La Russia sembra voler punire la Svizzera per la sua posizione nella guerra in Ucraina. Il Cremlino sta valutando la possibilità di trasferire i colloqui sul Caucaso meridionale da Ginevra a un altro Paese, ha dichiarato la portavoce del Ministero degli Esteri russo.
«La Russia è costretta a sollevare la questione del trasferimento dei colloqui sulla regione del Nagorno-Karabakh, nel Caucaso meridionale, dalla Svizzera a un altro Paese», ha precisato oggi la portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova all’agenzia statale Tass.
«Abbiamo ripetutamente avvertito la Svizzera che la sua posizione irresponsabile e apertamente ostile nei confronti della Russia è contraria alla neutralità», ha aggiunto la portavoce. Zakharova ha citato la partecipazione della Svizzera alle sanzioni contro la Russia e la sua «solidarietà illimitata con il regime di Kiev».
Alla luce di ciò, la Russia si sente costretta a considerare la questione del trasferimento dei colloqui internazionali sulla sicurezza e la stabilità nel Caucaso meridionale verso un altro Paese. La Russia è favorevole a un Paese «le cui autorità non intraprendano azioni che danneggino gli interessi di nessuno dei partecipanti a questo formato negoziale».
Offensiva dello scorso autunno
La portavoce del Ministero degli Esteri russo ha spiegato che diversi altri Stati si sono già detti disposti ospitare le riunioni periodiche di discussione.
La regione del Nagorno-Karabakh all’interno dell’Azerbaigian, popolata prevalentemente da armeni, è stata per molti anni oggetto di contesa tra Baku ed Erevan. Lo scorso autunno, con una sorprendente offensiva, l’Azerbaigian ha conquistato l’enclave. La Repubblica del Nagorno-Karabakh, non riconosciuta a livello internazionale, è stata sciolta il 1° gennaio 2024. Migliaia di armeni hanno lasciato la regione.
I colloqui per la pace e la risoluzione del decennale conflitto si sono recentemente arenati. Negli ultimi anni si sono svolte a Ginevra numerose discussioni diplomatiche tra le parti in conflitto.
Va ricordato che la Confederazione si impegna da anni a favore della pace nel Caucaso meridionale. Nell’ambito del suo mandato in qualità di potenza protettrice, la Svizzera rappresenta dal 2009 gli interessi diplomatici della Georgia a Mosca e gli interessi della Russia a Tbilisi.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-04-14 18:43:122024-04-15 18:44:41Mosca potrebbe trasferire i colloqui sul Caucaso da Ginevra in un altro Paese (Bluwin 14.04.24)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 12.04.2024 – Renato Farina] – Miracolosamente (uso questa parola con cognizione) mi sono apparse tra le mani due testimonianze, dopo un soprassalto di disperazione. La quale è giustificabile osservando i fatti, ma è ingiustificabile se si vede la storia com’essa in fin dei conti è: nelle mani di Dio, a cui sempre noi uomini stupidi cerchiamo di portargliela via, gettandola a terra e calpestandola.
Mi sono seduto sul bordo del lago di Sevan, ai confini orientali della Repubblica di Armenia, vicino ai villaggi dei miei antenati Molokani. Le notizie che attingo dai social e dalle lettere di miei amici Italiani sono angoscianti. Il miglior cronista è di sicuro Leone Grotti di Tempi, su Tempi.it, cui il direttore Emanuele Boffi mi ha generosamente abbonato, trovo il suo articolo del 22 marzo. Fornisce le prove introvabili altrove della determinazione attuale dell’Azerbajgian, condotto con mano rapace e insieme ricca di gas del dittatore imperialista Turco-KGB, Ilham Aliyev, di impossessarsi con il consenso silente di Russia e Occidente di tutto il territorio storico e identitario dell’Armenia. Ben più della metà fu incorporato dalla Turchia dopo che si disfece l’Impero ottomano, una piccola parte, dopo aver gustato l’indipendenza per un lasso di tempo breve, fu incapsulata nell’Unione Sovietica. Almeno però mantenendone il nome e la lingua e – seppur perseguitata – la fede vivissima del popolo minuto e di alcuni grandi preti e intellettuali.
Stalin, beffardamente, assegnò l’Artsakh, (Nagorno-Karabakh) con quattrocento monasteri e migliaia di kachkar (croci di pietra), alla Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian, comandato negli anni 70-80 dalla famiglia Aliyev per conto di Breznev e del KGB. Costoro furono sconfitti, prima da un referendum e poi da una resistenza ahimè sanguinosa, e costretti a recedere dai loro disegni, finché due guerre di aggressione lo riconsegnarono alle fauci di Aliyev e del suo alleato Turco Erdoğan, con annessa la deportazione-genocidio dei 120mila Armeni di questa terra. (Lo so che l’ho già scritto, ma la realtà è ostinata. E qualcuno è bene che la ricordi).
