Con le armi all’Armenia si fomenta la guerra. J’accuse di Baku a Parigi (Formiche.it 22.11.23)

Il presidente azero Ilham Aliev ha accusato la Francia di “preparare il terreno per una nuova guerra” nel Caucaso “armando” l’Armenia. Di fatto, assieme ai Balcani, l’area in questione è una delle più a rischio. Il governo azero intanto accoglie la sentenza della Corte che ha riconfermato la sovranità e l’integrità territoriale dell’Azerbaigian, respingendo la richiesta armena che la metteva in discussione

Quando un mese fa, nelle prime ore dell’attacco di Hamas contro Israele, ci si domandava quale potesse essere un altro fronte di conflitto, due erano i maggiori candidati: Kosovo/Serbia e Azerbaigian/Armenia. Quest’ultimo è quello che sta registrando in queste ore delle accelerazioni, con da un lato l’accusa azera alla Francia di armare l’Armenia e, dall’altro, il tentativo russo di rafforzare la mini-Nato dell’ex Urss con un sistema anti-missile S-300.

Baku vs Parigi

Usa parole forti il presidente azero Ilham Aliyev quando accusato la Francia di “preparare il terreno per una nuova guerra” nel Caucaso “armando” l’Armenia. Parigi, osserva, “destabilizza la regione, incoraggia le forze revansciste in Armenia”. Dalla Francia replicano che l’Eliseo, con i partner europei e statunitensi, sta lavorando per una pace giusta e duratura nel Caucaso meridionale, basata sui principi del rispetto della sovranità e dei confini.

Al contempo l’Azerbaigian invita l’Armenia a proseguire sulla strada dei negoziati con un meeting ad hoc, al fine di concludere il trattato di pace al confine di Stato. Secondo il ministero degli Esteri azerbaigiano la responsabilità per il proseguimento del processo di pace, compresa la scelta di una sede reciprocamente accettabile, o la decisione di incontrarsi al confine di Stato, appartiene ai due Paesi. “Incoraggiamo la parte armena a evitare nuovi inutili ritardi e speriamo che risponda positivamente a questo richiamo, in modo che i negoziati riprendano presto”.

Incontrando il segretario di Stato per gli Affari europei del Regno Unito, Leo Docherty, a Baku Aliyev ha dichiarato che non ci sono ostacoli per firmare trattato di pace: “Il nostro Paese sostiene un’agenda di pace regionale, l’Azerbaigian è pronto a condurre un dialogo con l’Armenia per firmare un trattato di pace e normalizzare le relazioni tra i due Paesi”.

Garabagh

Il governo azero intanto accoglie la sentenza della Corte Corte internazionale di giustizia del 17 novembre scorso che ha riconfermato la sovranità e l’integrità territoriale dell’Azerbaigian sul Garabagh, respingendo la richiesta armena che metteva in discussione la sovranità. Secondo Baku le misure indicate dalla Corte riconoscono la politica già dichiarata del governo dell’Azerbaigian nei confronti degli armeni residenti in Garabagh.

“Ciò include il nostro impegno a garantire la sicurezza e l’incolumità di tutti i residenti, indipendentemente dall’origine nazionale o etnica – spiegano dal governo azero -. L’Azerbaigian non ha mai costretto i residenti armeni a lasciare il Garabagh e, nonostante la richiesta dell’Azerbaigian di restare, è stata loro la decisione di trasferirsi in Armenia e in altri paesi. L’Azerbaigian si impegna a sostenere i diritti umani dei residenti armeni del Garabagh sulla base dell’uguaglianza con gli altri cittadini dell’Azerbaigian, in linea con la sua Costituzione e i pertinenti obblighi internazionali. L’Azerbaigian si aspetta che l’Armenia e tutte le altre parti cessino di interferire nelle legittime misure investigative”. Secondo la legislazione dell’Azerbaigian, il territorio si chiama zona economica del Garabagh. Il processo di pace tra Azerbaigian e Armenia è in agenda, con sullo sfondo le dinamiche legate al Tap. 

Qui Csto

Ma gli altri players non restano a guardare e provano ad accelerare alla voce Csto. In primis Mosca si rammarica della decisione dell’Armenia di non partecipare al vertice dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (Csto) di Minsk; in secondo luogo Mosca punta ad installare un sistema anti-missile per la mini-Nato dell’ex Urss e annuncia un’iniziativa che sa tanto di avanzata strategica. Il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato: “Abbiamo già fornito al Tagikistan due divisioni dei nostri sistemi di difesa aerea S-300: ovvero otto lanciatori. In generale, siamo pronti a lavorare, pronti a continuare e completare questo lavoro sulla Csto nel suo insieme”. L’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, composta da Russia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, è nata nel 1992 ma è sostanzialmente rimasta ferma fino allo scorso anno.

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Armeni vittime della pulizia etnica nel Nagorno Karabakh (Terra Santa 21.11.23)

La chiave di lettura dello scontro tra musulmani azeri e cristiani armeni è una semplificazione, anche se oggi si assiste a una pulizia etnica di una minoranza di cristiani orientali, che richiama le tragedie della prima metà del Novecento.


Mentre gli sguardi del mondo dal 7 ottobre si sono comprensibilmente rivolti alle tragedie che hanno colpito i civili in Israele e a Gaza, il conflitto tra Armenia e Azerbaigian nel Caucaso è sfociato nell’esodo forzato di oltre centomila armeni, che hanno abbandonato – forse per sempre – il Nagorno Karabakh, per riparare all’interno dei confini dello Stato armeno. La realtà di due popoli incapaci di vivere in pace nella stessa terra si ripropone in modo tragico, anche se con minore attenzione da parte della comunità internazionale.

Dopo il violento attacco, sferrato il 19 settembre dall’Azerbaigian e durato pochi giorni, quello che restava dell’autonomia degli armeni che da secoli vivevano in questa regione montuosa, ufficialmente parte della repubblica azera, è finito. Migliaia di famiglie hanno dovuto fuggire in pochi giorni attraverso il corridoio di Lachin abbandonando case e terreni, chiese e cimiteri, le memorie della presenza antica di una minoranza cristiana. Il più violento segnale dei pericoli che gli abitanti di Stepanakert e dei villaggi vicini stavano correndo è stata la morte di almeno 170 armeni nell’esplosione di un serbatoio di carburante, mentre cercavano di fare rifornimento per preparare la fuga. Ami Manukian, ricercatrice del Matenadaran (il prestigioso istituto di ricerca che a Yerevan cura e promuove la più importante collezione di manoscritti e pergamene della storia armena), ci ha raccontato degli aiuti di emergenza ai profughi dalla città di Goris, uno dei centri armeni di prima accoglienza.

«La situazione è devastante da ogni punto di vista – ha denunciato –. Dal 19 settembre, gli armeni del Nagorno Karabakh erano stati lasciati senza rifornimenti e beni essenziali che arrivavano dall’Armenia per la loro sopravvivenza, perché il transito nel corridoio di Lachin era interrotto e i militari russi che dovevano garantirne il funzionamento non si preoccupavano più della sua apertura. Affamati, nascosti nelle cantine, molti armeni del Karabakh, soprattutto ex-combattenti nelle due guerre precedenti, si sono sentiti sotto minaccia delle vendette dei soldati azeri. Dal 24 settembre hanno capito che la loro sicurezza personale era sempre più precaria ed è iniziata una fuga di massa precipitosa». Gli armeni della regione avevano creato un piccolo Stato autonomo (Artsakh) dopo la guerra del 1988-1994 vinta con l’aiuto dei russi. Una seconda guerra vinta dagli azeri, nel 2020, ha ribaltato lo scenario. Ma pogrom, episodi di stragi di civili, hanno contrassegnato momenti della storia recente per entrambi i popoli.

La chiave di lettura dello scontro tra musulmani azeri e cristiani armeni è una semplificazione, anche se oggi si assiste a una pulizia etnica di una minoranza di cristiani orientali, come se le tragedie del Novecento, anche in quelle terre, si riproponessero senza fine. Sia Armenia sia Azerbaigian dal 2001 sono Paesi membri del Consiglio d’Europa, la più importante organizzazione del continente che, dalla fine della Seconda guerra mondiale, protegge le libertà fondamentali degli individui. Ma né l’esistenza della Convenzione europea sui diritti umani, né le pressioni politiche dei Paesi europei (Ue e altri vicini) dove vivono in pace decine di minoranza etniche, religiose e linguistiche hanno permesso di costruire un percorso di pace e convivenza. L’odio verso l’altro e memorie tragiche sedimentate nei secoli, da entrambe le parti – per gli armeni il genocidio alla fine dell’Impero ottomano – sembrano oggi ostacoli insormontabili per risolvere un conflitto secolare che dopo la fine dell’Urss non ha trovato una soluzione. Autorità e popolazione della piccola repubblica armena, poco più grande della Sicilia e con meno di 3 milioni di abitanti, si sono attivate per registrare e dare accoglienza.

