Armenia on the road: alla scoperta della gemma del Caucaso (Turistipercaso 06.10.25)
Erano almeno dieci anni che sognavo di visitare l’Armenia, dopo avere visto le immagini di alcuni monasteri in mezzo alle montagne su un catalogo di viaggi a casa di mia zia. Ci sono voluti alcuni anni perché le compagnie aeree collegassero Milano a Yerevan, e ancora un paio perché mi si presentasse l’occasione d’oro per andarci. Lo scorso autunno Timur, un mio amico russo nato nella remota penisola della Kamčatka nell’estremo oriente asiatico e cresciuto ai confini della Siberia, mi ha annunciato che, in pieno disaccordo con le politiche del suo governo e preoccupato per l’aria che tirava, si sarebbe trasferito nella capitale armena, forte del suo lavoro totalmente da remoto. Io e Timur ci eravamo conosciuti nel 2017, quando avevo un canale YouTube a tema Eurovision, e ci sentiamo regolarmente da allora, senza però esserci mai incontrati. Ho colto la palla al balzo e proposto un viaggio in auto attraverso l’Armenia da fare insieme! Può sembrare rischioso organizzare un viaggio con una persona mai vista prima dal vivo, ma la complicità che si era creata nel corso degli anni e il mio sesto senso hanno fatto in modo che mi fidassi, portandomi a trovare un ottimo compagno di viaggio con cui, in futuro, condividerà altre esperienze. Come di tradizione, ho preso le ferie per la settimana del mio compleanno, la terza di giugno. Il viaggio è stato organizzato interamente a inizio maggio, un mese e mezzo prima della partenza. L’Armenia è un Paese relativamente piccolo ed è visitabile in lungo e in largo in una settimana. Sono due, al momento, le compagnie che collegano l’Italia direttamente all’Armenia: FlyOne, una low cost con base a Yerevan, e WizzAir, compagnia a me già nota e che per cui ho optato. Per visitare l’Armenia comodamente è necessaria un’auto, che ho prenotato con Budget attraverso RentalCars. Per guidare in questo Paese la patente internazionale non è obbligatoria, ma è consigliato comunque munirsi del modello Convenzione di Vienna con validità di 3 anni. Non mi verrà chiesto né al ritiro dell’auto, né durante un controllo della polizia stradale. Ho usato Booking per prenotare i quattro alloggi per le quattro notti passate fuori Yerevan; le altre tre sarò ospite da Timur. Fatta la valigia con capi leggeri e una sola felpa che sarà utile l’unica sera in cui ha fatto relativamente fresco, tutto era pronto per la partenza!
Indice dei contenuti
Consigli generali e curiosità utili sull’Armenia
Diario di viaggio in Armenia
Giorno 1 – Arrivo a Yerevan
Giorno 2 – Yerevan
Giorno 3 – Amberd, Akhtala
Giorno 4 – Haghpat, Sevanavank
Giorno 5 – Yeghegis, Hostoun
Giorno 6 – Goris, Khndzoresk
Giorno 7 – Tatev, Khor Virap
Giorno 8 – Matenadaran, Zvartnots
Consigli generali e curiosità utili sull’Armenia
Un viaggio in autonomia in Armenia è perfettamente realizzabile. Il Paese è piccolo, e si sviluppa prevalentemente lungo una strada che lo taglia da nord a sud. Nonostante ciò, il territorio varia notevolmente di regione in regione. A me è sembrato di essere in una parte diversa del mondo ogni giorno!
Non ci si sente mai non al sicuro in Armenia. Yerevan occupa da anni le posizioni più alte delle liste delle città più sicure al mondo, e la gente è sempre disponibile ad aiutare nel bisogno.
Fuori dalla capitale, l’inglese è poco diffuso. Le difficoltà si riducono per chi parla russo, ma anche in questo caso, nelle zone rurali molte persone parlano solo armeno.
Per guidare in Armenia è necessaria la patente di guida italiana, ed è consigliato – ma non obbligatorio – il modello Convenzione di Vienna della patente internazionale, che si può richiedere in motorizzazione o in scuola guida. Le strade sono generalmente in ottime condizioni, e Yandex Maps, un servizio di mappatura russo disponibile anche in inglese, è il più aggiornato e preciso. Si va a 60 km/h nei centri abitati e 90 km/h nelle strade extraurbane, fino ad arrivare a 110 km/h su alcune autostrade. Non ci sono strade a pagamento. Numerosi sono gli autovelox: ce n’è almeno uno per centro abitato lungo la strada principale. Onnipresente è la polizia, che circola con le luci accese e che sembra sempre intenta a fare controlli a campione. Ho ricevuto per posta una multa di 5000 dram (€11) per eccesso di velocità a un incrocio a Yerevan, si può pagare facilmente sul sito della polizia nazionale.
