Conferenza: La Santa Sede e il genocidio degli armeni e delle altre minoranze cristiane nell’Impero ottomano

Pubblichiamo di seguito il testo della Conferenza tenutasi il 18 giugno 2025 presso la Chiesa e Fondazione Reale Belga San Giuliano dei Fiamminghi dal titolo “La Santa Sede e il genocidio degli armeni e delle altre minoranze cristiane nell’Impero ottomano”

Mons Gabriel Quicke ha ripercorso la storia del legame che vi è tra la Santa Sede, gli armeni e la Questione Armena, facendo riferimento al monumentale “lavoro innovativo” del gesuita Padre Georges Ruyssen, che si basa su documenti inconfutabili e sulle posizioni della Santa Sede e dei Pontefici a difesa degli armeni dal tempo del genocidio del 1915 fino ai giorni nostri.

 

CONFERENZA GABRIEL QUICKE


 

CONFERENZA MONS. DR. GABRIEL QUICKE

18 GIUGNO 2025

Eminenza,

Eccellenze,

Reverendi Padri,

Reverende Suore,

Cari amici,

sono onorato di accoglierVi questa sera nella Chiesa Reale Belga “San Giuliano

dei Fiamminghi” in occasione della Conferenza;

 

Vorrei salutare anche il Reverendo Padre Jim Loughran, Direttore del Centro Pro-

Unione con cui abbiamo iniziato una collaborazione.

Ieri sera il professor Ruyssen mi ha contattato per comunicare la notizia che non

può tenere la conferenza.

Il Generale della Compagnia di Gesù ha ricevuto

una lettera della Segreteria di Stato.

Sono stati avvisati diplomaticamente della nostra iniziativa di organizzare una

conferenza sul Genocidio armeno.

Nella lettera, tra le righe, si chiedeva che l’iniziativa fosse cancellata.

Il professor Ruyssen è stato esplicitamente scoraggiato a tenere la conferenza

Alla fine, in collaborazione con padre Jim Loughran,

ho proposto di assumere il ruolo di MEDIATORE.

Non era più possibile per me avvisare tutti.

Inoltre, avevamo anche organizzato il ricevimento con il catering.

I was considering to present the bill but I have understood that the Compagnia di

Gesù is not very generous.

Il patrone di questa Fondazione è San Giiliano l’ospitaliere.

Nello spirito di ospitalità vorrei accogliervi tutti

e presentare un’ umile introduzione al lavoro scientifico di Padre Ruyssen

E dare voce a chi non ha più voce.

Vi prego gentilmente di mantenere la serenità di costruire insieme ponti di pace e

di giustizia e “di credere nella verità in modo da poter rinascere nella verità”,

come dice Sant’ Agostino

“l a verità non appartiene né a me né a chiunque altro, ma a tutti noi”Confessiones XII, 25, 34.

Non sono un agostiniano, ma in un certo senso mi sento figlio di Agostino

che parla di Christus mediator.

“Cerchiamo di crescere per saper discernere il bene dal male e sempre più

attaccarci al Mediatore che potrà liberarci dal male, con una guarigione

interiore” Tractatus in Iohannis Evangelium, 98, 6.

 

Healing of memory.

Dunque voglio essere MEDIATORE !

Avendo lavorato per 10 anni nel Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani,

dove ero responsabile del dialogo con i cristiani ortodossi orientali,

e avendo anche seguito da vicino la relazione con la Chiesa apostolica armena,

vorrei fare stasera un’umile introduzione

al lavoro innovativo svolto dal professor Ruyssen.

In accordo con il professor Ruyssen

che vi saluta tutti,

stanotte ho fatto la traduzione di un testo

di un libro (in inglese)

che ho scritto qualche tempo fa

sui cristiani in Medio Oriente,

in cui parlo anche del genocidio armeno, fra le altre cose.

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Il genocidio armeno ebbe inizio alla fine del diciannovesimo secolo, con il primo

massacro a Sason (Anatolia orientale). Le prime uccisioni di massa di cristiani

armeni ebbero luogo tra il 1894 e il 1896, durante il regno del sultano Abdül-

Hamid II, soprannominato il “sultano rosso” per le sue atrocità in Europa. Si stima

che in quel periodo siano morte tra le 250.000 e le 300.000 vittime.