Ora l’Azerbajgian esige la consegna di 8 villaggi nel territorio dell’Armenia. O così o la guerra totale. Il governo armeno è come seduto su un’altalena. Un giorno nega assolutamente la possibilità di questo cedimento al ricatto. Il giorno dopo si mostra possibilista nel consegnare alla sovranità azera questo o quel territorio consegnando i suoi fratelli lì abitanti alla disintegrazione dell’esodo, in nome di una constatazione realistica: perché se Baku dà guerra la sua strapotenza ci annienta e perdiamo tutto, perché nessuno muoverà un dito. È realismo, certo. Ma è realismo storico quello che applica alla geopolitica la saggezza popolare dei proverbi per cui “chi si fa agnello, il lupo lo mangia”. Oddio che speranza c’è, allora, se dovunque ci si giri, il panorama è la morte fisica da una parte e dall’altra la fine della libertà dell’identità di nazione e di comunicazione della propria fede? Accontentarsi di essere come Israele nell’Egitto dei faraoni, nutrendosi di cipolle e albicocche, che Dio ce le conservi fragranti come da nessuna parte dell’universo, ma sottoposti a giannizzeri del gran visir?
Qualcuno che tratti per noi le condizioni di una esistenza degna di uomini e donne, facendo valere il diritto essenziale invece che quello della forza sia pure avallata da giuristi con le parrucche della corruzione?
L’Occidente e in primis l’Italia, in lite con l’aggressore Putin fino alle soglie della guerra atomica, è infatti incredibilmente alleato con la Russia nell’affidare una guerra per procura al consorzio azero-turco per eliminare dalla faccia della terra l’anomalia del popolo armeno e dello Stato che ne garantisce il minimo sindacale di una sopravvivenza fisica e morale. Ne abbiamo avute fin troppe prove. Il doppio standard del governo italiano e della Commissione Europea è terrificante per ipocrisia e faccia tosta.
Eppure. Eppure, esiste qualche gesto dal basso, la responsabilità di alcuni che scuote le montagne, e io lo chiamo miracolo.
Teresa Mkhitaryan è una signora Armeno-Svizzera, che non si stanca di accorrere dai 120mila miei fratelli dell’Artsakh ora accolti a Yerevan e in altri luoghi come sfollati. Porta quello che può. È stata intervistata dalla televisione della Svizzera Italiana, e dopo aver visto i volti tristi ma luminosi di quei bambini e di quei vecchi strappati alla loro terra è sicura che “torneranno nel loro paradiso” adesso confiscato dal tiranno, ma non durerà, e invita gli altri – popoli e singoli – ad avvicinarsi fisicamente e spiritualmente a questo popolo imparando che “le cose più belle della vita non si comprano”. Sono un miracolo questi profughi estirpati dalla loro terra e però fioriti come la croce degli armeni, che presagisce sempre, con ciuffi e germogli che sbucano dal legno e dalla pietra, la resurrezione.
Il secondo miracolo? Un libriccino mi fa scoprire che gli Zingari sono parte vivente e martirizzata del genocidio armeno datato 1915. Erano tra i sette e i ventimila: sono stati soppressi dai Turchi perché non accettarono di convertirsi all’Islam. Sono anch’essi tra i santi canonizzati dalla Chiesa Apostolica Armena. A noi Armeni ci salveranno questi Zingari. Perché, se aspettiamo voi, stiamo freschi.
Il Molokano
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di aprile 2024 di Tempi.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-04-12 14:03:052024-04-14 14:04:10Solo un miracolo potrà salvare l’Armenia e gli Armeni. Venga il Papa a Yerevan! Fa tardivamente in tempo (Korazym 12.04.24)
‘Il dramma e il fascino del popolo armeno’ è il titolo dell’iniziativa in programma venerdì 19 aprile alle 21 nella sala dell’oratorio San Rocco (chiesa di Valverde), di fronte alla palestra Savonarola. L’evento è organizzato dall’oratorio di San Giacomo di Imola. Protagonisti due importanti relatori: Aldo Ferrari, docente di Storia dell’Eurasia, del Caucaso e dell’Asia centrale e letteratura armena all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove dirige l’Osservatorio di politica e relazioni internazionali, parlerà di ‘Armenia tra passato e presente’; Pietro Kuciukian, console onorario della Repubblica d’Armenia a Milano, affronterà invece il tema ‘La ricerca dei Giusti per gli armeni’. Modera Anna Lia Guglielmi. “Perché interessarci del popolo armeno? La curiosità – spiegano gli organizzatori – ci ha spinto, sotto il silenzio universale, a capire il passato e il presente di questo piccolo popolo perseguitato”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-04-12 14:01:142024-04-14 14:15:54Incontro dedicato all’Armenia (Il Resto del Carlino 12.04.24)
L’assemblea nazionale armena ha tenuto una sessione straordinaria a porte chiuse, richiesta dai partiti di opposizione, per discutere le procedure di demarcazione della frontiera nei territori contesi. Baku ora insiste sulla “restituzione” di otto villaggi nella regione di Tavowš, mentre Erevan sostiene che l’Azerbaigian abbia occupato “totalmente o in parte” 31 sue località.