Le questioni più complesse cui Yerevan sta dando risposta riguardano gli alloggi e il lavoro per gli esuli. Il sogno dell’Azerbaigian di dare continuità territoriale alla sua provincia occidentale del Nakhchivan (che confina con la Turchia) con il resto del Paese a Est si può realizzare solo a scapito dell’Armenia indebolita e isolata, invadendo la regione meridionale del Syunik. Un’ipotesi che non può essere esclusa, nel quadro attuale di instabilità di tutto il Medio Oriente.

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Aliyev considera difendere gli Armeni un’attacco all’Azerbajgian e un duro colpo alla pace nella regione. Gli sono saltati i nervi (Korazym 21.11.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 21.11.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi sono passati 35 anni dall’inizio dei pogrom di Kirovabad (Gandzak). Il 21 novembre 1988, armate di mazze di ferro, coltelli e pietre, le bande azere iniziarono un periodo di pogrom contro gli Armeni durato una settimana a Kirovabad, la seconda città più grande della Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian (ora Ganja). Successivamente, la restante popolazione armena fuggì dalla città.

Nella foto di copertina, «un altro “lupo grigio” in piazza a Stepanakert. E dove sono i suoi abitanti? Sarebbe meglio che i lupi vivessero nel deserto e la gente in città» (Marut Vanyan).

«Secondo le mie fonti attendibili, nel Nagorno-Karabakh, sono rimasti circa 25 residenti sotto il dominio azerbajgiano, il resto della popolazione è stato sfollato con la forza. Alcuni di loro hanno origini russe e la maggior parte sono persone anziane e sole. Il Comitato Internazionale della Croce Rosse si sta prendendo cura di loro» (Artak Beglaryan).

«Una nuova canzone My Artsakh del rapper armeno Feka 23 sul dolore per la perdita dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. “Vorrei potermi svegliare da questo brutto sogno, vedere l’Artsakh senza guerra… i fiumi sono rossi… il mio Artsakh, la mia anima l’ha saputo, il mio cuore si è congelato, i monasteri sono silenziosi, i vostri monasteri… il mio Artsakh”» (Nara Matinian).

Questo è falso. Viene pubblicato dai canali Telegram russi e diffuso dai loro affiliati in Armenia. Non solo il Ministero della Difesa armeno lo ha negato, ma è illogico pensare che l’Armenia possa inviare queste armi all’Ucraina mentre sta cercando di acquistare sistemi d’arma simili.

Cos’è la pace vera, in mezzo a tutte queste guerre? Cosa vogliono dire i 2500 anni di storia armena dell’Artsakh per tutti noi? “L’Artsakh fu crocifisso come Cristo. Nulla succede per caso. Artsakh risorgerà come Cristo”.

Ricordiamo le informazioni aggiornate in riferimento alla conferenza organizzata dall’associazione “Germoglio”, dedicata all’Artsakh/Nagorno-Karabakh con video-testimonianze di persone sfollate, che si svolgerà giovedì 23 novembre 2023 alle ore 20.15 presso il Liceo diocesano in via Lucino 79 a Breganzona, Lugano, Svizzera.

Interverranno:
– Padre Derenik, l’ultimo uomo a lasciare l’Artsakh
– Renato Farina, giornalista ed ex-parlamentare
– Teresa Mkhitaryan, Presidente dell’Associazione “Il germoglio”.

Modera la Dott.ssa Ilda Soldini, Istituto di studi italiani dell’Università della Svizzera italiana

>>>>> Per seguire l’evento in streaming [QUI]

I posti sono limitati. Per la partecipazione inviare un messaggio a Teresa Mkhitaryan via email [QUI] o via SMS o WhatsApp al numero +41792007110.

«Credo fermamente che al mondo ci sono persone per le quali la giustizia è un valore intangibile; credo ci siano Cristiani che credono che con la grazia di Dio, ci sarà la vittoria. Perché il nostro Dio è un Dio vittorioso. La nostra unica speranza è nell’unità, quando siamo uniti, siamo invincibili. Quelle terre sono armene e devono tornare di nuovo ad essere armene. Cristo è Dio vittorioso e ha donato Amore al mondo e quindi amiamoci l’un l’altro. L’Amore vincerà il mondo. E noi Cristiani abbiamo avuto la grazia di ricevere l’Amore in questo mondo. Amiamoci, rispettiamoci e il mondo sarà più bello. E a quel punto noi non piangeremo più di dolore, avremo lacrime di gioia» (Padre Derenik).

Non c’è libertà senza giustizia. Non c’è giustizia senza libertà (Padre Derenik – Korazym.org, 6 novembre 2023 [QUI]).

Il Parlamento dell’Azerbajgian ha adottato una dichiarazione in risposta alla Legge per la difesa dell’Armenia adottata dal Senato degli Stati Uniti:
«Il Milli Majlis lo respinge risolutamente come un atto contro l’Azerbajgian adottato dal Senato degli Stati Uniti e lo considera un duro colpo alle relazioni tra i due Paesi. Ciò rappresenta un serio ostacolo agli sforzi volti a portare la pace nella regione. La legge approvata dal Senato americano è un chiaro esempio di doppi standard e di approccio selettivo. Quando l’Armenia estese la sua occupazione contro l’Azerbajgian, furono commessi il “genocidio di Khojaly” e i massacri della popolazione azera; gli Stati Uniti, in quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non hanno cercato di impedire queste azioni ma, al contrario, hanno adottato l’emendamento 907 contro l’Azerbajgian. Gli Stati Uniti hanno sostenuto il regime separatista creato sul territorio dell’Azerbajgian. Le attuali azioni degli Stati Uniti come mediatore hanno portato ad una perdita di autorità in Azerbajgian. La politica estera americana ha subito un completo collasso negli ultimi anni. A questo proposito, una menzione speciale meritano le politiche in Medio Oriente e in Afghanistan. Il Milli Majlis dell’Azerbajgian dichiara ancora una volta che l’Azerbajgian, sulla base delle norme e dei principi del diritto internazionale, reagirà sempre con fermezza a tutti i passi negativi».

«Due mesi fa, l’operazione militare dell’Azerbajgian nel Nagorno-Karabakh ha costretto più di 100.000 persone a lasciare le proprie case e a trasferirsi nella vicina Armenia. Gli Stati Uniti continuano a schierarsi con gli Armeni etnici del Nagorno-Karabakh. Oggi gli Stati Uniti annunciano ulteriori 4 milioni di dollari per aiutare questi sfollati. Siamo grati per la generosa accoglienza degli sfollati da parte del governo armeno e continueremo a sostenerli nel fornire alle persone l’aiuto di cui hanno bisogno. Con questo nuovo finanziamento i partner di USAID, World Food Programme, International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies e People In Need, Inc stanno fornendo aiuti umanitari urgentemente necessari come assistenza alimentare, protezione umanitaria e alloggi di emergenza a più di 70.000 persone. L’assistenza umanitaria statunitense per le necessita del Nagorno-Karabakh ammonta ora a 28 milioni di dollari dal 2020. Durante la mia recente visita in Armenia, ho avuto modo di sentire direttamente da molti sfollati del Nagorno-Karabakh le tremende difficoltà e il dolore che derivano dal dover abbandonare le proprie case. Continueremo a fare tutto il possibile per sostenere loro e coloro che li ospitano generosamente in Armenia» (Samantha Power, Amministratore dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale-USAID).

La realtà è che USAID ha speso più per i fotografi di Samantha Power nella visita di ottobre in Armenia che per i programmi umanitari nell’Artsakh negli ultimi tre anni. Nessun aiuto. Nessun ponte aereo. Abbandono totale. Un epico fallimento di USAID a tutti i livelli.

Ciononostante, un isterico Hikmet Hajiyev, ufficialmente l’Assistente del Presidente della Repubblica dell’Azerbajgian, Capo del Dipartimento per gli Affari di Politica Estera dell’Amministrazione Presidenziale e in realtà il Capo della macchina menzognera della propaganda dell’autocrate Ilham Aliyev ha reagito fuori controllo:

«Durante i 30 anni di occupazione della terra dell’Azerbajgian da parte dell’Armenia, quando altri milioni di Azeri furono oggetto della famigerata e sanguinosa pulizia etnica, gli Stati Uniti si schierarono con lo stato aggressore dell’Armenia. Al giorno d’oggi, la stessa politica continua nella stessa forma e manifestazione. Fingere imparzialità accademica o professionale sarebbe scorretto, come insegna la professoressa di Pratica sui “Diritti Umani” presso l’Università Samantha Power nel suo libro di propaganda Un problema dall’inferno. America e l’era del genocidio (2002), che passò in completo silenzio sul genocidio e sulle atrocità commesse dall’Armenia contro civili Azeri innocenti. Come Rappresentante Permanente degli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non ha mai osato sollevare la questione dei rifugiati e degli sfollati interni Azeri e chiedere l’attuazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per non parlare di condannare l’occupazione dell’Armenia.
Sotto l’egida del Premio Aurora, Samantha Power si è unita al fondatore di questo fondo, il noto oligarca e riciclatore di denaro Ruben Vardanyan, che ha anche finanziato il separatismo in Ucraina. È interessante notare che nel 2019 i membri del Parlamento Europeo hanno chiesto sanzioni contro il fondatore di Troyka Dialogue Banker, Ruben Vardanyan, per programmi di riciclaggio di denaro. Ruben Vardanyan stava anche pianificando un colpo di stato contro la leadership politica dell’Armenia sostenuta dagli Stati Uniti dopo essersi stabilito in Karabakh dall’ottobre 2022.
L’azerbajgianofobia, la turkofobia, la corruzione politica, il “moneytalkism” e le speculazioni politiche nell’ambito del cosiddetto premio Aurora erano probabilmente valori e interessi condivisi tra Ruben Vardanyan e Samantha Power. Via la maschera! Non c’è più posto per le operazioni dell’USAID in Azerbajgian!»