In assenza di controlli o pattuglie, però, gli armeni tendono a pigiare l’acceleratore e a fare sorpassi azzardati, anche in curva. La segnaletica orizzontale è quasi del tutto assente. Consiglio di noleggiare un’auto con il cambio automatico per viaggiare in comodità.
In Armenia è praticamente inesistente il concetto di parcheggio a pagamento. Si posteggia l’auto dove capita, anche lungo la strada principale, per quanto tempo si vuole. Solo in un paio di occasioni abbiamo dovuto lasciare 200 dram (45 centesimi) nel parcheggio di importanti attrazioni turistiche.
La cucina armena subisce forti influenze dalle vicine Turchia, Russia e Iran. Un vegano e un vegetariano troveranno ampia scelta nel menù, ma chi non apprezza il coriandolo avrà qualche difficoltò!
Molti viaggiatori scelgono di visitare Armenia e Georgia insieme, data la vicinanza e la facilità nell’oltrepassare il confine via terra. L’Armenia è visitabile in una settimana (penso di avere visto per bene tutti i luoghi d’interesse principali e anche qualcosa di meno conosciuto), ma a mio parere la Georgia merita un viaggio a parte con più tempo. Il confine con l’Iran è anch’esso aperto, mentre le frontiere con Turchia e Azerbaigian sono chiuse.
In totale il viaggio mi è costato circa €800, di cui €260 di voli, €250 a testa di auto con assicurazione totale, e €300 sul posto tra alloggi, pasti, souvenir e carburante.
Diario di viaggio in Armenia
Giorno 1 – Arrivo a Yerevan
Sono partito da Crema per raggiungere il terminal 1 di Malpensa appena dopo pranzo, in vista del volo delle 16:10 per Yerevan, che in 4 ore ha raggiunto la destinazione. In Armenia ci sono 2 ore di differenza rispetto all’Italia, quindi erano già le 22 al mio atterraggio. L’aeroporto è piccolo, e la fila per i controlli dei passaporti scorreva velocemente. Prima di uscire dall’area arrivi, mi sono fermato allo stand di una compagnia telefonica locale, dove ho acquistato la sim con i dati illimitati. Promettevano una copertura con 5G dappertutto, anche in mezzo alle montagne, e non hanno mentito!
Agli arrivi mi aspettava Timur, che ha prontamente chiamato un Uber fino al suo appartamento vicino al centro di Yerevan. È pazzesco come a Milano, anche con uno stipendio sopra la media, non ci si riesca a permettere di andare a vivere da soli, mentre qui, per $500 al mese, ci si possa permettere una sistemazione bella spaziosa e in posizione strategica senza dover ricorrere a coinquilini. Ormai all’alba della mezzanotte, siamo usciti per raggiungere la parte centrale della città, dove vari ristoranti erano ancora aperti. In quei tre quarti d’ora a piedi ho già notato varie peculiarità di Yerevan. Innanzitutto, è molto caratteristico il colore giallo-marrone della pietra locale con cui sono costruiti gli edifici. L’area metropolitana è molto estesa, come ho potuto vedere dalla cima della Cascade, una passerella monumentale a forma di cascata che collega la parte alta dove vive Timur al centro, che rimane a valle rispetto ai rilievi urbanizzati circostanti. Dei 3 milioni di armeni, più di un terzo vive a Yerevan e negli immediati dintorni. Di storico in questa città rimane poco e niente: gli armeni si vantano del fatto che la loro capitale sia una delle città più antiche del mondo, ma in realtà fino a cent’anni fa era poco più di un villaggio, e lo sviluppo urbano è avvenuto principalmente negli anni ’30 con l’Unione Sovietica, come reso chiaro dallo stile architettonico che va per la maggiore.
Per cena abbiamo scelto il ristorante Tun Lahmajo, dove ho potuto provare specialità locali come cavolo ripieno di verdure, formaggi assortiti e il lahmajo, una sorta di pizza armena che dà il nome al locale. Siamo infine tornati alla base, sempre a piedi, non addormentandoci prima delle 3.
