Al via a Yerevan in Armenia la Conferenza globale sul turismo del vino (Asianews 12.09.24)

Yerevan (Armenia), 12 set. (askanews) – Si è aperta questa mattina a Yerevan, in Armenia, l’ottava Conferenza globale sul turismo del vino organizzata dall’organizzazione del turismo delle Nazioni Unite (UN Tourism). Ad aprile i lavori è stato il sindaco della capitale, Levon Hovhannisyan che ha rivolto un caloroso saluto ai circa 300 partecipanti da venti Paesi, dicendosi orgoglioso per la scelta dell’Armenia come Paese ospitante.

Subito dopo Sophie Pallas, direttrice delle relazioni eterne dell’Oiv, partendo dal titolo della Conferenza, “Heritage in Every Bottle: Crafting Authentic Wine Tourism Experiences”, ha messo in luce quanto il vino sia profondamente legato alla cultura e all’identità dei diversi territori.

“Voi siete nel posto giusto per discutere e sviluppare un tema come questo” ha quindi affermato Zurab Pololikashvili, il segretario generale georgiano dell’UN Tourism, che ha ricordato la tradizione vinicola millenaria dell’Armenia, rimarcando l’importanza crescente dell’enoturismo grazie alla ricerca di esperienze nuove da parte dei viaggiatori, e l’incremento dell’interesse per questo appuntamento, come dimostrato, anno dopo anno, dal numero di Paesi che chiedono di partecipare.

Il ministro dell’Economia armeno, Gevorg Papoyan,ha quindi evidenziato come il turismo del vino sia un’occasione per sviluppare il turismo rurale, che contribuisce a fare crescere e a creare nuove infrastrutture in aree periferiche del Paese. Inoltre l’enoturismo può essere uno strumento prezioso per sviluppare nuove relazioni tra i Paesi dell’area caucasica e per stabilire nuove occasioni di coperazione internazionale.

La giornata all’Hotel Marriot di Yerevan prosegue con presentazioni tematiche, sessioni tecniche, masterclass e workshop con esperti, figure istituzionali, produttori e rappresentanti di regioni vinicole di tutto il mondo che si confrontano sulle strategie per rafforzare i legami tra vino, turismo e cultura, e sulle forme e sui canali per comunicarli e promuoverli insieme, aiutando le diverse realtà, che siano Cantine, territori o Paesi, a diversificare le loro offerte turistiche dedicate e favorendo la cooperazione tra le destinazioni.

L’evento si concluderà il 13 settembre. Il primo appuntamento successivo dell’Un Tourism sarà il 27 settembre a Tiblisi in Georgia, per la celebrazione del Giorno mondiale del turismo, durante il quale si parlerà di “Turismo e pace”.

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Giubileo, restaurata grazie ai fondi dell’Azerbaijan la basilica di San Paolo fuori le Mura, firmato accordo col Vaticano (Il Messaggero 12.09.24)

Dopo aver finanziato le catacombe di San Marcellino e Pietro, l’Azerbaigian ha firmato un accordo con il Vaticano per sostenere le spese di restauro dei rivestimenti in marmo della basilica di San Paolo fuori le Mura in vista del Giubileo. Il documento è stato firmato da Anar Alakbarov, assistente del Presidente dell’Azerbaigian e Direttore esecutivo della Fondazione Heydar Aliyev, e dal Cardinale Fernando Vérgez Alzaga, Presidente del Governatorato.

Vaticano, riportata a nuovo l’immagine più antica di Santa Cecilia (patrona dei musicisti): è nelle catacombe di San Callisto

Si tratta di un progetto finanziato dalla Fondazione per la messa in sicurezza e la conservazione dei rivestimenti e apparati decorativi in marmo della Basilica.

L’intervento si è reso necessario per rendere sicuro il transito e il passaggio dei pellegrini poiché le vibrazioni e i movimenti strutturali, sommati alla risalita capillare dell’acqua hanno portato a una condizione diffusa di degrado dei rivestimenti marmorei parietali e dei colonnati delle navate.

 

Le opere di restauro riguarderanno i lavori per la messa in sicurezza delle superfici che decorano le navate ed il transetto.  Nel 2025, in occasione del Giubileo, si prevede che oltre 30 milioni di pellegrini visiteranno San Paolo, per l’apertura della porta santa.

Durante gli incontri con vari funzionari, tra cui il Cardinale Fernando Vérgez Alzaga, Anar Alakbarov ha discusso del rapporto tra l’Azerbaigian e la Santa Sede, nonché di progetti congiunti con la Fondazione Heydar Aliyev.

Il rapporto tra la Fondazione Heydar Aliyev e la Santa Sede ha una lunga storia: la Fondazione ha già precedentemente contribuito al restauro di diversi monumenti di importanza storica in Vaticano ed è stata attivamente coinvolta nella protezione del suo patrimonio culturale.

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Si rimescolano le carte sullo scacchiere del Caucaso (Terra Santa 11.09.24)

Il grande rimescolamento politico innescato dalla guerra in Ucraina ha avuto, tra gli altri, l’effetto di risucchiare verso Nord due potenze regionali: la Turchia e l’Iran. Il che comporta nuovi equilibri nella regione caucasica.


L’enorme sforzo militare, economico e politico che sta facendo a Ovest con l’invasione dell’Ucraina e il confronto a tutto campo con l’Europa e gli Stati Uniti, non ha avuto solo l’effetto di spingere la Russia verso Est e in un abbraccio sempre più stretto con la Cina. L’ha anche indebolita a Sud, in quel Caucaso che, sia nel periodo sovietico sia in quello post-sovietico, era stato il «cortile sul retro» dell’influenza geopolitica del Cremlino.

Il grande rimescolamento politico innescato dalla guerra in Ucraina ha avuto, tra gli altri, l’effetto di risucchiare verso Nord due potenze regionali che da lungo tempo scalpitano per ritagliarsi un ruolo sempre maggiore: la Turchia e l’Iran.

La Turchia si è stabilizzata nel tempo come primo alleato di riferimento dell’Azerbaigian, a cui ha dato un aiuto decisivo nelle diverse campagne contro l’Armenia, culminate nella riconquista del Nagorno-Karabakh nell’autunno del 2023. La realpolitik che Vladimir Putin ha adottato di fronte al fatto (militare) compiuto è stato anche un implicito riconoscimento all’accresciuta presenza della Turchia, Paese peraltro cui la Russia deve riservare parecchie attenzioni anche per quanto riguarda il Mar Nero (e relative questioni ucraine) e più in generale le relazioni economiche, compreso il commercio di gas e petrolio.

