La pace turco-armena (Raiplaysound 03.01.24)

Il 3 gennaio 1921 cessano le ostilità tra l’esercito Armeno e quello ottomano con Marco Ansaldo Repertorio, Archivio Rai: GR3 19/01/2007, Radio3 Nagorno Karabakh La guerra dimenticata 19/08/2011, Il tempo e la storia Il genocidio armeno 28/04/2015; La storia siamo noi 6/09/2005. Papa Francesco: il massacro degli armeni è il primo genocidio del XX secolo Euronews 12/4/2015 Estratti dal film: La masseria delle allodole di Paolo e Vittorio Taviani, Ita. 2007 Marco Ansaldo, già inviato speciale de «la Repubblica» per la politica internazionale, oggi è analista geopolitico, consigliere scientifico di «Limes» da Istanbul, vaticanista per «Die Zeit» e consulente de La7 per il programma Atlantide

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Giovani talenti da tutto il mondo di scena al Carmine (Il Giorno 03.01.24)

Concerto per l’Epifania venerdì nella chiesa del Carmine. Alle 20,30 si esibirà l’International Musical Friendship Orchestracademy, scuola-orchestra internazionale, itinerante, che ha formato in trent’anni più di mille musicisti tra i 10 e i 20 anni in tutto il mondo. Nata dall’intuizione di Markus Lentz, docente di violoncello, fondatore e presidente dell’Imf, e da Giovanni Grandi, musicista e docente di tromba, coordinatore Imf per l’Italia, la scuola-orchestra propone, a ingresso libero, il concerto per tromba e orchestra dell’armeno Arutunian e la Quinta sinfonia di Antonin Dvorak.

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Per Agagianian, il cardinale armeno che rischiò di diventare Papa, Chiesa e missione erano indistinguibili. Alessandra Scotto ha ricostruito la sua spiritualità (S.C.) (Faro di Roma 03.01.24)

“Sapete che il vostro cardinale e io eravamo come appaiati nel Conclave dello scorso ottobre? I nostri nomi si avvicendavano or su, or giù, come i ceci nell’acqua bollente”, raccontò San Giovanni XXIII ai connazionali del porporato armeno Gregorio Pietro XV Agagianian, “mancato pontefice” nel Conclave che lo aveva eletto mesi prima, ricevendo gli alunni del Collegio Armeno nel 1959, uno scoop per i vaticanisti dell’epoca e una rivelazione per gli storici che non hanno potuto ignorare la rivelazione del Papa eletto sul nome del cardinale che aveva sfiorato l’elezione come avvenne a Giuseppe Siri nel successivo che elesse Paolo VI e pure nei due del 1978, e a Jorge Mario Bergoglio nel 2005, quando prevalse sul porporato argentino il card. Joseph Ratzinger.

Ma che storia aveva alle spalle Agagianian, del quale è attualmente in corso il processo di canonizzazione?
Nato nell’attuale Georgia (allora parte dell’impero russo) nel 1895, Ghazaros Agagianian fu ordinato sacerdote nel 1917 e vent’anni dopo eletto patriarca di Cilicia degli Armeni, assumendo il nome di Gregorio Pietro. Creato cardinale nel 1946, fu prefetto di Propaganda Fide nel 1960 e poi voluto da Paolo VI tra i moderatori del Concilio Vaticano II. Una “carriera ecclesiastica” che non aveva precedenti e non ha avuto eguali nemmeno successivamente, se non il patriarca dei siri cattolici, cardinale Ignace Moussa I Daoud, chiamato a Rima da Damasco da San Giovanni Paolo II che gli affidò la Congregazione delle Chiese Orientali, ruolo tuttavia di minor impatto universale di quello di Agagianian a Propaganda Fide, dove il prefetto viene chiamato a Roma “il Papa rosso” per analogia al “Papa nero” dei gesuiti.

Alessandra Scotto, biografa del porporato armeno Gregorio Pietro XV Agagianian, ora in cammino verso l’onore degli altari, si concentra nel suo nuovo libro (“Chiesa e missione sono indistinguibili”, edito da Velar) soprattutto sulla sua straordinaria spiritualità ecclesiale, suggerendo una chiave di lettura del pensiero del Catholicos-Patriarca, dal quale emerge quanto, ieri come oggi, la Chiesa e la Missione non possano essere considerate per loro natura separatamente. “Gregorio Agagianian – spiega – si rivolge ai laici, in particolare ai giovani, ai religiosi, ai missionari, al suo amato popolo armeno, chiedendo ad ognuno di essere un faro che risplende e che mostra il valore dell’amore caritatevole, della giustizia, della verità e della pace, per essere pienamente e positivamente cristiani ed efficacemente evangelizzatori”.

A distanza di 50 anni dalla morte del cardinale Agagianian, del resto, la sua vita potrebbe risultare lontana rispetto ai nostri giorni, tuttavia la comprensione del suo messaggio è particolarmente attuale. Una vita avvolta da eventi drammatici, sconvolta da guerre che nulla hanno risolto ma che hanno seminato dappertutto distruzioni materiali e hanno operato immensi sconvolgimenti morali, eppure il Cardinale armeno si sforzò di trovare una via di salvezza per ognuna di quelle anime che Dio gli mise accanto.
In queste pagine non si trova un saggio di Teologia della Missione, ma una testimonianza concreta di come nelle temperie della storia questo personaggio abbia incarnato un cristianesimo fedele alla tradizione ma aperto ai problemi del tempo.

Nella sua prefazione, il card. Fernando Filoni, tra i successori di Agagianian alla guida di Propaganda Fide, oggi Dicastero per l’Evangelizzazione, descrive il predecessore armeno con le parole di San Paolo al suo discepolo Timoteo in un’accorata lettera: “Tu, uomo di Dio, tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni”. “Senza enfasi – spiega il porporato – ritengo che siano le parole che meglio descrivano il card. Agagianian: uomo di Dio, sacerdote e vescovo di Cristo, figlio della Chiesa!”