Giorno 2 – Yerevan
Levataccia alle 9, in quanto ci aspettava la visita di tutto ciò che di meglio Yerevan ha da offrire. Siamo scesi al centro attraverso la Cascade e abbiamo preso del succo di melograno spremuto al momento da un negozietto che avevamo visto la sera prima, per poi camminare fino alla Piazza della Repubblica, dove si trova il Museo Nazionale. Penso che questo sia il miglior modo per cominciare la visita a una nazione nuova: abbiamo avuto un quadro generale della storia e della cultura dell’Armenia, dalle sue origini pagane ai nostri giorni, passando per regni che coprivano ben più del territorio attuale e, più recentemente, l’orribile genocidio del 1915-1923 operato (e ancora oggi negato) dai turchi, durante il quale più di un milione di armeni ha perso la vita.
A pochi isolati dal museo si trova il Vernissage, un mercato all’aperto che vende ogni tipo di souvenir di tutte e qualità e per tutte le tasche, dalla casetta dipinta a mano al modellino alto mezzo metro di una chiesa armena (tradizione utilissima in questo Paese: se un luogo di culto veniva distrutto, grazie a questi modellini poteva venire ricostruito uguale identico all’originale). Io mi sono limitato all’acquisto di due colorate tazze per due mie colleghe, e a una bandiera armena per la mia collezione.
Non abbastanza affamati per un pasto completo, ma comunque con la necessità di mettere qualcosa sotto ai denti, ci siamo spostati prima verso la Chiesa della Santissima Madre di Kathoghika, una delle principali di Yerevan ma senza particolari elementi degni di nota, e poi alla pasticceria Marush Sweets Boutique, che presenta un vasto assortimento di torte fatte in casa. Ne ho provata una fettazza al limone e una agli spinaci, insieme a una tisana fatta con erbe locali… davvero particolari!
Nel pomeriggio si sono sfiorati i 36°C, ma visto il clima secco, non ci sono pesati particolarmente e siamo riusciti a camminare e a rimanere all’aperto senza faticare troppo. Non lontano dal Museo Nazionale si trova la Moschea Blu, un’oasi di pace costruita nel Settecento grazie a un khan persiano. Dopo esserci concessi un po’ di relax nel parco antistante, abbiamo chiamato un Uber per portarci in cima al colle dove si trova l’arena dedicata a Karen Demirchyan, punto di partenza per la camminata verso il memoriale del genocidio armeno. Questa imponente scultura presenta alti pezzi di cemento che si chiudono verso il centro, dove brucia una fiamma eterna, dando al visitatore il senso di oppressione che ha vissuto il popolo armeno. Andando via dal memoriale, c’è un parco con alberi piantati da personaggi politici e associazioni da tutto il mondo, ognuno con la sua targhetta che riporta il nome il donatore.
Siamo tornati in centro a piedi, dove ci saremmo incontrati al ristorante Sherep con Armen, un amico di Timur con cui anch’io avevo scambiato quattro parole anni prima, sempre grazie alla passione in comune per l’Eurovision. Un vero personaggio: è arrivato, fashionably late, con l’autista privato della sua famiglia e ha voluto offrire la cena a tutti e tre. Con lui ho potuto apprezzare l’essenza degli armeni: amano fare le cose in grande, sono conosciuti come un popolo gioviale e affabile, e hanno un senso dell’ospitalità e una generosità che da noi non si trova. Abbiamo passato insieme una bellissima serata mangiando piatti locali insieme al mio amato kompot, bevanda dell’est Europa che si ottiene bollendo la frutta (spesso bacche) con lo zucchero che non mi spiegherò mai perché sia inesistente da noi. Armen mi ha anche fornito moltissimi spunti culturali sull’Armenia, e facendo lui l’otorinolaringoiatra presso un ospedale privato, spera che il suo Paese diventi gettonato come la Turchia per le rinoplastiche (che lui stesso esegue e che, a detta sua, costano di meno di quelle turche ma con risultati migliori). Siamo stati cacciati dal ristorante ormai alla 1, e abbiamo fatto ritorno a casa, Armen in taxi e io e Timur a piedi. Il contapassi del mio iPhone segnava quasi 25 chilometri percorsi a piedi in tutto il giorno!
Giorno 3 – Amberd, Akhtala
Anche oggi sveglia entro e non oltre le 9: preparate borse e valigie, siamo andati in taxi in aeroporto, dove si trova l’ufficio della Budget, con cui ho prenotato un’auto per visitare l’Armenia oltre la capitale. Ci è stata assegnata una Kia Ceed, che per me andava benissimo visto che guido una Stonic e collegare il mio iPhone ad Apple CarPlay è stato una passeggiata. Purtroppo, però, abbiamo notato a pochi chilometri dall’aeroporto che l’auto faceva un rumore strano dal motore e aveva una spia lampeggiante. Abbiamo chiamato la Budget, e in meno di mezz’ora sono arrivati a sostituire l’auto con un’altra Kia Ceed, questa volta un modello più recente.
