Al Museo Civico di Bari l’evento “San Biagio: un santo, una storia, un popolo” (Baritoday 01.02.24)

Sabato 3 febbraio dalle ore 10,30 presso il Museo Civico di Bari (strada Sagges, Barivecchia) si svolgerà l’evento dal titolo “San Biagio: un santo, una storia, un popolo” dedicato alla vicenda di San Biagio (Vescovo e Martire d’Armenia del III secolo d.C) e alla sua ricezione in Terra di Bari.

L’incontro è stato fortemente voluto dalla Presidenza della Commissione Consiliare alla Cultura del Comune di Bari e dalla Comunità Armena di Bari. Dopo i saluti introduttivi del presidente della commissione cultura Dott. Giuseppe Cascella, della delegata del Sindaco per l’emergenza sanitari, dott.ssa Loredana Battista e del dott. Dario Rupen Timurian della Comunità Armena di Bari, alcuni importanti relatori si alterneranno per spiegare al pubblico l’importanza del culto di San Biagio e dei Santi Armeni nel nostro territorio attraverso i secoli, dal punto di vista storico, artistico e scientifico.

Il primo intervento vedrà come protagonista il prof. Ado Luisi, noto antichista dell’Università di Bari che introdurrà l’udito alla tradizione agiografica latina e orientale; il prof. Nicola Cutino si occuperà del tema della ricezione della figura di san Biagio in Terra di Bari ed il prof. Carlo Coppola, studioso di cose armene, farà un excursus tra i Santi armeni in Italia nell’antichità e nella contemporaneità. Seguiranno due interventi tra arte e scienza: la dott.ssa Siranush Quaranta che illustrerà alcuni elementi artistici legati al tema di San Biagio in Puglia, e il prof. Nicola Quaranta, otorinolaringoiatra barese di fama internazionale, rappresentante dell’illustre Società Italiana di Otorinolaringologia e Chirurgia Cervico-Facciale, racconterà i rapporti otorinolaringoiatra e il suo patrono san Biagio.

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Armenia aderisce alla Corte dell’Aia. Preoccupazione di Mosca (Osservatorio sulla legalità 01.02.24)

Novità dall’Armenia, che ha aderito alla Corte Penale Internazionale, con sede all’Aia, e che sembra abbia trovato una pace de facto con l’Azerbaijan.

Il 1° febbraio, l’Armenia è diventata il 124esimo membro a pieno titolo della CPI dopo aver presentato ufficialmente alla corte i documenti che confermano la ratifica da parte di Yerevan dello Statuto di Roma, fondamento della CPI.

Ricordiamo che questa è la Corte che ha emesso un mandato d’arresto internazionale contro Putin, quindi l’adesione è stata commentata dal Cremlino. “In generale, questo è il diritto sovrano dell’Armenia”, ha detto il portavoce del Cremlino. “Ma d’altra parte, per noi è importante che tali decisioni non incidano negativamente sia de jure che de facto sulle nostre relazioni, che apprezziamo e vogliamo sviluppare” ha detto ai giornalisti il ​​portavoce del Cremlino Dmitry Peskov.

I procedimenti di adesione a questi organismi internazionali sono lunghi, quindi non vi è relazione temporale fra la vicenda Putin e la scelta armena, anche se la Corte penale internazionale ha affermato che anche la parte armena ha presentato documenti che confermano che “l’Armenia accetta retroattivamente la giurisdizione della Corte penale internazionale dal 10 maggio 2021”, presumibile data in cui è stata presentata la richiesta. Pertanto il procedimento verso Putin, sebbene successivo alla richiesta, fa parte di quelli di cui l’Armenia accetterà le decisioni.

Nel frattempo il presidente azero Ilham Aliyev ha dichiarato che “Tra l’Azerbaigian e l’Armenia esiste una pace di fatto, poiché negli ultimi mesi la situazione al confine è stata pacifica. Ma deve ancora essere firmato un trattato di pace per portare questo processo alla sua logica conclusione, e Anche l’Armenia dovrà rinunciare alle sue rivendicazioni territoriali nei confronti dell’Azerbaigian”.