“Questo singolare ecclesiastico dalla radice armena, trapiantato per vari anni nella latinità, è stato – sottolinea Filoni – un vero uomo di Dio, il cui senso cristiano della vita stava a lui come la radice all’albero. Già l’origine caucasica ci riporta alla storia di un popolo che ha attraversato immense tragedie per mano degli invasori di turno; al tempo stesso, l’Armenia è rimasta una terra fedele alla propria fede cristiana; una nazione ricca di cultura e di tradizioni consolidate da uomini santi che ne hanno marcato l’esistenza fin dal suo fondatore: San Gregorio l’Illuminatore. Il card. Agagianian (1892- 1971) è stato parte di quel nobile popolo, nonché figlio devoto e poi padre amatissimo”.

“Egli non ha nascosto i suoi ricchi talenti: consapevole del dono divino ha sentito il bisogno di distribuirli a tutti i credenti che cercano il Regno di Dio. E quanto ardore e devozione nel suo ministero pastorale e nel suo complesso ufficio di Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide! Ha amato fedelmente la Madre Chiesa, senza chiusure, senza arroccamenti, senza timori! Ha amato teneramente il suo popolo, come un vero padre, continuando ad incontrare e ad amare altri popoli con la stessa passione, con la stessa cura, con la stessa generosità!”, riassume Raphaël Bedros XXI Minassian, attuale
Catholicos Patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici, che nella sua postfazione al volume della Scotto formula l’auspicio che presto “un altro santo armeno risplenda tra i santi della Chiesa universale”.

Sante Cavalleri

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La Repubblica di Artsakh continua ad esistere e le sue strutture statali ad operare in esilio (Korazym 03.01.24)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 03.01.2024 – Vik van Brantegem] – La Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh non è stata sciolta il 1° gennaio 2023. La questione è forse quella più discussa negli ultimi giorni, perché il 28 settembre 2023 fu diffuso dai media un decreto del Presidente Samvel Shahramanyan: «Dal 1° gennaio 2024, la Repubblica di Nagorno Karabakh (Artsakh) cessa di esistere». Ma, almeno per ora, non è questo il destino della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.

Il Difensore dei Diritti Umani dell’Artsakh, Gegham Stepanyan, aveva annunciato che ci sarebbero state delle informazioni ufficiali sull’annullamento del decreto presidenziale, perché evidentemente incostituzionale e sostanzialmente privo di efficacia. «Inoltre, il Presidente della Repubblica di Artsakh ha annunciato a Yerevan che una persona non può con una sola firma sciogliere o fermare la Repubblica, formata da un referendum popolare», aveva affermato Stepanyan, osservando inoltre, che da un punto di vista giuridico che i decreti, di fatto, entrano in vigore dal momento della pubblicazione, e che tuttavia tale decreto non è mai stato pubblicato nella giurisprudenza degli atti giuridici dell’Artsakh: «Dal punto di vista della tecnica giuridica, tale decreto non è stato in alcun modo inserito. Ma in ogni caso l’informazione su un simile decreto è stata diffusa, e penso che dovrebbe esserci anche l’informazione sulla sua cancellazione. A mio avviso, la questione non è giuridica, ma più informativa, perché da una simile dichiarazione sotto la minaccia della forza, logicamente e naturalmente, il pubblico si aspetta ulteriori informazioni sulla sua cancellazione e/o sulla sua inesistenza».

Stepanyan faceva anche riferimento alla questione del ritorno in Artsakh, discusse tra il grande pubblico. «Dopo l’emigrazione forzata, ho avuto l’occasione e l’opportunità di confrontarmi su questo tema con diversi attori internazionali, rappresentanti delle Ambasciate accreditate in Armenia. Naturalmente noi abbiamo un’idea diversa riguardo al ritorno, loro hanno un’idea diversa. Ma questo argomento non dovrebbe essere chiuso, abbiamo molto da fare, questa è la mia convinzione», ha dichiarato Stepanyan.
Durante varie discussioni sulle condizioni di ritorno, soprattutto con attori internazionali, il Difensore dei Diritti Umani dell’Artsakh ha escluso in caso di ritorno di vivere sotto la bandiera e il controllo della polizia e delle forze di sicurezza azerbajgiane. Ha assicurato che nessun cittadino dell’Artsakh sarebbe tornato in tali condizioni.

La nostra copertura precedente

Abbiamo riportato che il 28 settembre 2023 – sotto la minaccia dell’occupazione azerbajgiana [QUI] – le autorità della Repubblica di Artsakh hanno comunicato che il Presidente, Samvel Shahramanyan, aveva firmato un decreto «con cui tutte le istituzioni e organizzazioni statali sotto la loro autorità dipartimentale saranno sciolte entro il 1° gennaio 2024. A seguito dell’entrata in vigore di questo decreto, la popolazione dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), compresi quelli residenti al di fuori della repubblica, avrà l’opportunità di rivedere i termini di reintegrazione presentati dall’Azerbajgian. Ciò consentirà alle persone di prendere decisioni informate riguardo alla loro potenziale futura residenza nell’Artsakh (Nagorno-Karabakh). La decisione entra in vigore dal momento della sua pubblicazione».

Abbiamo riportato che il 29 settembre, Artak Beglaryan, già Ministro di Stato e Difensore dei Diritti Umani della Repubblica di Artsakh ha osservato: «Il decreto del Presidente dell’Artsakh sullo scioglimento della Repubblica è illegale e illegittimo:
1. Nessun Presidente ha il potere di sciogliere con referendum la Repubblica formata dal popolo.
2. Quel decreto è stato firmato a seguito della dura aggressione e della minaccia dell’uso della forza da parte dell’Azerbajgian.
È nullo».