Erevan (AsiaNews) – Il conflitto per il Nagorno Karabakh è ormai alle spalle da mesi, pur rimanendo in Armenia molta tensione per la gestione dei tanti profughi dell’Artsakh, ma le relazioni con l’Azerbaigian non riescono a raggiungere una vera stabilità, con continue scaramucce di frontiera, accuse reciproche di “provocazioni” e rivendicazioni di paesi, villaggi e terreni. Lo speaker del parlamento di Erevan, Alen Simonyan, ha nuovamente ribadito in questi giorni che “non si parla neanche di cedere altri territori armeni all’Azerbaigian”, rispondendo alle pretese di Baku di consegnare alcuni centri abitati.
L’assemblea nazionale armena ha tenuto quindi una sessione straordinaria a porte chiuse, richiesta dai partiti di opposizione Armenia e Ho l’onore, che rappresentano un terzo dei deputati, per discutere le procedure di delimitazione e demarcazione dei confini tra i due Paesi in eterno conflitto. Le trattative al riguardo non sono mai iniziate, ciò che ha reso finora impossibile la conclusione di qualunque accordo di pace. Il vice-premier Mger Grigoryan ha dichiarato che “finché non si risolveranno i problemi della sicurezza, della convivenza sociale, dei principi del diritto, non si potrà prendere la decisione di cominciare le trattative sulla delimitazione”.
Le opposizioni chiedevano un dibattito aperto al pubblico, ma il partito di maggioranza dell’Accordo Civile ha imposto la segretezza per questioni di “sicurezza nazionale”, obbligando i deputati a consegnare i cellulari ed escludendo dall’aula tutti coloro che non hanno accesso a informazioni segretate. La questione più spinosa riguarda la disponibilità espressa dal governo di Erevan a concedere in fase di trattative una parte della regione di Tavowš nella parte nord-orientale del Paese, che ha come capoluogo la città di Idževan, ciò che le opposizioni ritengono “una violazione delle norme internazionali e della stessa costituzione”. Secondo Baku, nella zona ci sono otto villaggi sotto il controllo armeno che vanno in realtà assegnati all’amministrazione azerbaigiana.
Come ha precisato il vice-premier azero Šakhin Mustafaev, quattro di questi villaggi (Baganis-Ajrim, Ašagy-Askipara, Khejrimly e Gyzylgadžily) “appartengono all’Azerbaigian e devono essere liberati immediatamente”, mentre per gli altri quattro (Jukhary-Askipara – in armeno Verin-Voskepar, Sofulu, Barkhdarly, Kjarki – in armeno Tigranašen) è necessaria una valutazione concordata, pur ritenendo necessaria la loro “liberazione”. Da parte armena si sostiene che l’Azerbaigian abbia occupato “totalmente o in parte” 31 villaggi armeni, e Simonyan ha dichiarato che “noi siamo pronti a restituire le enclave azerbaigiane, solo se Baku ci restituirà la nostra Artsvašen (in azero Baškend), che da sola occupa molto più territorio di tutti i paesini azeri nel nostro territorio”.
Una commissione per le delimitazioni in realtà è stata costituita a inizio marzo, guidata dai due vice-premier Grigoryan e Mustafaev, e ha tenuto sette incontri preventivi, occupandosi di precisare le normative giuridiche del processo di trattative da iniziare. Lo scorso 18 marzo il premier armeno Nikol Pašinyan ha visitato la regione di Tavowš, incontrando gli abitanti dei villaggi di Voskepar, Baganis e Kirants, comunicando loro che “la demarcazione sta passando allo stadio operativo, e dobbiamo fare di tutto perché non ricominci la guerra”. Gli abitanti della zona avevano chiesto al premier di non restituire i villaggi di frontiera all’Azerbaigian, minacciando di bloccare le strade e organizzare una difesa autonoma di tutta la regione.
Nel continuo gioco delle parti, armeni e azeri rilanciano ad ogni occasione dei nomi diversi di centri abitati, già di per sé confusi nelle varianti linguistiche, e zone di confine diversamente calcolate come estensione, tanto che la frontiera in ogni caso risulterebbe un dedalo impazzito tra monti e valli. Spesso questi luoghi e i loro nomi evocano conflitti antichi o altre memorie storiche dei due popoli, nel confine tra cristianesimo e islam e tra Europa e Asia, dove la pace è sempre stata soltanto una speranza per il futuro.