L’autocrate di Baku, Ilham Aliyev, ha dichiarato: «La Francia ha commesso la maggior parte dei crimini sanguinosi nella storia coloniale dell’umanità». Sarebbe interessante conoscere l’opinione di Aliyev sulla Gran Bretagna, a proposito, viste le sue strette connessioni con British Petroleum. Un’altra storia sanguinosa del 2020: l’Azerbajgian “democratico” ha bombardato la popolazione di Stepanakert mentre dormiva, con bombe a grappolo.

Il Ministero degli Esteri dell’Armenia ha comunicato che a seguito delle dichiarazioni pubbliche del Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, del 18 novembre 2023 di intensificare gli sforzi diplomatici per ottenere la firma di un trattato di pace con l’Azerbajgian, l’Armenia ha presentato all’Azerbajgian la sua sesta proposta di accordo di pace. L’Armenia resta impegnata a concludere e firmare un documento sulla normalizzazione delle relazioni basato sui principi precedentemente annunciati, ha dichiarato il Ministero degli Esteri dell’Armenia.

«Gli USA sono pronti a facilitare i negoziati tra Armenia e Azerbajgian e restano impegnati con la leadership di entrambe le nazioni per raggiungere una pace duratura. Il Portavoce del Dipartimento di Stato americano, Matthew Miller, ha dichiarato oggi durante un briefing: “Washington resta impegnata con la leadership di entrambi i Paesi per raggiungere una pace duratura e resiliente, dove i diritti di tutti siano rispettati”. Miller ha sottolineato l’importanza del dialogo diretto tra Armenia e Azerbajgian per affrontare le questioni in sospeso a beneficio della regione. Ha sottolineato l’importanza dei negoziati faccia a faccia tra Yerevan e Baku per raggiungere un accordo a lungo termine: “Abbiamo visto altri Paesi offrirsi di contribuire a questi negoziati, e accogliamo con favore questi sforzi”, ha rimarcato Miller.
L’Azerbajgian ha rifiutato di partecipare all’incontro dei ministri degli Esteri armeno-azerbajgiano a Washington previsto per il 20 novembre. Baku ha espresso insoddisfazione per la piattaforma di Washington, ritenendola non più accettabile per i negoziati con Yerevan.
L’Azerbajgian ha accusato gli Stati Uniti di adottare un approccio unilaterale, mettendo potenzialmente a repentaglio il suo ruolo di mediatore. Baku ha anche accennato al ruolo degli Stati Uniti come co-Presidente del Gruppo di Minsk dell’OSCE, che ritiene abbia fallito nella sua missione.
L’Azerbajgian ha rifiutato i formati negoziali occidentali e ha invece proposto di concludere un accordo con l’Armenia attraverso un meccanismo bilaterale. Il Rappresentante Speciale nel Caucaso meridionale dell’Unione Europea, Toivo Klaar, ha confermato che il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, resta pronto e disposto a organizzare un incontro dei leader a Brussel il prima possibile.
È probabile che il boicottaggio dei format occidentali da parte di Baku faccia parte di una strategia a lungo termine. L’aiutante di Aliyev, Hajiyev, ha recentemente dichiarato a Brussel che Baku intende stabilire un’architettura di sicurezza regionale basata sulla cessazione di tutte le rivendicazioni territoriali. “La pace e la sicurezza si trovano all’interno della regione, non a Brussel, Parigi, Washington o altrove”, ha affermato Hajiyev. “L’Azerbajgian cerca di creare una nuova architettura di sicurezza regionale fondata sulla giustizia, sul riconoscimento reciproco dell’integrità e della sovranità territoriale e sulla cessazione di tutte le rivendicazioni territoriali”.
L’Azerbajgian ha lanciato contemporaneamente un’offensiva diplomatica contro gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Francia, accusandoli tutti di unilateralismo e di posizioni filo-armene. Queste accuse, tuttavia, mancano di qualsiasi fondamento sostanziale, poiché nessuno Stato occidentale ha adottato misure punitive contro l’Azerbajgian per le sue azioni nel Nagorno-Karabakh, inclusa la deportazione forzata e la pulizia etnica degli Armeni.
Inoltre, l’Azerbajgian ha occupato impunemente circa 200 chilometri quadrati del territorio armeno. L’obiettivo finale dell’Azerbajgian sembra essere quello di formalizzare l’occupazione del Nagorno-Karabakh e la deportazione forzata di 100.000 Armeni senza affrontare alcuna ripercussione da parte dell’Occidente.
Se gli Stati Uniti e l’Unione Europea dichiarassero chiusa una volta per tutte la questione del Nagorno-Karabakh, è possibile che Baku partecipi ai negoziati in formato occidentale. L’Azerbajgian crede che l’Occidente gli imporrà il ritorno degli Armeni nel Nagorno-Karabakh secondo meccanismi internazionali. Per evitare ciò, Baku mantiene ancora i Russi in Karabakh per impedire lo spiegamento di un contingente internazionale.
L’Azerbajgian ha recentemente annunciato l’intenzione di istituire posti di blocco lungo il “Corridoio di Zangezur”. Attraverso canali non ufficiali, Baku ha trasmesso un messaggio all’Armenia esortandola a seguire l’esempio e a creare propri posti di blocco. Questa mossa è vista come un tentativo di aggirare i formati internazionali ed escludere l’Occidente dal processo.
L’obiettivo di Baku è convincere Yerevan a bypassare i formati di Stati Uniti, Unione Europea e Francia e raggiungere direttamente un accordo bilaterale. Tuttavia, è altamente improbabile che Yerevan stabilisca posti di blocco sul confine armeno-azerbajgiano finché non verrà firmato un trattato di pace sotto gli auspici occidentali.
Sarebbe un grave errore per l’Armenia stipulare un accordo separato con l’Azerbajgian, escludendo gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Francia, che sono state le uniche fonti di sostegno dell’Armenia negli ultimi tre anni. Uno scenario del genere è improbabile.
Nonostante queste sfide, gli Stati Uniti restano fiduciosi che l’Azerbajgian abbandonerà la sua posizione di forza e abbraccerà i negoziati. Lo ha detto il sottosegretario di Stato, James O’Brien davanti alla Commissione per gli affari esteri della Camera, affermando che l’Azerbajgian ha un periodo di tempo limitato per prendere una decisione. “Le prossime settimane saranno cruciali per valutare la volontà delle parti di andare oltre le semplici intenzioni e impegnarsi in un processo di negoziazione. Baku ora parla da una posizione di forza nei negoziati, tuttavia, anche la parte vincente dovrebbe sapere quando fermarsi e fare un accordo invece di aspettare un’offerta più redditizia.Stiamo cercando di aprire un percorso che mostri chiaramente i vantaggi di fare la pace e il prezzo che si dovrà pagare se si evita questa situazione”, ha affermato O’Brien.
I calcoli di Washington tengono conto anche del fatto che Azerbajgian e Armenia preferirebbero perdere l’influenza di Russia e Iran. “Erevan e Baku dovrebbero prendere una decisione. Ora si trovano di fronte a una scelta: vogliono un futuro ancorato all’asse Russia-Iran? Hanno anche l’opportunità di scegliere un’altra opzione”, ha affermato O’Brien.
Se liberarsi dell’influenza russa è oggi una priorità per Yerevan, l’Azerbajgian preferirà rimanere impegnato nei formati regionali e continuare a boicottare i formati occidentali. Oltre alla Russia, l’Azerbajgian è influenzato anche dalla Turchia, il cui Presidente ieri ha accusato l’Occidente di intromettersi negli affari regionali. “Alcune forze occidentali ancora non riescono a capire che la guerra del Karabakh ha inaugurato una nuova era nella regione. Coloro che da anni provocano l’Armenia, cercando di trarre profitto dalla sofferenza di tutte le persone che vivono in questa regione, hanno in realtà causato all’Armenia la danno più grande. Il popolo e i leader armeni dovrebbero cercare la sicurezza non a migliaia di chilometri di distanza, ma nella pace e nella cooperazione con i loro vicini. Nessuna quantità di munizioni inviate dai Paesi occidentali può sostituire la stabilità che porterà una pace duratura”, ha dichiarato Erdoğan, offrendo i servizi di Ankara a Yerevan nel processo di normalizzazione delle relazioni con Baku.
In risposta alla suddetta dichiarazione degli Stati Uniti, il Ministro degli Esteri dell’Azerbajgian Jeyhun Bayramov, in una conversazione telefonica con il Ministro degli Esteri iraniano, “ha sottolineato la necessità del dialogo e dei meccanismi regionali senza l’interferenza delle forze extraregionali”. I Ministri degli Esteri hanno espresso soddisfazione per l’espansione delle relazioni tra Iran e Azerbajgian.
Avendo già ottenuto il sostegno di Turchia e Russia, l’Azerbajgian sta anche cercando di consolidare l’Iran attorno ad azioni anti-occidentali. Anche Teheran condivide questa ideologia e solo l’Armenia ritiene importante la presenza dell’Occidente e fa passi concreti in questa direzione, come ad esempio accettando la mediazione occidentale nei negoziati e gli osservatori dell’Unione Europea sul suo territorio.
Il Ministro britannico per l’Europa e le Americhe, Leo Docherty, è arrivato nel Caucaso meridionale. Secondo il messaggio dell’ambasciata, il Ministro britannico sottolineerà il fermo sostegno del Regno Unito alla sovranità e alla sicurezza dei Paesi della regione, sottolineando l’urgente necessità di colloqui di pace diretti tra Armenia e Azerbajgian per raggiungere pace e stabilità a lungo termine.
Prima di arrivare a Yerevan, Docherty ha affermato che “il Caucaso meridionale deve affrontare importanti sfide alla sicurezza che minacciano la stabilità della regione, sia internamente che da parte dei paesi vicini. Il Regno Unito è un partner affidabile per la riforma, la pace e la stabilità”.
Non importa quanto si dica che l’Azerbajgian ha stretti legami con la Gran Bretagna, prevedo che anche gli sforzi di mediazione della Gran Bretagna falliranno, così come quelli di Stati Uniti, Unione Europea, Germania e Francia. Aliyev rifiuta l’intera sfera di influenza occidentale e la soluzione non verrà dalle mani dei singoli Stati. Dovrebbe essere chiaro che l’Azerbajgian ha scelto il campo di Turchia, Russia e Iran, e i funzionari Azeri lo affermano direttamente. Le speranze dell’Occidente che Baku preferisca ridurre l’influenza di Russia e Iran non si realizzeranno. La posizione anti-russa e anti-iraniana di Baku agli occhi dell’Occidente è stata solo temporanea.
L’Azerbajgian realizza progetti energetici e infrastrutturali con questi Paesi. L’Azerbajgian non si impegnerà in alcun negoziato nei formati occidentali e continuerà a gestire i processi nella regione. O anche se, sotto la massima pressione, il Ministro degli Esteri o il Presidente dell’Azerbajgian accettassero di incontrare i rappresentanti dell’Armenia in Occidente, Baku non raggiungerà un accordo sostanziale con l’Armenia nelle forme dell’Occidente.