Per parte sua, l’Iran ha cercato di rispondere al legame Turchia-Azerbaigian (che comprende, peraltro, anche una presenza di Israele, che agli azeri fornisce armi e in cambio ha piazzato punti di osservazione dell’Iran sul loro territorio) stringendo vieppiù i rapporti con l’Armenia.

Nel gioco delle reciproche influenze entra anche la partita dei «corridoi», ovvero delle vie di collegamento (stradale e ferroviario) che dovrebbero favorire le relazioni economiche tra i quattro Paesi (con propaggini verso la Georgia), ma che giocoforza finiscono per assumere valenze politiche forti. Non a caso tutti i governi coinvolti hanno una propria proposta, o discutono di significative varianti alle proposte altrui.

In tutto questo è interessante notare il peso crescente che sta assumendo la geografia rispetto alla politica. La Russia è divisa dal Caucaso meridionale da una catena montuosa che di fatto la separa dalla regione, mentre Turchia e Iran godono di un accesso molto più facile.

In un certo, storico, senso il Caucaso sta lentamente tornando a casa.

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Il calciatore armeno di fama internazionale svela di aver ricevuto una proposta dal Sevilla (Sportmagazine 11.09.24)

Nayair Tiknizyan, difensore sinistro armeno del Lokomotiv Mosca, ha rivelato di essere stato nel mirino di Víctor Orta per sostituire Marcos Acuña dopo il suo trasferimento gratuito al River Plate. Tuttavia, la scelta del direttore sportivo del Siviglia è caduta su Valentín Barco, connazionale di Tiknizyan e prima opzione considerata.

Nonostante ciò, Tiknizyan afferma di aver ricevuto una proposta ufficiale che alla fine non si è concretizzata. “Abbiamo ricevuto un’offerta ufficiale, ma non eravamo interessati a un prestito gratuito”, ha dichiarato il difensore sinistro dopo la partita contro la Macedonia durante la pausa per le partite della nazionale.

Riguardo all’offerta, ha espresso una certa disapprovazione nei confronti dei dirigenti del Siviglia, criticandoli per non aver mostrato abbastanza interesse. “Se mi volevano davvero, avrebbero dovuto migliorare l’offerta e raggiungere un accordo con il mio club”, ha detto Tiknizyan. Il Siviglia ha invece optato per il prestito di Valentín Barco, appartenente al Brighton inglese, che ha fatto il suo debutto con la squadra nel match contro il Girona prima della pausa legata alla finestra FIFA, partita persa dal Siviglia per 1-2.

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Il genocidio armeno tra storia e relazioni internazionali (Il Caffe Geopolitico 11.09.24)

Analisi – La Medz Yeghern (il “Grande Male” o la “Grande Catastrofe”) dimostra come la memoria storica possa essere suscettibile di strumentalizzazione politica. Il Genocidio armeno è tutt’ora una delle principali cause di tensione tra Ankara e Yerevan.

IL DRAMMA STORICO: LE RADICI DELLA GRANDE CATASTROFE

Il 24 aprile ricorre la Giornata dedicata al ricordo del genocidio armeno. In questa data, nel 1915, vengono arrestati 250 intellettuali e leader della comunità armena dalle Autorità ottomane. L’evento segna l’inizio di un massacro che porterà alla scomparsa di circa un milione e mezzo di armeni. I prodromi del genocidio si ritrovano nel periodo di crisi, che porterà poi alla caduta, dell’Impero ottomano. In questi territori la popolazione armena ha abitato per secoli, stanziati nella regione dell’Anatolia orientale, corrispondente all’attuale parte orientale della Turchia. Questa comunità, minoritaria e di religione cristiana, costituiva una dissonanza nel sistema sociale dell’Impero ottomano, dominato da una maggioranza musulmana sotto la guida del Sultano. I primi massacri, partiti dal basso e non ancora organizzati dai vertici, avvengono già negli anni Novanta del XIX secolo. Sarà però con l’avvento delle Guerre balcaniche, prima, e della Prima guerra mondiale dopo, che la comunità armena diventa vittima di una sistematica strategia di eliminazione. Alla guida dell’Impero ottomano c’è il gruppo dei Giovani Turchi, che nel 1908 sono stati i promotori di un colpo di Stato per destituire il Sultano Abdülhamid II. Il programma del nuovo Governo propone di riformare le Istituzioni turche in modo da modernizzare il sistema e instaurare una monarchia di stampo liberale. Inizialmente la comunità armena ripone fiducia nel gruppo rivoluzionario, ma il nuovo Governo assume sempre di più una piega autoritaria e nazionalista, e la comunità armena viene presto considerata un elemento di disturbo nel progetto di omogeneizzazione etnica dell’Impero, presente nei piani dei Giovani Turchi.
Le Guerre balcaniche accelerano il processo di disfacimento dell’Impero ottomano e inaspriscono ancora di più le tensioni tra cristiani e musulmani, questi ultimi ormai privati dei loro possedimenti in Europa. Tuttavia è durante la prima guerra mondiale che la situazione diventa drammatica. Gli armeni vengono accusati di essere la principale causa della disfatta nella battaglia di Sarıkamış contro i russi nella campagna del Caucaso. L’accusa di essere una quinta colonna della Russia sarà una buona motivazione per risolvere “la questione armena” e perseguire l’ideologia panturchista sostenuta dai Giovani Turchi. Il progetto di sterminio include massacri arbitrari e deportazioni contro uomini, donne e bambini. L’eredità del genocidio non ha lasciato solamente famiglie distrutte, ma ha alterato il corso della storia di un popolo. I beni confiscati, i monumenti, i siti storici, le case, le biblioteche distrutte per mano del Governo ottomano avevano il preciso scopo di cancellare un’impronta storica presente da 3mila anni.