Di quale festa si tratta? Per scoprirlo, vedere la commedia agrodolce e speranzosa di Robert Guédiguian. In sala dall’11 aprile
Un’immagine dal film “E la festa continua!” (Foto ufficio stampa Lucky Red)
Rose è vicina alla pensione. Lavora come una matta al Pronto Soccorso di Marsiglia, caotica e bellissima “dove non piove mai”, è vedova, ha due figli, uno medico l’altro barista nel locale di famiglia nel quartiere armeno. Già, perché il gruppo è armeno e sogna di fare molti figli per rispondere al genocidio in agguato da parte dei turchi. Rose è una macchina di lavoro e di rapporti: crollano dei palazzi e lei si presenta in una lista civica antigovernativa per difendere il quartiere. È di sinistra, come il fratello Antonio, uno degli ultimi comunisti francesi, ed assiste impaziente al dissidio tra le forze sociali – socialisti, comunisti, ecologisti eccetera – che la dovrebbero appoggiare.
In mezzo a questo dinamismo, c’è la vita familiare: il figlio barista che si innamora di una attrice che fa volontariato, lei che consce un vecchio intellettuale, l’altro figlio che vuole tornare in Armenia….Insomma, la vita di una Francia non parigina, tra macronismo e lepenismo, ma che esiste sempre meno. Dove sono i veri comunisti e dove stanno i veri socialisti?
Ironico, graffiante, intelligente, il racconto svela anche le ansie personali di Rose alle soglie della pensione. Che farà? Finirà tutto? Che vecchiaia avrà? Lei si sente stanca, ma è viva e l’incontro con un suo coetaneo la fa ringiovanire, a dire che la festa della vita non finisce con la pensione. Sarà vero? Il dubbio è lecito.
È bello questo film del regista settantenne che lavora di cesello, presenta una serie di personaggi simpatici, con dialoghi brillanti mai sopra le righe, e due mattatori come Ariane Ascaride e Jean-PierreDar Roussin, al meglio della loro resa. Ma anche tutto il gruppo intorno – che è uno spaccato della Marsiglia periferica e portuale di immigrati e di volontari – è cangiante, vivace. Si brilla per fuggevoli malinconie, piccoli drammi tra innamorati, rapporti padri e figli da ricostruire (i padri sono ormai l’eterno problema del cinema e della società), frustrazioni, ambizioni e sogni. Ma anche tanta voglia di dare amore, e non solo a sé stessi. Il buono del socialismo in Francia non è morto. Da non perdere.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-04-12 13:58:202024-04-14 13:59:23E la festa continua! (Città nuova 12.04.24)
Il tour dedicato alle bevande tradizionali nel mondo questa settimana, lascia l’America Latina e approda in Asia occidentale, per la precisione in Armenia, la piccola Repubblica ex sovietica che, nonostante sia popolata da meno di 3 milioni di abitanti, propone diverse bevande tradizionali con una storia plurisecolare.
La posizione strategica di questo Paese è come un ponte che collega due mondi solo apparentemente distanti: oriente e occidente. Si tratta di un territorio che funge da collegamento non solo geografico: l’Armenia infatti si trova incastonata ai piedi del Caucaso tra Georgia, Azerbaigian, Turchia e Iran, ma soprattutto costituisce un ponte culturale. Un territorio che fin dall’antichità è stato abitato da grandi civiltà fra cui l’Impero romano nel periodo della sua massima espansione.
E’ stata terra di conquiste e di ricchezze quasi leggendarie, l’incontro tra la religione ebraica e quella cristiana: il simbolo dell’Armenia, infatti, è il Monte Ararat, anche se oggi si trova in Turchia, luogo sacro dove si è posata l’Arca di Noè una volta che è terminato il diluvio universale.
Volgendo lo sguardo alle bevande tradizionali armene sono due quelle maggiormente diffuse e delle quali parleremo: Mehxoş e Nanə Araq. La prima, prodotta con uva e melograno, sebbene sia simile al vino, richiede una preparazione molto più laboriosa. Il processo prevede infatti due diversi momenti ed il primo riguarda la lavorazione del melograno.
La stagione durante la quale crescono i frutti della pianta è fra ottobre e novembre: una volta raccolti vengono subito spremuti. Questo processo si svolge durante le ore più fresche e ventose, cioè dalle 5 alle 7 del mattino e il succo ottenuto viene conservato in un contenitore chiuso e senza ossigeno seppellito nel terreno ad una profondità di due metri o in celle frigorifere, evitando di spostarlo fino alla maturazione delle viti dell’anno successivo.
La stagione in cui matura l’uva rossa è invece tra agosto e settembre. Dopo la vendemmia, gli acini vengono sottoposti al processo di fermentazione: trascorse tre settimane circa in cui si provvede all’agitazione continua del liquido, il prodotto fermentato viene separato dalla polpa ed il succo è miscelato con quello che era stato ottenuto dai frutti del melograno nei mesi precedenti.
Inizia così il periodo definito di “fermentazione rapida” e anche qui la bevanda deve essere collocata in un luogo caldo ma ombreggiato e privo di ossigeno: questo importante passaggio dura circa una settimana durante la quale il succo diventa di colore rosso-bordeaux.