È probabile che l’Azerbajgian aspetterà fino alle elezioni americane ed europee del 2024, sperando che i gioverni cambino in Occidente e che l’attuale pressione su Baku diminuisca ulteriormente. In altre parole, se gli Stati Uniti e l’Unione Europea aspirassero davvero a diventare gli architetti della pace nel Caucaso meridionale, dovrebbero utilizzare strumenti asimmetrici contro l’Azerbajgian per costringerlo a impegnarsi nei negoziati.
L’indecisione dell’Occidente e l’incapacità di punire le trasgressioni di Baku forniscono al governo di Aliyev motivo di credere che la sua distruttività non avrà conseguenze significative.
L’Azerbajgian ricorda la rottura degli accordi sulla questione del Nagorno-Karabakh a Kazan nel 2013. Sembrava che una soluzione al conflitto del Karabakh fosse a portata di mano, ma Ilham Aliyev non è riuscito a raggiungere un accordo nell’incontro con Dmitry Medvedev e Serzh Sargsyan, presentando nuove richieste. A quel tempo, il Vicesegretario di Stato americano, Tina Keidanau, avvertì l’Azerbajgian che se avesse intrapreso la guerra contro il Nagorno-Karabakh, gli Stati Uniti avrebbero riconosciuto l’indipendenza del Karabakh. Nel 2016, Azerbajgian iniziò una guerra di quattro giorni contro il Nagorno-Karabakh e rimase impunito. Nel 2020 e nel 2023, l’Azerbajgian si impegnò in guerre contro il Nagorno-Karabakh e l’Armenia, sfuggendo ancora una volta alla punizione.
La situazione rimane la stessa anche oggi. L’Azerbajgian ritiene legittimo che gli Stati Uniti e l’Unione Europea non impongano sanzioni a causa del suo comportamento aggressivo e del boicottaggio dei formati occidentali. Su questa base Baku continua a boicottare con veemenza i formati occidentali.
L’indecisione e la correttezza politica dell’Occidente incoraggiano l’Azerbajgian a diventare più aggressivo. Il Presidente dell’Azerbajgian deve sentire le conseguenze delle sue azioni: il rischio di perdite economiche, il rischio di indebolire il suo potere personale e la sua oligarchia, il rischio di vedersi negata l’opportunità di acquistare armi e la minaccia reale di sanzioni sulle risorse energetiche. Nel caso dell’Azerbajgian, gli sforzi diplomatici saranno inefficaci senza una dimostrazione di forza.
Allo stesso tempo, l’Occidente dovrebbe aumentare significativamente i livelli di sicurezza, difesa e assistenza economica all’Armenia. Questo fattore spingerà anche l’Azerbajgian verso negoziati costruttivi, poiché Aliyev considererà che pagherà un prezzo elevato per una guerra contro l’Armenia, non solo sotto forma di perdite economiche, ma anche nella sfera puramente militare.
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea dovrebbero rafforzare ulteriormente le loro relazioni con l’Armenia stabilendo una cooperazione strategica estremamente stretta, anche a livello di alleanza.
Dovremmo anche prendere in considerazione la firma di documenti strategici per garantire che i possibili risultati delle elezioni del 2024 non interrompano le relazioni tra Armenia e Occidente ma forniscano invece una base istituzionale.
L’Azerbajgian è impegnato in un gioco a lungo termine e gli sforzi a breve termine dell’Occidente falliranno. L’Azerbajgian prevede una soluzione attraverso la guerra. Aspetterà un altro anno o due. Le soluzioni previste dall’Occidente verranno attuate solo in caso di azioni asimmetriche. L’Azerbajgian presenta numerosi punti vulnerabili, di cui gli Stati Uniti e l’Unione Europea sono ben consapevoli.
Fallendo gli sforzi negoziali di USA e Unione Europea, oggi l’Azerbajgian ha offerto all’Armenia di avviare negoziati diretti, compreso un incontro al confine di Stato tra Armenia e Azerbajgian. Ora elencherò i pericoli e perché è probabile che Yerevan rifiuterà.
Il Ministero degli Esteri dell’Azerbajgian afferma che questa stagnazione nei negoziati non contribuisce alla stabilità della regione. “L’Azerbajgian è pronto per negoziati bilaterali diretti con l’Armenia per concludere un trattato di pace. Pensiamo che i due Paesi dovrebbero decidere insieme il futuro delle loro relazioni. La responsabilità per la continuazione del processo di pace, compresa la scelta di un luogo reciprocamente accettabile o la decisione di incontrarsi al confine di Stato spetta ad entrambi i Paesi”, ha detto il Ministro degli Esteri dell’Azerbajgian.
I funzionari di Baku hanno inoltre esortato la parte armena a “evitare nuovi inutili ritardi”. L’assistente di Aliyev, Hikmet Hajiyev, ha detto: “L’Armenia deve capire che le radici della pace sono qui, non a Washington, Brussel e Parigi”. Hajiyev ha invitato Yerevan a concentrarsi sulla regione.
Oggi il Vicepresidente dell’Assemblea Nazionale armena, Hakob Arshakyan, ha annunciato che l’Armenia non ha mai evitato i negoziati armeno-azerbajgiani, ma ha sottolineato l’importanza della piattaforma. “Se ci sono piattaforme la cui efficacia non ispira fiducia, l’Armenia non partecipa ai negoziati su quelle piattaforme. Se la piattaforma ispira fiducia, noi partecipiamo. L’Armenia non desidera evitare alcuna piattaforma efficace, il che non è nemmeno utile per noi”, ha detto Arshakyan.
È ovvio che Erevan non considera Mosca una piattaforma efficace, soprattutto perché Armenia è convinta che la Russia sia una parte in conflitto e non un mediatore. La Russia, insieme all’Azerbajgian, presenta una rivendicazione territoriale nei confronti dell’Armenia, chiedendo la realizzazione del Corridoio di Zangezur.
Oggi Yerevan ha anche informato che ha presentato a Baku la sesta proposta sull’accordo di pace con l’Azerbajgian. “L’Armenia resta impegnata a firmare il documento sulla regolamentazione delle relazioni sulla base dei principi precedentemente annunciati”, si legge nel comunicato del Ministero degli Esteri armeno. Baku recentemente si è lamentata del fatto che all’Armenia è stata presentata “la quinta versione dell’accordo di pace, ma Yerevan non ha risposto per due mesi”.
Il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha annunciato che “l’accordo di pace non verrà firmato a causa della sfiducia delle parti”. Nonostante la sfiducia, Pashinyan ha insistito affinché tre principi chiave della pace fossero concordati con l’Azerbajgian durante gli incontri tripartiti tenutisi a Brussel il 14 e 15 maggio di quest’anno. Di conseguenza, Armenia e Azerbajgian riconoscono reciprocamente l’integrità territoriale, insistendo sul fatto che il territorio dell’Armenia è di 29.800 chilometri quadrati e quello dell’Azerbaijan è di 86.600 chilometri quadrati. Si è inoltre convenuto che per la delimitazione si debbano utilizzare le carte dello Stato Maggiore Generale delle Forze Armate dell’Unione Sovietica dal 1974 al 1990. “Mi sembra importante sottolineare che è stato concordato anche quanto segue: Armenia e Azerbajgian non hanno rivendicazioni territoriali reciproche”, ha dichiarato il Primo Ministro armeno.
Tuttavia, al momento, l’Azerbajgian sta boicottando il processo negoziale in Occidente, cercando di spingere gli Stati Uniti e l’Unione Europea fuori dal Caucaso meridionale. I risultati menzionati da Pashinyan sono stati ottenuti in Occidente, verso il quale Baku ha un atteggiamento negativo. Ciò significa anche che Baku si rifiuta di rispettare gli accordi raggiunti nel formato occidentale.
Da parte sua, l’Armenia non partecipa agli incontri di Mosca.
È vantaggioso per l’Armenia accettare la proposta dell’Azerbajgian e negoziare sul confine di Stato, il che significherebbe escludere gli Stati Uniti e l’Unione Europea dal processo come mediatori? I negoziati bilaterali diretti sarebbero un modo meraviglioso per concludere un trattato di pace se al posto dell’Azerbajgian ci fossero la Finlandia o il Belgio. Tuttavia, l’Armenia ha a che fare con un regime autoritario che mantiene il suo potere attraverso l’ostilità e le guerre contro gli Armeni. Baku, insieme a Mosca, già non è riuscita ad attuare la dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020. Qual è la garanzia che l’attuazione degli accordi bilaterali non fallirà dopo la firma dell’accordo? Non ci sono garanzie.
Fino ad oggi, i militari armeni rimangono detenuti nelle carceri di Baku, nonostante la dichiarazione contenuta nella dichiarazione del 9 novembre che tutti i prigionieri di guerra debbano essere rimpatriati in Armenia.
Secondo la dichiarazione del 9 novembre, l’Azerbajgian era responsabile della salvaguardia del Corridoio di Lachin, mentre la Russia aveva il compito di supervisionare la sicurezza. Tuttavia, i Russi e gli Azeri hanno chiuso congiuntamente il corridoio, bloccato il Nagorno-Karabakh e, infine, sottoposto 100.000 Armeni alla pulizia etnica.
Come dovrebbe l’Armenia fidarsi dell’Azerbajgian che adempirà gli accordi da raggiungere in formato bilaterale? L’incontro bilaterale Baku-Erevan comporta molti rischi significativi, poiché l’Azerbajgian può persino sollevare la minaccia della guerra durante i negoziati. L’Azerbajgian può avviare operazioni militari e ricorrere al ricatto in concomitanza con i negoziati. Baku potrebbe lanciare un attacco contro l’Armenia e occupare le enclavi dopo la conclusione del trattato di pace, una volta che l’Armenia avrà riconosciuto formalmente l’integrità territoriale dell’Azerbajgian.
L’Azerbajgian potrebbe reinterpretare il riconoscimento dell’integrità territoriale come garanzia del diritto di “liberare gli otto villaggi occupati dall’Armenia” o di impadronirsi del “Corridoio di Zangezur”.
Come può l’Azerbajgian proporre un incontro al confine quando ritiene condizionale il confine armeno-azerbajgiano e rifiuta di riconoscere l’attuale confine? L’incontro dovrebbe svolgersi su un confine non riconosciuto? L’Azerbajgian non riconosce l’integrità territoriale dell’Armenia, che comprende un’area di 29.800 chilometri quadrati. Ciò indica evidentemente che Baku nutre ambizioni territoriali nei confronti dell’Armenia.
Se Baku non ha rivendicazioni territoriali, perché non riconosce numericamente il territorio dell’Armenia? In questo caso, come può la parte armena avere fiducia che l’Azerbajgian non sfrutterà l’incontro bilaterale come pretesto per lanciare nuovi attacchi militari contro l’Armenia?
Penso che l’Armenia non dovrebbe partecipare al piano russo-turco-azerbajgiano, il cui obiettivo è quello di espellere gli Stati Uniti e l’Unione Europea dalla regione e dal processo armeno-azerbajgiano. L’Azerbajgian non è uno Stato affidabile e non vi è alcuna garanzia che rispetterà i propri impegni. Credo che gli Stati Uniti dovrebbero fungere da garante del trattato di pace armeno-azerbajgiano.
