Slovacchia, il premier Fico: ‘Saremo ponte tra l’Azerbaigian e l’UE’ (Euractiv 08.05.24)

Durante il suo primo viaggio al di fuori dell’UE dopo la sua rielezione dello scorso anno, il primo ministro Robert Fico ha dichiarato che la Slovacchia vuole fare da ponte tra l’Azerbaigian e l’Unione europea. Ha visitato l’Azerbaigian nella speranza di sostenere l’economia slovacca e rafforzare le relazioni bilaterali.

“La Slovacchia vuole diventare un ponte tra l’Azerbaigian e l’Unione europea”, ha dichiarato Fico durante la conferenza stampa congiunta di martedì, alla quale ha partecipato anche il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, invitando Aliyev a visitare Bratislava.

“Vogliamo anche offrire all’UE informazioni obiettive sulla situazione nel vostro Paese”, ha aggiunto.

Il presidente dell’Azerbaigian, da parte sua, ha detto che la visita “rappresenta un nuovo capitolo nelle relazioni Slovacchia-Azerbaigian” e spera che il “percorso congiunto avrà molto successo”.

“Voi (Azerbaigian) siete un Paese sovrano e quando si parla di sovranità siete una nazione esemplare”, ha detto Fico ad Aliyev, aggiungendo che cercherà di applicare lo stesso approccio affinché anche la Slovacchia possa “condurre una politica estera sovrana”.

Aliyev ha anche notato che le aziende slovacche hanno iniziato a operare nel Nagorno-Karabakh: “Abbiamo parlato del funzionamento delle aziende slovacche nei territori liberati del Karabakh. Abbiamo un villaggio intelligente costruito da un’azienda slovacca”, ha detto il presidente.

“Il lavoro che verrà svolto dagli esperti slovacchi nei territori liberati, basato sui concetti di ‘smart city’ e ‘smart village’, che è all’altezza degli standard più moderni, porterà gioia alle persone che vi ritorneranno”, ha aggiunto il capo di Stato.

L’Armenia e l’Azerbaigian hanno combattuto due guerre per la regione del Nagorno-Karabakh all’inizio degli anni ’90 e nel 2000. Nel settembre dello scorso anno, le forze azere hanno lanciato un’offensiva, spingendo migliaia di armeni del Karabakh a fuggire in Armenia.

Taglio del gas russo

Durante la visita di Stato, Fico è stato accompagnato dal ministro dell’Economia slovacco Denisa Saková, dal ministro della Difesa Robert Kaliňák e dal ministro degli Esteri Juraj Blanár, oltre che da diversi uomini d’affari slovacchi.

Bratislava e Baku hanno discusso di una nuova cooperazione rafforzata in vari settori, tra cui la difesa e l’industria energetica.

“Attualmente l’Azerbaigian esporta gas in otto Paesi. Spero che la Slovacchia diventi il nono”, ha dichiarato Aliyev in una conferenza stampa.

Saková ha concordato che la Slovacchia “farà ogni sforzo per importare gas dall’Azerbaigian alla Slovacchia, in modo da diversificare le forniture e tagliarci fuori dal gas russo”.

Abbiamo la convinzione che saremo in grado di stabilire una cooperazione nel campo delle forniture di gas alla Slovacchia e all’Europa centrale e orientale”.

Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si è rivolta all’Azerbaigian nel luglio dello stesso anno, proponendo un accordo per aumentare le importazioni di gas naturale e sostenere l’espansione di un gasdotto.

L’obiettivo è quello di trovare fonti alternative di gas naturale per ridurre la dipendenza del blocco dall’energia russa.

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Armenia, un viaggio memorabile nella terra di monasteri (Ilgiornale 07.05.24)

La piccola nazione caucasica è stata “culla del Cristianesimo”. Manoscritti millenari e chiese antiche, ma anche natura, musica e una produzione vinicola risalente a 6100 anni fa

Testo e foto di Anna Maria Catano

Sorprendente Armenia.

Altipiani infiniti, paesaggi e montagne a perdita d’occhio, monasteri antichissimi, albicocchi, ciliegi, melograni. E l’Ararat con le sue cime innevate che simboleggia la storia millenaria e tormentata di questa piccola Repubblica caucasica dal cuore europeo. Indipendente dal 1991, stretta tra Turchia, Georgia e Azerbaigian.

Al mattino l’augurio è “Buona luce”, l’accoglienza all’ospite un dovere.

Un viaggio in Armenia, nel Caucaso meridionale, è un’esperienza memorabile, alla scoperta in una terra ancora vergine nonostante la sua millenaria cultura. Ma anche una meta turistica sicura che garantisce ogni tipo di confort e divertimento.

L’Armenia, questa sconosciuta.

L’Armenia storica era il Regno dei Tre mari (circa centomila km quadrati), la Cilicia d’epoca medievale. Ridotta oggi a soli trentamila km quadrati e senza sbocco al mare.

Eppure l’Armenia è stata la culla della Cristianità, religione di Stato dal 301 d.C., ben dodici anni prima dell’editto di Costantino. La prima Chiesa Cristiana Apostolica.

Simbolo religioso e storico dell’Armenia è il monte Ararat, attualmente in territorio turco.

Fu Stalin nel 1921, in epoca di dominio sovietico, a cedere quel territorio alla Turchia. Ma la vista, lo spettacolare panorama delle due cime innevate – il Grande Ararat (5165 metri) e il Piccolo Ararat (3914 metri) – si gode prevalentemente dal versante armeno. Dal monastero di Khor Virab, in particolare, la montagna è visibile in tutta la sua maestosità e bellezza. A testimonianza del legame indissolubile con il luogo dove, secondo la Bibbia, approdò l’arca di Noè dopo il diluvio universale. Fu tra gli altri Marco Polo a sostenere che si fosse incagliata proprio sull’Ararat. In tempi moderni spedizioni archeologiche confermarono la tesi.