Il liquido filtrato viene poi posto in grandi bottiglie e conservato in un luogo fresco e dopo altri sette giorni viene ulteriormente colato: questo consente al vino di iniziare a maturare. Il profumo e l’acidità del melograno sono predominanti data la maggiore aromaticità dei frutti di questa pianta rispetto all’uva.
Il Mehxoş, attualmente, viene consumato in casa da numerose famiglie e, sebbene possa essere categorizzato come un prodotto vinicolo, in passato veniva utilizzato non solo come bevanda, ma anche come rimedio per le malattie cardiovascolari grazie alle proprietà antiossidanti dei due frutti che lo compongono.
Dato che il melograno ha sempre rivestito un ruolo importante nella cultura gastronomica armena, i locali impiegano i frutti di questa pianta anche per produrre aceto e, per tale motivo, il Mehxoş è presente in numerosi piatti tipici della cucina del Paese.
La seconda bevanda tradizionale è invece il Nanə Araq che, nonostante il nome che letteralmente significa “vodka alla menta”, è un distillato analcolico che viene estratto dalla pianta fin dall’antichità: si tratta di un liquido limpido, verde, fresco e profumatissimo.
Per la preparazione è necessario un chilo di foglie di menta selvatica che devono bollire in circa 5 litri d’acqua. L’estrazione dell’essenza avviene durante la fase dell’ebollizione: non appena il liquido raggiunge la bollitura il suo vapore viene conservato nel coperchio della pentola.
Ogni 5 minuti le gocce d’acqua che cadono dal coperchio sono raccolte in una tazza: questa operazione richiede molta pazienza e dura 7-8 ore. Il prodotto, che è equiparabile all’acqua aromatizzata, viene poi conservato per diversi giorni in una stanza senza luce affinché fermenti: trascorso questo periodo è pronto per il consumo.
In alcune occasioni se ne aggiungono un paio di cucchiaini alle torte, alle paste e a quasi tutti i dolci tradizionali per aromatizzarli: in alcune regioni del Paese si consuma anche al naturale, in piccole dosi, come cura per le malattie gastrointestinali ed è inoltre un’ottima cura per stabilizzare la pressione sanguigna.
Il Paese vanta inoltre una tradizione plurisecolare nella produzione di distillati, fra i quali alcuni dal profilo aromatico simile a quello del cognac, di vini e nella realizzazione delle antenate delle moderne birre che vantano un cronista d’eccezione quale lo storico Senofonte che a riguardo scrisse: “C’erano barili pieni di grano e orzo, con i chicchi di quest’ultimo che galleggiavano in superficie. La gente afferrava i chicchi, se li metteva in bocca e si dissetava con i raccolti succosi. Quando i greci chiesero il nome del Paese, gli fu risposto che si chiamava Armenia”.
Quello armeno quindi, come visto, è un territorio ricco di storia, la cui cultura è stata influenzata dai popoli latini, arabi ed orientali: per questo non poteva non portarsi dietro un bagaglio ricco di tradizioni che si riflettono anche nella produzione delle bevande tradizionali realizzate con un ampio ventaglio di materie prime.
“Vincenzo io t’ammazzerò. Sei troppo stupido per vivere”. Forse qualcuno ricorda ancora il brano di Alberto Fortis, “Milano e Vincenzo”. Non sappiamo quanti – ai vertici della NATO e dell’Unione europea – si chiamino Vincenzo. Ma la stupidità dilaga. E sono così stupidi, ed anche profondamente ignoranti, da non rendersi conto di ciò che stanno combinando.
La loro ossessione è la Russia, e questo è evidente. In subordine la Cina e l’Iran, nell’ordine che ciascuno preferisce. Ma è Mosca l’obiettivo primario. Dunque qualche genio ha festeggiato perché ormai l’Armenia è stata strappata all’egemonia russa e sta marciando festosa verso lo schieramento atlantisti, pronta ad entrare a pieno titolo nell’Occidente collettivo.
Sino a qui nulla di particolarmente problematico. Le aggregazioni geopolitiche non sono stabili e immutabili. Peccato che, travolti dall’hybris per il successo ottenuto, gli stupidi abbiano subito pensato di riempire di armi Erevan. Dimenticando che l’Armenia ha appena concluso un conflitto con l’Azerbaijan. Ed a Baku non hanno preso proprio bene questo progetto atlantista. Perché armare Erevan significa minacciare Baku. Non è che sia proprio tanto difficile da capire.
Così come non dovrebbe essere troppo difficile da capire che minacciare l’Azerbaijan significa far infuriare la Turchia. Che, non a caso, ha già replicato assicurando che per ogni arma fornita dagli atlantisti all’Armenia, la Turchia ne fornirà 3 all’Azerbaijan.
