriore puntualizzazione sul tema. Come armeni, come cittadini italiani di origine armena, non possiamo che essere avviliti e indignati per il fatto che a oltre un secolo dalla tragedia armena (il Grande male), gli attuali eredi dell’ impero ottomano ancora perseguano una politica armenofoba e negazionista. Qui in discussione, si badi bene, non c’ è tanto o soltanto il termine genocidio: ancora oggi infatti in Turchia lo Stato tende ad escludere o minimizzare le persecuzioni degli armeni, la deportazione e la morte di centinaia di migliaia di nostri compatrioti. Per decenni il governo turco ha perfino negato l’ esistenza stessa degli armeni e di conseguenza della questione armena; poi, a fronte dell’ evidenza dei fatti, la popolazione armena è stata classificata alla stregua di un nemico interno (in piena guerra mondiale) conferendo implicitamente una sorta di legittimità giuridica e morale al suo annientamento. Il rappresentante diplomatico di Ankara tenta di presentare come verità alcune tesi negazioniste e non esita a richiamare a testimonianza uno storico come Bernard Lewis che negli anni novanta fu condannato dalla Corte di appello di Parigi proprio per la sua visione negazionista della storia. Per quanto riguarda gli archivi ottomani ci limitiamo a riportare un dispaccio datato 1° dicembre 1915 del Ministro dell’ Interno Talaat Pasha nel quale viene riportato quanto segue: Senza ascoltare nessuna delle loro ragioni, rimuoverli immediatamente, donne, bambini, chiunque essi siano, anche se sono incapaci di muoversi Perché, invece di misure indirette di sterminio usate in altri luoghi, come severità, furia, difficoltà di viaggio, miseria, possono essere usate misure più dirette da voi, perciò lavorate con entusiasmo… Il luogo di esilio di questa gente sediziosa è l’ annientamento. Ad avallare quanto sopra non possiamo che citare il Console Onorario d’ Italia a Trebisonda dell’ epoca Giacomo Gorrini che denunciò le persecuzioni subiti dagli armeni proprio sulle pagine di questo giornale il 25 agosto 1915 Per quanto riguarda l’ elenco dei Pasha e dei ricchi faccendieri armeni, l’ ambasciatore si è dimenticato di menzionare Krikor Zohrab, deputato armeno, che qualche giorno prima del 24 aprile 1915, data di inizio del genocidio armeno, si era recato dal suo amico Talaat Pasha, per chiedere spiegazioni in merito alle deportazioni e quest’ ultimo lo rassicurò che si trattava di notizie infondate salvo poi ordinare il suo assassinio insieme a tutti i notabili armeni, inclusi i Pasha, i ricchi banchieri ed i mercanti industriali armeni. Su una cosa ci troviamo d’ accordo con l’ ambasciatore turco, dobbiamo evitare di aiutare coloro che ricorrono al fanatismo, al rancore, all’ ostilità, distorcendo e manipolando la storia, anche se ci rendiamo conto che è un dato di fatto e gli interventi del diplomatico turco lo dimostrano chiaramente che nel 2018 la Turchia ha paura di affrontare il proprio passato, gioca intorno ai termini, semina informazioni false e/o distorte sull’ argomento, cita fonti inattendibili, manda in esilio i propri storici controcorrente come il prof Taner Akcam, incrimina giornalisti, scrittori e premi Nobel come lo scrittore Orhan Pamuk e la scrittrice Elif Shafak, mette al bando partiti politici, imbavaglia l’ informazione, licenzia decine di migliaia di funzionari statali e insegnanti in un clima sempre più cupo e drammaticamente sempre più simile a un secolo fa.
*Presidente del Consiglio per la comunità armena di Roma.
Lettera dell’Ambasciatore turco del 11.07.18