Siamo usciti dall’area metropolitana di Yerevan e ci siamo diretti verso nord. Il paesaggio è arido, si vedono le alte cime del Caucaso in lontananza, e si attraversano alcuni paesini che sembrano fermi nel tempo. Enorme è la quantità di dossi artificiali e di autovelox, anche se la qualità delle strade rimane generalmente molto buona. La prima tappa è la Fortezza di Amberd, incastonata fra le montagne coperte da fiori primaverili e arbusti bassi. Il forte è al momento in restauro, ma una breve passeggiata conduce a una chiesetta che domina su due valli, davvero scenica!
In meno di un’ora, percorrendo una strada completamente vuota tra le montagne, abbiamo raggiunto il Monumento all’alfabeto armeno, una serie di sculture che rappresentano le 38 lettere dell’alfabeto nazionale disposte in un prato erboso. Dopo aver trovato le nostre lettere, la Ջ di Giorgio e la Տ di Timur, abbiamo camminato nell’erba alta fino a raggiungere una monumentale croce posta su un’altura. Questa croce ha la particolarità di essere tridimensionale: i bracci si sviluppano su tutti e quattro i lati, e l’intera scultura è composta da croci di varie dimensioni. Poco distante, una cappella fatta tutta di vetro svetta fra l’erba e le rocce.
Abbiamo ripreso in mano il volante per dirigerci verso nord, zona montuosa dove la strada segue la stretta vallata, fino a interrompersi poco prima del confine con l’Azerbaigian. I due Paesi sono in pessimi rapporti sin dai tempi dell’Unione Sovietica per via di dispute territoriali che riguardano l’Artsakh (o Nagorno-Karabakh), un’area etnicamente armena assegnata dai sovietici all’Azerbaigian e rivendicata dall’Armenia che ha causato oltre 30 anni di guerra, conclusa solo di recente: dal 1º gennaio 2024, la Repubblica dell’Artsakh, riconosciuta solo da altri tre Stati a riconoscimento limitato, ha cessato di esistere e i circa 150.000 armeni che la abitavano si sono spostati. L’Azerbaigian ha da subito ripreso il controllo del territorio e non ha tardato a distruggere chiese e monumenti armeni in esso presenti.
L’Armenia nord-orientale è particolarmente verdeggiante, in netto contrasto con l’area semi-desertica e stepposa attraversata fino ad ora. A me ha ricordato la Val Seriana! La nostra tappa è il Monastero di Kobayr. Per raggiungerlo si può parcheggiare vicino a un negozietto dove c’è anche un WC gratuito, e prendere il sentiero sterrato dall’altra parte della strada, che in 15 minuti conduce al monastero, non prima di avere affrontato una ripida scalinata nella parte finale. La struttura è arroccata sulla parete della montagna ed è in rovina. Eravamo completamente soli, e il sito in generale non sembra ricevere tanti visitatori: sulle mura esterne si riescono ancora a vedere dei graffiti datati al 1910 e scritti con il vecchio alfabeto cirillico pre-riforma.
Da Kobayr ci siamo spostati ad Akhtala. Anche qui è presente un monastero, ancora attivo e con affreschi in ottimo stato. Abbiamo cenato al ristorante Nurik a base di “kebab” di pollo con come contorno funghi arrosto e aveluk (un’erba locale dal sapore amaro). Metto kebab fra virgolette, perché non è esattamente quello a cui sono abituati gli italiani: si tratta, in questo caso, di carne trita e mischiata a spezie, e poi compattata a mo’ di salsiccetta, da arrotolare in un sottile pane tipo piadina e da guarnire con verdure a scelta. Abbiamo passato la notte poco lontano alla Shen Toon Guesthouse nel villaggio di Shnogh. Anche se su Booking avevo visto che offrono anche la colazione a pagamento, nonostante la nostra richiesta non sembravano molto intenzionati a volercela preparare per il mattino successivo, forse anche perché siamo arrivati ormai alle 21 passate.
Giorno 4 – Haghpat, Sevanavank
Per la mattina del mio compleanno, siamo andati dal fornaio in centro a Shnogh e abbiamo preso due fette di torta Napoleon per colazione, che abbiamo mangiato nella piazzetta principale davanti al monumento ai caduti, dove sono stati adibiti dei tavoli. Su quello vicino al nostro, degli anziani stavano giocando a dama. Il villaggio è un labirinto che si sviluppa su una collina. Uscire non è stato facile, ma non ci è dispiaciuto perderci fra le viette sterrate e vedere gli abitanti all’opera nei loro orti e nei pollai.