Fig. 1 – Un gruppo di armeni massacrato durante il genocidio del 1915

UN SECOLO DI DIBATTITO TRA DIPLOMAZIA E INTERESSI POLITICI

Nel 2019 il Congresso degli Stati Uniti ha approvato con una maggioranza bipartisan una risoluzione in cui viene riconosciuto il genocidio contro gli armeni. Ma perché solamente a quasi cento anni dall’avvenimento? La questione del riconoscimento del genocidio armeno rientra nelle diverse strategie di politica estera che ogni Paese intende perseguire. La Turchia infatti tutt’ora non ha mai ammesso di aver compiuto un genocidio, ma sostiene che la tragedia che ha colpito la popolazione armena vada più ampiamente contestualizzata nel quadro di un Impero in declino e in guerra per garantire la propria sopravvivenza. Sarebbe mancata quindi una precisa volontà di sterminio di una popolazione. Gli Stati Uniti sotto la presidenza Trump, e con un Congresso a maggioranza repubblicana, decisero di approvare la risoluzione come strumento di pressione per far desistere la Turchia dall’intraprendere l’avanzata in Siria contro i curdi, in seguito al ritiro delle truppe statunitensi. Questo rappresentò un netto cambio di direzione, poiché fino al 2019 gli Stati Uniti avevano sempre evitato di riconoscere ufficialmente il genocidio armeno per non inimicarsi la Turchia, partner strategico sin dal suo ingresso nell’Alleanza Atlantica.
Attualmente solo 32 Paesi riconoscono il genocidio armeno. Un primo passo importante si è avuto nel 1987 con una risoluzione del Parlamento europeo in cui si parla di genocidio ai  sensi della convenzione adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre 1948. Ad oggi l’Europa, come in molte altre questioni di politica estera, non prosegue nella stessa direzione. Di ventisette Paesi, sedici riconoscono il genocidio. La Turchia intanto rimane in una fase di stallo nel percorso di adesione all’Unione Europea, e questo tema è uno, tra i tanti, dei motivi dell’impasse. Al contrario, l’Europa osserva sempre più con interesse la piccola Repubblica di Armenia, parte di quell’orbita attrattiva che sta spingendo l’Unione a guardare sempre di più verso il Caucaso.

Fig. 2 – Il premier armeno Nikol Pashinyan partecipa alle cerimonie della Giornata dedicata al ricordo del genocidio armeno, 24 aprile 2024

[ED]IMPLICAZIONI GEOPOLITICHE

Tuttavia, già dodici anni prima la risoluzione del Parlamento Europeo, la Camera dei rappresentanti della Repubblica di Cipro si era espressa su tale questione esprimendo la propria solidarietà verso la popolazione armena e ritenendo che l’obiettivo dei turchi fosse stato l’annientamento e lo sterminio degli armeni in Asia minore, aggiungendo poi che “Attualmente, Cipro sta soffrendo difficoltà simili, come una vera tragedia, a causa dell’invasione turca.”  Questa dichiarazione può quindi essere vista come un tentativo di strumentalizzazione per esortare la comunità internazionale a condannare l’invasione turca della parte settentrionale di Cipro.

Spostandosi invece nel continente asiatico, uno dei primi Paesi a esprimersi nettamente a riguardo fu la Russia. A pochi anni dall’indipendenza dell’Armenia la Duma ha ribadito la propria posizione di condanna nei confronti della Turchia e il sostegno russo verso la popolazione armena. Non c’è da stupirsi se si prende in considerazione la stretta alleanza che ha unito Mosca e Yerevan, almeno fino agli eventi più recenti legati alla guerra nel Nagorno-Karabakh che hanno allontanato l’Armenia dalla sfera russa, avvicinandola sempre di più verso l’Occidente.

Suscita perplessità invece il non riconoscimento da parte della Knesset israeliana. La reticenza di Israele nel parlare del genocidio ha a che fare con le dinamiche  geopolitiche in corso in Medio Oriente ed è strettamente legata al bisogno di salvaguardare i suoi rapporti con la Turchia e con l’Azerbaigian, alleati di lunga data. Mentre i rapporti tra Armenia e Israele non sono proprio rosei: il sostegno all’Azerbaigian nella guerra nel Nagorno-Karabakh e la persistente reticenza nel riconoscere il genocidio armeno (anche per motivazioni più profonde legate all’unicità della Shoah nella memoria collettiva israeliana) hanno contribuito al deterioramento dei rapporti. In questo contesto, si inserisce anche l’amicizia tra Armenia e Iran, principale nemico di Israele, che complica ulteriormente i già difficili rapporti tra i due Paesi. Tale situazione è stata ulteriormente aggravata dal recente riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell’Armenia, rendendo ancora più arduo ricucire le relazioni bilaterali.

Fig. 2 – Bandiere della Turchia e dell’Azerbaigian date alle fiamme durante una manifestazione popolare a Yerevan in ricordo del genocidio, 23 aprile 2023. I rapporti dell’Armenia con Ankara restano estremamente tesi e difficili, anche per via della questione del Nagorno-Karabakh

YEREVAN E ANKARA: UN RAPPORTO DIFFICILE DA RISANARE

Ad oggi i rapporti tra Armenia e Turchia rimangono congelati e uno dei principali punti di tensione rimane la ferita ancora non rimarginata del genocidio di inizio secolo e l’ostinazione del Governo turco nel negare che questo sia mai avvenuto. Ma alla base delle tensioni tra Yerevan e Ankara c’è anche una disputa territoriale che ha origine negli assetti formatisi a seguito della prima guerra mondiale. Il primo trattato che ridefinisce gli equilibri nell’area è stato quello di Sèvres del 1920. Mai accettato dai turchi, avrebbe allargato l’Armenia a occidente, espandendosi nell’Anatolia orientale reclamata dalla Turchia. Il successivo trattato di Kars del 1921 ha definito gli attuali confini tra Turchia e le Repubbliche sovietiche del Caucaso. Riacquisita l’Anatolia orientale, le rivendicazioni territoriali della Turchia sono state soddisfatte, mentre l’Armenia  continua a non riconoscere la suddivisione territoriale di Kars. Ad oggi i confini tra i due Paesi sono chiusi  e le relazioni diplomatiche sono interrotte dal 1993, in seguito all’avanzata armena nel Nagorno-Karabakh, altra questione estremamente delicata che continua a logorare le relazioni bilaterali tra i due Paesi. Tentativi di avvicinamento furono compiuti nel 2009 con la firma dei Protocolli a Zurigo, ma si risolsero con un nulla di fatto per l’opposizione dell’Azerbaigian.

In questo quadro c’è quindi un complesso di tensioni difficili da districare, tra questioni irrisolte di natura territoriale e controversie storiche. Fino a che la Turchia non riconosce il genocidio armeno si possono fare solo piccoli passi verso un miglioramento delle relazioni bilaterali, ma non di più. Attualmente la situazione rimane ancora congelata e le principali questioni di attrito non incontrano volontà di risoluzione, da nessuna parte.

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L’ULTIMA PULIZIA ETNICA: IL NAGORNO KARABAKH (Difesa On Line 11.09.24)

(di Giuseppe Morabito)
11/09/24

A fine settembre di questo mese sarà passato un anno dall’esodo della popolazione armena cacciata dalle forze armate dell’Azerbaijan con il supporto della Turchia nel Nagorno Karabakh (si tratta della regione montuosa del Caucaso con una superficie di 4,400 chilometri quadrati). La regione è stata oggetto di un conflitto che ha radici etniche e religiose e vede contrapposti gli interessi di Armenia, Azerbaijan e Repubblica di Artsakh (nome che era stato definito per il territorio del Nagorno Karabakh).

