I miei appunti dalla Yerevan Fashion Week, ovvero quello che ho imparato (sulla moda) in Armenia (Vogue 25.11.25)
La mia prima volta in Armenia: le cose belle che ho portato a casa dalla Yerevan Fashion Week non sono (solo) cose
Quando, qualche settimana fa, sono atterrata in Armenia non sapevo bene cosa aspettarmi. La mia valigia era vuota, ma l’ho portata a casa piena. Perché l’entusiasmo delle persone che ho incontrato è diventato anche mio. Prendevo appunti, senza sapere esattamente dove mi avrebbero portato quelle parole, quelle immagini, quei luoghi. Che si sovrapponevano nelle mie note sintetiche e poco ordinate, o nella galleria delle foto da salvare nei preferiti o cestinare. Ma torniamo all’inizio.
Dal 23 al 26 Ottobre l’Armenia è stata la cornice della Yerevan Fashion Week. Che non è solo un teatro per i designer locali, ma una sorta di palcoscenico per uno scambio culturale a più voci: hanno presentato le loro collezioni a Yerevan marchi dalla Russia, dalla Moldavia, dall’Iran, dagli Emirati Arabi, dal Kazakistan, dall’Uzbekistan. 21 le sfilate, 6 le presentazioni, 15 i talk organizzati con gli ospiti da tutto il mondo, 60 i brand presentati nel padiglione espositivo.
Perché anche se il passato dell’Armenia è, in parte, quello di un paese che in tanti – vicini e lontani – hanno cercato di schiacciare, il presente è quello di chi cerca movimento nel confronto. È sempre stata un punto di incontro – se a scuola ne avessimo studiato la storia, sui libri probabilmente avremmo trovato la parola “crocevia” – e questo è inevitabilmente parte della loro identità, non solo estetica.
È un posto in cui spesso l’altro è più importante dell’io, ma questo rende l’Armenia un paese d’insieme, dove i significati dell’accoglienza sono molteplici e irrinunciabili
Per contestualizzare queste parole, farò un uso improprio di un momento “mio”. Stavo provando un abito di Sončess da Cone – un brand e un concept store di cui parleremo più avanti – e a darmi consigli insieme a Sona Hakobyan, c’erano Ariga Torosian e Ruzanna Vardanyan, anche loro designer, menti e mani dietro altri due brand da tenere d’occhio (di cui, ancora una volta, parleremo più avanti). Sono pressoché sicura che, per loro, fosse un gesto estremamente naturale – anche perché molti degli stilisti che hanno presentato le loro collezioni durante la Yerevan Fashion Week, erano una presenza fissa nel front row delle sfilate – ma sappiamo perfettamente che da questa parte del mondo non è affatto scontato né comune.
Senza voler necessariamente romanticizzare la narrazione, non vuol dire che non esista competizione, ma che ognuno di loro sente di essere parte di una rete più ampia, dove è la Fashion & Garment Chamber of Armenia a tessere connessioni. Volendo continuare tra le annotazioni sociologiche, in Armenia non si rincorre ossessivamente la bellezza. Si cercano, piuttosto, forme di libertà espressiva. L’ho imparato dalla storia di Sergey Parajanov: gli venne impedito di fare cinema e quelli che avrebbe voluto fossero dei film diventarono collage, realizzati assemblando gli oggetti più disparati. Ma anche da quella di Nelly Aghababyan, un’avvocata che disegna vestiti come secondo lavoro.
In Armenia ho re-imparato anche “l’ovvio”
Per riconoscere il talento bisogna saper contestualizzare, quindi spostare lo sguardo indietro, avanti e poi di lato. In una dimensione in cui il ritmo non è sempre coinvolgente, la chiave è chiedersi il perché. A volte quell’agognato talento si presenta allo stato grezzo e, per vederlo, bisogna saper guardare attraverso. Altre volte appare esplosivo e, per renderlo solido, bisogna saper guardare oltre. Trovare la propria identità, e credere fortemente nel valore della stessa, non è scontato se tanti, spesso, hanno tentato di sgretolarla. Da questa parte del mondo coabitiamo con la bellezza da un tempo indefinito. L’arte, in ogni sua forma, fa parte del patrimonio genetico collettivo e, più o meno, nessuno ha mai messo in discussione la libera espressione creativa.
Ciò che per noi è scontato, lì non lo è. Quindi la moda, che è sempre un termometro sociale, rende la storia armena perfettamente leggibile. E nelle parole di Massimiliano Giornetti c’è almeno uno dei “perché”. «Il sentirsi secondi è un tema che accomuna molte di quelle che definisco “Fashion Week periferiche”, dove capita che per sentirsi abbastanza si tenti di avvicinarsi alle tendenze nate sulle passerelle di Parigi, Milano, New York o Londra» ha spiegato il direttore del Polimoda. «Ciò che mi affascina molto è, al contrario, la capacità di essere indipendenti da alcune leggi di mercato. Un pensiero libero, una creatività priva di schemi dovrebbero sempre essere una carica propellente nel cercare una propria identità estetica».
Alla fine del viaggio, nella mia valigia c’erano un’inaspettata quantità di luoghi incredibili e nozioni di varia natura (solo per citarne alcune: gli scacchi sono un culto, più che uno sport; alcuni dei più grandi collezionisti d’arte del pianeta sono armeni; l’Italia è il paese con il maggior numero in assoluto di voli diretti per Yerevan; l’ultima puntata di quella che viene definita “una guerra dimenticata” – con l’Azerbaijan – è stata nel 2024; tra le altre cose, sono noti per la produzione dell’argento).