Abbiamo riportato che il 16 ottobre l’agenzia 301 ha riferito che il Presidente della Repubblica di Artsakh, Samvel Shahramanyan, aveva tenuto un incontro presso la rappresentanza dell’Artsakh in Armenia (foto sopra) con funzionari e forze politiche della Repubblica di Artsakh.
L’apparato statale dell’Artsakh, guidato dal Presidente dell’Artsakh, è attualmente ospitato nell’ufficio di rappresentanza dell’Artsakh in Armenia, ha detto Armine Hayrapetyan, Portavoce dell’ufficio di rappresentanza. «L’ufficio di rappresentanza dell’Artsakh in Armenia è la divisione del Ministero degli Esteri della Repubblica di Artsakh che da anni attua alcune direzioni della politica estera dell’Artsakh in Armenia. Oltre a ciò, la risoluzione di molte questioni dei cittadini dell’Artsakh è affidata all’ufficio di rappresentanza dell’Artsakh. Dopo la guerra dei 44 giorni [nel 2020], il quartier generale operativo del governo dell’Artsakh opera in via Abovyan 9 [a Yerevan], e la maggior parte di queste funzioni sono attualmente svolte dal quartier generale stesso. Si occupa di questioni relative ai documenti dei cittadini, alle pensioni, ai passaporti, ai sfollati dell’Artsakh», ha affermato Hayrapetyan. «Al momento gli sviluppi in corso nell’ufficio di rappresentanza dell’Artsakh non sono effettivamente all’ordine del giorno della rappresentanza. Come lei stesso sa, il Presidente, il Capo del governo e i Parlamentari dell’Artsakh sono nell’ufficio di rappresentanza, che non coordina le loro riunioni e le loro funzioni, quindi non posso dire cosa sta accadendo nell’edificio dell’ufficio di rappresentanza”, ha aggiunto Armine Hayrapetyan.

Abbiamo riportato il 18 ottobre 2023, che il sindaco di Stepanakert, Davit Sargsyan, ha affermato che «il Presidente della Repubblica di Artsakh, Shatramanyan, non ha firmato alcun documento sullo scioglimento dello Stato. In precedenza è stato annunciato che le autorità del Nagorno-Karabakh/Artsakh hanno ordinato lo smantellamento di tutte le istituzioni statali».

Abbiamo riportato che il Presidente della Repubblica di Artsakh, Samvel Shahramanyan, il 19 ottobre 2023 ha firmato un decreto con il quale, a partire dal 1° ottobre 2023, i funzionari governativi e comunitari si considerano sollevati dall’incarico doveri, ad eccezione del Presidente dell’Artsakh, del Capo della sua amministrazione, del Segretario del Consiglio di sicurezza , dei Parlamentari, del Presidente dell’Assemblea nazionale, dei Giudici, del Difensore dei Diritti Umani, del presidente della Commissione elettorale centrale, del Procuratore Generale, del Ministro di Stato, dei Ministri, del Capo della polizia e di un gruppo di altri funzionari.

Abbiamo riportato che il 1° novembre 2023 all’Hotel Marriott di Yerevan si è svolto un incontro a porte chiuse con la partecipazione del Presidente e dei Deputati della Repubblica di Artsakh, su iniziativa del Comitato per la Preservazione dello Stato di Artsakh. Erano presenti anche personaggi pubblici e politici dell’Artsakh e dell’Armenia. Durante l’incontro si è discusso su come preservare le istituzioni statali dell’Artsakh.
Samvel Shahramanyan non ha fatto alcun commento, mentre gli altri partecipanti all’incontro hanno concordato di non rivelare i dettagli della discussione, ma hanno risposto ad alcune domande dei giornalisti.
Suren Petrosyan, membro del Comitato per la Preservazione dello Stato di Artsakh, ha detto ai giornalisti che c’era una serie di questioni al centro delle discussioni, senza fornire dettagli, osservando che questi processi continueranno. Ha osservato che chiudere la pagina della statualità dell’Artsakh o mettere una croce sul destino dell’Artsakh è una minaccia alla sicurezza nazionale. «E non si tratta solo di un aspetto tecnico e legale, perché l’Artsakh non era solo una delle garanzie della nostra sicurezza fisica, ma fino ad oggi l’Artsakh è anche una delle componenti chiave della nostra sicurezza spirituale. So che oggi non è così “di moda” parlare di dimensioni più profonde, tutti vogliamo parlare solo dei processi in atto in questo momento, ma ci sono molte componenti che non possiamo bypassare nel quadro della statualità», ha dichiarato Petrosyan.
L’Avv. Ara Zohrabyan, che ha partecipato all’incontro, ha fatto riferimento al decreto del Presidente Shahramanyan sullo scioglimento della Repubblica di Artsakh, sottolineando che il Presidente non può sciogliere lo Stato divenuto indipendente attraverso un referendum. tale decreto non ha valore giuridico. Alla domanda se fosse possibile per Shahramanyan ripiudare l’ordine da lui firmato, Zohrabyan ha risposto: «Certo. La Corte Suprema può dichiararlo invalido. In generale, una persona che ha adottato un atto giuridico può anche invalidare il suo atto giuridico precedente con un altro atto giuridico. Esistono strumenti del genere».
In risposta alla domanda: «Se la bandiera azera viene alzata in piazza a Stepanakert, l’esercito di difesa viene sciolto e non ci sono più Armeni in Artsakh, come possiamo contribuire alla preservazione dell’armenità dell’Artsakh?», Petrosyan ha affermato: «Naturalmente ci saranno risposte a queste domande e, tra l’altro, non siamo nuovi nel trovare risposte a queste domande.  Le risposte a queste domande sono state date in diversi periodi storici. A livello globale, lo Stato ha due componenti: la terra e le persone. Al momento l’Artsakh è occupato, ma ci sono i nostri connazionali dell’Artsakh, e qui ci sono anche le autorità da loro elette legittimamente. E se vogliamo preservare le nostre ambizioni e i nostri diritti nei confronti dell’Artsakh, dobbiamo preservare questa seconda componente. Perché i nostri compatrioti dell’Artsakh rappresentano gli interessi collettivi e determinano le ambizioni del governo e dell’ordine costituzionale esistente. Questo dovrebbe essere preso in considerazione».
Petrosyan ha sottolineato che il primo passo, ma non esauriente, per preservare l’armenità dell’Artsakh, è la preservazione delle istituzioni statali. Ha osservato che il Comitato per la Preservazione dello Stato di Artsakh ha formulato i problemi e si muoverà verso la loro soluzione. Saranno fatti annunci dettagliati sui passaggi e sugli obiettivi nel prossimo futuro.