Ovviamente i mercanti di armi festeggiano. Insieme ai politici che fungono da procacciatori d’affari. Però gli stupidi gongolanti dimenticano un po’ di cose. In primis la Turchia è un Paese NATO e un conflitto interno all’alleanza sarebbe un regalo a Mosca. Inoltre l’Azerbaijan rappresenta un interesse diretto di Ankara. Non come i palestinesi per i quali Erdogan si batte solo a parole mentre continua a commerciare con Israele. Dunque Baku non deve essere toccata. Ma i cialtroni guerrafondai dimenticano anche che, per sostituire il gas russo, si è fatto ricorso al gas azero. Dunque un conflitto metterebbe a rischio l’approvvigionamento di gas, a partire dall’Italia con il Gasdotto Tap. Certo, ci sarebbe sempre quello algerino, del Paese più filo russo dell’Africa del Nord.
Indubbiamente Fortis potrebbe trovare grandi fonti di ispirazione tra NATO e UE..
La scorsa settimana si è svolto a Bruxelles un incontro tra la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, il segretario di Stato americano Anthony Blinken, e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, a conclusione del quale è stato annunciato un piano Ue per la “resilienza e crescita” dell’Armenia da 270 milioni di euro. Il piano, che sulla carta è puramente economico (ma che è stato accompagnato da dichiarazioni di sostegno all’integrità territoriale e all’avanzamento della democrazia in Armenia), è inteso a sfruttare un momento di frizioni tra Mosca ed Erevan che si sono approfondite con la breve guerra Armenia-Azerbaigian di settembre 2020 e, ancora di più, con la disfatta armena in Nagorno-Karabakh nel 2023 sotto lo sguardo…
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-04-10 14:19:412024-04-14 14:20:38Non escludo il ritorno. La Russia s'è defilata in Armenia, ma resta attore chiave nel Caucaso (Haffington Post 10.04.24
L’Unione europea diventa partner di fiducia dell’Armenia che prende sempre più le distanze da Mosca, mentre Washington rafforza la sua cooperazione anche militare con Yerevan. Bruxelles vuole togliere dal cortile di casa della Russia l’ultimo suo alleato della regione caucasica e dare inizio con Yerevan a un più forte partenariato che prevede lo stanziamento di 270 milioni di euro per un Piano di resilienza e crescita per il periodo 2024-27, mentre gli Usa si sono impegnati a stanziare 65 milioni di dollari. Piccole somme, ma ricordiamo che l’Ue aveva già recentemente offerto all’Armenia un programma del valore di 2,6 miliardi di euro. Il vertice di Bruxelles, di venerdì 5 aprile, tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, il segretario di Stato americano Antony Blinken e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen è da definire storico perché avvia un processo che inevitabilmente sarà destinato a stabilire un nuovo equilibrio geopolitico nel Caucaso meridionale. Il Piano concordato sosterrà l’economia e la società del Paese caucasico, le sue piccole e medie imprese, finanzierà progetti infrastrutturali e commerciali e le esigenze dei centomila armeni costretti a fuggire dal Nagorno Karabakh dopo l’assalto azero del 19 settembre 2023 ed è visto nel contesto di una possibile futura richiesta di adesione di Yerevan all’Ue, perché mirante a sostenere l’allineamento dell’economia e dell’ordinamento armeno agli standard comunitari.
Per consentire che l’Armenia si stacchi dall’orbita di Mosca è necessario sostenere la sua economia di fronte alle crescenti tensioni nella regione per proteggerla da eventuali shock energetici dal momento che la Russia possiede gran parte della sua rete elettrica e delle sue infrastrutture. Bruxelles e Washington riconoscono i progressi sostanziali compiuti da Yerevan dal 2018 con le riforme democratiche del suo sistema giudiziario, sulla lotta alla corruzione e l’impegno preso dal governo Pashinyan teso a rafforzare ulteriormente la democrazia e lo Stato di diritto in linea con i princìpi e gli ordinamenti comunitari.
La Russia sta perdendo terreno nel Caucaso che ha sempre considerato suo cortile di casa; l’Azerbaigian nel 2025 espellerà le forze di pace russe dal suo territorio e l’Armenia ha di fatto sospeso la sua adesione all’alleanza militare dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto) e ha intenzione di abbandonarla presto definitivamente per poi uscire anche dall’Unione economica eurasiatica (UEE) della quale fa parte assieme a Russia, Bielorussia, Kazakistan e Kirgizistan. La leadership armena ha ratificato lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, ha invitato le truppe statunitensi ad addestrarsi nel suo paese e ha rafforzato la cooperazione militare con gli Usa in reazione all’indifferenza mostrata dalla Russia davanti alla minaccia azera e alla mancata garanzia di sicurezza per gli armeni nelle dispute con il suo vicino.
Pashinyan spera che avere dalla sua parte gli Usa e l’Ue lo metta al riparo dalle intenzioni aggressive di Baku. L’attacco azero del settembre scorso nel Nagorno Karabakh, che ha costretto tutta la popolazione armena a fuggire da quella enclave, è visto a Yerevan con preoccupazione come un primo passo di Baku per altre rivendicazioni territoriali. Si teme infatti che, forte del supporto militare della Turchia, l’esercito azero possa occupare quell’area cuscinetto situata tra l’Azerbaigian e la sua exclave del Nakhchivan a maggioranza azera situata in territorio armeno.