Quando il gruppo militare dei “Giovani Turchi” salì al potere dopo un colpo di

Stato nel 1909, ci fu un secondo massacro pianificato in Cilicia. Prima nella città

di Adana e nelle sue vicinanze, poi nel resto della provincia, morirono circa

30.000 vittime.

Nel febbraio 1915, procedettero al completo disarmo dei soldati e dei gendarmi

armeni dell’esercito turco. Prima furono trasferiti nei campi di lavoro. Poi molti

di loro furono uccisi in piccoli gruppi di 50 o 100 persone.

All’alba del 24 aprile 1915, a Costantinopoli (Istanbul), centinaia di leader politici,

banchieri e intellettuali armeni furono radunati e portati via, senza alcun processo.

In un mese, più di mille intellettuali furono deportati e uccisi poco dopo.

Quel giorno ben definito, il 24 aprile 1915, è considerato l’inizio effettivo del

genocidio armeno ed è diventato la data della commemorazione del genocidio

armeno.

Nei mesi successivi, un movimento di deportazione di massa ebbe luogo in tutto

l’impero, ad eccezione di Istanbul e Smirne (Izmir). Accompagnati da gendarmi e

soldati, i cristiani armeni furono costretti a lasciare le loro residenze nelle province

sudorientali dell’allora Impero Ottomano (Aleppo, Rakka, Deir-el-Zor, Mosul e

Baghdad).

Il motivo addotto era la necessità di “evacuazione” a causa delle condizioni di

guerra. Un piccolo numero di deportati sopravvisse al viaggio. All’inizio della

deportazione, i parenti maschi sono stati separati dal gruppo e uccisi poco dopo.

Molti furono vittime della fame e della sete, della brutale violenza delle guardie o

delle bande criminali che rendevano la zona insicura. Testimonianze e resoconti

riportano pratiche orribili come gravi percosse e omicidi, stupri e mutilazioni

sessuali di donne e ragazze, roghi collettivi, appendimento e annegamento di

massa. Inoltre, sono stati creati molti “campi di concentramento” (ai confini

dell’odierna Siria e dell’Iraq) che spesso servivano solo come campi di transito.

Le stime sul numero delle vittime sono varie. Si può ipotizzare che circa un

milione e mezzo di armeni siano stati uccisi tra il 1894 e il 1922.

Molti ricorderanno che durante la celebrazione della liturgia per i fedeli di rito

armeno il 12 aprile 2015 nella Basilica di San Pietro a Roma, Papa Francesco ha

fatto riferimento al genocidio armeno. All’epoca lavoravo nel Consiglio e so bene

cosa succedeva dietro le scene.

Per capire meglio il ruolo del Vaticano nella questione armena, dobbiamo tornare

indietro nella storia, tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo.

Il gesuita fiammingo Georges Ruyssen ha svolto un lavoro innovativo in questo

senso. Egli ha infatti scritto un’opera imponente; si tratta di un’edizione scientifica

del materiale d’archivio vaticano relativo al genocidio armeno. Grazie a questo

lavoro di studio, possiamo avere una visione migliore del ruolo della Santa Sede.

Già in occasione dei primi massacri, negli anni 1894-1896, Papa Leone

tredicesimo cercò di mediare e incoraggiò il sultano Abdul-Hamid II a portare

avanti la riconciliazione. Anche Papa Benedetto quindicesimo intervenne in modo

impressionante.

Ruyssen sottolinea che “l’unico capo di Stato o leader religioso” che ha protestato

ufficialmente contro le uccisioni di massa del 1915 è stato Papa Benedetto XV. In

una lettera al sultano Mehmed V (10 settembre 1915), egli scrisse:

“Il popolo armeno ha già visto molti dei suoi figli mandati a morte, altri

imprigionati o esiliati, compresi molti sacerdoti e anche vescovi. Oggi ci

giungono notizie di interi villaggi e città i cui abitanti sono costretti ad

abbandonare le loro case, a farli trasferire in condizioni di grave disagio e

miseria in regioni lontane, dove soffrono moralmente e spesso devono vivere nella

più povera miseria, tormentati dalla fame”.