Monasteri millenari, Libri Sacri.

“Non c’è futuro senza memoria”. Per secoli la parola d’ordine degli armeni fu: “Salvate i bambini e i Libri Sacri. Anche a rischio della vita”. Dai tempi di san Gregorio, fondatore della Chiesa Apostolica Armena. Così, grazie all’astuzia dei monaci, molti monasteri, arroccati in luoghi impervi e privi d’immagini per non urtare la furia iconoclasta dei vicini musulmani, evitarono la distruzione. Trasformati in magazzini o depositi prima sotto la dominazione ottomana e poi a causa dei sovietici che rasero al suolo larga parte delle chiese esistenti nel Paese.

Alcuni di quei mirabili monasteri in pietra oggi sono patrimonio Unesco. Come i khatchkar, croci scolpite nella pietra, incredibilmente simili ai ricami delle donne, che si vedono un po’ ovunque. Nelle abitazioni private, nei cimiteri, nelle pubbliche piazze.

Il monastero di Geghard, fondato nel IV secolo è in parte scavato nella roccia: qui c’era una lancia, portata dall’apostolo Taddeo, che trafisse il costato di Cristo. E poi il complesso di Khor Virap. E il pozzo, a sei metri di profondità, in cui San Gregorio l’Illuminatore, San Gregorio Armeno per gli italiani, fu imprigionato.

Spettacolare anche il Tempio di Garni, di architettura ellenistica, vicino alla gola del fiume Azat come la “Sinfonia di pietre”, inconsuete, impressionanti formazioni rocciose a forma di canne d’organo.

Yerevan, la capitale, città rosa perché costruita con il tufo locale dalle mille sfumature, è oggi un cantiere a cielo aperto. Ma anche luogo d’incontri, di movida, di vita notturna nei caffè alla moda e nei ristoranti gourmet che circondano Piazza della Repubblica. Lo stile architettonico è retaggio sovietico, la pavimentazione della grande piazza ripropone gli intrecci dei tappeti tradizionali armeni. Mentre le fontane danzanti si muovono a ritmo di musica. Nel museo di Storia dell’Armenia è conservato un calzare in cuoio risalente a 5000 anni fa ma resterete a bocca aperta davanti agli straordinari manoscritti antichi – più di 20 mila –  conservati nel Matenadaran, la Biblioteca, la più grande collezione di manoscritti in lingua armena al mondo. Opere iscritte nel Registro Internazionale della Memoria del Mondo dell’Unesco. Vangeli risalenti al V secolo, miniature preziose, codici antichissimi salvati a rischio della vita dalle incursioni ottomane. Testi in armeno, in greco, in ebraico, in persiano. Trattati di teologia, alchimia, astrologia, musica, geografia, medicina.

E poi salite alla Cascade, la monumentale scalinata in pietra bianca da cui s’ammira l’intera città. Nei giardini sottostanti sono esposte opere d’arte contemporanea. Il più grande spazio verde della capitale è però il Parco della Vittoria su cui troneggia Madre Armenia, un’enorme statua alta 22 metri con la spada in mano che guarda corrucciata verso il confine turco. Ospita un museo militare e la tomba del milite ignoto. E non perdetevi il Gum Market, il variopinto mercato coperto di frutta secca e spezie.

E qual suono vellutato e melanconico può esprimere meglio del piccolo duduk la nostalgia del popolo armeno? Il duduk, strumento a fiato simile all’oboe, costruito in legno di albicocco, è patrimonio Unesco. Karen Hakobyan, classe 1961, nato da una famiglia di musicisti, li costruisce e li suona. Il suo duduk è stato scelto per la colonna sonora di film famosi, Il Gladiatore e le Cronache di Narnia.

Karen narra anche la storia di un pianoforte abbandonato in strada, dall’inusuale colore rosso. Secondo una lettera ritrovata sembra appartenesse ai Romanoff, zar di Russia. E che fosse stato donato ai reali del Belgio prima di andar perduto. Così gli stessi sovrani, stupiti da questa vicenda, si sono recati in Armenia per rendere onore al pianoforte rosso e per sentirlo suonare assieme al duduk.

Tra Armenia e Italia l’amicizia è profondaAntonio Montalto, siciliano, già console, da trent’anni vive a Gyumri, l’Alexandropoli amata dalla zarina, moglie di Nicola I. Ha creato ospedali e maternità in Armenia e nel Nagorno Karabakh (quest’ultima bombardata dagli azeri nella guerra del 2020). Ha organizzato scuole di formazione in vari settori, artigianato e turismo culturale, scambi tra ospedali armeni e italiani e con le università. Oggi, in particolare, ha fondato una scuola di ceramica. “L’artigianato armeno è tra i migliori al mondo”, sostiene. Ultima sua iniziativa, oltre al recupero di case e palazzi per salvaguardare la bellezza dell’architettura tradizionale, è “Un turista, un libro”. Ovvero una piccola biblioteca di libri italiani. “Credo nella felicità e nel Paradiso in terra”, conclude.

Artigianato ed enogastronomia. Da secoli in Armenia si produce il pane lavash, sottile come un lenzuolo, cotto senza lievito in focolari interrati e dell’ottimo vino locale. In una grotta archeologica Areni-1 si visita una cantina vinicola datata a 6100 anni fa. La prima dell’umanità.