Le cose più belle, però, me le hanno lasciate le persone. Ecco, quindi, una sorta di itinerario emotivo tra i miei appunti per osservare l’Armenia utilizzando la moda come filtro.
Il contest Fashion Scout Armenia 2025, il Polimoda Prize, e i giovani designer da tenere d’occhio
Martyn Roberts e Biljana Poposka-Roberts, le menti dietro l’incubatore di talenti che è Fashion Scout, fanno un lavoro incredibile. Mossi da una passione smisurata, da una curiosità viscerale e da un desiderio di costruire ormai quasi raro, si dedicano ai designer emergenti creando una piattaforma di supporto affinché possano diventare grandi. Quest’anno è stata Emma Aleksanyan a vincere il premio Fashion Scout Armenia: la sua collezione è nata da un richiamo al bushido — la via del guerriero — per raccontare, con gli abiti, una filosofia in cui si intrecciano forza, disciplina e onore. A ottenere il Polimoda Prize, invece, è stata Elen Khachatryan, designer e fotografa autodidatta che ha realizzato i capi in poco più di due settimane. «Nessun oggetto ha un valore meramente estetico, e forse la collezione di Elen Khachatryan non era la più forte tra quelle dei finalisti. Ma lei era l’unica a non aver mai studiato per diventare una designerı» ci ha spiegato Massimiliano Giornetti, direttore del Polimoda. «Rappresento una delle dieci scuole più importanti al mondo, per cui credo fortemente che dare una possibilità a chi non ne ha ancora mai avuta una faccia parte del mio ruolo. Quando si è circondati di stimoli si cresce, se si è curiosi e umili. Chi mi stupisce è chi sa coltivare il proprio talento, e sono le persone che hanno questa capacità quelle su cui mi piace scommettere».
I brand da conoscere
Ruzanna Vardanyan è una mamma che, in Ruzanē, cerca il suo tempo per creare bellezza. Nelle forme plasma l’istintività della natura, nella ricerca nei materiali ne restituisce le irregolarità e l’eleganza, nell’alternarsi dei volumi morbidi o più strutturati ne racconta la libertà di trasformarsi. La classe, la modernità, il romanticismo e l’immaginario poetico rendono tale brand un piccolo microcosmo in cui lasciare spazio ai propri desideri.
La mente creativa dietro a THEMIS, Nelly Aghababyan, possiede un dottorato in giurisprudenza. Ed è nel tempo libero dagli impegni in università che, dal 2021, si dedica alla moda. Ispirata da quel luogo magico che è Symphony of Stones, poco lontano da Yerevan, giocando con le silhouette, le texture e i tessuti, negli abiti racconta le sue radici con una declinazione contemporanea. E lo fa con una passione, un entusiasmo e una determinazione contagiosi.
Sončess è nato nel 2008 dalla vocazione di Sona Hakobyan, con un’attitudine sofisticata e disinvolta al tempo stesso. La sua estetica è lineare, a tratti rigorosa, ma mai scontata e ricercata in ogni dettaglio. È l’emblema della chicness armena contemporanea, sintesi di portabilità e desiderabilità.
L’immaginario estetico di Ariga Torosian è una crasi tra la cultura persiana e quella armena, che riflette le sue radici. Tra forme scultoree e linee estremamente raffinate, la sua visione rivela una rara sensibilità narrativa e un linguaggio essenziale ma capace di creare connessioni tra gli oggetti, le persone, e il mondo circostante.
Childhood Memories di Vahan Khachatryan è una poetica esplorazione della nostalgia, dove i ricordi diventano parte di un guardaroba emotivo. Tra i giocattoli e gli oggetti che ne hanno plasmato la visione, Vahan Khachatryan cerca una connessione con il suo passato e un equilibrio con il presente – la collezione è stata completamente creata con l’intelligenza artificiale. «È una celebrazione di ciò che rimane con noi anche quando pensiamo di essere cresciuti» ha detto il designer. Ma è anche un invito, forse, a tornare a guardare il mondo con gli occhi di un bambino.
Da quando ha fondato LOOM Weaving, nel 2014, Inga Manukyan ha trasformato la maglieria in un manifesto di personalità. Con uno spirito vagamente nostalgico, cita la libertà espressiva, l’audacia e il gusto vibrante degli anni Sessanta e Settanta, ma lo fa con un’attitudine bon ton decisamente urbana.
Il concept store da non perdere, Cone
20 Marshal Baghramyan Ave, Yerevan. È questo l’indirizzo da inserire nell’itinerario per trovare un “cubo” pieno di stimoli multidimensionali. Che siano abiti, accessori, gioielli, profumi, o oggetti da arredamento, Cone è il concept store in cui vivere l’Armenia più dinamica, interessante e ricercata. Quattro anni fa, quasi per caso, Sona Hakobyan e Ariga Torosian hanno scoperto di condividere lo stesso desiderio. Era come se quel posto, nato intorno a un albero e affacciato sul verde, le chiamasse. Volevano che all’interno ci fosse un piccolo atelier, in modo che ogni cliente possa vedere come prendono forma gli abiti che sceglie e che ogni capo potesse essere adattato alle esigenze di chi lo acquista. Il che, ancora una volta, restituisce una panoramica più ampia sul desiderio di avvicinare i vestiti alle persone, in una dimensione dove l’accoglienza è un valore assoluto.