L’erudito studio di Ruyssen si concentra anche sull’evacuazione dello Stato

armeno di Cilicia in Siria e Libano. La corrispondenza mostra chiaramente come

la Chiesa cattolica, attraverso i suoi delegati apostolici (il vescovo Eugenio

Pacelli, nunzio a Monaco di Baviera, e il successivo Papa Pio dodicesimo; come

anche il vescovo Angelo Maria Dolci, nunzio a Costantinopoli – era chiamato

“l’amico degli armeni”), cercò in molti modi di porre fine ai massacri, inviando

anche generi di soccorso alle vittime e dando rifugio agli orfani armeni a Castel

Gandolfo. Papa Benedetto XV inviò una lettera al Presidente Wilson tre giorni

prima della fine della Prima Guerra Mondiale per chiedere la creazione di

un’Armenia indipendente: “è inutile ricordare quanto questo povero popolo abbia

sofferto, soprattutto negli ultimi anni! Anche se la maggior parte degli armeni

non appartiene alla Chiesa cattolica, la Santa Sede ha più volte preso a cuore la

loro sorte, anche nella nostra nota alle Grandi Potenze belligeranti del 1 agosto

1917, ma anche in lettere al sultano per porre fine ai massacri a beneficio dei

poveri armeni, inviando inoltre aiuti materiali per alleviare un po’ le loro

sofferenze. Ma tutto questo è inutile se non si riconosce all’Armenia il diritto alla

piena indipendenza, che si merita pienamente. Ecco perché tutta l’umanità tiene

gli occhi puntati sul potente presidente della più grande democrazia del mondo”.

Ruyssen sottolinea inoltre che per quanto riguarda la Cilicia, la Santa Sede ha

cercato di fare di tutto per ottenere garanzie e diritti per le minoranze cristiane

della Turchia.

È significativo come nella storia più recente si noti una certa evoluzione nell’uso

del termine “genocidio”. In passato era comune parlare di “le Grand Mal” o di

“Metz Yeghérn” in Vaticano, al posto della parola “genocidio”.

Durante il viaggio apostolico di Papa Giovanni Paolo II in Armenia nel settembre

2001, sono stati utilizzati sia i termini “Metz Yeghérn” che “genocidio”. Durante

la cerimonia al monumento nazionale di Tzitzernakaberd, a Yerevan (il 26

settembre 2001), Giovanni Paolo II ha pronunciato le parole “Metz Yéghern” in

una commovente preghiera:

“O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi!

Ascolta, o Signore, il lamento che si leva da questo luogo,

l’invocazione dei morti dagli abissi del Metz Yeghérn,

il grido del sangue innocente che implora come il sangue di Abele,

come Rachele che piange per i suoi figli perché non sono più.

Ascolta, o Signore, la voce del Vescovo di Roma,

che riecheggia la supplica del suo Predecessore, il Papa Benedetto XV,

quando nel 1915 alzò la voce in difesa

“del popolo armeno gravemente afflitto,

condotto alla soglia dell’annientamento”.

Il giorno dopo, tuttavia, la Dichiarazione comune di Papa Giovanni Paolo II e del

Catholicos Karekin II (27 settembre 2001) ha usato il termine “genocidio”. Anche

se il termine non è stato pronunciato, è apparso per la prima volta in una

Dichiarazione congiunta. Sembra che fino all’ultimo minuto abbiano valutato se

aggiungere o meno il termine genocidio al testo:

“Lo sterminio di un milione e mezzo di Cristiani Armeni, che generalmente viene

definito come il primo genocidio del XX secolo, e il successivo annientamento di

migliaia di persone sotto il regime totalitario, sono tragedie ancora vive nel

ricordo della generazione attuale. Gli innocenti che furono massacrati senza

motivo non sono canonizzati, ma molti di loro sono stati certamente confessori e

martiri per il nome di Cristo. Noi preghiamo per il riposo delle loro anime ed

esortiamo i fedeli a non perdere mai di vista il significato del loro sacrificio.”.