 “Mantenere la memoria”, sostiene Antonia Arslan, scrittrice, “è ciò che gli armeni chiedono”. E dunque un viaggio in questa terra straordinaria non può non concludersi sulla “collina delle rondini” al Memoriale del Genocidio armeno perpetrato dai Giovani Turchi nel 1915. Un periodo terribile, quello della prima pulizia etnica del Ventesimo secolo – non l’unico della storia armena che ha conosciuto dominazioni ottomane e sovietiche e recentemente la guerra con gli azeri – ma certamente il più drammatico. Per ricordare un milione e mezzo di persone mandate a morire nel deserto è stato costruito un Memoriale in pietra grigia. Dodici piastre inclinate su una fiamma perenne che il 24 aprile, Giornata del ricordo e festa nazionale, viene ricoperta da una montagna di fiori. Fino a scomparire alla vista. Accanto una grande stele alta 44 metri. Simbolo della rinascita e della forza del popolo armeno.

Per maggiori informazioni:

www.armenia.travel

@Tourism Committee of Armenia

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L’Armenia nuovo pomo della discordia nel conflitto tra est e ovest (Pressenza 07.05.24)

Abbandonata dalla Russia, l’Armenia cerca alleati in Occidente: un gesto altamente esplosivo.

Il vertice tra politici di alto livello dell’UE, degli USA e dell’Armenia, tenutosi il 5 aprile a Bruxelles, aveva lo scopo di dimostrare al mondo intero la solidarietà dell’Occidente nei confronti dell’Armenia. «Siamo qui per riaffermare il sostegno transatlantico alla sovranità, alla democrazia, all’integrità territoriale e alla resilienza socio-economica dell’Armenia», si legge nella dichiarazione congiunta, distribuita in precedenza ai media.

«Fianco a fianco con l’Armenia»

L’incontro, a cui hanno partecipato la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il Segretario di Stato americano Antony Blinken, l’Alto rappresentante della politica estera dell’UE Joseph Borrell e il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan, ha destato scalpore tra i governi di Russia, Turchia e Iran, le potenze della regione. Mosca ha parlato di un «atto ostile». E Teheran ha giurato di non permettere che «i complotti occidentali minino la sicurezza nella regione».

Le dichiarazioni pubbliche di Bruxelles non hanno sottolineato un’alleanza politica, ma solo economica: l’UE è «fianco a fianco» con l’Armenia, ha dichiarato von der Leyen, e ha annunciato un pacchetto finanziario quadriennale di 270 milioni di euro per il Paese. «Condividiamo la visione del popolo armeno per il futuro e vogliamo che l’Armenia prenda il suo posto come nazione forte e indipendente che vive in pace con i suoi vicini», ha aggiunto il Segretario di Stato americano. Anche lui ha fatto riferimento principalmente al sostegno economico degli Stati Uniti, che quest’anno raddoppierà quasi fino a 65 milioni di dollari.

L’Armenia, la più piccola repubblica del Caucaso meridionale, è perennemente minacciata dal suo potente vicino, l’Azerbaigian. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan si era recato a Bruxelles perché sperava innanzitutto di ricevere serie garanzie di sicurezza dai suoi interlocutori occidentali. Tuttavia, tali garanzie non sono arrivate, almeno non ufficialmente.

Pashinyan si è comunque detto fiducioso: l’incontro ad alto livello è stato considerato un chiaro segnale «dell’approfondimento del partenariato dell’Armenia sia con gli Stati Uniti che con l’Unione Europea». È una dichiarazione che esprime la possibilità di cambiare radicalmente la geopolitica della regione.

Il più fedele alleato di Mosca nel Caucaso meridionale

L’Armenia è stata l’alleato più fedele della Russia nel Caucaso negli ultimi cento anni. Ciò era dovuto principalmente a ragioni di autoconservazione: come ogni popolo che ha vissuto l’orrore del genocidio, gli armeni hanno un fortissimo desiderio di sicurezza. Dopo il genocidio del 1915-1917, quando i Giovani Turchi fecero uccidere oltre 1,2 milioni di armeni dell’Impero Ottomano, il popolo armeno ha sempre associato questa sicurezza esclusivamente alla Russia. Il loro credo era: solo un’Unione Sovietica forte o, meglio, una Russia forte, avrebbe potuto salvare gli armeni da un nuovo annientamento fisico. Così, anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’Armenia, unica repubblica del Caucaso meridionale, ha concesso a Mosca il diritto di avere basi militari sul suo territorio. Oggi circa 10.000 soldati russi sono di stanza in Armenia.

Il credo armeno è stato seriamente intaccato quando l’Azerbaigian, con il sostegno della Turchia, ha lanciato un’offensiva militare alla regione a maggioranza armena del Nagorno Karabakh nell’autunno del 2020, mentre la Russia è rimasta in disparte. Secondo una breve dichiarazione di Mosca, gli obblighi di alleanza della Russia erano circoscritti al solo territorio dell’Armenia. L’esercito armeno è stato poi sconfitto sul campo di battaglia.

La svolta di Mosca

Due anni dopo, l’Azerbaigian ha nuovamente sferrato un grave attacco, questa volta all’interno del territorio sovrano dell’Armenia, causando al suo vicino notevoli perdite territoriali e umane. Per la Russia e l’alleanza militare OTSC (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva), guidata da Mosca, si trattava di un caso di alleanza, ma ancora una volta nessuno dei due ha reagito. Non hanno neanche condannato l’aggressione senza scrupoli dell’Azerbaigian.