Il punto della situazione

Sollecitati anche da alcune domande dei lettori e dalle inesattezze lette sui media, l’Iniziativa italiana per l’Artsakh ha fatto sinteticamente il punto della situazione relativa all’esistenza della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh (in sostanza un riassunto delle informazioni che abbiamo riportato in passato):

1. Il 26 settembre 2023, nel caos susseguente all’attacco azero del 19-20 settembre e allo sfollamento forzato della popolazione, il Presidente della Repubblica di Artsakh, Samvel Shahramanyan, diede notizia di un decreto in base al quale dal successivo 1° gennaio sarebbe cessata la Repubblica e le sue istituzioni avrebbero smesso di operare.

2. Di tale decreto non vi è traccia. Non è stato diffuso o pubblicato.

3. Un decreto del Presidente Shahramanyan del 19 ottobre 2023 stabiliva, che “il Presidente, il Ministro di Stato, i membri del Governo, il Parlamento, il Segretario del Consiglio di Sicurezza, le forze dell’ordine, il Sindaco della capitale Stepanakert e i capi delle regioni amministrative dell’Artsakh continuano a ricoprire incarichi su base pubblica cioè senza compenso“.

4. Il suddetto decreto del Presidente Shahramanyan aggiungeva che erano validi i documenti rilasciati per conto della Repubblica dell’Artsakh dopo il 1° ottobre 2023.

5. Il 22 dicembre 2023, nel corso di un incontro in Armenia con funzionari dello Stato, il Presidente Shahramanyan ha pubblicamente dichiarato che “non esiste alcun documento nel dominio giuridico dell’Artsakh che preveda lo scioglimento delle sue istituzioni statali“.

6. Contemporaneamente, il suo Consigliere, Vladimir Grigoryan, ha affermato che “il decreto presidenziale sullo scioglimento dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) non esiste più” e che “la Repubblica di Artsakh, il governo e tutte le altre agenzie [statali] continueranno le loro attività dopo il 2024“. Di fatto, il decreto del 19 ottobre avrebbe reso nullo e sostituito quello del 26 settembre.

7. A prescindere da quanto sopra, il decreto (contestato) del 26 settembre è stato oggetto di critiche costituzionali in quanto non può spettare al solo Presidente della repubblica l’autorità di sciogliere le istituzioni statali ma tale decisione, eventualmente, può essere presa dalla sola Assemblea Nazionale che è espressione della volontà popolare.

8. In conclusione, la Repubblica di Artsakh continua la propria esistenza e le sue strutture statali operano in esilio.

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Te Deum laudamus perché solo Tu non hai abbandonato il nostro Artsakh (Tempi 02.01.24)

Tatevik Zakaryan, avvocato, dirige la Fondazione “Complesso educativo armeno-italiano Antonia Arslan” e il fondo di beneficenza per i cristiani bisognosi “CINF Artsakh”

L’Artsakh era sotto assedio. Era assediato dal 2020, quando l’Azerbaigian decise, nel silenzio e nell’indifferenza del mondo, di attaccare la piccola repubblica armena con l’aiuto di Turchia e Israele, di occuparne con la forza il 75 per cento, di distruggere le chiese cristiane, per eliminare ogni traccia di presenza armena, per uccidere e decapitare donne, bambini, occultare cadaveri… Mi sono posta la domanda: dov’è la comunità internazionale, dov’è il mondo umanitario? La risposta era una sola: l’interesse ha accecato tutti, comanda il potere.
La porta del cristianesimo, l’Artsakh, è stato lasciato solo contro decapitatori, barbari, genocidi, e aveva le mani legate.

Abbiamo vissuto a casa nostra da prigionieri, abitavamo la terra dei nostri antenati da ostaggi, avev…

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Natale dei cristiani in Iran (iqna.ir 02.01.24)

Anche in Iran, i cristiani festeggiano ogni anno sia il Natale che il Capodanno. Nel mondo moderno cade il primo gennaio del calendario gregoriano in uso ai fini civili in tutto il mondo, e nella larghissima maggioranza degli Stati è un giorno di festa. Il calendario gregoriano è il calendario ufficiale della maggior parte dei Paesi del mondo. Si tratta di un calendario solare, cioè basato sul ciclo delle stagioni.

È usanza di alcune regioni considerare il Capodanno come il primo giorno dell’anno. Il primo gennaio segna l’inizio di un nuovo periodo, che solitamente inizia una settimana dopo Natale, ma anche una occasione per celebrare la notte di passaggio tra il 31 dicembre e il primo gennaio, che si festeggia con il veglione di Capodanno. Nonostante la differenza esistente per il Natale tra diverse popolazioni cristiane, anche nell’Iran, i cristiani festeggiano il Natale sotto l’albero e con Babbo Natale ed anche il capodanno gregoriano.

