Lavash, l’antichissimo pane armeno patrimonio Unesco dell’umanità (Informacibo 27.08.25)

Non c’è viaggio in Armenia che non sia anche un incontro con la sua ottima cucina e in particolare con il lavash, l’antichissimo pane che accompagna ogni pasto.

Vero e proprio pilastro della gastronomia locale, è un simbolo identitario che unisce tutti gli armeni sparsi nel mondo dopo la diaspora. La sua importanza è tale che nel 2014 l’UNESCO lo ha dichiarato patrimonio culturale immateriale dell’umanità, riconoscendone non solo il valore gastronomico, ma soprattutto il ruolo sociale e rituale.

Sottile, fragrante appena tolto dal forno (il tonir, quello tradizionale interrato), senza lievito e dalla forma piatta pronta ad avvolgere i vari condimenti, questo pane in Armenia si trova in ogni ristorante e in tutte le panetterie e i mercati.

Le origini, tra ritualità e sopravvivenza

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Il pane lavash armeno. Foto: Oriana Davini

Il lavash nasce come pane di comunità. Preparato in grandi quantità, veniva steso sottilissimo e cotto sulle pareti del tonir, il tipico forno in terracotta interrato che si riscalda fino a raggiungere altissime temperature. Le sfoglie cotte, una volta asciugate, potevano durare mesi interi: un aspetto fondamentale per chi doveva affrontare i rigidi inverni del Caucaso. Oltre all’Armenia, infatti, è diffuso anche in Turchia, in Iran (dove viene chiamato semplicemente pane armeno), in Georgia e in Azerbaijan, dove ha assunto caratteristiche locali pur mantenendo l’essenza originaria. Per secoli, insomma, non è stato solo un pane quotidiano, ma una riserva di sopravvivenza fondamentale.

La sua forma sottile e rotonda, la preparazione a base di farina, acqua e sale e la cottura nel forno in argilla interrato, sono elementi che lo rendono un prodotto unico e profondamente legato alla tradizione. E, al contempo, richiamano altri pani simili diffusi nelle cucine del Mediterraneo e del Medio Oriente, dalla pita greca fino al pane arabo.

La produzione del pane lavash

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La preparazione del pane lavash nel villaggio armeno di Tsaghkunk. Foto: Oriana Davini

Tradizionalmente sono le donne, spesso in gruppo, a lavorare l’impasto e a cuocerlo nel tonir, uno degli elementi fondamentali della cucina armena.

Questo forno tradizionale, inserito direttamente nel terreno, permette di cuocere le sfoglie direttamente sulle pareti calde: in pochi secondi, si staccano dal forno con le tipiche bolle dorate. Il risultato è un pane dalla consistenza croccante all’esterno e soffice all’interno. Questa tecnica di cottura antichissima, che oggi non è più molto diffusa (i panettieri usano spesso forni elettrici), aggiunge un valore culturale e affettivo al lavash, un po’ come accade da noi con la pizza cotta nel forno a legna.

Le fasi della produzione

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Il pane lavash viene cotto appoggiando la sfoglia per pochi secondi sulle pareti del forno. Foto: Oriana Davini
  1. Impasto: La farina, l’acqua e il sale vengono mescolati fino a ottenere un impasto omogeneo.
  2. Sfogliatura: l’impasto viene steso in una sfoglia sottile e uniforme, spesso con l’aiuto di un mattarello.
  3. Cottura: la sfoglia viene cotta su una pietra rovente o in un forno a legna.
  4. Essiccazione: il lavash cotto viene spesso essiccato per conservarlo più a lungo.

Il lavash nella cucina armena

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Il pane lavash farcito con erbe aromatiche e formaggio. Foto: Oriana Davini

Simbolo di ospitalità, il pane armeno non va mai tagliato con il coltello: si divide con le mani, offrendolo agli ospiti. Il lavash può essere consumato sia fresco che secco, e può essere utilizzato in molti modi:

  • Come accompagnamento: è spesso servito come piatto per raccogliere altre pietanze, come hummus, baba ghanoush, yogurt, formaggi, carne grigliata o verdure. A me è stato come spuntino da farcire con erbe aromatiche, amatissime nella cucine armena, e formaggio.
  • Come base per farciture: le più comuni includono carne marinata, verdure fresche, formaggi, erbe aromatiche e salse.
  • Come base per il lahmajoun, la pizza armena farcita solitamente con carne speziata.
  • Come ingrediente per zuppe: quello secco viene sbriciolato e aggiunto a zuppe, minestre e insalate, oppure usato come pangrattato per impanare.

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