Lasciato alle nostre spalle il dedalo di vie di Shnogh, ci siamo diretti verso il Monastero di Haghpat, il più famoso della zona, come testimoniato dai due autobus di turisti cinesi nel parcheggio. Come tutti gli altri monasteri armeni, l’entrata è gratuita e ci è stato possibile visitare le rovine medievali e immaginare la vita dei monaci in questo luogo immerso del verde. Più a valle, il Monastero di Sanahin del X secolo mette in mostra sia la sua chiesa ancora in uso, che la sua parte in rovina. Salendo le scale verso il cimitero si riesce ad avere una bella visuale sulla struttura e sull’area circostante. Ultima sosta nell’Armenia nord-orientale è Odzun, villaggio situato su un altopiano dominato dalla chiesa paleocristiana. Ci siamo quindi spostati verso sud sotto una pioggia leggera e abbiamo fatto sosta a un ristorantino chiamato Khndzori Aygi lungo la strada dove abbiamo mangiato stufato di agnello e chiacchierato con un gruppo di viaggiatrici di Modena che incontreremo altre volte lungo il nostro itinerario.
In un’ora di viaggio abbiamo raggiunto Dilijan. Inizialmente non inclusa nell’itinerario, l’ho aggiunta sotto consiglio di Timur, che ci era già stato e in cui ha una mezza idea di trasferirsi per i prezzi inferiori a quelli di Yerevan e per la vita più tranquilla. La zona vecchia consiste in una sola via con case antiche tenuta veramente bene, ed è una valida sosta prima di arrivare al lago di Sevan con il serbatoio quasi in riserva. Fatto il pieno con €45, ci siamo diretti verso il Monastero di Sevanavank, che offre le migliori viste sul lago data la sua posizione su un promontorio.
La nostra sistemazione per la sera è a Chkalovka, a una decina di minuti da Sevan città, ma abbiamo deciso di sfruttare il miglioramento del meteo e i tramonti tardivi di fine primavera per fare il giro del lago costeggiandolo in auto. La costa orientale è stupenda: prati erbosi, qualche villaggio sparso qua e là, mandrie di vacche al pascolo (e a volte anche in strada), e un tramonto fenomenale sul lago. Ci abbiamo messo quasi due ore a raggiungere la Manan Guesthouse a Chkalovka, incluse due soste: una per fare foto al tramonto, e una perché siamo stati fermati dalla polizia, che qui è onnipresente e che spesso e volentieri vediamo fermare auto a caso! La ragione della fermata è che stavamo andando troppo veloci in un centro abitato, dove il limite è 60 km/h. Timur gli ha spiegato, in russo, che lo sapevamo e che stavamo rallentando perché il villaggio era appena iniziato, e l’agente, che non sapeva molto bene il russo e tantomeno l’inglese, vedendo la mia patente italiana ha preferito lasciarci andare senza conseguenze.
Alla guesthouse siamo stati accolti dal figlio quindicenne della proprietaria, Vahe, l’unico della famiglia parlante inglese e russo. Incuriosito dal mio aspetto molto occidentale (in particolare dalle Nike TN da maranza, sempre super comode e a prova di vesciche), mi ha sommerso di domande e ha deciso che ero il suo “bro”, fino ad arrivare a volermi seguire su Instagram. Se vuoi, puoi anche tu seguire i miei viaggi cercando il mio profilo: @giorgiotaietti! Nel frattempo, sua mamma e suo fratello, in pieno spirito di ospitalità armena, ci hanno cucinato una cena luculliana a base di trota del lago Sevan grigliata (due a testa!), formaggio, verdure e gata (un dolce armeno fatto con la sfoglia), tutto fresco e fatto in casa. Incluse anche una bottiglia di vino rosso armeno e il mio adorato kompot. Avevamo per noi l’intera casa, arredata con gusto molto tradizionale, e abbiamo dormito sonni tranquilli.
Giorno 5 – Yeghegis, Hostoun
Ci siamo svegliati con una colazione abbondante quanto la cena. Formaggio, marmellata, verdure con uova, salsiccia, involtini di foglie di vite e altri gata ci aspettavano sulla tavola imbandita. Cena e colazione sono costate 11.000 dram in due, circa 12 euro a testa per intenderci. Consigliamo vivamente un soggiorno alla Manan Guesthouse, questo posto ci rimarrà davvero nel cuore!