Mosca ha davvero cambiato schieramento geostrategico, come sostengono noti osservatori in Armenia e all’estero? La realtà è che un giorno prima che le truppe russe invadessero l’Ucraina, la Russia e l’Azerbaigian avevano firmato un accordo di «cooperazione strategica» globale tra i loro Paesi. Come risultato di questa “cooperazione strategica”, la Russia avrebbe utilizzato la rete di gasdotti dell’Azerbaigian e della Turchia dopo il 2022 per immettere i suoi materiali energetici sanzionati nel mercato mondiale: un affare molto redditizio per tutti e tre i Paesi.

La svolta armena

Tuttavia, è probabile che nessuna delle numerose sconfitte e perdite successive al 2020 abbia ferito l’animo armeno così profondamente come la vittoria azera nella regione del Nagorno Karabakh nel settembre 2023. Infatti, dopo il massiccio attacco dell’esercito azero al Nagorno Karabakh, di fatto indifeso, l’intera popolazione di origine armena – oltre 110.000 persone in totale – è stata costretta a fuggire. Gli armeni sono stati umiliati dal fatto che il presidente azero Ilham Aliyev ha assediato e fatto patire la fame per nove mesi la regione isolata del Nagorno Karabakh, mentre Mosca ha tollerato le sofferenze della popolazione in veste di spettatore non coinvolto. «Il nostro eterno protettore, la Russia, si era improvvisamente trasformato nella nostra minaccia numero uno», afferma lo scrittore Grigor Shashikyan. «Ciò è avvenuto nel momento in cui Pashinyan ha deciso la drammatica svolta geostrategica dell’Armenia», aggiunge l’analista politico Eric Grigorian.

Nell’ottobre 2023, il Parlamento armeno ha ratificato lo «Statuto di Roma» della Corte penale internazionale, nonostante contenga un mandato di arresto contro il presidente russo Vladimir Putin per presunti crimini di guerra in Ucraina. Nel febbraio 2024, l’Armenia ha annunciato che avrebbe congelato la sua partecipazione all’alleanza militare OTSC guidata da Mosca. A marzo, il capo del Consiglio di sicurezza nazionale armeno ha chiesto a Mosca il ritiro delle truppe di frontiera russe dall’aeroporto internazionale di Zvartnots, mentre il Ministero degli Esteri armeno, spinto dalle aspirazioni europee del suo popolo, ha promesso di accelerare il processo del cosiddetto «partenariato orientale» con l’UE.

Erevan sembra quindi voler superare tutte le linee rosse di Mosca. Nel 2008 – nell’ambito del partenariato orientale – all’Armenia, all’Azerbaigian, alla Bielorussia, alla Georgia, alla Moldavia e all’Ucraina è stata offerta l’opportunità di stringere legami più stretti con l’UE attraverso riforme politiche, economiche e giuridiche. Tuttavia, le guerre in Georgia e Ucraina dimostrano che la Federazione Russa non esita a usare la forza militare, se necessario, per impedire alla NATO e all’UE di espandersi fino ai suoi confini. Aveva il governo Pashinyan un’altra scelta se non quella di un confronto con Mosca? Era consapevole dei rischi derivanti dalla sua politica di rimanere senza alleati in questi tempi di guerra?

La tempesta si addensa sul Caucaso meridionale

Vartan Oskanian, ministro degli Esteri armeno tra il 1998 e il 2008, avverte di una «complicata danza Est-Ovest nel Caucaso meridionale». «La nostra situazione ha una strana somiglianza con quella dell’Ucraina. Abbiamo attraversato una prima fase di ucrainizzazione quando abbiamo perso il Nagorno Karabakh, e ora stiamo per entrare in una seconda fase in cui potremmo perdere ampie parti del territorio armeno», ha scritto Oskanian su Facebook dopo l’incontro di Bruxelles. «Le nostre alleanze si stanno sgretolando e i nostri avversari ci stanno col fiato sul collo come un branco di lupi affamati».

Oltre a Teheran e Mosca, anche Baku e Ankara hanno reagito con sdegno all’incontro di Bruxelles. Entrambi hanno descritto il coinvolgimento diplomatico di Washington e Bruxelles come una violazione della neutralità, poiché gli affari del Caucaso meridionale non riguardano né l’UE né gli USA.

Corridoio di Zangezur © freeworldmaps

A partire dal 2020, Baku e Ankara hanno rivendicato all’unanimità il cosiddetto «Corridoio di Zangezur» nel sud dell’Armenia. Quest’ultimo dovrebbe collegare la Turchia via terra con l’Azerbaigian e poi con le repubbliche di lingua turca dell’Asia centrale. L’autocrate dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sperano di realizzare un vecchio sogno: esportare la favolosa ricchezza di terre rare, energia e metalli preziosi dell’Asia centrale sul mercato mondiale, aggirando Russia, Cina e Iran e trasformando la Turchia e l’Azerbaigian in un hub per l’approvvigionamento energetico dell’Europa.

In teoria, l’Azerbaigian e la Turchia avrebbero potuto includere l’Armenia nei loro piani di utilizzo della «rotta del Zangezur», sull’esempio delle vie di trasporto merci dell’Europa occidentale, senza lunghi controlli alle frontiere ma nel rispetto dell’integrità territoriale del Paese. L’iniziativa di Erdogan e Aliyev, invece, è un progetto ultranazionalista, un progetto esclusivamente per il mondo turcofono. Pertanto, chiedono all’Armenia diritti extraterritoriali. Entrambi gli Stati non vedono nulla di riprovevole nell’uso di mezzi militari: ad Aliyev è stato chiesto, durante una conferenza dello scorso dicembre, se la pace potesse essere raggiunta attraverso la guerra: «Abbiamo dimostrato che esiste una soluzione militare al conflitto. Il conflitto nel Nagorno Karabakh è stato risolto».

