«Il genocidio in corso è quello armeno» (La Verità 10.02.25)
La scrittrice: «Lo sterminio di inizio Novecento ricorda per molti aspetti la Shoah. E oggi quel popolo è ancora vittima. L’occidente non ne parla, perché trascura le proprie radici e cede ai ricatti di Erdogan e degli azeri»
Di CARLO CAMBI
CRITICA Antonia Arslan: il suo La masseria delle allodole, che racconta lo sterminio armeno, è tradotto in 25 lingue [Getty]
■ «Il Giorno della memoria? Forse non ne parlerò così bene; mi si permetta di raccontare una storia». Antonia Arslan sta nella cucina della casa di famiglia a Padova, lì dove la zia Enrica preparava la pakhlava: pasta fillo, ripiena di noci, mandorle e miele, cotta al forno. «È un profumo della mia infanzia, i turchi si sono presi anche quella: la chiamano baklava, ma non sanno che il nome vuol dire pane di quaresima, che è un dolce cristiano. La zia la faceva quando non era afflitta dalle sue fitte di tristezza: era lei la bambina a cui i turchi lanciarono la testa mozzata del padre, Sempad, il fratello di mio nonno, mentre era in braccio della madre. La mia Masseria delle Allodole (il romanzo uscito nel 2004 è stato tradotto in oltre 25 lingue, è arrivato a 45 edizioni: un libro culto adottato anche come testo didattico in moltissime scuole, ndr) è partita anche da lì, da quel cammeo terribile che nonno Jerwant, arrivato a Padova per studiare medicina, mi consegnò a Sospirolo, insieme al dramma della nostra deportazione. Ero bambina e si sentivano in lontananza gli echi della guerra». Lei, italianissima, è nata a Padova dove ha insegnato Letteratura contemporanea e moderna nell’università. Antonia però ha sangue armeno e quel sangue scorre come un fiume di ricordi, impetuoso nel coraggio di chiedere verità, nel pretendere che non si sopisca la memoria del primo genocidio dell’era contemporanea. Fanno, giusto nella prossima primavera, 110 anni esatti da quando i «giovani turchi» cominciarono a deportare e sterminare tutti gli armeni, oltre un milione e mezzo di persone cancellate.
E quel racconto che appanna il Giorno della memoria?
«C’erano in una cittadina dell’anatolia due commercianti, uno turco e uno armeno. Vicini di bottega e di casa che si rispettavano. Una mattina l’armeno va dal turco e gli confida: “Mi dicono che stanno per arrestarci tutti, io non ho il coraggio di chiedere al caimacam (sarebbe stato il sindaco), ti puoi informare?”. Passano diverse ore quando il turco bussa alla porta dell’armeno e gli dice: “Mangia tranquillo, poi ti racconto”. “No, dimmi”, fa l’altro. “Ebbene sappi che ti farò un grande favore: domattina sarò io ad ammazzare te, tua moglie, i tuoi due figli maschi e la piccoletta, così non patirete la deportazione”. Nella notte l’armeno fece fuggire i due figli più grandi. Uno riuscì ad arrivare in California e questa storia l’ha raccontata ad una mia carissima amica, ricercatrice antropologa. Degli altri, nulla si è più saputo. Sono centinaia di migliaia gli orfani di quella stagione. E nel Giorno della smemoria di loro non si vuol sapere nulla».
Eppure il genocidio degli armeni è, si può dire tragicamente, il prototipo della Shoa…
«Il termine genocidio è stato
creato da Raphael Lemkin, un avvocato ebreo polacco, che lo usò nel ’44 proprio a proposito dell’annientamento degli armeni. Non è un caso che a fianco dei giovani turchi a dirigere lo sterminio ci fossero dei generali tedeschi. Non è un caso che iniziò con la deportazione degli armeni di Costantinopoli, che ci sono state le marce della morte, che gli armeni siano stati ammassati nel deserto del Deir-elzor e lì finiti. Anche per questo primo genocidio c’è stata una Norimberga. Vennero processati i responsabili politici dei massacri. L’organizzazione clandestina armena Nemesis dette la caccia ai criminali turchi e Talat Pasha, il capo degli stragisti, venne ucciso a Berlino. Ma la responsabilità maggiore resta in capo a Mustafà Kemal. È lui che fa cancellare il trattato di Sevres che riconosceva l’autonomia dell’anatolia, è lui che dal 1915 al 1923 lavora alla costruzione del nazionalismo turco e scatena la guerra contro la Repubblica di Armenia. Il venerato Ataturk prospera sul sangue degli armeni. Le questioni di oggi, Siria, Libano, Palestina, si generano dall’ignavia delle forze che allora avevano vinto la Prima guerra mondiale. Inghilterra, Francia e Italia si sono fatte ricattare dalla Turchia».
I pro Pal? Li temo, ricordo come negli anni Settanta certe parole d’ordine si trasformavano in odio Il Giorno della memoria è un esercizio di retorica
La storia si ripete anche oggi?
«Purtroppo sì. In Turchia se si parla del genocidio armeno si finisce in galera. Tayyp Recep Erdogan prospera sull’ignavia dell’occidente: sfrutta il suo stare nella Nato, ricatta l’europa con i migranti e intanto tesse la tela della umma, del panislamismo. Lo fa sfruttando la crisi israelo-palestinese per annettersi ciò che resta dell’anatolia
e del Kurdistan. E lo stesso vale per l’azerbaijan che ormai ha chiuso la questione del Karabak facendolo sparire dalla carta geografica. E tutto questo perché l’occidente non si cura delle proprie radici e si sottopone al ricatto: militare di Erdogan, energetico degli azeri. E poi però ci si lava la coscienza con la retorica della Giornata della memoria».