Dopo una passeggiata digestiva per le strade di Chkalovka, siamo partiti verso sud facendo sosta al Monastero di Hayravank, che ha offerto altre stupende viste sul lago. Il clima è perfetto: il sole splende, e non si superano i 22°C. Siamo a quasi 2.000 metri sopra al livello del mare, del resto. Questo favoloso meteo degli altipiani armeni ci accompagnerà fino al nostro rientro a Erevan. Sempre costeggiando il lago, abbiamo fatto una deviazione per visitare il cimitero di Noratus, vastissima necropoli dove ci siamo persi fra le tombe e gli khachkar, imponenti croci fatte con diverse pietre che si trovano dappertutto in Armenia. A un certo punto, da una lapide è spuntata, come uno spirito senza tempo, una minuscola anziana incartapecorita che si è offerta di farci da guida e ci ha spiegato (in russo) la storia e il significato dei disegni intarsiati in varie lapidi, alcune risalenti al IV secolo! La sciura ha ovviamente preteso una mancia alla fine, e si è inalberata perché le abbiamo lasciato solo 1.000 dram… ha anche detto espressamente di non volere monete. Pace e amen, quello avevamo!
Lasciato alle spalle il lago di Sevan, siamo arrivati a oltre 2.400 metri di altitudine per valicare il passo che ci avrebbe condotto al caravanserraglio di Orbelian, avamposto della Via della Seta dove le carovane potevano sostare. Dopo un’altra ora di auto, siamo arrivati a Yeghegis. Questo paesino dalle strade polverose è immerso in un contesto di montagne punteggiate di verde, giallo, rosso, marrone e grigio ai cui pendii scorrono placidi ruscelli… sembrava di stare nello Utah o in Arizona in qualche parco nazionale. Inutile dire che questa zona è stata la mia preferita di tutta l’Armenia.
A Yeghegis ci siamo persi fra le stradine del villaggio e abbiamo visitato la Chiesa di Zorats. Le mappe non erano molto chiare sul sentiero da prendere, quindi abbiamo chiesto indicazioni a delle provvidenziali signore locali. Presso la chiesa, unica in Armenia come composizione architettonica (è stata infatti costruita con un altare all’aperto affinché i cavalieri diretti verso la guerra potessero ricevere il sacramento e la benedizione rimanendo seduti sul loro destriero), abbiamo goduto di bellissime viste sulla vallata mangiando i gata avanzati dalla colazione. Abbiamo quindi attraversato il ruscelletto fino a raggiungere il cimitero ebraico, di cui poco rimane se non qualche stele e la sensazione di pace. A pochi minuti da Yeghegis sono visitabili le rovine del villaggio di Hostoun, ormai ridotte a qualche casolare. Ci siamo arrampicati sul tetto di quello più alto per godere di altre viste sulle montagne, e abbiamo rubato qualche amarena da uno dei tanti alberi lungo la strada.
Ormai con il sole pronto a tramontare, abbiamo percorso pochi altri chilometri e parcheggiato l’auto all’inizio della strada sterrata per la salita alla Fortezza di Smbataberd. La camminata impiega circa un’ora per la sola andata e si guadagnano 240 metri di dislivello. Il tramonto visto dalla fortezza, che segue il crinale di un rilievo, è impagabile e permette di apprezzare il panorama su due valli diverse. Estremamente soddisfatti, siamo scesi raggiungendo la nostra auto ormai a crepuscolo inoltrato e in una ventina di minuti siamo arrivati a Yeghegnadzor, il centro più grande della zona, dove avremmo alloggiato al B&B Ruzan. Per cena, dato l’orario tardivo, ci siamo accontentati di andare nell’unico pessimo locale aperto in centro. Visto che non avevo nulla da perdere, ho ordinato le penne pollo, funghi e formaggio presenti nel menù. Mi sono sentito come Francesco Panella quando, all’inizio di ogni puntata di Little Big Italy, prova un ristorante italiano dove gli viene servito un piatto disgustoso che lo porta a dire: “Da Little Big Italy mi aspetto di più – molto di più!”. Io, al contrario, ero preparato a mangiare uno dei piatti peggiori della mia vita e a riderci su, e così è stato.