L’Azerbajgian non ha intenzione di stabilire la pace con l’Armenia; altrimenti, Baku avrebbe cessato i suoi sforzi per mantenere l’Armenia sotto blocco, e la regione sarebbe stata bloccata senza il controllo russo.
Se l’Azerbajgian volesse la pace, non avrebbe chiamato l’attuale territorio armeno “Azerbajgian occidentale” e non avrebbe insistito in modo aggressivo sul ritorno degli Azeri.
Se l’Azerbajgian volesse la pace, acconsentirebbe allo scambio delle “enclavi” e al mantenimento della situazione attuale. In definitiva, l’Azerbajgian non vuole la pace, preferendo la Russia come negoziatore.
La Russia è un generatore di conflitti, mentre l’Occidente cerca la pace. Credo che ci siano numerose ragioni per cui Yerevan respinge l’offerta di un incontro al confine armeno-azerbajgiano.
Il governo del Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha accusato l’Armenia di chiudere i confini con la Turchia e l’Azerbajgian. L’Assistente di Aliyev, Hikmet Hajiyev, ha dichiarato: “L’Armenia è responsabile della chiusura dei confini con l’Azerbajgian e la Turchia. La posizione della Turchia è sempre stata che le relazioni con l’Armenia possono essere normalizzate se quest’ultima metterà fine alla sua occupazione delle terre Azerbajgiane, abbandonerà le sue ambizioni territoriali contro sia la Turchia che l’Azerbajgian, e propone infine un’agenda costruttiva nella regione. L’Azerbajgian e la Turchia hanno sempre sostenuto in modo sincrono la normalizzazione delle relazioni e hanno sempre inviato messaggi positivi all’Armenia. Tuttavia, l’Armenia deve ancora valutare il potenziale della regione e adottare un approccio per risolvere i problemi della regione a livello interno”.
Da un lato, Hajiyev si aspetta che l’Armenia valuti il potenziale della regione e sia costruttiva, mentre dall’altro ha definito utopico il concetto di “Crocevie di Pace” di Yerevan per sbloccare la regione. “Spetta a quel paese [l’Armenia] decidere, ma è di natura utopica. Abbiamo negoziato negli ultimi tre anni, ma non ci sono stati risultati. Pertanto, l’Armenia dovrebbe discutere e pensare a quanto ciò sia efficace. Anche l’Azerbajgian aveva un piano B. Tale piano consiste nello stabilire collegamenti di trasporto attraverso l’Iran. Sono già stati firmati documenti intergovernativi tra Iran e Azerbajgian. D’altra parte, continua la nostra collaborazione con la fraterna Turchia per quanto riguarda la costruzione della ferrovia Kars-Igdir. Intorno alla nostra regione verrà realizzata una linea ferroviaria ad anello. Tuttavia, l’Armenia non ha intrapreso alcuna iniziativa per costruire una linea del genere negli ultimi tre anni. Il ‘Corridoio di Mezzo’ apre nuove realtà”, ha affermato.
L’Azerbajgian considera utopico il progetto “Crocevie di Pace”, che mira allo sblocco regionale nel rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale, della giurisdizione e dei principi di reciprocità di Armenia e Azerbajgian. In altre parole, l’Azerbajgian vuole qualcosa di più della semplice rimozione del blocco basato sul principio di uguaglianza.
Naturalmente, Azerbajgian, Russia e Turchia hanno coniato il termine “Corridoio di Zangezur” e presentano rivendicazioni territoriali sull’Armenia. In effetti, credo che l’Azerbaijan capisca bene che l’Armenia non cederà il “Corridoio di Zangezur” e continua a manipolare la questione per diversi scopi. Dopo il 9 novembre 2020, l’Azerbajgian ha sfruttato l’espressione “Corridoio di Zangezur” e ha trasformato il rifiuto dell’Armenia in uno strumento per chiudere il Corridoio di Lachin e bloccare il Nagorno-Karabakh.
Poiché anche la Russia beneficia del controllo del “Corridoio di Zangezur”, i Russi non hanno impedito la chiusura del Corridoio di Lachin, sperando che l’Armenia fosse costretta a cedere il “Corridoio di Zangezur”. Tuttavia Yerevan non si è arresa, nonostante i ricatti dell’Azerbajgian e gli attacchi ai confini dell’Armenia.
Oggi l’Azerbajgian ha bisogno dell’espressione “Corridoio di Zangezur” per avere una contro-argomentazione “legittima” al blocco dell’Armenia. Gli Azeri sostengono che poiché l’Armenia non fornisce loro un collegamento con Nakhchivan sotto forma del “Corridoio di Zangezur”, rimarrà circondata. Naturalmente Hajiyev incolpa l’Armenia.
Ma in realtà, il rifiuto da parte dell’Armenia del progetto “Corridoio di Zangezur” è dovuto al fatto che si tratta in realtà di una rivendicazione territoriale. Russia e Azerbajgian vogliono avere il controllo militare ed economico su Syunik, controllare il collegamento tra Iran e Armenia, e la Russia vuole avere un collegamento terrestre con la Turchia attraverso il “Corridoio di Zangezur”, per aggirare anche le sanzioni occidentali.
Il progetto “Crocevie di Pace” proposto dall’Armenia mina l’accordo Russia-Turchia-Azerbajgian. Non implica una rivendicazione territoriale contro nessuno e offre lo sblocco regionale nel rispetto della giurisdizione dei Paesi.
La soluzione offerta dall’Armenia si basa sui principi del rispetto dei diritti di tutti, che l’Azerbajgian considera utopici. In altre parole, tutte quelle soluzioni in cui l’Azerbajgian non vince unilateralmente e non riesce a trovare una via d’uscita attraverso la logica del corridoio sono considerate utopiche. Questo per mantenere l’Armenia sotto blocco.
Naturalmente, d’altra parte, l’Azerbajgian sta cercando di ricattare indirettamente l’Armenia minacciando che se non fornirà il “Corridoio di Zangezur” a Turchia, Azerbajgian e Russia, rimarrà circondata per sempre.
L’Azerbajgian suggerisce che l’Armenia trovi soluzioni all’interno della regione. Perché? Perché i punti di vista di USA e Unione Europea su questo tema non sono in linea con gli interessi di Russia, Turchia e Azerbajgian. Questa è anche la ragione principale per cui l’Azerbajgian boicotta i formati occidentali, da cui non trae alcun vantaggio. James O’Brien, Sottosegretario di Stato durante l’audizione alla Commissione Affari Esteri del Congresso ha dichiarato che lo sblocco stradale apporterebbe immensi vantaggi non solo ai paesi della regione. “I Paesi dell’Asia centrale stanno attualmente cercando una via alternativa per consegnare i loro prodotti al mercato. Questa via potrebbe passare dall’Azerbajgian alla Georgia, o attraverso l’Armenia alla Turchia. Abbiamo affermato che la via di transito, stabilita con l’accordo e la partecipazione dell’Armenia, può dare un enorme slancio ai Paesi della regione e ai mercati globali. Non è solo una questione di relazioni tra Armenia e Azerbajgian. Lo sblocco delle strade, sulla base del principio di sovranità, contribuirà anche all’applicazione delle sanzioni contro la Russia. L’Armenia non ha alcun controllo sul carico che passa attraverso i due punti, quindi dobbiamo trovare un modo più sostenibile per l’Armenia di governarlo e per far sì che le forze di pace russe se ne vadano una volta scaduto il loro mandato di 5 anni”, ha affermato O’Brien.
Interrompendo il progetto “Crocevie di Pace” proposto dall’Armenia, l’Azerbajgian protegge gli interessi della Russia, assicurando che le posizioni dei Russi nel Caucaso meridionale rimangano stabili. Blocca l’accesso anche per l’Occidente.
Il Rappresentante Speciale dell’Unione Europea Toivo Klaar ha affermato che “è abbastanza logico che qualsiasi strada, qualsiasi ferrovia, che passa attraverso il territorio dell’Armenia, debba essere controllata dall’Armenia. O qualsiasi strada o ferrovia che passa attraverso il territorio dell’Azerbajgian o, del resto, la Germania è controllata dal Paese indicato. Pertanto, è assolutamente l’unica disposizione logica. Ad esempio, in questo caso, l’Azerbajgian vuole avere la garanzia che i cittadini dell’Azerbajgian e le merci che transitano attraverso il territorio dell’Armenia saranno al sicuro. È del tutto logico e normale. Ma come ciò avverrà è responsabilità delle autorità armene. Credo che la visione del Primo Ministro Pashinyan riguardo ai collegamenti stradali e ferroviari che uniscono i Paesi sia qualcosa che condividiamo completamente. Condividiamo assolutamente la visione di un Caucaso meridionale aperto, dove i collegamenti ferroviari e stradali siano aperti e i paesi siano riunificati come lo erano alla fine dell’era dell’Unione Sovietica e anche di più. Dovrebbero essere aperti anche i collegamenti stradali e ferroviari con la Turchia e, ovviamente, con l’Iran, come già avviene. Questo è il modo in cui vediamo il futuro, assolutamente, la nostra visione di un Caucaso meridionale pacifico è che questi collegamenti di trasporto siano di nuovo aperti, quando c’è commercio, ci sono persone che viaggiano oltre i confini”
Nikol Pashinyan ha pubblicato i principi di “Crocevie di Pace”, che sono i seguenti:
Principio 1: Tutte le infrastrutture, comprese autostrade, ferrovie, vie aeree, condutture, cavi, linee elettriche, operano sotto la sovranità e la giurisdizione dei Paesi attraverso i quali passano.
Principio 2: Ogni Paese attua il controllo delle frontiere e delle dogane nel proprio territorio attraverso le proprie istituzioni statali, oltre a garantire la sicurezza delle infrastrutture, compreso il passaggio di merci, veicoli e persone attraverso di esse. A proposito, nel prossimo futuro verrà creata un’unità speciale nel sistema di polizia armeno, la cui funzione sarà quella di garantire la sicurezza delle comunicazioni internazionali che passano attraverso l’Armenia, il passaggio di merci, veicoli e persone, ovviamente , in collaborazione con la nostra polizia di pattuglia.
Principio 3: L’infrastruttura specificata può essere utilizzata sia per il trasporto internazionale che nazionale.
Principio 4: tutti i Paesi utilizzano le rispettive infrastrutture sulla base dell’uguaglianza e della reciprocità. Alcune semplificazioni delle procedure di controllo alle frontiere e doganali possono essere attuate in base al principio di uguaglianza e reciprocità.
Pashinyan ha riaffermato la disponibilità dell’Armenia ad aprire, riaprire, ricostruire e costruire tutte le comunicazioni regionali basate su questi principi e ha annunciato che il progetto sarà presentato ufficialmente anche ai governi della regione nel prossimo futuro. “Spero che con sforzi congiunti, compresa l’attività degli investitori, riusciremo a dargli vita”, ha affermato il Primo Ministro armeno.
L’Azerbajgian considera utopici questi principi che, come ho già detto, mirano a mantenere l’Armenia in un blocco a lungo termine e a continuare la politica di ricatto» (Robert Anayan – Nostra traduzione italiana dall’inglese).