Durante la sua visita a Istanbul nel 2006, Papa Benedetto XVI ha toccato la

delicata questione del genocidio – anche se non in termini espliciti – durante un

incontro con il Patriarca apostolico armeno di Istanbul, Mesrob II: “Ringrazio Dio

per la fede e la testimonianza cristiana del popolo armeno, trasmessa da una

generazione all’altra, spesso in circostanze molto tragiche come quelle vissute nel

secolo scorso”.

Durante il saluto all’inizio dell’Eucaristia con i fedeli di rito armeno nella Basilica

di San Pietro il 12 aprile 2015, Papa Francesco ha pronunciato la parola

“genocidio”. È stata la prima volta che un Papa ha definito pubblicamente le

uccisioni in Armenia un genocidio. Così facendo ha toccato il cuore del popolo

armeno: Nel farlo, Francesco ha citato la Dichiarazione congiunta del 2001 del

Catholicos Karekin II e di Papa Giovanni Paolo II:

“La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la

prima, quella che generalmente viene considerata come «il primo genocidio del

XX secolo» (Giovanni Paolo II e Karekin II; essa ha colpito il vostro popolo

armeno – prima nazione cristiana –, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli

assiri, ai caldei e ai greci. Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne,

uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi. Le altre due furono quelle

perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo. E più recentemente altri stermini di

massa, come quelli in Cambogia, in Ruanda, in Burundi, in Bosnia. Eppure

sembra che l’umanità non riesca a cessare di versare sangue innocente… Pare

che la famiglia umana rifiuti di imparare dai propri errori causati dalla legge del

terrore; e così ancora oggi c’è chi cerca di eliminare i propri simili, con l’aiuto

di alcuni e con il silenzio complice di altri che rimangono spettatori. Non abbiamo

ancora imparato che “la guerra è una follia, una inutile strage”.

Verso la fine del suo saluto, Papa Francesco ci ha invitato a commemorare il

centenario di quel tragico evento con un cuore trafitto dal dolore, ma anche pieno

di speranza nel Signore risorto:

“Ricordarli è necessario, anzi, doveroso, perché laddove non sussiste

la memoria significa che il male tiene ancora aperta la ferita; nascondere o

negare il male è come lasciare che una ferita continui a sanguinare senza

medicarla!”.

Dopo il suo arrivo dal viaggio apostolico in Armenia (26-28 giugno 2016), il Papa

ha incontrato politici, diplomatici e rappresentanti delle autorità civili armene

presso il Palazzo presidenziale di Yerevan. Nel suo discorso, Papa Francesco ha

parlato della ricca storia, della bellezza naturale e della profondità della fede

dell’Armenia, che nel 301 è stato il primo Paese al mondo ad adottare il

cristianesimo come religione di Stato. Papa Francesco ha anche parlato della

tragedia che gli armeni hanno sopportato negli ultimi secoli. In particolare, il Papa

ha ricordato la commemorazione del centenario del genocidio armeno, avvenuta

nel 2015. Il testo del discorso rilasciato in anticipo non includeva la parola

“genocidio”. Al momento del discorso, il Papa ha aggiunto la parola “genocidio”:

“Quella tragedia, quel genocidio, inaugurò purtroppo il triste elenco delle

immani catastrofi del secolo scorso, rese possibili da aberranti motivazioni

razziali, ideologiche o religiose, che ottenebrarono la mente dei carnefici fino al

punto di prefiggersi l’intento di annientare interi popoli. E’ tanto triste che – sia

in questo come negli altri due – le grandi potenze guardavano da un’altra parte”.

Durante l’ultimo giorno della sua visita, è stata firmata una Dichiarazione

congiunta che ha fatto nuovamente riferimento, come il 12 aprile 2015, alle parole

della Dichiarazione congiunta del 2001.

Potrei scrivere un altro libro su ciò che è successo dietro le quinte.