Mentre il Natale si festeggia il 25 dicembre nella chiesa cattolica, la maggior parte dei cristiani iraniani lo celebrano il 6 gennaio, equivalente con l’Epifania, una festa cristiana anche detta Epifania del Signore. Nel terzo secolo i cristiani iniziarono a commemorare, con il termine Epifania, le manifestazioni divine di Gesù. In particolare, tra queste manifestazioni si annoverano: l’adorazione da parte dei Re Magi, il battesimo di Gesù ed il primo miracolo avvenuto a Cana. Oggi con questo termine si intende invece la prima manifestazione pubblica della divinità, con la visita dei Re Magi (sacerdoti astronomi Persiani) al bambino Gesù.

Natale in Iran tra rispetto e condivisione

Nel mondo ortodosso, alcuni utilizzano il termine Epifania per indicare la festa che cade sempre il 6 gennaio (o tredici giorni più tardi nelle chiese che seguono il calendario giuliano) e viene più correntemente chiamata Teofania. In questo giorno viene celebrato il battesimo di Gesù nel Giordano, mentre la visita dei Magi, commemorata dai cattolici di rito latino e da altre chiese occidentali in una festa a sé, nelle chiese di rito bizantino viene celebrata il giorno stesso del Natale.

Circa il 97 percento della popolazione iraniana è musulmano e il 3 percento è composto dalle altre religioni. La Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran riconosce tutte le religioni comprese Zoroastrismo, Ebraismo e Cristianesimo e tutte queste hanno i loro rappresentanti nel Parlamento iraniano.

Si stima che in Iran vivono tra i 200mila e 300mila cristiani. La chiesa cristiana è per lo più armena (sin dalle origini, 3000 anni fa appunto, gli Armeni si insediarono a Jolfa, al confine più a nord dell’Iran); altre comunità cristiane presenti sono quelle di cattolici, protestanti, caldei, ortodossi, avventisti e altri ancora. Gli armeni gestiscono anche svariate decine di centri di istruzione cattolica, pubblicano da più di 60 anni un quotidiano in lingua propria.

Le comunità cristiane più nutrite si trovano a Tabriz, Isfahan, Shiraz, Orumiye, Teheran e nelle province dell’Azerbaijan, ma la maggior parte dei cristiani vive a Teheran. A Isfahan, centro-sud, ha una grande comunità armena, poi c’è anche la comunità armena di Tabriz a nord-ovest.

Un grande esempio di convivenza e rispetto reciproco che spesso in Occidente ci sogniamo. Intanto, “impartiamo” lezioni di diritti umani sostenendo false rivolte e inviando mercenari armati.

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Chiuso il capitolo Nagorno-Karabakh (Vaccarinnews 01.01.24)

In base a quanto annunciato nel settembre scorso, l’area, nota anche come Artsakh, è ritornata sotto l’Azerbaigian

Colpi di scena che al momento appaiono improbabili, il Nagorno-Karabakh, anche noto come Artsakh, da oggi non esiste più come realtà a se stante. È quanto venne annunciato in settembre dopo la conquista da parte dell’Azerbaigian della regione a maggioranza armena, che aveva proclamato la propria indipendenza da Baku nel 1991.

L’area, pur non essendo riconosciuta dalla comunità internazionale, con il supporto dell’Armenia aveva creato una propria entità autonoma, emettendo anche “francobolli”, dall’11 giugno 1993 come Nagorno-Karabakh e poi -dopo il referendum del 20 febbraio 2017- dal 21 aprile di quell’anno col nome di Artsakh. Oggi sono considerati dai cataloghi Michel (è un capitolo autonomo della collana per l’Asia), Unificato (lo stesso ma nel volume dedicato ai Paesi dell’ex Urss, Russia esclusa), Yvert & Tellier (in calce all’Armenia nel repertorio europeo).

Le ultime produzioni note -due serie- risalgono al 23 settembre. Una, valori da 120, 230, 380 e 400 dram, propone uccelli locali: lucarino, francolino nero, airone cenerino, anatra marmorizzata. L’altra, in due tagli non dentellati e autoadesivi da 120 e 230, riguarda vedute, nel dettaglio i monti Mrav e la fortezza di Kachaghakaberd.

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PERSECUZIONIGerusalemme, coloni ebraici attaccano il quartiere dei cristiani armeni: arresti e feriti (Renovatio 01.01.24)

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

In una nota il patriarcato parla di 30 «provocatori» con indosso maschere, armi che hanno assaltato vescovi, sacerdoti e fedeli. Ma per la vice-sindaco della città i responsabili sarebbero «uomini arabi» che si sono «azzuffati» con gli armeni e la polizia ha effettuato dei fermi «da entrambe le parti». Dietro il raid il controllo di un’area contesa della città santa.

 

Due giovani armeni arrestati dalla polizia israeliana e diversi altri feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni. È il bilancio dell’attacco, avvenuto ieri pomeriggio, da parte di decine di estremisti ebraici in un’area contesa a Gerusalemme, appartenente al Patriarcato armeno ma da tempo nel mirino dei coloni e di un imprenditore dalle controverse origini. E, anche in questo caso come in altre vicende del passato, la comunità cristiana è due volte vittima: dell’assalto che ha provocato shock e feriti e della successiva operazione delle forze di polizia israeliana, che finisce per punire chi ha subito – e non chi è causa – della violenza.