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Azerbaigian vs Francia: “Rischia di scatenare guerra nel Caucaso”/ Pesa fornitura di armi all’Armenia (Il Sussidiario 21.11.23)

Restano tesi i rapporti fra l’Azeirbaigian e la Francia e nella giornata di oggi il presidente azerbaigiano, Ilham Aliyev, ha accusato nuovamente Parigi di favorire una guerra nel Caucaso fornendo le armi all’Armenia, da sempre storico nemico proprio di Baku e con cui aveva già in passato combattuto due guerre. Insiderpaper racconta di come le due nazioni abbiano combattuto un conflitto territoriale per la regione del Nagorno-Karabakh in Azerbaigian, che Baku è riuscito a riconquistare a settembre a seguito di una offensiva fulminea.

“La Francia sta perseguendo una politica militaristica armando l’Armenia, incoraggiando le forze revansciste in Armenia e gettando le basi per provocare nuove guerre nella nostra regione”, le parole di Aliyev durante una conferenza internazionale a Baku, dichiarazioni lette dal suo consigliere per la politica estera. Il presidente azero ha aggiunto che Parigi “sta distruggendo la stabilità non solo nelle sue ex e attuali colonie, ma anche nel Caucaso meridionale, dove sostiene le tendenze separatiste e i separatisti”.

AZERBAIGIAN VS FRANCIA: OGNI DIALOGO CON L’ARMENIA È STATO CONGELATO

Non è la prima volta, come scritto sopra, che la Francia viene criticata da Baku, che a suo modo di vedere nutre dei “pregiudizi filo-armeni” nel conflitto territoriale dei paesi del Caucaso. Una situazione che rischia di creare delle tensioni anche fra le due nazioni contendenti, che da tempo stanno cercando di trovare una complicata intesa di pace che forse potrebbe essere firmata entro la fine dell’anno.