Inoltre, Aliyev ha detto, Baku e Yerevan possono raggiungere la pace se l’Armenia modifica la sua Costituzione e altri documenti legali, ponendo fine alla sua disputa territoriale con l’Azerbaigian, spiegando che la Dichiarazione di Indipendenza dell’Armenia richiede direttamente l’aggiunta della regione del Karabakh dell’Azerbaigian all’Armenia e la violazione del integrità territoriale del suo vicino.

Il leader azero ha lodato come un passo positivo il processo di avvio delle discussioni interne in Armenia sugli emendamenti alla Costituzione che, secondo lui, “potrebbero aprire la strada alla conclusione del processo di pace il più presto possibile”.

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Ode a Galina Starovojtova, che diede la vita per la libertà degli armeni (Tempi 01.02.24)

C’è una dimora funeraria lontana dal Caucaso, e dai monti pietrosi attraversati dai cammellieri mercanti e dagli invasori mongoli e persiani e tartari sui loro cavalli e i carri. Parlo del sepolcro di lei, di Galina Vasileva Starovojtova, a San Pietroburgo. Ella fu deputata alla Duma di Mosca, dove fu eletta in rappresentanza dell’Armenia, quindi, dopo la fine dell’Urss, proprio dell’oblast dell’ex Leningrado.

Era stata Galina Vasileva Starovojtova nel 1990 a condurre – come ho raccontato nella precedente missiva dal lago di Sevan – Ryszard Kapuściński (1932-2007) il più grande reporter degli ultimi 50 anni, a Stepanakert, capitale del Nagorno-Karabakh-Artsakh. Era il 1990 quando il giornalista polacco violò l’assedio degli azeri e superò il blocco dell’esercito sovietico, travestendosi da pilota del piccolo aereo che doveva condurre la deputata sovietica tra i suoi elettori armeni di Stepanakert, che era strangolata dai due eserciti (di …

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“L’Isola Armena a Venezia: San Lazzaro degli Armeni, un Tesoro Culturale nell’Incanto della Laguna”. Recensione a cura di Alessandria today (31.01.24)

’Isola Armena di San Lazzaro degli Armeni, sospesa tra l’arte e la storia nella laguna di Venezia, è il fulcro di un patrimonio culturale straordinario, narrato con maestria nel resoconto appassionato e informativo che s’intitola “L’Isola Armena a Venezia.”

Foto dalla pagina facebook: Curiosita’ Veneziane

Grazie a questo libro, il lettore è trasportato attraverso i secoli, dall’epoca dei benedettini di Sant’Ilario alla sua trasformazione in lebbrosario, rifugio per i poveri e accogliente dimora per i domenicani espulsi da Creta. Tuttavia, è il Settecento che segna un punto di svolta cruciale quando la Repubblica di Venezia concede l’isola a un gruppo di monaci armeni in fuga da Modone, nel Peloponneso.

La figura chiave di Mechitar, sepolto nella chiesa dell’isola, emerge come un architetto fondamentale della rinascita della letteratura armena e del rafforzamento della comunità di San Lazzaro. Il suo contributo alla restaurazione del monastero e alla creazione di una biblioteca indipendente, oltre all’istituzione di una tipografia, è raccontato con eloquenza.

San Lazzaro, durante l’invasione napoleonica, resta inviolata grazie al suo status di accademia di scienze, conferendole protezione imperiale. La narrativa si snoda attraverso i corridoi della pinacoteca, del museo e della biblioteca, custodi di oltre 170.000 volumi, tra cui 4.500 manoscritti. Il legame con il resto del mondo si manifesta in reperti archeologici, dipinti e persino una mummia egizia dell’800 a.C., arricchendo l’isola di una varietà di tesori.

Il libro presenta anche il prezioso lavoro dei monaci, custodi di roseti che danno vita a una marmellata speciale, la vartanush, tramite una ricetta armena. La descrizione dei dettagli culinari aggiunge un tocco di autenticità e connessione con la vita quotidiana sull’isola.

In conclusione, “L’Isola Armena a Venezia” è una guida appassionante e dettagliata attraverso uno dei gioielli culturali della laguna di Venezia. Un viaggio che porta i lettori a immergersi nella storia, nell’arte e nella spiritualità di San Lazzaro degli Armeni, evidenziando l’importanza di preservare e celebrare il ricco patrimonio dell’isola.

