In campo con MkhitaryanLa battaglia sociale per sostenere i prigionieri politici armeni sotto processo in Azerbaijan (L’Inkiesta 22.01.25)

«Libertà per Ruben Vardanyan». Il messaggio è circolato su molti profili di attivisti armeni la settimana scorsa, quando stava per iniziare a Baku, in Azerbaijan, il processo contro Ruben Vardanyan e altri quattordici esponenti del governo dell’ormai dissolta Repubblica dell’Artsakh, nella regione del Nagorno-Karabakh. Tra i numerosi attivisti che hanno diffuso il messaggio c’è stato anche Henrikh Mkhitaryan, trentaseienne centrocampista dell’Inter e di gran lunga il più noto calciatore armeno di tutti i tempi. Mkhitaryan ha ricondiviso sui suoi canali social il comunicato di Vardanyan contro la propria detenzione, taggando i profili dell’Onu, della Corte Penale Internazionale, di Amnesty International e di altre ong che si occupano di diritti umani, e inviando loro un unico messaggio: «Agite».

Vardanyan era stato ministro dell’Artsakh tra il novembre 2022 e il febbraio 2023, ma anche dopo il termine del suo breve mandato politico aveva continuato a sostenere attivamente la repubblica filo-armena nella regione del Nagorno-Karabakh, fino all’offensiva azera del settembre 2023. In quell’occasione lui e altre figure di spicco del governo dell’Artsakh erano stati arrestati e portati a Baku, dove ora è iniziato il processo. Un procedimento giuridico che gli attivisti armeni definiscono come una farsa, ritenendo Vardanyan e gli altri dei prigionieri politici.

L’impegno politico di Mkhitaryan
Come molti altri personaggi che circondano il conflitto del Nagorno-Karabakh, che va avanti almeno dal 1991, anche Vardanyan non è esente da controversie. Ex dipendente, tra le altre, della Cassa di Risparmio di Torino, è divenuto un ricco imprenditore ed è arrivato a essere molto vicino a Vladimir Putin. Troika Dialog, la sua banca d’investimento, è stata accusata di riciclare denaro per conto della Russia, e dopo l’invasione dell’Ucraina è stato pure inserito in una black list di Kyjiv con gli oligarchi maggiormente legati alla Russia. La sua situazione riflette in piccolo le contraddizioni politiche del conflitto tra Armenia e Azerbaijan, con la prima che è storicamente appoggiata dalla Russia mentre il secondo intrattiene proficui rapporti con l’Unione europea (sebbene il governo di Baku sia tutt’altro che differente, nei metodi, da quello di Mosca).

In mezzo a questa storia, come si è raccontato più volte, c’è anche il calcio. Mkhitaryan è diventato in questi anni uno dei più importanti ambasciatori dell’Armenia nell’Europa occidentale, grazie alle sue prestazioni con Borussia Dortmund, Manchester United, Arsenal, Roma e, adesso, anche Inter. Ambasciatore dell’Unicef fin dal 2016, il centrocampista è noto per il suo impegno politico orientato soprattutto al conflitto nel Nagorno-Karabakh: nell’ottobre 2020, quando giocava con i giallorossi, aveva chiesto l’intervento della comunità internazionale contro l’offensiva azera nella regione, accusando Baku di crimini di guerra. «L’esercito dell’Azerbaijan sta deliberatamente puntando obiettivi come scuole e asili, residenze civili, ospedali ed altre infrastrutture, nella capitale e in altri centri densamente abitati», aveva scritto Mkhitaryan. «Siamo lasciati soli nella nostra battaglia contro il terrorismo internazionale».

Figlio di un ex noto calciatore armeno di epoca sovietica, Hamlet Mkhitaryan, il centrocampista dell’Inter aveva già fatto discutere quando, nel maggio 2019, si era rifiutato di giocare la finale di Europa League tra il suo Arsenal e il Chelsea, dato che l’incontro si sarebbe tenuto a Baku. La decisione era stata presa per timore di rischi per la sicurezza del giocatore, nonostante le autorità azere avessero provato a rassicurare l’Arsenal. Nel caso era intervenuta addirittura Leyla Abdullayeva, portavoce del Ministero degli Esteri del regime di Ilham Aliyev, con il consueto messaggio sull’errore di mescolare sport e politica.

Calcio e politica tra Armenia e Azerbaijan
Curiosamente questa mescolanza non aveva mai indispettito prima di quel momento il governo di Baku, che anzi ne ha fatto ampio uso. L’organizzazione a Baku dei Giochi Europei del 2015 venne considerata talmente rilevante per la buona immagine diplomatica di Aliyev che fu proprio in quell’occasione che degli attivisti politici coniarono il termine “sportwashing”. L’organizzazione nello stesso luogo della finale di Europa League di quattro anni dopo è stata un altro tassello nel progetto sport-politico del governo azero, a cui nell’estate del 2021 si sono aggiunte anche tre partite dell’Europeo itinerante di calcio. Il tutto senza parlare del noto caso del Qarabağ, club divenuto da alcuni anni una presenza fissa nelle competizioni Uefa, e che è ritenuto uno strumento del soft power azero nelle sue rivendicazioni sul Nagorno-Karabakh.

Nonostante la recente piccola ascesa in Conference League del FC Noah – una squadra originariamente collocata nell’Artsakh ma trasferitasi a Yerevan a causa della guerra – l’Armenia non è mai riuscita ad avere un vero e proprio corrispettivo del Qarabağ, ed è così spesso toccato a Mkhitaryan difendere la causa del proprio Paese nell’ambiente calcistico. D’altronde il centrocampista dell’Inter è molto legato alla politica armena: sua moglie Betty è la figlia dell’imprenditore e politico Mikael Vardanyan, che è solo un omonimo di Ruben Vardanyan ma proviene da una delle più ricche e influenti famiglie del Paese caucasico. Lo zio della moglie di Mkhitaryan è infatti Karen Vardanyan, ex deputato e proprietario di Gran Holding, la più importante azienda dell’Armenia, che prima dell’offensiva azera del 2023 aveva investito molto nello sviluppo di Stepanakert, la capitale dell’Artsakh.