L’autonomia di questo territorio è stata oggetto di aspre controversie belliche e di dibattito perché la questione ha origini storiche nei domini persiani, turchi e russi. Sin dal periodo dell’antica cultura transcaucasica, la regione caucasica del Nagorno Karabakh era rappresentata come parte del territorio dell’Armenia, il primo documento che descrive ciò è: “La Geografia di Strabone” (14-23 d.C.), nell’ opera l’autore sostiene che il territorio armeno si estendeva, all’epoca, dal sud della catena montuosa del Caucaso Minore, fino al sud della regione denominata Albania.

Risale al 387 d. C. l’epoca in cui l’Impero Romano e l’Impero Sassanide si divisero l’Armenia e nel 405, Mesrop Mashtots, monaco e teologo inventò l’armeno e fece nascere la Chiesa Apostolica Armena. Questo il passato. Per il recente, è necessario, prima di tutto, ricordare quanto conosciuto come il “genocidio degli Armeni” da parte dei turchi. La campagna di diffamazione contro gli armeni era iniziata già nel 1914 quando le autorità ottomane dichiararono che gli armeni che vivevano nell’impero erano una minaccia per la sicurezza nazionale. Furono le forze irregolari che iniziarono a commettere omicidi di massa nei villaggi armeni vicino alle frontiere con la Russia e nell’aprile 1915 per gli armeni ebbe inizio dell’incubo.

Le autorità turche approfittarono del gran numero di armeni chiamati alle armi per trasformarli in soldati/operai destinati a costruire strade e ferrovie mentre altri furono fucilati in trincee costruite da loro stessi. Nel 1915 il governo ottomano autorizzò a deportare chiunque fosse percepito come una minaccia per la sicurezza dello stato in forza di questo le autorità turche iniziarono le deportazioni di massa, seguite da una campagna di omicidi sistematica condotta da forze irregolari. I sopravvissuti arrivarono nei campi di concentramento ubicati nel deserto siriano in condizioni pietose. Una volta lì potevano soltanto attendere la morte per fame o per sete, o cadere sotto i proiettili dei fucili turchi.

I massacri continuarono fino al 1916 e le stime più prudenti ritengono che almeno un milione di armeni sarebbero stati assassinati nel corso delle grandi marce che il governo ottomano non poté nascondere alla vista di giornalisti, missionari, diplomatici e ufficiali stranieri, che ne informarono i rispettivi Paesi. La Turchia ancora oggi e incredibilmente, nega l’evidenza del genocidio armeno nonostante l’ampio riconoscimento internazionale.

Gli armeni subentrarono nelle provincie del Karabakh al posto dei musulmani in fuga dall’Impero Russo quando nel novembre 1920 i territori del Nagorno Karabakh furono considerati come parte della Repubblica Socialista Armena.

Dopo un periodo di relativa tranquillità, il periodo che porta alla dissoluzione dell’Unione Sovietica è il momento storico critico ed ciò porterà negli anni successivi a un vero e proprio conflitto tra le repubbliche armena e azera.

Tra il 30 aprile e il 15 maggio 1991 fu condotta un’azione militare da parte di truppe sovietiche e azere che si concretizzò nell’espulsione forzata di armeni da villaggi nelle regioni presso il confine tra Armenia e Azerbaijan. L’operazione ebbe come solo risultato quello di acuire le divisioni etniche nella regione deteriorando i rapporti già problematici tra Armenia e Azerbaijan. Il 30 agosto 1991 l’Azerbaijan si dichiarò indipendente e il 2 settembre 1991 anche il Nagorno Karabakh decise di intraprendere un processo che avrebbe portato la regione a ottenere l’indipendenza del territorio che costituì l’allora Oblast Autonomo del Nagorno Karabakh.

Nel 4 marzo 2008, dopo l’ottenimento dell’indipendenza da parte del Kosovo, il presidente azero Aliyev decise di ritirare 33 militari azeri di supporto al contingente NATO KFOR dal 1999. Questo accadde a causa della similarità tra la posizione della regione del Nagorno Karabakh e di quella del Kosovo, al ritiro militare il presidente azero dichiarò di essere pronto a ristabilire l’integrità territoriale dell’Azerbaijan attraverso l’uso della forza, allo scopo di scoraggiare le forze separatiste del Nagorno Karabakh, il cui morale e diritto di esistere erano cresciuti con l’indipendenza del Kosovo stesso.

Una nuova riapertura del conflitto si ebbe nel periodo dall’1 al 5 aprile 2016, quando vi fu la così detta guerra dei quattro giorni lungo la linea di confine a nord tra Armenia ed Azerbaijan. Il conflitto si è concluso con un accordo di cessate il fuoco che attribuiva alla Repubblica d’Azerbaijan delle conquiste territoriali modiche ma strategiche, confermando la posizione della Russia come mediatore centrale nella controversia.

Il 20 febbraio 2017 vi fu un referendum costituzionale nella Repubblica del Nagorno Karabakh, e il nome principale della Repubblica diventò quello di “Repubblica dell’Artsakh”.

Il conflitto permase in uno stato di stallo fino al 12 luglio 2020 quando ci furono quattro giorni di scontri tra Armenia ed Azerbaijan. La Turchia si dimostrò di supporto alla causa azera uscendo allo scoperto e riportando alla memoria del mondo intero il citato genocidio (olocausto) degli armeni perpetrato proprio dai turchi tra il 1915 e 1916.

Un vero e proprio scontro su larga scala si ebbe nel periodo tra il 27 settembre e il 10 novembre 2020, uno scenario di guerra durato per quarantaquattro giorni. In questo frangente fu cruciale il supporto congiunto di Turchia e Israele (per aver fornito droni). La Russia aveva invece fornito armamenti sia all’Armenia sia all’Azerbaijan, ma senza essere effettivamente coinvolta nel conflitto come alleato dell’Armenia.

La fine della guerra di quarantaquattro giorni si ebbe quando le truppe azere vinsero la battaglia di Shushi, una volta conquistata la seconda città dell’Artsakh, segui un cessate il fuoco mediato dalla Russia.

Fu previsto il dislocamento di un gruppo “peacemakers” russi anche schierati lungo il corridoio di Lachin che connetteva il Nagorno Karabakh all’Armenia passando per l’Azerbaijan. I russi raggiunsero l’area in concomitanza con il ritiro dei due eserciti.

Il coinvolgimento della Turchia tra questo conflitto è stato cruciale, giacché con l’ausilio dato alla Repubblica d’Azerbaijan si evidenziò l’indubbia volontà della Turchia di imporsi quale attore e mediatore della controversia.

Per quanto riguarda la situazione territoriale successiva al cessate il fuoco l’Azerbaijan aveva comunque ripreso i territori occupati dall’Armenia durante la Prima Guerra del Nagorno Karabakh.