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Bari – “San Biagio: un santo, una storia, un popolo” -3 febbraio (Puglialive 31.01.24)

Sabato 3 febbraio dalle ore 10,30 presso il Museo Civico di Bari (strada Sagges, Barivecchia) si svolgerà l’evento dal titolo “San Biagio: un santo, una storia, un popolo” dedicato alla vicenda di San Biagio (Vescovo e Martire d’Armenia del III secolo d.C) e alla sua ricezione in Terra di Bari.

L’incontro è stato fortemente voluto dalla Presidenza della Commissione Consiliare alla Cultura del Comune di Bari e dalla Comunità Armena di Bari. Dopo i saluti introduttivi del presidente della commissione cultura Dott. Giuseppe Cascella, della delegata del Sindaco per l’emergenza sanitari, dott.ssa Loredana Battista e del dott. Dario Rupen Timurian della Comunità Armena di Bari, alcuni importanti relatori si alterneranno per spiegare al pubblico l’importanza del culto di San Biagio e dei Santi Armeni nel nostro territorio attraverso i secoli, dal punto di vista storico, artistico e scientifico.

Il primo intervento vedrà come protagonista il prof. Ado Luisi, noto antichista dell’Università di Bari che introdurrà l’udito alla tradizione agiografica latina e orientale; il prof. Nicola Cutino si occuperà del tema della ricezione della figura di san Biagio in Terra di Bari ed il prof. Carlo Coppola, studioso di cose armene, farà un excursus tra i Santi armeni in Italia nell’antichità e nella contemporaneità. Seguiranno due interventi tra arte e scienza: la dott.ssa Siranush Quaranta che illustrerà alcuni elementi artistici legati al tema di San Biagio in Puglia, e il prof. Nicola Quaranta, otorinolaringoiatra barese di fama internazionale, rappresentante dell’illustre Società Italiana di Otorinolaringologia e Chirurgia Cervico-Facciale, racconterà i rapporti otorinolaringoiatra e il suo patrono san Biagio.

Le conclusioni saranno affidate al Sindaco di Rutigliano dott. Giuseppe Valenza.

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L’Armenia è diventata ufficialmente membro della Corte penale internazionale (Il Post 31.01.24)

Dalla mezzanotte di giovedì 1 febbraio, cioè dalle 22 del 31 gennaio per l’Europa occidentale, l’Armenia è diventata ufficialmente membro della Corte penale internazionale (ICC), il principale tribunale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità. Il piccolo paese nella regione del Caucaso aveva ratificato a ottobre l’adesione allo Statuto di Roma, il trattato internazionale istitutivo della Corte. L’articolo 126 dello Statuto prevede che il paese diventi ufficialmente membro «il primo giorno del mese dopo il sessantesimo giorno successivo alla data» di ratifica. L’Armenia è diventata così il 124esimo paese a riconoscere la Corte.

La decisione del governo armeno è stata interpretata come una presa di distanza dalla Russia, storica alleata dell’Armenia: nel marzo del 2023 infatti la Corte aveva emesso un mandato d’arresto per Vladimir Putin, accusandolo di crimini di guerra in Ucraina. Aderendo alla Corte le autorità armene si sono teoricamente impegnate ad arrestare il presidente russo, se entrasse in territorio armeno. A ottobre il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, aveva definito la decisione dell’Armenia «inappropriata dal punto di vista delle nostre relazioni bilaterali».

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La nuova proposta per un patto di non aggressione tra Armenia e Azerbaijan (e l’occasione dell’Ue) (L’Inkiesta 31.01.24)

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha reso noto di aver proposto un patto di non aggressione all’Azerbaijan in attesa della firma di un trattato di pace che dovrebbe portare alla riconciliazione tra i due ex-nemici del Caucaso. Baku e Yerevan hanno combattuto due guerre, tra gli anni Novanta e i Duemila, per il controllo del Nagorno-Karabakh, una regione in territorio azero ma popolata da armeni – una condizione apparentemente assurda, creata ad arte dall’Unione Sovietica durante la dittatura di Joseph Stalin, che aveva deciso di dividere gli Stati vicini alla Russia in modo che avessero popolazioni non omogenee al loro interno per evitare rivendicazioni e rivolte nazionaliste.