Giorno 6 – Goris, Khndzoresk
In seguito a un’abbondante colazione presso il nostro bed and breakfast, abbiamo deciso di tornare alla camminata della sera precedente. Dopo il primo chilometro, la strada si divide: a destra si arriva alla fortezza, mentre svoltando a sinistra si giunge a un altopiano con il piccolo Monastero di Tsakhats Kar. Abbiamo deciso di dedicare la bellissima mattinata di sole a questa camminata di circa 4,5 km con un dislivello di 420 metri. Un paio di volte abbiamo visto una jeep-taxi carica di persone: per i più pigri, il monastero si può raggiungere in questo modo, ma noi abbiamo preferito la soddisfazione di arrivarci con le nostre gambe.
Sempre diretti verso sud, in un paio d’ore siamo arrivati a Zorats Karer o Karahunj, una delle poche attrazioni a pagamento del nostro viaggio (1.500 dram a testa). Conosciuto anche come lo Stonehenge armeno, questo insieme di 223 megaliti preistorici disposti concentricamente su un promontorio roccioso è ancora oggetto di studio. C’è chi crede che sia l’osservatorio astronomico più antico al mondo, ma l’ipotesi più accettata è che fosse una necropoli.
Abbiamo quindi raggiunto la città di Goris, costruita in una vallata dominata da rilievi su tre lati, e abbiamo parcheggiato al cimitero, attraversato il quale è iniziata la breve ma ripida scalata verso le abitazioni dell’età della pietra, una serie di grotte scavate nella parete rocciosa. A mezz’ora da Goris verso est si trova Khndzoresk, luogo d’interesse simile ma meglio organizzato. La strada per raggiungere il parcheggio è lunga circa 3 km ed è sterrata e molto dissestata. L’ingresso è gratuito e si effettua camminando su una lunga passerella di legno che termina con un ponte tibetano sospeso su un crepaccio. Dall’altra parte, si possono visitare le abitazioni preistoriche inserite in un bellissimo contesto naturale. Si è creato un momento un attimino assurdo quando una ragazza armena che avrà avuto meno di 20 anni, accompagnata dalla mamma e dalle tre sorelle, mi ha chiesto una foto. Pensavo volesse una foto con la famiglia, e invece la voleva con me… sua mamma le ha anche detto di chiedermi il numero di telefono! Nulla di sorprendente: capelli biondi, occhi azzurri e una buona altezza sono una rarità qui e sono caratteristiche molto apprezzate, e avevo avuto un assaggio di questa sfacciataggine delle ragazze (e dei ragazzi) nel flirtare con gli europei occidentali quando da adolescente andavo in Turchia.
Tornati al parcheggio con non poca fatica, ci siamo diretti, a sole già tramontato, verso il ristorante Hndzan, che avevo trovato su Google Maps e il cui menù ci ispirava tanto. Ottima scelta: un locale arredato in quello che possiamo definire lo stile country chic locale, con un menù pieno di prelibatezze armene. Ho pronto le verdure in salamoia, i funghi ripieni e l’arishta, una sorta di tagliatelle armene condite con salsa di noci e panna acida che hanno ben poco a che fare con la pasta a cui siamo abituati per sapore e consistenza. Ormai in tarda serata, abbiamo seguito la strada a zig-zag appena asfaltata che porta a Tatev, un dedalo di sentieri sterrati e casette dove si trovava il nostro alloggio per la notte, Saro B&B.
Giorno 7 – Tatev, Khor Virap
Fatta una generosa colazione a base di pietanze dolci e salate, abbiamo raggiunto il Monastero di Tatev, costruito nel X secolo e considerato ai tempi il più importante luogo di culto per la religione cristiana ortodossa armena. Qui i futuri esponenti ecclesiastici venivano a studiare le Sacre Scritture in quella che è stata la maggiore scuola religiosa per gli armeni.
Tatev è stata la destinazione più a sud del nostro viaggio. A questo punto, abbiamo percorso a ritroso la strada che attraversa l’Armenia da nord a sud, abbandonando la regione del Syunik e facendo ritorno a quella di Vayots Dzor, la mia preferita. In due ore e mezza, attraversando una bellissima vallata non molto diversa (né meno bella) di quella di Yeghegis, abbiamo raggiunto il Monastero di Noravank, costruito in pietra rossa, che domina sul territorio circostante da ormai otto secoli.