Il genocidio armeno del 1915 farebbe quasi dimenticare che, nello stesso periodo,

un’altra minoranza cristiana dell’Impero Ottomano, i cristiani siriani, fu vittima di

un genocidio. Questo genocidio, il “Sayfo” (spada in siriaco), uccise circa 300.000

persone. Il professor Ruyssen ha pubblicato anche qualche volume su questo

argomento. È stato quindi particolarmente incoraggiante che Papa Francesco,

nelle sue parole di apertura della celebrazione del 12 aprile 2015, non solo abbia

menzionato il genocidio armeno, ma abbia anche fatto riferimento al tragico

destino dei cristiani siriani, assiri e caldei.

I cristiani assiri, siriaci e caldei si considerano i discendenti dei popoli dell’antica

Mesopotamia, tra i fiumi Tigri ed Eufrate. Questi cristiani vivevano nell’Iran nord-

occidentale, nell’Anatolia orientale (Hakkari, Diyarbakir, Mardin, Midyat, Tur

Abdin), nell’Iraq settentrionale (Mosul, la valle di Ninive e Kirkuk) e nella Djazira

siriana.

Si stima che 300.000 cristiani siriani siano stati uccisi e 200.000 siano morti nei

campi per fame, sete e sfinimento. Molti altri sono stati sfollati o costretti a

convertirsi con la forza. A titolo esemplificativo, riportiamo alcuni esempi. La

regione montuosa di Hakkari, che era un rifugio per 100.000 cristiani, è stata

completamente epurata dalla presenza cristiana. Nella provincia di Diyarbakir

sono scomparsi 75.000 dei 100.000 cristiani siro-ortodossi, 10.000 caldei, 4.000

cattolici siriani e 500 protestanti. Nello stesso periodo, il vescovo siro-cattolico

Flavien Mikhail Malke morì da martire. È stato beatificato.

Queste uccisioni di massa sono state accompagnate anche dal sequestro delle

proprietà terriere e dalla distruzione del patrimonio culturale, come monumenti

storici, chiese, biblioteche e monasteri. Nella regione di Diyarbakir sono stati

distrutti più di 150 chiese e monasteri. Lo stesso vale per la regione montuosa di

Hakkari, dove delle oltre 200 chiese non è rimasto quasi nulla. Non si tratta quindi

solo di distruggere un popolo, ma anche un patrimonio culturale.

Papa Francesco ha più volte sottolineato che ci sono più martiri oggi che nei primi

secoli. La situazione delle minoranze cristiane in Medio Oriente, un’area che si

estende dalle valli dei fiumi Tigri ed Eufrate alle rive del Nilo, ci collega al tempo

dei primi martiri e ai martiri di oggi. Quanti cristiani non hanno versato il loro

sangue per Cristo, non solo nei primi secoli, ma anche e forse soprattutto nel

ventesimo e ventunesimo secolo? I monasteri di Wadi al-Natrun in Egitto, il

monastero di Mor Gabriel a Tur Abdin in Turchia, Deir Mar Musa in Siria, la

Valle di Qadisha in Libano, il monastero di Khor Virap in Armenia, non sono solo

rovine, ma pietre vive, piene di una presenza orante e di un silenzio ispirante.

Papa Francesco ha denunciato in diversi messaggi che i cristiani vengono uccisi

perché sono cristiani: i cristiani uccisi a causa della loro confessione di Cristo

sono legati da un “ecumenismo del sangue”.

 

Cari amici,

Questa è soltanto una introduzione umile

al lavoro scientifico, originale e unico del professor Ruyssen

L’editore Il signor Pirolli

ha messo a disposizione una copia delle sue pubblicazioni

SULLA QUESTIONE ARMENA

e SULLA QUESTIONE CALDEA e ASSIRA

Per valorizzare il lavoro del professor Ruyssen

Vi invito ad ordinare una copia della sua pubblicazione durante il ricevimento

Adesso il Reverendo Padre Jim Loughran prenderà la parola per i Ringraziamenti.

Al termine saremo lieti di invitarVi al Rinfresco nella Sala.

Vi ringrazio per la vostra cortese attenzione

e vi invito ad applaudire in onore del professor Ruyssen.

Mons Dr Gabriel Quicke