Baku ha riconquistato il Nagorno-Karabakh nel 2023 grazie a un’offensiva lampo, un attacco deliberato che ha posto fine a una situazione che si trascinava da decenni e ha messo in grave difficoltà l’Armenia: la quasi totalità della popolazione ha abbandonato il Nagorno-Karabakh per riversarsi a Yerevan, un flusso consistente di persone che devono essere aiutate a ricostruire la propria vita.

Pashinyan e il capo di Stato azero Ilham Aliyev avevano già chiarito come la firma di un trattato di pace sarebbe potuta avvenire entro la fine del 2023 ma questa eventualità, nonostante i colloqui di pace, non si è verificata. Pashinyan e Aliyev si sono incontrati diverse volte, in presenza del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, ma il processo di riavvicinamento è entrato in una fase di stallo a partire da ottobre. Tra i pochi risultati c’è stato, nel mese di dicembre, lo scambio dei prigionieri di guerra. Lo sviluppo è stato definito, secondo quanto riportato da Euractiv, come «una svolta» da Unione europea, Stati Uniti, Russia e Turchia.

La vicenda del Nagorno-Karabakh ha prodotto un significativo mutamento nell’orientamento strategico dell’Armenia, storicamente vicina alla Russia e membro dell’Organizzazione per il Trattato della Sicurezza Collettiva (Csto), un’alleanza militare molto simile alla Nato, che però guarda a Mosca. A Yerevan molti si chiedono, come chiarito dal portale Eurasianet, che senso abbia continuare a far parte di un’alleanza che non ha fatto nulla per aiutare il Paese quando si è trovato sotto attacco.

La possibile uscita dalla Csto finora è sempre stata negata da Pashinyan ma è indubbio che qualcosa sia cambiato nella nazione caucasica. Quindici organizzazioni pubbliche hanno diffuso un comunicato in cui, tra le altre cose, criticano l’interferenza della Russia negli affari interni del Paese, chiedono l’espulsione delle truppe di Mosca presenti in Armenia e fanno richiesta di avviare il processo di uscita dalla Csto.

L’alleanza militare, di cui fanno parte anche Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Bielorussia, sarebbe dovuta intervenire in soccorso di Yerevan quando le truppe azere ne hanno invaso le aree di confine ma non ha agito e questa linea di condotta ha spinto l’Armenia a non partecipare più ai vertici della Csto e a intensificare la cooperazione con l’Unione europea. Il summit dei ministri degli Esteri dell’Unione europea, svoltosi lo scorso 11 dicembre, ha chiarito che Bruxelles valuterà la possibilità di inviare aiuti militari all’Armenia mediante lo European Peace Fund e che aumenteranno gli effettivi della missione di monitoraggio comunitaria a Yerevan. Areg Kochinyan, un analista a capo del Research Center on Security Policy sentito da Eurasianet, ha spiegato come l’Armenia potrebbe lasciare la Csto dopo aver approvato una strategia di sicurezza nazionale che assegna «uno status di appartenenza a nessun blocco» del Paese.

Il riavvicinamento tra Yerevan e l’Occidente è stato evidenziato da diversi sviluppi degli ultimi mesi. A settembre le forze armate armene hanno svolto esercitazioni congiunte con l’esercito americano e Yerevan ha reso noto di aver accettato di potenziare la cooperazione militare con la Francia. L’Armenia, in un evidente smacco a Mosca, ha inoltre ratificato lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale che, come noto, ha emesso un mandato di cattura nei confronti del capo di Stato russo Vladimir Putin. Queste azioni contribuiscono a sgretolare il predominio di Mosca nella nazione caucasica che, anche a causa della sua peculiare collocazione geopolitica, ha sempre dovuto fare riferimento al Cremlino per tutelare le proprie esigenze di sicurezza.