Tra Armenia e Azerbaigian è in corso un processo di dialogo bilaterale che dovrebbe portare alla normalizzazione delle relazioni tra i due paesi dopo trent’anni di conflitto, ma c’è ancora la minaccia di violenza dentro e intorno all’Armenia meridionale, nella regione chiamata Syunik, storicamente nota come Zangezur, ancora teatro di scaramucce tra i due eserciti e dove agli osservatori della missione dell’Ue (Euma) viene negato l’accesso da parte delle guardie di frontiera russe.
Il 7 febbraio, il presidente azero İlham Aliyev si è fatto rieleggere in elezioni farsa per un quinto mandato, forte della vittoria militare dello scorso settembre quando le sue forze occuparono il Nagorno Karabakh con un’operazione lampo, nonostante un negoziato in corso con Ue e Stati Uniti che avrebbe risolto le dispute pacificamente e in maniera equa. L’esercito azero ha di fatto costretto l’intera popolazione armena alla fuga dal Nagorno Karabakh risolvendo così, con la violenza brutale, la disputa decennale riguardante l’enclave armena in territorio azero. Baku ha ritenuto che quello fosse il momento giusto per tornare a mostrare i muscoli a Yerevan, anche perché la sua influenza sulla Russia era aumentata a causa della necessità di Mosca di assicurarsi l’apertura di rotte di transito verso l’Iran, cosa che poteva e che può avvenire solo attraverso l’Azerbaigian. Un punto critico nelle dispute azero-armene è infatti rappresentato dalla riapertura di un corridoio di transito in territorio armeno, al confine con l’Iran, di 43 chilometri rimasto a lungo chiuso, che collega l’Azerbaigian alla sua exclave di Nakhchivan, situata al confine con la Turchia. L’Azerbaigian ha interesse a ricollegare le due parti del suo territorio con rotte che abbiano il minor controllo armeno possibile su di esse. Yerevan dal canto suo non vuole cedere la sovranità o la sicurezza sulla sua zona di confine meridionale che è strategicamente vitale.
L’Azerbaigian insiste affinché siano le guardie di frontiera del Servizio di sicurezza federale russo (Fsb) a controllare i collegamenti ferroviari e stradali di quel corridoio. Il governo armeno teme che vi sia già un accordo tra Baku e Mosca sulla permanenza militare russa su quel confine al quale Ankara avrebbe tacitamento aderito. Per i russi infatti il controllo di quella via di transito è strategicamente importante soprattutto dopo l’invasione dell’Ucraina. Per la Russia, acquisire il controllo di un tratto ferroviario e autostradale che la collega all’Iran e alle rotte verso il Golfo Persico, per la prima volta dopo decenni, è di importanza strategica perché rappresenta la principale linea ferroviaria nord-sud che ha collegamenti con il Medio Oriente e l’Asia centrale, preziosi per sostenere la guerra contro l’Ucraina e la contesa con l’Occidente. Sono forti, dunque, le preoccupazioni a Yerevan sul fatto che l’Azerbaigian non firmerebbe alcun accordo di pace se non avrà ottenuto ciò che vuole nell’Armenia meridionale. L’espansione del conflitto nel Caucaso meridionale rimane dietro l’angolo e per questo l’aspirazione armena di adesione all’Unione europea incomincia ad emergere con sempre maggiore evidenza e non è esclusa la possibilità che l’Armenia presenti formale domanda di adesione e che ottenga anche lo status di “maggiore alleato non-NATO” dagli Usa. Stiamo assistendo a un processo per un nuovo equilibrio geostrategico nel Caucaso meridionale.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2024-04-09 14:22:462024-04-14 14:23:56L’Armenia si allontana dalla Russia e prepara una richiesta di adesione all’Unione Europea (Il Riformista 09.04.24)
La decisione di Yerevan di allontanarsi da Mosca e orientarsi verso USA e UE non è priva sfide economiche e complessità geopolitiche. In un recente incontro, Washington e Bruxelles hanno promesso aiuti economici, ma il premier armeno Pashinyan sembra deluso
In quella che potrebbe rivelarsi una mossa in gran parte simbolica, gli Stati Uniti e l’Unione Europea si sono impegnati a sostenere ulteriormente l’Armenia in un incontro ad alto livello tenutosi a Bruxelles venerdì scorso. In totale il paese, ancora scosso da una guerra devastante con il vicino Azerbaijan nel 2020 e dall’afflusso di 100mila rifugiati di etnia armena dal Karabakh, riceverà 270 milioni di Euro dall’UE e 65 milioni di dollari dagli Stati Uniti nei prossimi quattro anni.