 

Secondo quanto riferisce il Movimento per la Protezione e la Conservazione del Quartiere Armeno di Gerusalemme, in seguito a un «attacco» sferrato da «uomini armati» nell’area nota come «Cow Garden» due giovani armeni «sono stati arrestati». «Domani [oggi, ndr] saranno portati in tribunale. Gli avvocati ~ prosegue la dichiarazione del movimento – li rappresenteranno durante il procedimento giudiziario».

 

Gli attivisti si rivolgono al Patriarcato armeno esortandolo a usare «tutti i mezzi possibili» attraverso i suoi collegamenti con la polizia, il comune e il governo per garantire «il rilascio immediato dei giovani» fermati ingiustamente.

 

Fonti locali riferiscono di almeno 30 «provocatori» con indosso maschere, altri ancora con armi in pugno, protagonisti di un assalto a vescovi, sacerdoti, diaconi e fedeli armeni ieri nella città vecchia, a Gerusalemme. In rete e sui social circolano immagini e video dell’assalto, che secondo una lettera inviata a governo e polizia dal patriarcato armeno sarebbe stato «coordinato e di massa».

 

 

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«Diversi sacerdoti, studenti e armeni dell’area – continua la nota – sono rimasti feriti in modo grave». «Ci hanno attaccato in modo deliberato» accusa il vescovo Koryoun Baghdasaryan, direttore del Real Estate Department del Patriarcato, intervistato da The Jerusalem Post (JP). Per il cancelliere Aghan Gogchyan gli aggressori hanno usato spray al peperoncino e altre sostanze chimiche colpendo gli studenti del seminario, molti dei quali sono stati portati in ospedale.

 

Nel commentare l’attacco, i vertici della comunità armena di Terra Santa – secondo cui il raid è legato alla causa presentata in tribunale contro il tentativo di esproprio dei terreni – parlano di «un gruppo di 30 coloni estremisti israeliani» vestiti «con abiti neri, passamontagna e armati». Poco prima dell’una del pomeriggio i componenti della banda si sono avvicinati muniti di «bastoni, pietre e granate lacrimogene», nell’ennesimo tentativo di «allontanare violentemente la comunità armena dall’area».

 

Gli armeni «hanno combattuto i coloni ebrei fino all’arrivo della polizia». Diversa, al limite del paradossale, la versione della vice-sindaco di Gerusalemme Fleur Hassan-Nahoum interpellata dal JP, che parla di «spiacevole incidente» addossando la responsabilità dell’attacco a «arabi musulmani» che si sarebbero «azzuffati» con gli armeni. Gli agenti sono intervenuti prontamente, aggiunge, effettuando «arresti da entrambe le parti».

 

La comunità armena di Terra Santa è da tempo al centro di una controversia sulla vendita di terreni nella città vecchia, a Gerusalemme, che ha già creato una profonda frattura interna. A originare lo scontro l’affitto per 99 anni – un esproprio di fatto – di proprietà immobiliari a un imprenditore ebreo australiano dall’impero economico opaco, che muove da dietro le quinte. Il prete «traditore» che ha mediato e sottoscritto l’atto è Baret Yeretzian, ex amministratore dei beni immobili del Patriarcato armeno di Gerusalemme, oggi in «esilio». Con lui hanno manovrato il patriarca armeno ortodosso Nourhan Manougian, l’arcivescovo Sevan Gharibian e l’uomo d’affari Daniel Rubenstein (conosciuto come Danny Rothman), che nell’area intende costruire un hotel di lusso.

 

La vicenda ha toccato anche la carica patriarcale, con il primate armeno «sfiduciato» dalla comunità, parte dei fedeli ne hanno invocato le dimissioni, mentre Giordania e Palestina hanno «congelato» di fatto l’autorità.

 

La vicenda è esplosa nel maggio scorso, ma il contratto è stato firmato in gran segreto nel luglio 2021 e prevede l’affitto per quasi un secolo del terreno denominato «Giardino delle Vacche» (Goveroun Bardez), oggi un parcheggio usato per recarsi al muro del pianto. Il suo uso da parte degli ebrei ha provocato l’ira degli armeni, che dal 2021 si battono per tornare a disporne a pieno titolo.

 

Nel contratto sarebbero incluse quattro case armene, il ristorante Boulghourji, attività commerciali ed edifici Tourianashen in via Jaffa, fuori dalla città vecchia.

La controversia finisce per interessare anche gli stessi «Accordi di Abramo», perché una delle compagnie coinvolte è la One&Only, con base a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti (EAU).

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.

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Bar tour armeno, a quali banconi sedersi a Yerevan (L’inkiesta 31.12.23)

Con alle spalle un passato difficile ancora in anni recenti, segnata dal genocidio (che si manifestò a più riprese tra la fine del 1800 e i primi decenni del Novecento), dal socialismo sovietico, dall’usurpazione turca di buona parte della sua geografia originale, l’Armenia si sta progressivamente risollevando. Non si è mai data per vinta, non ha mai smesso di lottare, ma soprattutto non ha mai fatto nulla per seppellire gli spazi bui della sua storia. Lo ho fatto lavorando costantemente alla ricostruzione di una memoria collettiva, di un racconto e una storia capace di fotografare il presente attraverso le azioni passate. Ogni museo, collezione, archivio, monumento è celebrativo di un episodio storico ma allo stesso tempo collante per le generazioni che si avvicinano alla guida del Paese.

Insieme a un progressivo ottimismo verso le nuove industrializzazioni, verso business emergenti e una lenta ma sempre maggiore apertura per il turismo straniero, le realtà connesse e dipendenti seguono il flusso. Per il momento quasi esclusivamente nella capitale – salvo rarissime eccezioni che abbiamo avuto la fortuna di conoscere e che vi racconteremo – il dinamismo imprenditoriale di giovani armeni, desiderosi di “fare” per il proprio Paese, è più che tangibile. Il panorama di nuovi ristoranti, cocktail bar, roastery, nuovi format legati al mondo del food and beverage è variegato e va ad arricchire una scena già di per sé degna di interesse.

