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«Chi si ricorda più del massacro degli armeni?»

Così si domandava Adolf Hitler alla vigilia dell’Olocausto rivolgendosi a coloro che esprimevano delle perplessità su quello che oggi definiremmo il “ritorno mediatico” della soluzione finale riservata agli ebrei.

Il genocidio armeno del 1915, il «Medz Yeghern» (“Grande Male”), è stato il primo del ventesimo secolo ad essere chiamato tale, il primo ad avere una copertura di informazione per mezzo dei giornali dell’epoca, il primo ad essere negato ed il primo ad essere dimenticato.

Dopo aver occupato le pagine dei giornali di tutto il mondo con le tristi vicende degli armeni, le nazioni uscite vincitrici dal primo conflitto mondiale hanno sacrificato il loro dolore sull’altare della real politik (*) preferendo stringere accordi economici e diplomatici con la nuova Turchia di Ataturk (che pure proseguiva l’opera di persecuzione, prima contro gli armeni, e poi su greci, siriaci e  curdi) e dimenticare l’orrore appena consumatosi.

Sicché, una ventina d’anni più tardi, il furher  poteva alzare le spalle e ricordare al suo uditorio: «chi si ricorda più del massacro degli armeni?».

Un filo rosso (sangue) unisce gli orrori del Novecento: il ventesimo secolo è stato quello delle grandi scoperte scientifiche, degli enormi progressi nel campo della medicina e della tecnologia; si sono sperimentati nuovi farmaci per allungare la vita degli esseri umani e nel contempo anche nuove e più raffinate macchine di morte e di distruzione. La penicillina e la bomba atomica.

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