Sempre procedendo verso nord, abbiamo svoltato per seguire la strada lungo il confine con la Turchia, dove infinite piantagioni di albicocca costeggiano la carreggiata. Qua e là, gli agricoltori imbandiscono banchetti dove vendono i loro frutti ai viaggiatori. Abbiamo percorso questa strada per arrivare a uno dei monumenti più iconici dell’Armenia, Khor Virap, bellissimo monastero fortificato del XVII secolo costruito sul luogo dove Gregorio l’illuminatore fu imprigionato dal re armeno Tiridate III per via della sua fede cristiana; dopo 13 anni, Gregorio ha curato il re da una grave malattia, portandolo a convertirsi e a rendere l’Armenia il primo Stato al mondo ad adottare il Cristianesimo nel 301. Da Khor Virap si gode di un’eccezionale vista sul monte Ararat. Questa montagna di oltre 5.100 metri, sacra per gli armeni, oggi si trova interamente in territorio turco, e si può ammirare anche dalla cima della Cascade di Yerevan nelle giornate particolarmente limpide.
Ed è proprio a Yerevan che si è conclusa la penultima giornata del tour. Abbiamo trovato, devo dire, molto meno traffico di quanto mi potessi aspettare da una metropoli di oltre un milione di abitanti nell’orario di punta di un venerdì pomeriggio, e abbiamo persino trovato parcheggio davanti all’appartamento di Timur. Per cena siamo andati in centro e abbiamo scelto il ristorante Kamancha, dove ho ordinato un delizioso assortimento di sei salse armene più o meno piccanti da mangiare con il pane, la tradizionale zuppa spas a base di yogurt e un kebab di agnello. Da bere, oltre all’immancabile kompot, ho provato un bicchiere di tan, tipico latte fermentato considerato un toccasana.
Giorno 8 – Matenadaran, Zvartnots
Abbiamo iniziato la giornata a Yerevan, visitando un’attrazione a cui tenevo particolarmente, ma che è chiusa la domenica e il lunedì: il Matenadaran, conosciuto anche come Museo degli Antichi Manoscritti. Ospitato in un monumentale edificio costruito nel secondo dopoguerra, mette in mostra una collezione di opere scritte a mano non solo in lingua armena, ma anche in persiano, arabo, nonché lingue orientali ed europee. Nel museo sono custodite più di 17.000 opere, le più antiche risalenti al IV secolo.
Siamo usciti da Yerevan diretti verso sud. Raggiungere il Monastero di Geghard al momento del nostro viaggio non è stato una passeggiata: la strada è in ricostruzione, e si è presentata completamente disastrata, con vari tratti sterrati. Al nostro arrivo erano in corso due matrimoni in due punti diversi del monastero. Come da tradizione, in Armenia due spose non si possono vedere in faccia nel giorno delle nozze: porta sfortuna!
A poca distanza da Geghard, abbiamo visitato il Tempio di Garni, unica testimonianza dell’Armenia pagana sopravvissuta nel territorio. Gli armeni ne vanno particolarmente fieri: trattasi di un tempio con timpano sorretto da colonne ioniche a cui si affiancano gli scavi di una villa di ispirazione greco-romana dotata di un avanzato sistema termale.
All’uscita da Garni, abbiamo tagliato verso ovest per evitare il traffico cittadino, e qui ci siamo imbattuti nel corteo di uno dei due matrimoni di Geghard. Più di 60 auto che andavano a 50 all’ora su una strada con limite a 90, ma piena di curve. Piano piano, li abbiamo seminati tutti, e siamo arrivati all’area archeologica di Zvartnots. Il sito del VII secolo al momento è in rovina, ma il governo pianifica di ricostruire questo particolare tempio circolare seguendo le testimonianze risalenti a prima della sua distruzione causata dal terremoto del 930. Avendo saltato il pranzo, abbiamo deciso di fare merenda rubando un paio di succose albicocche dagli alberi lì intorno. L’ultima tappa del nostro viaggio, a un quarto d’ora a ovest di Zvartnots, è la Cattedrale di Echimiadzin, enorme sito ecclesiastico considerato il più importante in Armenia dove in quel momento si stava per celebrare la Messa.
Abbiamo tribulato non poco per trovare un ristorante per la nostra ultima cena insieme in Armenia: il sabato è giorno di matrimoni, e sembrava tutto prenotato per i banchetti nuziali. Cercando per bene su Google Maps e telefonando a tutti i posti che ci ispiravano, al quinto tentativo siamo riusciti a trovare un tavolo al ristorante Kechut, dove abbiamo pasteggiato a base di formaggi locali, funghi ripieni, melanzane con crema di noci e melanzane fritte ripiene. Una deliziosa conclusione a un bellissimo viaggio!
Il mio volo delle 22:55 era in tempo, quindi in pochi minuti abbiamo raggiunto l’aeroporto. Qui abbiamo riconsegnato l’auto e ci siamo salutati con la promessa di tornare a viaggiare insieme a settembre. Destinazione: Georgia!