La storica inimicizia con l’Impero Ottomano, culminata nella tragica vicenda del genocidio armeno e poi con la Turchia hanno spinto Yerevan a cercare la protezione di Mosca per evitare l’ annientamento totale. Il territorio del Paese è , infatti, assai ridotto e schiacciato ad ovest da Ankara e ad est da Baku, alleato della Turchia. La regione caucasica è, inoltre, geograficamente isolata e molto distante dall’Europa continentale, un fattore che ha contribuito ad avvicinare ancora di più Mosca e Yerevan e ad impedire un intervento più incisivo da parte di Bruxelles. L’autonomia di manovra dell’Armenia è, dunque, contingentata dalla presenza di una situazione precaria e complessa e dalla volontà di Mosca di mantenere un saldo predominio su quella che considera la propria sfera d’influenza. L’Unione europea, in questo contesto, può puntare su una politica di piccoli passi che tenda ad un rafforzamento dei rapporti bilaterali nella speranza che il contesto regionale lo consenta.

Lo sviluppo di rapporti più stretti tra Bruxelles e Yerevan non può prescindere da un maggiore sviluppo democratico dell’Armenia e dal rafforzamento delle istituzioni locali, un processo che proprio Bruxelles potrà aiutare a coordinare e a rafforzare nel medio-lungo periodo.

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L’Azerbaijan tra petrolio e democrazia sospeso dal Consiglio d’Europa (Remocontro 31.01.24)

Tensioni tra l’Azerbaijan e i Paesi dell’Unione Europe. Il Consiglio d’Europa, del quale fanno parte tutte le nazioni Ue oltre a Paesi come Georgia, Armenia, Azerbaigian, Serbia e Montenegro, fu fondato nel 1949 e ha sede a Strasburgo.
Contraddizione europea, con Ursula von der Leyen in recente visita a Baku per un trattato sulle forniture energetiche azere, mentre il Consiglio d’Europa rischia di mettere tutto in discussione.

Promuovere democrazia dove spesso è più incerta

Scopo principale del Consiglio d’Europa è promuovere la democrazia, i diritti umani e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali. Per quanto non figuri tra gli organi istituzionali dell’Unione, la sua importanza è cresciuta negli ultimi decenni, come testimonia la presenza di numerose nazioni extra-Ue.

La questione armena e il Nagorno Karabakh

Per quale motivo l’Azerbaigian è stato sospeso dal Consiglio per un anno? Strasburgo ha preso tale iniziativa a causa dell’espulsione degli armeni dal Nagorno Karabakh, ex enclave armena in territorio azero sin dai tempi dell’Unione Sovietica, della quale le due Repubbliche oggi in conflitto facevano entrambe parte.

L’accusa a Baku

Il Consiglio, accusa l’Azerbaigian anche di mancanza di trasparenza nelle procedure elettorali. Il presidente azero, Ilham Aliyev, ha indetto elezioni anticipate, ma non ha accettato la presenza di osservatori internazionali per vigilare sulla correttezza delle procedure. Per questo motivo il Consiglio ha espresso dubbi circa la capacità dell’Azerbaigian di tenere elezioni libere ed eque e di garantire la separazione dei poteri.

Frammenti di Islam in Europa

Ha inoltre rimarcato la debolezza del potere legislativo rispetto a quello esecutivo, e l’indipendenza del potere giudiziario. Naturalmente Baku ha subito reagito alla sospensione, accusando il Consiglio di avere un atteggiamento pregiudizialmente ostile all’Azerbaigian, e di islamofobia. Da notare che i rappresentanti turchi, unitamente a quelli albanesi, non hanno votato a favore della sospensione.

Tensioni tra Parigi e Baku

Notevole peso nella decisione del Consiglio hanno avuto i rapporti sempre più tesi tra Azerbaigian e Francia. Parigi si è schierata nettamente con gli armeni, e Baku, come risposta, ha ordinato a due diplomatici francesi di lasciare il Paese. Immediata la risposta di Macron, che ha dichiarato “persone non gradite” due diplomatici azeri. Aliyev ha inoltre accusato Parigi di inviare armi all’Armenia.

La storica cultura armena  di Francia

Come sempre accade, anche in questo caso la Francia – che ospita nel suo territorio una grande comunità armena – va per conto suo senza coordinarsi con gli altri Paesi europei. Lo stesso atteggiamento autonomo ha adottato in Africa, dove i rapporti di Parigi con alcune sue ex colonie hanno raggiunto il minimo storico, con l’espulsione di numerosi diplomatici francesi.