AFROLab Roastery è parte di Collective, un progetto che racchiude diversi ristoranti e un’unica ide adi servizio e qualità

Quello che oggi inizia a manifestarsi è l’arrivo di tendenze internazionali come specialty coffee, distillazione in proprio, produzione enologica di ricerca e sperimentazione, concept store e luoghi di grande appeal architettonico e design. Se la ristorazione resta abbastanza legata a uno zoccolo duro di piatti tradizionali che attingono in parte dalla cultura greca, in parte dalla turca e dalla attigua Georgia fino all’eredità armena, l’arte del bere bene invece si è portata avanti. Forse è iniziata prima, forse ha avuto meno difficoltà, forse è un ambiente più facile in cui spiccare, ma sta di fatto che un bar tour di Yerevan non è da sottovalutare. Il panorama dei cocktail bar è decisamente nutrito, di ottima qualità e con una capacità di fare sistema che ricorda quella della bar industry europea.

Non a caso, grazie a un professionista come Gegam Kazarian, bartender e imprenditore armeno noto per il suo approccio particolarmente trasversale al settore dove unisce ristorazione, miscelazione, arti visuali, arti marziali, ospitalità, la capitale ha già avuto la sua prima Yerevan Cocktail Week. La manifestazione che in Italia invade ogni primavera la città di Firenze e ogni autunno la splendida Venezia, è stata portata da Kazarian anche qui, come primo esperimento di cross culture contamination attraverso il mondo degli spirits.

Quasi venti le realtà hanno aderito nel 2023, numerosi e di prestigio gli ospiti internazionali dall’Italia e dal mondo e attualmente c’è già grande fermento per la seconda edizione di maggio 2024. Il tentativo di avvicinare la città a una delle tante capitali europee, facendone un centro vivo, dinamico e divertente, parte anche da manifestazioni come questa che invitando ospiti dall’esterno tentano anche di promuovere il patrimonio artistico e culturale del paese attraverso cibo, bevande, ospitalità.

Che questo possa succedere anche per gli chef, i ristoranti e l’arrivo – prima o poi – di modelli di fine dining? Tutto sembra andare in questa direzione, l’interesse c’è e in modo sempre più concreto iniziano ad esserci presupposti imprenditoriali, culturali così come un pubblico progressivamente più interessato. Noi, per il momento, vi raccontiamo in quali bar è bene fare una sosta a Yerevan.

MINAS
Questo piccolo e divertente cocktail bar con un bancone dominato da un dipinto in stile Gauguin è in realtà il terzo attore di un modello più ampio che include anche un all day restaurant (Gallia), e una coffee roastery (Afro Lab) aperti tutto il giorno. Il progetto prende il nome di Collective, ed è stato pensato e ideato dal giovane Artak Harutyunyan insieme ai suoi due soci nel 2008. Come ambiente offre ai clienti la libertà più totale nello scegliere e quindi nel godere di una determinata proposta. Chi si siede da Gallia potrà ordinare – in qualunque momento del giorno – un cocktail bar di Minas e un V60 Ethiopia da Afro Lab, godendo dello stesso servizio e della medesima atmosfera. Minas si anima giustamente a partire dall’aperitivo, grazie a una proposta drink che strizza l’occhio all’American bar classico, al mondo dei sour, dei freschi e degli shakerati vigorosi. I classici sono ben eseguiti, lo stile è curato, ci sono anche sei posti al bancone che – per gente curiosa – fanno sempre la differenza.

Credits Stefano Borghesi

DABOO COCKTAIL BAR
Daboo è forse il cocktail bar più vero tra quelli che potrete incontrare. Per accedervi si scende al meno uno di uno stabile situato proprio di fronte al Cascade, il monumento creato negli anni settanta come omaggio alla Repubblica Socialista Sovietica Armena oggi ospitante il museo d’arte Cafesijan. Una grande bottigliera, un lungo bancone, tanto legno e una vasta selezione di spirits da tutto il mondo. Il servizio richiama quello del modern serve con cubo trasparente, garnish minimaliste e drink eleganti dove non mancano delle rivisitazioni dei grandi classici come Negroni, Manhattan, Old Fashioned.

Credits Stefano Borghesi

KUWA IZAKAYA
A parte essere la prima e unica izakaya in stile giapponese, con un menu a cavallo tra il Giappone e la cultura armena, Kuwa è uno dei locali migliori dove provare drink di ispirazione contemporanea. Il laboratorio sotto al ristorante consente al personale del bar e di cucina di produrre birre, fermentati, sake fatti in casa e quindi di sperimentare il più possibile questi liquidi non solo nei piatti ma anche nei cocktail. La lista drink è particolarmente originale, con una vasta scelta anche di drink sodati, analcolici e ricette perfette da accompagnare ai piatti speziati e saporiti del menu.

Credits Stefano Borghesi

CORPOUS GASTROBAR
Questo indirizzo è decisamente più conosciuto come all day restraurant and cafè, con una cucina a tutto tondo tra proposte mediterranee, italiane e locali. Tuttavia, entrando si viene accolti da un grande bancone, una bottigliera spaziosa e qualche sgabello fronte bartender. Quando scende la sera, o se vi capita di andarci in estate, l’ambiente rilassato e l’ampio patio esterno invogliano a soffermarsi per una bevuta pre cena.