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev si sono incontrati più volte sotto la mediazione dell’Ue ma lo scorso mese si è verificato uno stop, proprio per via dei pregiudizi francesi, come sottolineato da Aliyev. Lo stesso punta il dito anche nei confronti di Washington, accusando gli Stati Uniti di essere “di parte” e in favore dell’Armenia. Per adesso ogni nuovo negoziato è congelato ma la speranza è che le due nazioni rivali possano tornare a dialogare per superare queste ultime diatribe.

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Alla Casa Diocesana Agorà di Monaco un incontro con Élise Boghossian e Tigrane Yégavian (Montecarlonews 20.11.23)

Dallo scorso settembre migliaia di armeni del Nagorno-Karabakh sono stati gettati sulle strade e costretti militarmente dall’Azerbaigian a lasciare il loro territorio. Iniziato durante la dissoluzione dell’URSS, il conflitto del Nagorno-Karabakh è uno dei più antichi conflitti post-sovietici, con sfide etniche e territoriali, tra l’Armenia e l’Azerbaigian, indipendenti nel 1991, a proposito della regione dell’Alto-KarabakhKarabakh, abitata principalmente da armeni.

Per evocare questa tragedia, la diocesi riceve due relatori, intenditori di questa difficile questione:

Élise Boghossian è la fondatrice dell’organizzazione non governativa EliseCare, creata nel 2012 e riconosciuta di pubblica utilità nel 2015. Dopo una formazione in neuroscienze all’Università Pierre e Marie Curie (Parigi 6), segue un doppio corso e si forma nella medicina tradizionale cinese in Cina.Nel 2015, ha pubblicato un libro alle edizioni Robert Laffont intitolato Al regno della speranza, non c’è inverno, che racconta il suo impegno e la sua filosofia. Con EliseCare è presente direttamente sul campo nel Nagorno-Karabakh.

Tigrane Yégavian si è laureato presso l’Istituto di Studi Politici (IEP) di Parigi e l’Istituto di Lingue e Civiltà Orientali (INALCO), ha conseguito un Master in Ricerca in Politica Comparata, specialità Mondo Musulmano e un Dottorato in Storia Contemporanea. Arabizzante, ha soggiornato a lungo in Siria, Libano e Turchia. Il suo percorso lo ha portato a specializzarsi sui cristiani orientali e le loro diaspore. È membro del comitato di redazione della rivista di geopolitica Conflitti e interviene in numerosi media.

Giovedì 30 novembre 2023/ Agorà – Casa diocesana

19h – 20h: conferenza

20h – 20h30: scambio con il pubblico

Ingresso libero – prenotazioni obbligatorie (comunicazione@diocese.mc)

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“L’altra guerra”, il Nagorno Karabakh (Il Mondo 20.11.23)

La storia di un conflitto mai sopito che si è “risolto” con la cancellazione dell’enclave armena in territorio azero e senza mai raggiungere la pace

Verrebbe quasi da consigliare agli armeni di scrivere un libro, intitolarlo Spare, e tentare così di abbandonare il ruolo del “minore” per avere quel risalto, storicamente, sempre negato. La storia del secondogenito di Re Carlo non è certo paragonabile a quella degli armeni del Nagorno Karabakh, ma che questi abbiano sofferto di una sorta di sindrome da “messa in ombra” agli occhi del mondo, ricostruendone i processi storici che li hanno coinvolti, sembra innegabile. La riprova arriva nel 2023 quando, nonostante la guerra in Ucraina, il mondo si concentra su quanto accade nell’enclave armena in territorio azero, è il 19 settembre, ma il 7 ottobre l’attenzione si sposta sul Medio Oriente a causa dell’attacco di Hamas a Israele che dà il via a un nuovo vortice di violenze nella Striscia di Gaza.

Per ricostruire la storia del Nagorno Karabakh, però, è utile tornare al 1917. A seguito della Rivoluzione russa il territorio viene inglobato dalla Federazione Transcaucasica che, nel giro di poco, si suddivide in Armenia, Azerbaigian e Georgia. È l’Azerbaigian a rivendicare la sovranità sulla provincia e, nonostante la Repubblica dell’Armenia montanara sia contraria, nel 1919 il controllo del territorio viene riconosciuto al governo azero dalle potenze alleate; lo status viene poi ufficialmente determinato durante la Conferenza di pace di Parigi, decisione vista dall’Azerbaigian come riconoscimento delle proprie rivendicazioni ma criticata duramente dall’Armenia. Importante ricordare che in quegli anni la popolazione della regione è armena per il 95%.

È il 1920 e la Transcaucasia viene conquistata dalla Russia che prima promette di assegnare il Karabakh all’Armenia, ma poi – al fine di ottenere favori dalla neonata Turchia – decide di assegnare la provincia (insieme a quella di Nakhchivan) al filoturco Azerbaigian, riservando invece all’Armenia lo Zangezur. Nasce a questo punto l’Oblast Autonoma del Nagorno Karabakh (parte della Repubblica Socialista Sovietica Azera): è il 1923 e il territorio inizia a godere di una sostanziale autonomia politica. Una stagione destinata a non durare a lungo.

Ancora prima dello scioglimento dell’Unione Sovietica nel 1991, infatti, le rivendicazioni riemergono con forza. Nuovi moti esplodono nel 1988 quando il Nagorno Karabakh chiede l’annessione all’Armenia; gli scontri provocano due vittime azere, in risposta avviene un vero e proprio “pogrom”, una violenta sollevazione popolare contro la minoranza armena, e in tre giorni, secondo le fonti governative, muoiono 26 armeni e 6 azeri (anche se alcune informazioni del Congresso americano parlano di centinaia di vittime).
Il massacro, avvenuto a Sumgait, è il prologo di quanto avviene nelle settimane a seguire in altre città, come Spitak e Ghugark, e provoca un esodo di popolazione sia armena sia azera che per sfuggire alle violenze cerca di fare ritorno in patria. Nel 1989 le violenze raggiungono picchi mai visti e l’Unione Sovietica decide in prima battuta di aumentare i poteri alle autorità azere con l’obiettivo di controllare la regione, ma una sessione unita del Soviet Supremo armeno e del Consiglio Nazionale del Nagorno Karabakh proclama l’unificazione con l’Armenia; in tutta risposta a Baku nel gennaio del 1990 si svolge una nuova azione di violenza indiscriminata verso la popolazione armena da parte degli azeri. Alla violenza si risponde con altra violenza, con Mosca che inverte la rotta e appoggia la parte armena inviando truppe a sopprimere il Partito del Fronte Popolare dell’Azerbaigian provocando l’uccisione di 122 rivoltosi azeri mentre il segretario del Soviet Supremo, Michail Gorbačëv, accusa il Fronte Popolare di voler instaurare una repubblica islamica in Azerbaigian. Alla fine delle ostilità a uscirne vincitrici sono le forze armene che riescono non solo a espellere l’esercito azero dalla regione ma anche a occupare parzialmente 7 distretti azeri limitrofi al Nagorno Karabakh, incluso il corridoio di Lachin che unisce la regione all’Armenia.

L’anno seguente l’Azerbaigian lascia l’Unione Sovietica per dar vita alla Repubblica; pochi giorni dopo il Soviet del Nagorno Karabakh vota per la costituzione di una entità statale autonoma. La battaglia diplomatica continua e dopo alcuni mesi l’Azerbaigian vota per l’abolizione dello statuto autonomo del Karabakh. Interviene però la Corte Costituzionale sovietica che respinge la decisione, dichiarando che la questione non è più materia sulla quale l’Azerbaigian ha potere di legiferare.

È il 10 dicembre 1991 quando il Nagorno Karabakh approva il referendum confermativo, seguono le elezioni politiche e, il 6 gennaio 1992, viene proclamata ufficialmente la Repubblica. Il 31 gennaio iniziano i bombardamenti azeri sulla regione: si apre così la Prima guerra del Nagorno Karabakh che finirà solo nel 1994, con l’accordo di cessate il fuoco firmato a Biškek il 5 maggio.

Alla fine del conflitto, dopo circa 30 mila morti, il Nagorno Karabakh si consolida come repubblica de facto (non riconosciuta dalla comunità internazionale). A causa della guerra l’intera popolazione azera dell’Armenia e del Nagorno Karabakh, oltre che dei distretti caduti sotto il controllo armeno, fugge in Azerbaigian, centinaia di civili azeri vengono massacrati il 26 febbraio 1992 a Khojaly da parte dell’esercito armeno e di un reggimento russo. Da parte azera il malcontento permane e Baku lamenta la perdita del proprio territorio chiedendo la rivendicazione del principio di integrità territoriale, mentre gli armeni rivendicano il principio di autodeterminazione dei popoli.