Nazionalismi e gas

La situazione è grave poiché l’Europa, dopo le sanzioni anti-russe, ha un grande bisogno del gas e del petrolio di cui l’Azerbaigian possiede ingenti riserve. Non a caso Ursula von der Leyen è andata a Baku per firmare, a nome della Ue, un trattato per garantire a Bruxelles le forniture energetiche azere. La decisione del Consiglio d’Europa rischia però di rimettere tutto in discussione.4

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Cari adoratori del grande Kapuściński, rileggetevi cosa scriveva sul Nagorno (Tempi 31.01.24)

Galina Starovojtova! Mi ero dimenticato di lei. Mi era apparsa, secondaria e fugace, in un libro di Ryszard Kapuściński del 1995, dove si parlava del Nagorno-Karabakh. Molto più importante di Galina mi apparve subito l’autore del testo intitolato La trappola. Un racconto bellissimo. Giornalismo puro, così gonfio di realtà che invece di studiare i personaggi veri che transitavano per quelle pagine, mi ero innamorato dell’inviato speciale arrivato a Stepanakert che aveva messo in bottiglia e gettato nell’oceano dell’umanità la strepitosa memoria di quel piccolo popolo, «destinato all’annientamento». Annientamento? Aveva scritto proprio così Ryszard. Tutto già allora congiurava contro questi armeni del Bosco Oscuro. «Uno dei posti più belli del mondo, qualcosa come le Alpi, i Pirenei, il Rodope, Andorra, San Marino e Cortina d’Ampezzo messi insieme». Una bellezza pronta per essere sgozzata.

 

Non sto allontanandomi dal dolore attuale dei centomila armen..

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In Armenia apre un biolaboratorio Usa. Ajnur Kurmanov: “Vanno trattati come basi militari Nato (L’Antidiplomatico 30.01.24)

di Fabrizio Poggi per l’AntiDiplomatico

Torna in primo piano la questione dei laboratori biologici USA, operativi in diverse repubbliche ex sovietiche, tutt’intorno ai confini della Russia. In un’intervista a Ukraina.ru, ne ha parlato in questi giorni il politologo kazako Ajnur Kurmanov, rappresentante della Coalizione internazionale per la proibizione degli esperimenti e la diffusione delle armi biologiche, il quale afferma che i biolaboratori yankee attivi nelle vicinanze dei confini russi debbano essere considerati alla stregua di basi militari USA e NATO, con tutte le conseguenze da ciò derivanti.

L’occasione dell’intervista è data dalla notizia, diffusa dall’armena “Past”, sull’apertura dell’ennesimo laboratorio (il 13°) nella repubblica caucasica: questa volta nelle immediate vicinanze della base militare russa di Gjumri, nell’Armenia nordoccidentale. A parere di Kurmanov, l’attivazione di questo nuovo sito (al pari dei 12 precedenti, completamente segreto) costituisce una ulteriore dimostrazione, da parte di Erevan, della propria volontà di distanziarsi da Mosca (pur continuando ad esserne, formalmente, alleata, nel ODKB) e mostrarsi vicina all’Occidente. Per USA e NATO, l’Armenia costituisce un “fronte di riserva” per accendere nuovi focolai nell’area sudorientale, di fronte al fallimento ucraino: una spina puntata contro il sud della Russia.

Nel nuovo laboratorio armeno, quantunque le autorità rifiutino di fornire la minima indicazione, sembra che vi si studi antrace, peste, varie febbri e malattie caratteristiche della Transcaucasia.

Ma non c’è solo l’Armenia. Nel sud del Kazakhstan, nella regione di Žambyl, si parla dell’attivazione del settimo (su un totale di poco meno di trenta siti in tutto il paese) laboratorio biologico del 4° livello di pericolosità, denominato “BSL-4”, finanziato dalla Defense Threat Reduction Agency (DTRA) del Pentagono. Pare che, in tutto il mondo, ci siano solo una dozzina di siti simili; viene realizzato insieme a un deposito sotterraneo per gli agenti patogeni quali virus Marburg, vaiolo, febbri latinoamericane, virus Ebola e altre malattie per le quali non esistono farmaci.