SIRELIS
Proprio davanti al complesso di Collective, Sirelis è un ristorante con musica dal vivo e atmosfera rétro molto in voga per celebrazioni, compleanni, occasioni importanti. Il menu è molto vasto e comprende un’ampia selezione di ricette russe, georgiane e armene. È adatto ai bambini così come alla coppia che cerca la serata non convenzionale in centro città circondati da un bellissimo design e un servizio attento. La cocktail list abbraccia un’ampia selezione di cocktail internazionali (Cosmopolitan, Bellini, Espresso Martini, Bloody Mary) oltre che una selezione ad ampio raggio di bevande per tutti i momenti della giornata. Non mancano le acque di frutta macerata molto comuni tra le opzioni analcoliche, succhi di frutta fresca, una selezione di caffè e tè, liquori armeni, una lista di Champagne, aperitivi, vini fortificati, vini locali e distillati.

CAFE DE ANGELO
Un bar bistrot all’italiana dove la proposta celebra il nostro paese non solo attraverso il cibo ma anche con un menu di bevande, aperitivi e cocktail che richiamano il momento dell’aperitivo. Non essendo diffusa quest’usanza a livello locale, avendo orari di pasti e bevute decisamente più fluide, Cafè de Angelo invece si presta per preservare questo momento seduti al bancone bevendo un fresco aperitivo a base di bitter o frutta.

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COLONIA. RIMOSSO – FORSE DEFINITIVAMENTE – IL MONUMENTO AL GENOCIDIO ARMENO (Bresciaanticapitalista 31.12.23)

di Gianni Sartori

Nel passato la Germania avrebbe fornito – non solo indirettamente – alla Turchia giustificazioni politiche e culturali per il genocidio armeno.

Ai nostri giorni si limita ad abbattere qualche monumento scomodo.

L’uso di stereotipi per demonizzare e criminalizzare alcune popolazioni non è stato ovviamente una esclusiva dei tedeschi, ci mancherebbe. Resta il fatto che sia nell’ottocento che nel secolo scorso in Germania vennero impiegati metodicamente. In particolare da esponenti politici, religiosi e soprattutto dalla stampa. Non solamente contro gli Ebrei, ma anche per gli Armeni descritti (oltre che con “il naso adunco”) come “più subdoli, bugiardi, usurai e traditori degli stessi ebrei”. Questo almeno è quanto emerge dagli studi di Stefan Ihrig (direttore del Centro di studi germanici ed europei dell’Università di Haifa)*.

In sostanza l’idea del genocidio non sarebbe apparsa improvvisamente nella mente di Mustafà Kemal (Ataturk) e soci. Tale ipotesi era già stata seminata, coltivata e innaffiata con anni di propaganda anti-armena sia nei giornali che in ambito letterario.

Tra gli scrittori va ricordato Karl May, a quanto pare fonte di ispirazione per lo stesso Hitler. Ma anche alcuni esponenti religiosi come il pastore protestante Friedrich Naumann si distinsero per opere pervase da ostilità nei confronti del popolo armeno. Al contrario un suo collega, Johannes Lepsius, aveva coraggiosamente denunciato il genocidio del 1915.

A un più alto livello, sia il Kaiser che Bismarck valutavano la “questione armena” come un problema interno dell’alleato turco. Al fine di garantirne la stabilità per ragioni economiche, militari e geopolitiche.

Come è noto la consapevolezza che i Giovani Turchi avevano potuto agire impunemente contro gli Armeni, rafforzò in Hitler l’intenzione di procedere alla stessa maniera con gli Ebrei. Annientandoli.

Si parva licet, un recente episodio (“politicamente scorretto” direi) di cancellazione della memoria storica ha riproposto la questione.

Da anni un piccolo monumento di Colonia che commemorava gli Armeni sterminati nel 1915 veniva deturpato, divelto o semplicemente spostato dall’amministrazione cittadina (vuoi con la scusa di una nuova pista ciclabile, vuoi – più onestamente – per evitare disordini). In questi giorni le autorità hanno preso la drastica decisione di rimuoverlo definitivamente. In questa città è presente una piccolissima comunità armena, ma soprattutto una ben più consistente di origine turca. Inoltre recentemente vi è stata aperta la sede dell’organizzazione nazionalista-islamica Milli Görüs (“Visione Nazionale”, fondata da Erbakan – il mentore di Erdogan – per riunire gli immigrati turchi in Europa) affiliata allo stato turco.Alla fine di ottobre poi, si era svolta una marcia organizzata dai nazionalisti turchi. Tra cui l’organizzazione di estrema destra, antisemita e panturanica “Ülkü Ocakları”(“Focolare degli Idealisti”, più noti come Lupi Grigi).

Una coincidenza che il monumento sia stato smantellato dalle ruspe proprio ora?

E’ lecito sospettare (come ha denunciatoil giornalista Guillaume Perrier) che questo sia “il risultato della pressione del governo turco e delle concessioni della destra tedesca”. Soprattutto pensando a come “la CDU abbia utilizzato, incoraggiato e appoggiato i Lupi Grigi e Milli Görüs per contrastare la presenza delle forze di sinistra tra i lavoratori turchi immigrati”.

Contro la decisione di rimuovere il monumento ha protestato anche la senatrice francese Valerie Boyer accusando gli amministratori di colonia di essersi “inchinati ai nazionalisti turchi che così hanno imposto la negazione del genocidio armeno”.

Ricordo che “in compenso” (!?!) nel quartiere centrale di Colonia di Ehrenfeld nel 2018 è stata inaugurata la Moschea Centrale DITIB in grado di ospitare oltre 1200 persone. Ospiti d’onore, Erdogan e Ali Erbas, presidente di Diyanet İşleri Başkanlığı (Direttorato degli affari religiosi ). All’epoca la costruzione suscitò non poche polemiche, soprattutto per l’impatto visivo dei minareti alti circa 55 metri.

Gianni Sartori

Giustificare il genocidio. La Germania, gli armeni e gli ebrei da Bismarck a Hitler “(Guerini e associati editore).

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