Una serie di importanti violazioni del cessate il fuoco si ebbero nell’anno 2022, già dal 5 marzo vi furono scontri tra l’Esercito azero e l’Esercito di Difesa dell’Artsakh e secondo l’Armenia anche il conflitto in Ucraina e la conseguente “distrazione” della Russia hanno facilitato l’assenza di conseguenze alle violazioni azere del cessate il fuoco.

L’evento principale in violazione agli accordi si ebbe il 3 dicembre 2022, con un primo blocco del corridoio di Lachin per opera di “cosiddetti” ambientalisti azeri e in seguito l’escalation della protesta azera si concretizzò in un vero e proprio blocco al passaggio di vetture nel corridoio. Nei giorni successivi vi crearono già preoccupazioni per la scarsità dei beni di prima necessità cui era concesso di transitare nel corridoio, mentre la Repubblica d’Azerbaijan sosteneva che il blocco del corridoio costituisse una protesta spontanea per opera di alcuni ecologisti e che le persone fossero libere di muoversi in entrambi i sensi di marcia.

La protesta da parte dei falsi attivisti ambientali è terminata a fine aprile 2023 e il 19 settembre 2023 ha avuto luogo la più grave violazione del cessate il fuoco mediato nel 2020, la Repubblica d’Azerbaijan ha lanciato un attacco verso la regione del Nagorno Karabakh (quest’ultima offensiva fu giustificata come operazione antiterroristica dal Ministero della Difesa azero). La popolazione locale era stata informata che il corridoio di Lachin era stato riaperto per favorire l’evacuazione delle zone colpite dagli attacchi e già durante la prima giornata del conflitto molti degli obiettivi militari appartenenti all’esercito di difesa della piccola repubblica sono stati distrutti. L’esercito armeno e il contingente di peacekeeping russo non sono stati coinvolti nel conflitto. La veloce offensiva dell’esercito azero, supportato dalla Turchia e da consiglieri militari israeliani, ha quindi portato alla sconfitta dell’esercito di difesa dell’Artsakh e la conseguente firma di un nuovo cessate il fuoco il giorno 20 settembre.

Il cessate il fuoco firmato tra i rappresentanti della popolazione armena del Nagorno Karabakh e l’Azerbaijan è stato incentrato sul disarmo dell’esercito di difesa dell’Artsakh e sulla dissoluzione della repubblica autonoma, con la conseguente reintegrazione della regione sotto la sovranità dell’Azerbaijan (la dissoluzione della Repubblica dell’Artsakh è stata decretata con effetto dal 1° gennaio 2024).

L’esodo della popolazione di etnia armena dal Nagorno Karabakh è avvenuto dal 24 settembre 2023 al 3 ottobre 2024, l’ottanta percento della popolazione, pari a più di centomila persone, è scappata per il corridoio di Lachin che era stato appositamente aperto, mentre nel frattempo le forze armate e di polizia azere stabilivano il controllo sull’intera regione. Si può quindi affermare, senza tema di smentita, che si è trattato di una vera e propria pulizia etnica della regione sponsorizzata del presidente turco Erdogan.

Ad aprile 2024, si è tenuto a Yerevan un incontro multilaterale tra la presidente della commissione europea Von Der Leyen, il segretario di stato americano Blinken, l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri Borrell, ed il primo ministro armeno Pashinyan. In quell’occasione l’UE ha confermato il suo supporto verso l’economia e le istituzioni armene: la stessa UE a e gli USA hanno anche espresso il loro supporto all’Armenia nel provvedere al benessere degli sfollati armeni ed il loro reintegro (in Armenia).

All’argomento del rientro e reintegro degli sfollati armeni in Nagorno Karabakh non è stato dato seguito. La questione sembra essere stata rimossa dall’agenda di UE e USA, gli unici attori internazionali che avrebbero potuto fare pressione sull’Azerbaigian al riguardo. D’altronde anche in passato, prima del grande esodo del 2023, non si erano mostrati particolarmente attenti alla possibile sorte degli armeni del Karabakh. Nei primi giorni di settembre 2023, per esempio, gli Stati Uniti dichiararono che non avrebbero tollerato la “pulizia etnica” degli armeni del KarabakhMa, come indicato, solo pochi giorni dopo, l’operazione militare dell’Azerbaigian portò alla “pulizia etnica” degli Armeni dal Karabakh, senza che Baku subisse alcuna ripercussione americanaL’Unione Europea, d’altro canto, appare evidentemente più interessata ad importare ulteriore gas azero, per compensare la diminuzione di quello russo, piuttosto che alla sorte degli armeni del Karabakh e anche in Armenia si ritiene, da molti, non realistica (se no nulla) la possibilità di un ritorno in Karabakh degli sfollati armeni.

Per quanto riguarda in nostro paese, a inizio settembre, in una visita del presidente azero Aliyev a Roma, lo stesso, dopo un cordiale incontro con il presidente del Consiglio Meloni, ha rilevato che i rapporti tra i due paesi sono ottimali e che il nostro paese sia il primo partner commerciale azero.

Aliyev ha tenuto a confermare che l’Azerbaijan svolge un ruolo fondamentale per la sicurezza energetica dell’Europa e dell’ItaliaNon dimentichiamo che il gas azero arriva in Puglia e poi è distribuito in buona parte del “Vecchio Continente”.

Foto: presidenza del consiglio dei ministri / web / official web-site of the president of the republic of Azerbaijan

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Saranno traslate a Beirut le spoglie del cardinale Agagianian (Osservatore Romano 10.09.24)

Giovedì prossimo, 12 settembre saranno traslati a Beirut i resti mortali del servo di Dio cardinale Gregorio Pietro XV Agagianian (1895-1971). Annunciata di recente dal Patriarcato armeno cattolico di Cilicia, la traslazione riveste un grande significato per la comunità armena cattolica e per il popolo libanese. Durante una conferenza stampa svoltasi nei giorni scorsi presso la sede di Achrafieh, Beirut, il vescovo ausiliare Krikor Badishah ha spiegato che il trasferimento avverrà dalla chiesa romana di San Nicola da Tolentino, proseguendo poi per l’aeroporto internazionale di Fiumicino, passando per lo scalo della capitale libanese e concludere il percorso in piazza dei Martiri, dove alla presenza di diverse personalità religiose, politiche e sociali, si svolgerà la solenne cerimonia presieduta dal Patriarca catholicos Raphaël Bedros XXI Minassian, che ha promosso la Causa di beatificazione e canonizzazione, avviata con l’apertura dell’Inchiesta diocesana nel 2022.

Al termine, da piazza dei Martiri i resti del porporato saranno accompagnati in processione alla cattedrale armeno cattolica dei Santi Elia e Gregorio Illuminatore.