Perché gli armeni rivendicano di possedere le radici dell’occidente?
«Il regno armeno è stato il primo ad abbracciare il cristianesimo: siamo nel 301. L’armeno è una lingua indoeuropea, forse la più antica. Infine, anche se oggi è in territorio turco noi vediamo il monte Ararat, noi siamo stati i primi vinificatori, noi abbiamo costruito la nostra identità attorno ai principi di tolleranza e di fratellanza. Quando ho tradotto i versi di Daniel Varujan – il suo Canto del pane è l’inno dell’anima armena – ho sentito la mia radice anatolica. E ho compreso che il genocidio degli armeni oggi deve essere dimenticato perché è scomodo».
In che senso?
«Può porre il tema del rapporto
con l’islam. Gli armeni sono cristiani. Può porre il tema del panarabismo, il tema dell’incapacità dell’occidente e dell’europa in particolare di rivendicare il proprio ruolo e di fare i conti con la storia».
E la saldatura con gli ebrei?
«Per quel che mi riguarda è una spinta del tutto personale, ma ci sono delle similitudini. Sono popoli condannati alla damnatio memoriae, sono popoli che hanno contribuito a rafforzare i Paesi che poi li hanno sterminati. In Turchia i maggiori architetti, i maggiori intellettuali dell’ottocento erano armeni, il ministro del Tesoro era armeno. Hanno pagato la loro “diversità” religiosa. Certo, oggi se a un armeno parli d’israele non è affatto contento, perché Tel Aviv ha aiutato l’azerbaijan nella conquista del Karabak. Ma lo ha fatto in funzione anti Iran. L’iran è la forza che andrebbe sterilizzata in quell’area, come sarebbe utile riparlare degli armeni per avere un quadro reale di cosa sono il Libano, la Siria la Palestina».
Che ne pensa dei pro Pal? Sta tornando l’antisemitismo?
«Li temo e confermo che la Giornata della memoria così come viene celebrata è in larga misura un esercizio di retorica per di più inficiata da gravi amnesie che non so dire se sono dolose o colpose, ma so che ci sono. È l’ennesima dimostrazione dell’ignavia dell’occidente. Possibile che non si abbia memoria di cosa sono stati gli anni Settanta-ottanta in Italia? Io c’ero all’università di Padova dove si allevavano i terroristi. Io lo so come certe parole d’ordine si trasformano in odio. E mi stupisco che vi sia indulgenza e indifferenza. Che è contraddire la Giornata della memoria. Quanto all’antisemitismo, non credo sia mai tramontato».
Servirebbe uscire dalla celebrazione e passare all’educazione?
«Esattamente. Come sono stati possibili i campi di concentramento o i gulag? Sono stati possibili perché qualcuno ha guardato altrove. La strada che da Monaco porta a Dachau è stata costruita dai prigionieri del lager, così come la ferrovia Berlino-baghdad gronda sangue armeno. Ciò che mi stupisce è che oggi l’occidente non ha più una diplomazia forte che può imporre la pace, che può togliere argomenti a quelli che attizzano la violenza nelle piazze, a quelli che insultano i morti chiamando tutto genocidio. Il genocidio è la deliberata distruzione di un popolo per cancellarne l’identità. È quello che ha compito la Turchia sugli armeni, quello di Hitler sugli ebrei. Per celebrare davvero la Giornata della memoria bisogna testimoniare, educare, dire ai giovani che esiste nell’uomo il massimo del bene e il massimo del male e che è attraverso la letteratura e la cultura che si tiene a bada il male. Non è pensabile che oggi i bambini non sappiano più scrivere in corsivo, che gli adulti fatichino a leggere un testo. Li portano a vedere la mostra di Frida Kahlo a sei anni perché qualche assessore alla Cultura si vuole fare bello e questi bambini nulla sanno della poesia, della vita. Da anni vado nelle scuole con la mia Masseria delle allodole, ma vado a testimoniare, non in piazza a sbandierare. E quanto alla questione armena solo la Francia – dove il negazionismo del genocidio è reato – e la Chiesa in larga misura con San Giovanni Paolo II hanno dato questa testimonianza. Altri Paesi come gli Usa, dove c’è la più alta concentrazione di armeni, tacciono. Eppure quel genocidio si perpetua ancora».
E l’italia che posizione ha?
«Venezia è stata la casa degli armeni, San Lorenzo degli Armeni è un motore di cultura e di identità armena. Dal punto di vista politico i rapporti dell’europa con Erdogan sono indubbiamente un limite».
Eppure una Repubblica armena esiste e resiste. Tre motivi per andare in Armenia?
«Solo tre motivi? Va bene. Il primo: gli armeni anche se provati dalla diaspora, anche quelli che non stanno in Armenia e purtroppo sono la maggioranza, hanno una immediata apertura verso lo straniero. Fanno dell’ospitalità, ancor più degli antichi greci che avevano la “xenia”, qualcosa di sacro. Un viaggio in Armenia, ecco il secondo motivo, è un’esperienza di bello assoluto: per i paesaggi, ma anche perché si sente che quella è la terra dell’origine. Il terzo motivo è che gli armeni sono molto sensibili alla poesia, alla musica e hanno danze bellissime; per contrappasso sono tra i migliori informatici del mondo. A dire che nessun genocidio potrà mai spezzare la continuità della vita che è un racconto fantastico che lega il passato col futuro».