Il vertice era stato annunciato in una dichiarazione congiunta rilasciata dal primo ministro armeno Nikol Pashinyan e dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen dopo il loro incontro a Granada lo scorso ottobre, e si è svolto nel momento in cui l’Armenia cerca di stringere relazioni più strette con l’UE e di allontanarsi dalla tradizionale dipendenza dalla Russia. A Pashinyan e von der Leyen si è unito il segretario di Stato americano Antony Blinken.
“L’Unione europea e gli Stati Uniti sostengono un futuro stabile, pacifico, sicuro, democratico e prospero per l’Armenia e la regione”, si legge in una nota pubblicata sul sito web del Dipartimento di Stato americano. “In questo contesto, miriamo ad espandere la cooperazione per rafforzare la resilienza dell’Armenia, anche in settori chiave come le riforme politiche, lo sviluppo economico e il sostegno umanitario”.
La svolta occidentale di Yerevan non è priva di problemi. Azerbaijan, Russia e Turchia hanno criticato l’incontro, avvertendo che potrebbe portare ad un maggiore conflitto geopolitico nel Caucaso meridionale e potenzialmente far deragliare ancora una volta le speranze di un accordo per normalizzare le relazioni tra Yerevan e Baku. Sia von der Leyen che Blinken si sono affrettati a chiamare il presidente azero Ilham Aliyev nel tentativo di dissipare i timori di un sostegno militare.
La scorsa settimana, le tensioni erano già aumentate al confine mentre Yerevan e Baku negoziavano la possibile restituzione di quattro villaggi non enclavi situati all’interno dell’Azerbaijan, ma sotto il controllo dell’Armenia dall’inizio degli anni ’90.
Tuttavia, secondo i media armeni, i membri del partito del Contratto Civile del primo ministro Pashinyan erano insoddisfatti dell’esito dell’incontro e si aspettavano molto di più. Alcuni avevano già espresso preoccupazione per il fatto che qualsiasi allontanamento dall’Unione economica eurasiatica (EAEU, la risposta di Mosca all’UE a cui l’Armenia ha aderito non senza polemiche nel 2013) potrebbe devastare l’economia del paese, dipendente come sarà per qualche tempo da Mosca.
L’Armenia dipende in modo significativo dalla Russia per il gas venduto ad un prezzo ben inferiore a quello di mercato, per le rimesse dei lavoratori migranti e come principale mercato per le sue esportazioni. Sebbene Yerevan cerchi di diversificare la propria economia e trovare nuovi mercati, nella settimana precedente l’incontro di Bruxelles molti commentatori hanno espresso dubbi sulla capacità dei produttori armeni di soddisfare i rigorosi standard di qualità dell’UE. Il paese deve inoltre affrontare ulteriori vincoli dato che due dei suoi quattro confini terrestri rimangono chiusi.
Questa realtà non è sfuggita a Blinken e von der Leyen, che hanno sottolineato l’importanza di sbloccare le vie di trasporto regionali, anche nel contesto del “Crocevia della pace” che Pashinyan ha recentemente resuscitato, e anche se la questione deve ancora essere pienamente discussa con i vicini Iran e Georgia o addirittura con Azerbaijan e Turchia. “Esploreremo anche il trasporto transfrontaliero, se e quando le condizioni lo consentiranno”, ha affermato von der Leyen nel suo discorso .
Blinken ha ribadito l’importanza dell’integrazione regionale come “chiave per la sicurezza e la prosperità”, mentre il sottosegretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici James O’Brien ha aggiunto in una conferenza stampa tenutasi successivamente che un accordo finale tra Armenia e Azerbaijan rimane un obiettivo importante. Tuttavia, ha anche lasciato intendere che gli Stati Uniti sperano di vedere i collegamenti di trasporto aggirare Russia, Cina e Iran, aumentando potenzialmente il confronto geopolitico.
“Questa è la strada migliore affinché la regione possa avere sicurezza a lungo termine e sviluppare prosperità, in particolare nuove rotte commerciali che potrebbero andare dal Mediterraneo all’Asia centrale”, ha affermato.
Nel frattempo, sebbene gli Stati Uniti e l’UE avessero precedentemente sottolineato l’importanza di facilitare il ritorno di 100mila armeni fuggiti dal Nagorno Karabakh a fine settembre prima del suo scioglimento, von der Leyen si è invece concentrata sulla loro “integrazione a lungo termine in Armenia”. Pashinyan ha parlato solo di “consentire ai rifugiati di ricostruire la propria vita con dignità attraverso politiche abitative e di attivazione economica”.
Anche se alcuni media dell’opposizione affermano che il primo ministro armeno è rimasto deluso dall’esito dell’incontro, quest’ultimo indica comunque l’approvazione e il sostegno internazionale alla sua leadership in un momento di crescente pressione in patria. “Credo che la nostra visione condivisa di un futuro democratico, pacifico e prospero continuerà a fungere da spina dorsale e stella polare delle nostre relazioni”, ha detto Pashinyan.
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