Noto per il suo impegno nella costruzione di chiese, scuole e orfanotrofi, il cardinale Agagianian gode ancora oggi di un ampio rispetto tra le diverse comunità in Libano. Il ritorno nella sua patria spirituale offre un’opportunità unica per rinnovare la fede e rafforzare i legami interconfessionali nel Paese (alessandra scotto).


Il Libano celebra la traslazione del cardinale Gregorio Pietro XV Agagianian il 12 settembre

Le spoglie del card. Agagianian arrivano a Beirut domani 12 settembre. Il cardinale armeno stava per diventare il primo Papa straniero (FarodiRoma)

Chiesa: le spoglie del card. Agagianian tornano a Beirut. Domani la cerimonia (Agensir)

Vaticano, i resti del quasi beato Agagianian trasferiti sul Roma-Beirut (sperando che faccia miracoli in Libano) (Il Messaggero)

Viva gli Armeni, viva gli Azeri (Corriere della Sera 10.09.24)

«Parevano buseta e botón», dice amara Antonia Arslan sui salamelecchi di pochi giorni fa a Roma tra Giorgia Meloni e il presidente azero Ilham Aliyev e il comunicato della premier sulla «natura strategica del partenariato tra le nostre Nazioni» e «il sostegno alla normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian». Certo, col bisogno energetico di gas che abbiamo la capa del governo potrebbe sospirare alla romana: «Che se deve fa’ pe’ campa’…». E la stessa scrittrice armena-padovana che esattamente vent’anni fa raccontò agli italiani e al mondo la tragedia del suo popolo nel libro «La masseria delle allodole» riconosce che a volte i rapporti internazionali sono legacci difficili da sciogliere. «Ma loro due parevano proprio “buseta e botón”, asola e bottone: capisco gli interessi, ma prostrarsi così…».

Né la pensano diversamente tanti italiani della diaspora armena sconvolti solo un anno fa, nel settembre 2023, dalla guerra con cui il satrapo accolto con tutti gli onori a Palazzo Chigi, figlio dell’ultimo segretario del partito comunista caucasico convertitosi al nazionalismo azero, occupò il Nagorno-Karabakh cacciando via 120 mila armeni che lì vivevano dai tempi in cui la Grande Armenia, primo paese al mondo ad adottare il cristianesimo, era conosciuta come «il regno dei tre mari» (Mediterraneo, Caspio, Mar Nero), oggi ridotto a uno staterello grande come il Piemonte. Una pulizia etnica che Recep Tayyip Erdogan (il quale nega il genocidio armeno del secolo scorso ma chiama «patrioti» i terroristi di Hamas autori delle stragi del 7 ottobre) ha salutato così: «Ci ha reso orgogliosi che l’Azerbaigian abbia portato avanti l’operazione militare in tempi brevi e col massimo rispetto per i civili». Testuale.

Ahi ahi…. Proprio Meloni nel 2020, infatti, dopo la guerra-lampo azera all’enclave armena tuonava indignata contro l’allora premier Conte reo di non intimare come Macron l’intervento Unesco per «proteggere il patrimonio culturale dei territori armeno cristiani del Nagorno Karabakh passati sotto pieno controllo azero». Una posizione ribadita mesi dopo ricordando «il massacro del milione e mezzo di armeni cristiani perpetrato dall’Impero Ottomano nel 1915» e prendendosela col leader di Ankara: «Mi chiedo e vi chiedo: è questa la Turchia che la Merkel e i burocrati di Bruxelles vorrebbero far entrare nell’Unione Europea? A me sembra una follia, voi come la pensate?». Bella domanda: cosa dobbiamo pensare, oggi?

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Armeni in Iran: godiamo della piena libertà religiosa (Iqna 10.09.24)

In un momento storico in cui l’Occidente ha scatenato una brutale aggressione mediatica e terroristica contro l’Iran, pubblichiamo il pensiero di una eminente voce controcorrente. L’arcivescovo armeno di Teheran, Sebouh Sarkissian ha dichiarato che gli armeni godono di tutti i diritti di un cittadino iraniano e possono osservare liberamente le loro cerimonie religiose.

Il governo iraniano riconosce i diritti di tutti i cristiani e i seguaci di Gesù Cristo possono osservare le loro cerimonie religiose, inclusa l’occasione propizia per l’anniversario di nascita di Gesù, ha dichiarato l’arcivescovo Sarkissian all’agenzia di stampa spagnola Efe.

Accogliendo la pace e la sicurezza dell’Iran tra la guerra e il caos in Medio Oriente, ha descritto la Repubblica Islamica come un Paese sicuro e stabile dove i cristiani godono della libertà religiosa e non sono mai stati oggetto di persecuzioni. Ha inoltre attribuito grande importanza al mantenimento del patrimonio culturale degli armeni in Iran, affermando che l’obiettivo di tutte le scuole, organizzazioni e chiese cristiane è quello di preservare l’identità religiosa e morale degli armeni.

Gli armeni costituiscono la maggior parte della popolazione cristiana iraniana (assiri, cattolici, protestanti e cristiani evangelici costituiscono il resto), che sono seguaci del ramo orientale ortodosso del cristianesimo e, come tale, celebrano il Natale per l’Epifania, il 6 gennaio.

Mentre i cristiani di tutto il mondo festeggiano il Natale, le festività natalizie si osservano anche in Iran, una nazione prevalentemente musulmana dove i cristiani rappresentano meno dell’1% della popolazione. Alberi di Natale decorati con luci e palline verdi e dorate vengono esposti dietro le vetrine o all’ingresso di diversi centri commerciali e hotel, specialmente nei quartieri cristiani di Teheran.

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Beirut rende omaggio alle spoglie del cardinale Agagianian (Vaticannews 10.09.24)

Giovedì 12 settembre il Libano sarà testimone di un evento eccezionale. Si tratta della traslazione dei resti mortali del Servo di Dio, che giungeranno all’aeroporto Internazionale Rafic Hariri, per concludere il percorso in Piazza dei Martiri, nella cattedrale armeno cattolica di Sant’Elia e San Gregorio Illuminatore

Vatican News

Il Patriarcato Armeno Cattolico di Cilicia aveva recentemente annunciato la traslazione dei resti mortali del Servo di Dio, il cardinale Gregorio Pietro XV Agagianian. Si tratta di un evento di grande significato per la comunità armena cattolica nel mondo e per il popolo libanese.