«Né la regione né il mondo possono permettersi altre guerre»

La guerra in corso in Ucraina e la campagna militare dell’Azerbaigian in Karabakh sono «i due esempi più lampanti del disprezzo che gli autocrati di oggi nutrono per i diritti umani fondamentali e per le società pluralistiche», commenta la rinomata organizzazione per i diritti umani Freedom House nel suo studio Nations in Transition, pubblicato di recente. Freedom House, che ogni anno valuta le riforme politiche negli ex Stati comunisti in Europa e in Eurasia, consiglia agli Stati Uniti e all’Unione Europea di prendere in considerazione misure di dissuasione più credibili contro l’Azerbaigian. Altrimenti, l’appetito di Aliyev per ulteriori aggressioni potrebbe aumentare e destabilizzare l’Armenia, che dopo tutto è il «Paese più libero del Caucaso meridionale». Nella classifica di Freedom House, l’Azerbaigian è uno dei Paesi “meno liberi”, proprio come la Russia.

Una tempesta sta per abbattersi sul Caucaso meridionale. L’inattesa escalation del conflitto tra Israele e Iran non è di buon auspicio per l’Armenia: «Se Israele contrattacca l’Iran, la regione potrebbe facilmente trasformarsi in un campo di battaglia e noi ci saremmo proprio in mezzo», afferma lo scrittore armeno Grigor Shashikyan. Inoltre, un eventuale indebolimento dell’Iran porterebbe indirettamente a un indebolimento dell’Armenia. Nel conflitto sul Zangezur, l’Iran ha sempre sottolineato di essere l’unica potenza regionale a rispettare la sovranità dell’Armenia; inoltre, Teheran ha respinto qualsiasi modifica dei confini regionali.

Alla luce della guerra in Medio Oriente, il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha lanciato un appello urgente al Consiglio di Sicurezza per una de-escalation: né la regione né il mondo possono permettersi un’altra guerra.

E’ proprio vero! In questo contesto, la politica estera svizzera farebbe bene a concentrare la propria attenzione anche sul Caucaso meridionale e sull’Iran, oltre che sulla questione ucraina. Qualsiasi escalation provocherebbe un effetto domino che potrebbe portare alla destabilizzazione dell’Armenia e della Georgia e, in ultima analisi, dell’intero Caucaso meridionale.

‘Lo specchio armeno’ di Paolo Codazzi: presentazione alla Biblioteca Tognarini di Fiesole (Met.provincie 06.05.24)

 

Venerdì 10 maggio 2024, alle ore 18, presso la ‘Biblioteca comunale Ivano Tognarini’ di Fiesole (via Sermei 1), verrà presentato il romanzo di Paolo Codazzi ‘Lo specchio armeno’, edito da Arkadia. Dopo i saluti istituzionali, dialogherà con l’autore il Prof. Ugo Barlozzetti, critico d’arte e letterario. ‘Lo specchio armeno’ è un romanzo ricco di suggestioni, che affonda le sue radici in un passato a tratti lontano, a tratti vicino, in cui le esistenze dei personaggi narrati si incrociano dando vita a una storia originale e affascinante.

Trama. Il pittore-copista Cosimo Armagnati riceve la commissione di riprodurre un ritratto di donna conservato nella Galleria di Palermo: per straordinaria coincidenza, questa tela rappresenta per lui il punto di riferimento di tutti i suoi pensieri amorosi, definendosi come l’obiettivo di una lunga ricerca, tutta astratta e interiore, dell’amore assoluto e per questo inattingibile. Il quadro si rivela il punto di convergenza di diversi destini, anche lontanissimi nel tempo, che portano Cosimo a immergersi in una intricata tela di riferimenti che hanno a che fare con la pratica della stregoneria, con l’operato della Santa Inquisizione in Sicilia e con il vissuto di alcune figure storiche che sono collegate in modo indissolubile con il protagonista e con coloro che gli ruotano intorno.

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“Una famiglia armena”, a Borgaro l’emozionante e intenso libro di Laura Ephrikian. Arte e solidarietà (Nonsolocontro 06.05.24)

“Una famiglia armena” di Laura Ephrikian è il titolo del libro con la prefazione di Valter Veltroni, che sarà presentato mercoledì 8 maggio alle 17 al ristorante “La Perla” (via Gramsci 113)  a Borgaro.

L’autrice è la notissima attrice nota al grande pubbblico per i celebri “Musicarelli” e per il suo matrimonio con Gianni Morandi da cui sono nati due figli Marianna a Marco.

Laura Efrikian (come è nota a tutti), nata a Treviso,  è molto di più: attrice di teatro, cinema, televisione, pittrice, scrittrice e da 20 volontaria in Kenya,  nel libro racconta gli anni della sua giovinezza, i suoi antenati armeni, la storia della modifica al suo cognome così particolare che fin da piccola ha caratterizzato il suo rapporto con le persone.

Attualmente vive a Roma, ma trascorre lunghi periodi in Kenya  e di tanto in tanto ritorna nella sua Treviso dove ancora vive suo fratello Gianni, musicista, compositore e direttore d’orchestra come lo era suo padre Angelo, biondissimo e con quegli occhi azzurri che lei «piccola e nera» ha sempre invidiato, ma che geneticamente, quasi come un “dono” sono passati a sua figlia Marianna.

L’idea di questo libro – le memorie della sua famiglia – è nata dopo la lettura delle lettere che nonno Akop, quel nonno armeno diventato italiano dopo la guerra scriveva a nonna Laura. Nel pagine che scorrono veloci quasi come in uno dei tanti film di cui è stata interprete c’è il recupero, pieno di orgoglio, di quelle radici famigliari così particolari di cui  Laura racconta pagina capitolo dopo capitolo sentendosi anche parte di un popolo «duro da scalfire come la roccia», vittima del primo genocidio del XX°secolo  di cui il mondo si è macchiato in un colpevole silenzio.