Secondo Kurmanov, in Kazakhstan di recente americani, britannici e tedeschi avrebbero lavorato su antrace, peste e tularemia. Si studierebbe la possibilità di utilizzare i cammelli quali portatori delle malattie più pericolose, lavorando anche su tipi di coronavirus che infettano gli animali in condizioni naturali; studi anche su febbri del Congo-Crimea e di Omsk.

Va detto che nel 2013, in Kazakhstan, gli americani avevano già raccolto zecche per la diffusione della febbre del Congo-Crimea. Poi, i biomateriali erano stati trasferiti per posta diplomatica in Georgia, al Centro Lugar, e qui sottoposti a modernizzazione; quindi, come atto di diversione biologica, rilasciati nel Caucaso settentrionale russo, provocando diversi casi letali.

Laboratori biologici USA sarebbero attivi anche in Uzbekistan e Tadžikistan e, senza bisogno dell’apertura di altri siti, in vari casi si utilizzano vecchie strutture di ricerca sovietiche, ovviamente su base DTRA.

Nell’area centroasiatica ex sovietica, secondo Kurmanov, la situazione epidemiologica è aggravata anche dal degrado dell’intero sistema sanitario (o di ciò che rimane dell’epoca sovietica) – assenza di vaccinazioni, chiusura di numerosi ospedali e policlinici – che si manifesta con la ricomparsa di malattie a suo tempo debellate. Ciò costituisce un indubbio vantaggio per le attività dei laboratori USA e NATO, come è il caso della rinnovata diffusione del morbillo. Nel caso specifico, c’è ragione di ritenere che si tratti di una tipica sperimentazione sul campo, con l’utilizzo di ceppi tossici di morbillo mai registrati in queste regioni prima del 2016. Si tratterebbe di due ceppi apparsi per la prima volta in Ucraina e successivamente in Kazakhstan, Kirghizija, ecc. Tra l’altro, quella del morbillo è una malattia molto utile ai fini militari. Fornisce un’eccellente possibilità di monitorare la velocità di diffusione di un’infezione, per verificare quanto siano in grado di affrontarla i sistemi sanitari locali coi vaccini a disposizione.

Un altro esempio è dato dalla peste suina africana, non tipica delle nostre latitudini, dice Kurmanov: i primi casi sono comparsi a metà del decennio scorso, con l’avvento dei nuovi laboratori. Un serio colpo fu inferto nel 2018-’19 agli allevamenti suini russi e cinesi, con parecchi milioni di maiali che dovettero esser macellati.

Per quanto riguarda l’Ucraina (nel marzo 2022 aveva trattato l’argomento il comandante delle truppe di difesa radioattiva, chimica e biologica russe Igor’ Kirillov), sembra che anche là si stiano nuovamente attivizzando i laboratori biologici, con la presenza di ricercatori americani e tedeschi. Si sono visti biologi militari della Bundeswehr negli ex siti militari sovietici della città di Šostka, dopo di che si è notata un’anomala diffusione di diversi tipi di zecche nelle aree di Brjansk, Belgorod, Kursk e Voronež.

In generale, sottolinea ancora Kurmanov, tali laboratori dovrebbero essere considerati alla stregua di basi militari USA e NATO, con la possibilità che vari agenti patogeni e virus vengano intenzionalmente diffusi, con danni irreparabili alla popolazione e all’agricoltura. Nel caso del “BSL-4” in Kazakhstan, ad esempio, in presenza di una fuga da un deposito sotterraneo, con i venti che in quell’area soffiano principalmente verso la valle di Fergana, si verificherebbe un’autentica crisi umanitaria: il locale sistema sanitario, semplicemente, non sarebbe in grado di reagire, col risultato di un enorme flusso di rifugiati ai confini russi e cinesi. Vale a dire, senza bisogno di un attacco militare diretto, Asia centrale e Caucaso diverrebbero un focolaio di continue epidemie, con milioni di appestati e di morti, economia e infrastrutture sociali distrutte.

Parafrasando il Victor Hugo de “Il Novantatré”, anche la guerra moderna, come «la Vandea, serve al progresso. Le catastrofi hanno un oscuro modo di accomodare le cose»: in questo caso, per l’eternità.

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