Krikor Bedros XV Agagianian è stato un cardinale di Santa Romana Chiesa e 15.mo Patriarca di Cilicia degli armeni cattolici. Fu ordinato prete il 23 dicembre 1917. Nominato Vescovo   l’11 luglio 1935 da Papa Pio XI ed eletto Patriarca di Cilicia degli Armeni cattolici dal Sinodo della Chiesa armeno il cattolica il 30 novembre 1937 con il nome di Krikor Bedros (Gregorio Pietro) XV. Il 18 febbraio 1956 Papa Pio XII lo creò cardinale assegnandoli il titolo di San Bartolomeo all’Isola. Noto poliglotta e giurista, Agagianian guidò in veste di prefetto, dal 18 luglio 1960 al 19 ottobre 1970, la Sacra Congregazione De Propaganda Fide. Morì il 16 maggio 1971 a Roma.

Il trasferimento dei resti mortali avverrà dalla Chiesa armena di San Nicola da Tolentino di Roma, proseguendo poi dall’aeroporto Internazionale di Roma Fiumicino Leonardo da Vinci all’aeroporto Internazionale di Beirut Rafic Hariri, per concludere il percorso in Piazza dei Martiri a Beirut. La cerimonia sarà presieduta da Sua Beatitudine Raphael Bedros XXI Minassian, Patriarca di Cilicia degli armeni Cattolici che aveva promosso la causa di beatificazione e canonizzazione, avviata con l’apertura dell’inchiesta diocesana nel 2022.

Sua Beatitudine Minassian seguirà personalmente ogni fase del trasferimento, viaggiando sullo stesso volo fino alla destinazione finale a Beirut, per garantire che ogni momento venga segnato dal dovuto rispetto e solennità. Oltre al Patriarca Minassian, parteciperanno alla cerimonia di accoglienza a Beirut, il primo inistro libanese Najīb ʿAzmī Mīqātī e diverse personalità religiose, politiche e della società civile. Questo evento rappresenterà un’opportunità per unire libanesi di tutte le confessioni, promuovendo l’unità nazionale e il dialogo interreligioso. Al termine della cerimonia, i resti del cardinale Agagianian saranno accompagnati in processione alla cattedrale armeno cattolica dei Santi Elia e Gregorio Illuminatore, dove saranno custodite nel sepolcro costruito di recente.

L’eredità di fede e amore lasciata dal porporato, che continua a ispirare i fedeli 53 anni dopo la sua morte, rappresenta un gesto di profondo rispetto e un invito alla comunità a vivere in accordo con i suoi principi di carità e servizio. Il cardinale Agagianian – noto per il suo impegno nella costruzione di chiese, scuole e orfanotrofi – gode di un ampio rispetto tra le diverse comunità in Libano. Il suo ritorno nella sua patria spirituale a Beirut offre un’opportunità unica per rinnovare la fede e rafforzare i legami interconfessionali nel paese.

In un’epoca caratterizzata da profondi cambiamenti, talvolta accompagnati da sfide dottrinali e morali, la figura di Agagianian incarna l’uomo di fede in cui si fondono grazia e natura; egli rappresenta così la nuova creatura di cui parla San Paolo nelle sue lettere. Definito come l’«homo Dei» di San Paolo, Agagianian incarnava la grandezza del sacerdozio e ne parlava con affascinante eloquenza. Era un missionario animato dalla carità di Cristo, pronto a sacrificare tutto, persino la propria vita, per il bene delle anime. In qualità di buon pastore, rifletteva la dolcezza di Cristo, mentre come apostolo conservava vivo il sensus Christi e il sensus Ecclesiae, attingendo dalla sorgente del cuore di Dio. Il suo esempio di integrità, spiritualità e dedizione fornisce una guida chiara, seppur silenziosa, sul percorso da seguire per la restaurazione di se stessi, della Chiesa e del mondo: la carità.


Saranno traslate a Beirut le spoglie del cardinale Agagianian (Osservatore Romano)

Giovedì prossimo, 12 settembre saranno traslati a Beirut i resti mortali del servo di Dio cardinale Gregorio Pietro XV Agagianian (1895-1971). Annunciata di recente dal Patriarcato armeno cattolico di Cilicia, la traslazione riveste un grande significato per la comunità armena cattolica e per il popolo libanese. Durante una conferenza stampa svoltasi nei giorni scorsi presso la sede di Achrafieh, Beirut, il vescovo ausiliare Krikor Badishah ha spiegato che il trasferimento avverrà dalla chiesa romana di San Nicola da Tolentino, proseguendo poi per l’aeroporto internazionale di Fiumicino, passando per lo scalo della capitale libanese e concludere il percorso in piazza dei Martiri, dove alla presenza di diverse personalità religiose, politiche e sociali, si svolgerà la solenne cerimonia presieduta dal Patriarca catholicos Raphaël Bedros XXI Minassian, che ha promosso la Causa di beatificazione e canonizzazione, avviata con l’apertura dell’Inchiesta diocesana nel 2022.

Al termine, da piazza dei Martiri i resti del porporato saranno accompagnati in processione alla cattedrale armeno cattolica dei Santi Elia e Gregorio Illuminatore.

Noto per il suo impegno nella costruzione di chiese, scuole e orfanotrofi, il cardinale Agagianian gode ancora oggi di un ampio rispetto tra le diverse comunità in Libano. Il ritorno nella sua patria spirituale offre un’opportunità unica per rinnovare la fede e rafforzare i legami interconfessionali nel Paese (alessandra scotto).


Vaticano, i resti del quasi beato Agagianian trasferiti sul Roma-Beirut (sperando che faccia miracoli in Libano) (Il Messaggero)

I resti mortali del quasi beato cardinale Agagianian, già potentissimo prefetto di Propaganda Fide ai tempi di Paolo VI, lasceranno per sempre Roma per essere trasferiti per sempre in Libano. La teca sigillata dal Vaticano e conservata nella chiesa armena di San Nicola di Tolentino, prima di essere imbarcata su un normale volo di linea Roma-Beirut, dovrà essere sottoposta a una specie di check-in, comprensivo di accurati controlli. Nonostante viaggerà nella stiva per ovvie ragioni, a bordo sarà presente una delegazione di ecclesiastici armeni a controllare che ogni fase organizzativa possa «garanre il dovuto rispetto e la solennità del momento».

A verificare personalmente gli interventi aeroportuali è il Patriarca degli armeni cattolici, Raffaele Minassian.

E’ lui che dopo avere promosso la causa di beatificazione a Roma, due anni fa, ha anche insistito per far traslocare in via definitiva il corpo di Agagianian in Libano, il paese in cui il porporato armeno aveva abitato per un certo periodo, prima di trasferirsi a Roma, luogo in cui poi morì nel 1971.

Ad accogliere a Beirut la teca del cardinale quasi beato ci sarà anche un ministro libanese oltre a diverse personalità politiche e religiose. «Questo evento rappresenterà un’opportunità per unire libanesi di tutte le confessioni, promuovendo l’unità nazionale e il dialogo interreligioso” ha spiegato Minassian, insistendo molto su questi aspetti. Resta sua convinzione che il venerabile Agagianian possa fare il miracolo di riunire i cristiani libanesi attualmente divisi in varie fazioni al punto da ostacolare con i rispettivi veti l’elezione di un presidente.