Il pomeriggio letterario sarà introdotto dall’assessore Eugenio Bertuol cui faranno seguito i saluti del sindaco Claudio Gambino e poi spazio alle parole di questa grande donna che dopo la parentesi cinematografica ha saputo reinventarsi con cretività e impegno offrendo anche il suo tempo come volontaria in Kenya per migliorare la vita di quei bambini.

Ingresso libero e in conclusione aperitivo con buffet.

Il libro di Laura Ephrikian sarà anche presente al Salone Internazionale del Libro di Torino in programma dal 9 al 13 maggio.

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ARMENIA: Vivere a Yerevan, tra Gayropa e il carovita (Eastjournal 06.05.24)

Nelle strade di Yerevan, la capitale armena, si intrecciano interessi geopolitici e propaganda russa, mentre la vita degli abitanti si fa più dura a causa delle conseguenze della guerra in Ucraina e dell’inflazione.

DA YEREVAN – “Ci piacerebbe ma siamo troppo diversi”, così risponde Nikola, giovane armeno, quando gli chiediamo cosa penserebbe se il Paese entrasse nell’Unione Europea. “In Europa è normale vedere due uomini baciarsi in pubblico, ragazze con minigonne cortissime e bambini che denunciano i propri genitori. In più quasi tutti gli europei sono gay, noi no!”.

Catene mentali russe 

Frasi simili si sentono in continuazione per le strade di Yerevanstereotipi assurdi in cui moltissime persone credono e che ripetono perentoriamente. Un turbinio di luoghi comuni che mistificano la realtà, riproponendosi con diverse sfumature in tutto il Paese.

Sono gli effetti della propaganda di Putin, spiega Armen, emigrato per 32 anni in Russia ed ora rientrato a Yerevan. La macchina comunicativa del Cremlino mira a descrivere gli europei come un popolo debole, fatto di uomini gay e effeminati, a cui si contrappone il forte e rude uberman russo. Per denigrare il vecchio continente è stato addirittura coniato un termine: Gay-vrop (traducibile come Euro-gay, o Gayropa), un gioco di parole che fonde l’identità europea con quella omosessuale, secondo banali schemi omofobi.

L’eco della propaganda russa in Armenia è forte, un retaggio sovietico ancora in voga che permea la società con l’obbiettivo di influenzare il dibattito pubblico. Mosca vuole rimanere il punto di riferimento culturale e valoriale per i paesi dell’ex-Urss e il posizionamento geopolitico di Yerevan non fa eccezione.

Secondo Sara, giornalista armena esperta di comunicazione, l’ingresso in Unione Europea porterebbe molteplici vantaggi, sia economici che di sicurezza nazionale: “Sarebbe un netto miglioramento per la vita del Paese e ne sono consapevoli anche i sostenitori della becera propaganda russa”, continua, “posti di fronte alla concreta prospettiva di entrare in UE, si dimenticherebbero immediatamente di tutte queste sciocchezze e accetterebbero di buon grado”.

Putin sa che sfruttare l’omofobia è una strategia vincente in Armenia, in quanto si tratta di un sentimento diffuso e tangibile. I membri della comunità LGBTQ+ non hanno vita facile, tra stigma sociale e discriminazione istituzionale. Harutyun, presidente dell’ONG Equal Youth, ci conferma che “gli omosessuali sono dichiarati incompatibili con la vita militare e non possono servire nell’esercito”.

Nonostante questa e altre forme di discriminazione, paradossalmente, l’Armenia è il paese del Caucaso in cui è meno pericoloso vivere per un omosessuale e a Yerevan si stanno verificando timidi miglioramenti su questo fronte. Infatti, a gennaio c’è stato il primo caso in cui l’Armenia si è rifiutata di estradare un cittadino omosessuale in Russia, dove il governo conduce da diversi anni una feroce campagna contro gli omosessuali.

Sergey [nome di fantasia, ndr] ci conferma il regime di discriminazione che vige in Russia, dove ha vissuto fino a poco fa. Giornalista ceceno di 40 anni, Sergey ha condotto una vita normale fino a quando è stato scoperto ad intrattenere una relazione sentimentale con un altro uomo. Da un giorno all’altro è costretto a mollare tutto e fuggire, prima in Georgia e poi in Armenia, in attesa di trovare un modo per raggiungere l’Europa. Ancora sotto choc, Sergey racconta la sorte che molto probabilmente sta affrontando il suo compagno, di cui non ha notizie da quando è fuggito, sorte che sarebbe toccata anche a lui se non fosse riuscito a scappare in tempo.

Una delle possibilità è che venga processato, dal momento che in Russia il movimento LGBTQ+ è stato classificato come estremista e illegale, e i suoi presunti esponenti possono essere condannati fino a 12 anni di detenzione. Nella peggiore delle ipotesi, invece, l’imputato sparisce nel nulla. Senza mezzi termini Sergey afferma: “da noi la polizia uccide, la gente lo sa”.

Sergey è disperato, l’omosessualità è uno stigma anche per la sua famiglia che da settimane non esce più di casa per la vergogna; l’unica speranza che ha di rifarsi una vita dipende dalla possibilità di riuscire ad ottenere un visto per un paese europeo.