Vaticano, nuovo Sos per il destino di 120 mila cristiani armeni, il vescovo Minassian parla di crisi umanitaria grave

«Il suo ritorno a Beirut offre un’opportunità unica per rinnovare la fede e rafforzare i legami interconfessionali nel paese. In un’epoca caratterizzata da profondi cambiamenti, talvolta accompagnati da sfide dottrinali e morali, la figura di Agagianian incarna l’uomo di fede in cui si fondono grazia e natura» ha sottolineato Vatican News, avvalorando le aspettative del Patriarca armeno Minassian.

Nato nel 1895 nell’attuale Georgia, Agagianian aveva studiato a Roma. Nel 1937 fu eletto patriarca della Chiesa cattolica armena, prendendo il nome di Gregorio Pietro XV. Fu Pio XII a farlo cardinale e nel 1960 fu nominato da Giovanni XXIII Prefetto di Propaganda Fide. Durante il Conclave del 1963, che vide poi l’elezione di Paolo VI, egli fu considerato uno dei cardinali papabili, avvicinandosi seriamente al soglio pontificio. Successivamente Paolo VI lo volle come moderatore al Concilio Vaticano II.

 

 

 

 

 


 

Il Libano celebra la traslazione del cardinale Gregorio Pietro XV Agagianian il 12 settembre (Gaeta.it)

Giovedì 12 settembre, il Libano vivrà un momento di grande importanza spirituale e culturale con la traslazione dei resti mortali del Servo di Dio, il cardinale Gregorio Pietro XV Agagianian. Questo evento, intriso di significato per la comunità armena cattolica e per l’intero popolo libanese, rappresenta anche una straordinaria opportunità per promuovere l’unità e il dialogo interreligioso nel paese.

La figura di Gregorio Pietro XV Agagianian

Vita e carriera del cardinale

Krikor Bedros XV Agagianian, conosciuto come Gregorio Pietro XV, è stato un cardinale della Chiesa cattolica e il quindicesimo Patriarca di Cilicia degli armeni cattolici. Nacque il 4 settembre 1895 a Tabriz, in Persia, e il suo percorso di vita si è sempre contraddistinto per un forte impegno nella fede e nella comunità. Dopo essere stato ordinato sacerdote il 23 dicembre 1917, Agagianian ha proseguito il suo cammino ecclesiastico, venendo nominato vescovo il 11 luglio 1935 da Papa Pio XI. La sua ascensione al ruolo di Patriarca di Cilicia degli armeni cattolici avvenne il 30 novembre 1937 e successivamente, il 18 febbraio 1956, Papa Pio XII lo elevò al rango di cardinale.

La sua carriera è segnata dall’importante ruolo di prefetto della Sacra Congregazione De Propaganda Fide dal 1960 al 1970, dove ha dedicato anima e corpo alla diffusione della fede e alla promozione della cultura cattolica nel mondo. Morì il 16 maggio 1971 a Roma, ma la sua eredità spirituale continua a essere un riferimento per molti.

Un’eredità di carità e dedizione

Il cardinale Agagianian è ricordato come un poliglotta e un giurista, apprezzato per la sua capacità di comunicare e per il suo profondo impegno sociale. È stato un instancabile sostenitore della costruzione di chiese, scuole e orfanotrofi, mirando sempre a migliorare le condizioni di vita delle comunità svantaggiate. La sua figura incarna il concetto di carità cristiana, guidando fedeli e comunità verso un maggiore bene comune.

Evento storico della traslazione nel Libano

Dettagli del trasferimento

La cerimonia che segnerà il ritorno dei resti mortali del cardinale Agagianian avrà inizio dalla Chiesa armena di San Nicola da Tolentino a Roma, per poi seguire un itinerario che porterà il corpo all’aeroporto Internazionale di Roma Fiumicino. Da qui, un volo porterà i resti all’aeroporto Internazionale di Beirut Rafic Hariri, dove si svolgerà una solenne cerimonia di accoglienza. A tenere le redini dell’evento sarà Sua Beatitudine Raphael Bedros XXI Minassian, attuale Patriarca di Cilicia degli armeni cattolici e principale promotore della causa di beatificazione del cardinale.

La sua presenza durante il volo fino alla destinazione finale dimostra l’importanza che riveste questo momento tanto per la Chiesa quanto per la comunità armena in Libano. Il Patriarca guiderà ogni fase del trasferimento, garantendo che il processo venga eseguito con il massimo rispetto e solennità.

Celebrazione dell’unità nazionale

L’evento non sarà solo religioso, ma assume anche un significato politico e sociale. Tra i partecipanti ci sarà il primo ministro libanese Najīb ʿAzmī Mīqātī e diverse personalità religiose, politiche e sociali. Questo incontro rappresenta un’opportunità per riunire i libanesi, al di là delle loro confessioni religiose, promuovendo un messaggio di unità e collaborazione in un periodo storico in cui il dialogo interreligioso è più necessario che mai.

Una volta arrivati a Beirut, i resti del cardinale Agagianian saranno accompagnati in processione fino alla cattedrale armeno cattolica dei Santi Elia e Gregorio Illuminatore. Qui, saranno custoditi in un sepolcro recentemente costruito, dove la sua memoria potrà continuare a ispirare generazioni future.

Significato spirituale e sociale per il Libano

Un ritorno alle radici

Il rientro del cardinale Agagianian nella sua patria spirituale rappresenta un gesto di profondo rispetto e un invito rivolto alla comunità libanese per vivere secondo i valori di carità e servizio che lui ha incarnato. La sua vita e le sue opere continuano a rappresentare un punto di riferimento per tutti i fedeli, sottolineando l’importanza di una presenza attiva e positiva all’interno della società.

La figura di Agagianian come esempio di fede

In un periodo di sfide morali e dottrinali, il cardinale Agagianian emerge come un simbolo di dedizione. La sua spiritualità e il suo impegno per la comunità hanno lasciato un segno indelebile, facendo di lui una figura capace di unire diverse confessioni e di ispirare un genuino desiderio di pace. La sua integrità e il suo amore per il prossimo rappresentano un invito a tutti a riflettere sui propri valori e sul modo in cui ciascuno può contribuire al bene comune.

L’importanza di questo evento ecclesiastico e sociale rispecchia il desiderio di un mondo migliore, dove il dialogo e il rispetto reciproco siano protagonisti. La traslazione dei resti mortali del cardinale Agagianian è quindi più di una semplice commemorazione: è una celebrazione della vita al servizio degli altri, una testimonianza di fede e una fervente speranza per il futuro.