Turisti europei, lavoratori indiani, esuli russi, sfollati del Karabakh

Mentre parliamo, dall’Europa che sogna Sergey, giungono nella capitale armena aerei pieni di turisti che percorrono il tour del Caucaso: Yerevan-Tbilisi-Baku. “Molto spesso vengono solo per mettere una bandierina sulla cartina e si fermano uno o due giorni, senza interessarsi a dove si trovano”, racconta Armen, “non conoscono la nostra storia e attraversano, ignari, confini bagnati da sangue ancora caldo, per noi impercorribili da più di trent’anni”.

Quando i turisti in cerca di divertimento arrivano a Yerevan, devono però contendersi i posti negli ostelli con i lavoratori indiani e gli esuli russi che lavorano nel Paese da anni senza riuscire a permettersi un appartamento in affitto. La capitale, infatti, sta attraversando una profonda emergenza abitativa, principalmente dovuta alle ripercussioni della guerra in Ucraina ed al turismo. Sono moltissimi i russi che, allo scoppio della guerra, si sono trasferiti in Armenia per sfuggire alla mobilitazione generale.

Qui possono vivere tranquillamente senza bisogno di visti, tutti conoscono il russo ed il loro potere d’acquisto è notevole grazie al cambio favorevole. Non solo, anche numerosi imprenditori e professionisti russi hanno trapiantato le proprie attività a Yerevan, dove conducono i propri affari per conto di aziende e società formalmente armene, aggirando così le sanzioni europee senza troppe difficoltà.

Inoltre, a questo flusso consolidato si è aggiunta anche una buona parte dei centomila sfollati del Nagorno Karabakh, riparati a Yerevan dopo la dissoluzione della Repubblica nel settembre 2023.

Affitti e inflazione, la vita a Yerevan è sempre più dura

La somma di queste dinamiche influisce sul mercato immobiliare di Yerevan, dove gli affitti sono ormai simili a quelli che si trovano nelle città dell’Europa occidentale, nonostante il reddito complessivo del 60% delle famiglie armene non supera gli 800 dollari al mese. Trovare un appartamento di 50 mq in periferia a meno di 450-500 dollari è praticamente impossibile, per  non parlare della zona centrale, dove gli affitti sono aumentati anche del 300%.

A rincarare la dose sulle tasche degli armeni è stata anche l’ondata inflazionistica degli ultimi due anni che, sulla scia delle economie occidentali, non ha risparmiato il Caucaso. Basta vedere gli scaffali dei supermercati che riportano prezzi paragonabili a quelli italiani, o addirittura maggiori per i prodotti d’importazione.

Dal punto di vista economico la vita nella capitale armena è sempre più dura per chi percepisce uno stipendio armeno, nonostante nel 2023 il PIL sia cresciuto dell’8,7%, un dato evidentemente  distorto dal turismo e dalle aziende russe stabilitesi in Armenia, attività che non generano lavoro di qualità e redistribuzione della ricchezza.

Alla luce di queste problematiche è possibile comprendere la disillusione dei cittadini di fronte alle promettenti stime di crescita economica del governo armeno. Stretti tra una Russia che non vuole cedere la propria influenza regionale e un’Europa ancora troppo lontana dalla vita quotidiana, gli armeni si ritrovano impoveriti e dal futuro incerto.

In copertina: foto di Yerevan scattata dall’autore

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Incontro Armenia-Azerbaigian il 10 maggio a Almaty (Ansa 06.05.24)

BRUXELLES – I ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian, Ararat Mirzoyan e Bayramov Jeyhun, si incontreranno ad Almaty, in Kazakistan, il 10 maggio.

Lo annuncia la portavoce del ministero degli Affari Esteri armeno, Ani Badalyan, via X.

Sospeso dall’ottobre 2023, invece, il tradizionale formato trilaterale che vedeva le leadership dei due Paesi incontrarsi a Bruxelles con la mediazione del presidente del Consiglio UE, Charles Michel.

L’incontro di Almaty arriva mentre la commissione interstatale Azerbaigian-Armenia sulla delimitazione dei confini reciproci si è incontrata diverse volte negli ultimi mesi, portando all’accordo sul primo punto di demarcazione lo scorso marzo.

Tra Armenia, Georgia e Azerbaigian: terza puntata di “On the road again” (Liberta.it 05.04.24)

Nella terza puntata del nuovo format di Telelibertà, “On the road again”, in onda domenica 5 maggio, alle 20.10, il viaggiatore e videomaker Roberto Salini conduce il telespettatore alla scoperta di panorami mozzafiato che abbracciano un’ampia regione, dal Caucaso fino alle rive del Mar Caspio.

IN VIAGGIO TRA ARMENIA E AZERBAIGIAN

Con la sua maestria nel raccontare storie attraverso l’obiettivo della telecamera, Salini ci condurrà in un viaggio indimenticabile, in cammino tra Armenia e Azerbaigian, dall’incredibile monastero accanto al biblico monte Arat, in Turchia, fino a Baku, passando per la Georgia.

INTRECCIO DI CULTURE

Focus interessante sulla capitale dell’Azerbaigian, Baku appunto, la più grande città e il più grande porto del Paese e di tutto il Caucaso. Un affascinante crocevia di culture e influenze. Qui, le trame orientali si intrecciano con gli influssi occidentali, creando un ricco tessuto urbano caratterizzato da una suggestiva mescolanza di stili architettonici. Tra le sue strade, si possono ammirare le eleganti linee gotiche che si fondono armoniosamente con le sfumature barocche, dando vita a un orizzonte urbano unico e affascinante.

ESPERIENZE PER TUTTI I SENSI

I viaggi di Salini diventano un’esperienza che coinvolge tutti i sensi, un meraviglioso gioco di incastri dove i costumi e le tradizioni si mescolano, arricchendo il bagaglio di conoscenze. Ogni città, ogni villaggio ha la sua storia da raccontare, i suoi segreti da svelare, e ogni passo lungo i sentieri del mondo è un passo verso la scoperta di sé e del prossimo.

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Snap di Rosa Linn (Eurovision 2022 Armenia) supera il miliardo di streaming Spotify (Eurofestivalnew 04.05.24)

Per la seconda volta nella storia dell’Eurovision una canzone sfonda la quota del miliardo di riproduzioni in streaming su Spotify. A raggiungere tale traguardo è “Snap” di Rosa Linn, che abbiamo ascoltato proprio di recente al Concerto del Primo Maggio a Roma.

Prima di “Snap”, solo “Arcade” di Duncan Laurence (Paesi Bassi 2019, canzone vincitrice) è riuscita a superare questa quota e si trova oggi oltre un miliardo e 150 milioni di riproduzioni.

Rosa Linn e la fama di “Snap”

L’artista gareggiò per l’Armenia all’Eurovision 2022 di Torino, cantando per ottava e classificandosi al 20° posto. “Snap”, però, iniziò a circolare vorticosamente su TikTok, diventando virale e dando all’artista un successo clamoroso.

I dischi di platino sono piovuti in ogni dove, e in Italia ad oggi se ne contano ben quattro, più di quanto abbia mai fatto qualunque entry eurovisiva non dell’Italia.

Rosa Linn e il legame con l’Italia

Di “Snap” esiste anche la versione con versi in italiano, eseguiti da Alfa. Proprio lui ha invitato l’artista armena in parte del proprio tour, che tra gli altri ha toccato proprio il Pala Olimpico di Torino, che oggi è noto come Inalpi Arena, sede dell’Eurovision 2022.

S’è detto anche del Concertone, che quest’anno è stato spostato dalla tradizionale location di Piazza San Giovanni al Circo Massimo. A Rosa Linn è stato concesso spazio in prima serata, a conferma di un’attenzione davvero importante e anche giusta per il suo successo.

Numerosissimi sono stati gli attestati di affetto di Rosa Linn per l’Italia attraverso i social. E non è neanche un caso che, tra le canzoni eseguite nella parte di tour di Alfa in cui è stata invitata, ci fosse “Fai rumore” di Diodato, da lei molto amata. Ancora oggi sul suo Instagram si può vedere il momento in cui lei canta mentre l’artista pugliese si esibisce sul palco torinese in uno degli interval act di maggior presa della storia recente del concorso.

Distrutta la chiesa di San Giovanni Battista in Nagorno Karabakh (AciStampa 03.05.24)

È terminata proprio nei giorni di commemorazione del genocidio armeno la distruzione della chiesa di San Giovanni Battista a Shushi, in Nagorno Karabakh, la regione che nell’antica denominazione armena viene conosciuta come Artsakh. La demolizione è stata ordinata dal governo azerbaijano, che pure da quando ha il controllo della regione ha sottolineato di non voler distruggere niente, e anzi di voler restaurare e migliorare le infrastrutture esistenti, trattando tutti da cittadini eguali.

Eppure, la distruzione della chiesa, documentata da immagini satellitari diffuse da L’Oeuvre d’Orient, l’associazione francese che si occupa dei cristiani di oriente, dà corpo al terrore più grande per gli armeni, che è quello di un “genocidio culturale” in atto nel Nagorno Karabakh, territorio conteso all’Azerbaijan e ricaduto sotto il controllo di Baku dopo il recente conflitto e una pace dolorosa firmata dall’Armenia. Una pace che ha messo in luce un possibile pericolo per i monasteri cristiani presenti nel territorio passato sotto il controllo azerbaijano.

L’Oeuvre d’Orient, nel diffondere le immagini – ha sottolineato che “è imperativo che la comunità internazionale condanni fermamente questi atti di distruzione e negazione della storia” e ha chiesto “un’azione concertata per garantire la protezione dei beni culturali e religiosi delle comunità della regione, in conformità con la Convenzione dell’Aja del 1954 ratificata dall’Azerbaijan nel 1993”.

La chiesa di San Giovanni Battista è conosciuta come Kanach Zham, ovvero cappella verde, con riferimento alle cupole precedenti della chiesa, di colore verde.

La chiesa è stata costruita nel 1818, nello stesso luogo in cui si trovava la chiesa di legno Gharabakhtsots. Era disegnata secondo un unico schema cruciforme, con la facciata orientale adiacente alla parte occidentale della cappella, mentre l’alta cupola della Chiesa e la sua cappella potevano essere chiaramente viste a distanza lungo la città. Anche gli interni della chiesa avevano alcune unicità architettoniche.

Intorno al novembre 2020, fu riportato da fonti armene e non che le torri della chiesa erano state distrutte dopo che Shushi era stata conquistata dalle trutte Azerbaijane. Il danneggiamento della chiesa è stato condannato dalla Chiesa Madre di Etchmiadzin.

Nel febbraio 2021, alcune immagini satellitari mostrarono che la Chiesa era stata ulteriormente deteriorata. Da parte azerbaijana, fu negata la distruzione della chiesa, negando anche l’eredità culturale degli armeni, e anzi sostenendo che la chiesa veniva dalla Russia e fu armenizzata solo negli anni intorno al 1840.

Anche l’Eparchia di Baku della Chiesa Ortodossa Russa aveva affermato che la chiesa sarebbe comunque rinnovata, e dei video della BBC mostravano che la chiesa era in visibile rinnovamento.

Ma il 18 aprile, il Caucasus Heritage Watchun gruppo armeno di supervisione dei monumenti di accademici delle università Purdue e Cornell, hanno mostrato che la chiesa è stata completamente distrutta.

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