Nel 2002 ha avvio il Processo di Praga, una serie di incontri tra leader dell’Armenia e dell’Azerbaigian sotto la Presidenza del Gruppo di Minsk dell’OSCE – l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa – che ha come obiettivo la stipula di un accordo di cessazione del conflitto armato e la promozione del processo di pace. Il gruppo, che vede alla co-presidenza Francia, Russia e Stati Uniti, ha al suo interno esponenti di Bielorussia, Germania, Italia, Portogallo, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia e Turchia, e sperimenta un nuovo metodo di contrattazione che non prevede “nessun programma, nessun impegno, nessun negoziato, ma una discussione libera, su qualsiasi questione proposta dall’Armenia, dall’Azerbaigian o dai copresidenti”, ma lo stallo non viene superato. Si giunge poi alla dichiarazione di Madrid del 2007 e a quella di Meiendorf dell’anno seguente, accordi sottoscritti da Armenia e Azerbaigian, ma senza la partecipazione delle autorità della Repubblica separatista. Il primo atto ufficiale scritto dopo la fine della Prima guerra del Nagorno Karabakh è proprio quello russo, ma una pace vera e consolidata non viene raggiunta e la situazione viene definita di “conflitto congelato”, anche se il sangue continua a scorrere, dato che periodicamente viene aperto il fuoco sul confine e soldati, di entrambe le parti, continuano a morire. Nell’aprile 2016 avviene una nuova escalation azera, detta “guerra dei quattro giorni” che altro non sembra essere che una prova generale della guerra del 2020; in questa occasione viene raggiunto un accordo di cessate fuoco con la mediazione della Russia e l’appoggio degli Stati Uniti.

Nel 2017 la Repubblica del Nagorno Karabakh approva una nuova Costituzione e cambia nome in Repubblica di Artsakh (anche se entrambi i nomi restano ufficiali). Dal 1994, alla fine del primo conflitto, truppe armene e azere sono rimaste a presidiare la linea di contatto dell’Artsakh – il confine creato dall’accordo di Biškek – e proprio lungo questa linea il 27 settembre 2020 ha inizio la Seconda guerra del Nagorno Karabakh. A dare il via allo scontro sono le forze di Baku che lanciano diversi attacchi missilistici e aerei – le autorità azere parlano di controffensiva di un attacco armeno, ma l’ingente dispiego di uomini e mezzi sembra dare la riprova che si trattasse di un attacco premeditato e pianificato, non una semplice rappresaglia – e dichiarano la riconquista, smentita dalle autorità del Nagorno Karabakh, di diverse zone contese. Si susseguono attacchi e tregue che riescono a durare solo poche ore; ad avere la meglio sono le truppe azere che avanzano verso il confine con l’Armenia, ma a destare la massima preoccupazione è la presa della città di Hadrut, che dimostra l’intenzione azera di conquistare non solo i distretti al di fuori dell’Oblast originaria, ma anche del territorio storicamente appartenente alla Repubblica separatista.

La guerra continua fino al 9 novembre, nelle ultime settimane i colpi inflitti dalle truppe di Baku sono sempre più forti, anche grazie all’utilizzo di droni turchi e israeliani; dall’inizio di novembre i civili fuggono in massa dalla Repubblica di Artsakh a causa del timore che cada anche la capitale, Stepanakert. Durante il conflitto muoiono circa 7 mila persone.

L’accordo di tregua, siglato dal presidente azero İlham Aliyev, dal primo ministro armeno Nikol Pashinyan e dal presidente russo Vladimir Putin, prevede che 1.960 peacekeeper russi siano posti nella regione per almeno cinque anni in modo da proteggere il corridoio tra il Nagorno Karabakh e l’Armenia e che siano le forze turche, come deciso da Baku, a provvedere alla pace per la parte azera. Per l’Azerbaigian, che ottiene il ritiro delle forze armene dai territori occupati, la “dichiarazione costituisce la capitolazione dell’Armenia. Questa affermazione pone fine all’occupazione di anni”, come sostiene il presidente Aliyev, mentre a Yerevan si scatena il malcontento della popolazione armena.

L’accordo, però, lascia aperte diverse questioni: prima su tutte non viene menzionato lo status futuro del Nagorno Karabakh, ma anche la posizione russa diventa cruciale. Oltre al dislocamento di una forza di pace nella regione, il Cremlino deve risolvere la questione della demarcazione di una nuova frontiera tra Armenia e Azerbaigian – impresa ardua giacché ai tempi dell’Unione Sovietica non esistevano confini chiari – ma è presente anche una nuova questione. Con l’invasione russa in atto in Ucraina – che aggrava ulteriormente il grado di instabilità della regione caucasica – viene meno il ruolo da mediatore di Mosca e a seguito delle sanzioni imposte dalla comunità internazionale alla Russia l’Azerbaigian si trova a essere un Paese essenziale sia per il transito delle esportazioni energetiche russe sia come fonte di materie prime per gli Stati europei.

Consapevole di poter contare su una posizione privilegiata, Baku attacca nuovamente il confine con l’Armenia occupando alcune zone strategiche tra il 12 e il 14 settembre 2022. Nel dicembre 2022 alcuni sedicenti attivisti ambientalisti azeri si impegnano a bloccare il passaggio di mezzi e persone nel corridoio di Lachin (che l’Azerbaigian nel trattato di pace del 2020 si era impegnato a tenere aperto), ad aprile l’esercito prende il posto degli attivisti e istituisce un checkpoint; con la chiusura dell’unico collegamento con l’Armenia vivere in Nagorno Karabakh è sempre più difficile, con le forniture di medicinali e alimentari sempre più scarse e continue mancanze di gas ed elettricità. A fronte di tale situazione il premier armeno Nikol Pashinyan spiega non si possa parlare “di una preparazione al genocidio, ma di un processo di genocidio in corso” e a causa della mancata protezione russa davanti all’attacco azero l’Armenia inizia a smarcarsi dal Cremlino tanto da cercare di riallacciare i rapporti con la Turchia (i due Paesi non hanno rapporti diplomatici dal 1993, nonostante fossero già complicati prima, a causa del genocidio armeno avvenuto durante la Prima Guerra Mondiale), storica alleata azera.

Si arriva così ai fatti più recenti, l’attacco azero al Nagorno Karabakh del 19 settembre 2023. A giustificare i bombardamenti Baku parla di “attività antiterroristiche nel Nagorno Karabakh” per “ripristinare l’ordine costituzionale” nella regione, dato che secondo Baku lo scoppio di una mina anticarro posta dagli armeni ha provocato la morte di quattro militari e due civili azeri. Il giorno seguente, con la mediazione dei peacekeeper russi, si giunge a un accordo per il cessate il fuoco.

Ormai completamente incrinate le relazioni tra Armenia e Russia (che era stata avvertita preventivamente dell’attacco), i media russi attribuiscono la responsabilità all’Armenia e l’ex presidente Dmitrij Medvedev individua Pashinyan come responsabile, a causa della sua decisione di far allontanare il Paese dall’orbita russa (“reo” inoltre di esercitazioni militari al fianco degli Stati Uniti).

Dal Nagorno Karabakh vengono denunciate violazioni del cessate il fuoco, mentre un esodo di massa coinvolge i civili della Repubblica dell’Artsakh e li costringe a fare ritorno in Armenia – più dell’80% degli abitanti armeni della Repubblica, oltre 100mila persone, ha lasciato la regione – e la Corte penale internazionale parla espressamente del pericolo di un nuovo genocidio e di pulizia etnica. Il 28 settembre viene siglato un accordo che impone la fine dell’esistenza della Repubblica dell’Artsakh dal primo gennaio 2024. A seguito della firma il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito quella del Nagorno Karabakh una questione interna azera, a dimostrazione del disinteresse russo. Il 18 ottobre successivo il premier armeno alla sessione plenaria del Parlamento europeo ha attaccato apertamente Mosca, accusandola di inazione.

Finisce così, dunque, la storia del Nagorno Karabakh, protagonista dell’“altro” conflitto che sembra destare scarsa preoccupazione in Occidente, nonostante l’importanza della regione caucasica – confinante con la Turchia a Ovest, con la Russia a Nord, con l’Asia a Est e con il Medio Oriente a Sud – e dei due oleodotti e due gasdotti che passano proprio nel territorio del Nagorno Karabakh. In tutta la storia della Repubblica separatista non è mai stato firmato un accordo di pace – di cui adesso si fanno i primi accenni -, una pace che ad oggi sembra impossibile da raggiungere perché troppo dipendente dalle logiche di Paesi più forti del Nagorno Karabakh, destinato a rimanere il “minore”, Spare.

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Una sofferta riconciliazione nel Caucaso? Gli ultimi sviluppi tra Armenia e Azerbaigian (Il Caffe Geopolitico 20.11.23)

In breve

  • Il 19 settembre l’offensiva militare azera ha di fatto messo fine all’esistenza del Nagorno-Karabakh come entità indipendente. Lo spazio delle trattative mira a ricongiungere i rapporti nella regione.
  • Fino ad ora i negoziati hanno seguito due strade parallele: una incoraggiata dall’UE e una sostenuta dalle potenze regionali.
  • Nonostante vari dissapori, i due Paesi sembrano essere giunti all’intesa su tre principi fondamentali che potrebbero contribuire ad accelerare il processo di pace.

Prima di iniziare…

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In 3 sorsi– A poco più di un mese dalla capitolazione della Repubblica del Nagorno-Karabakh, Armenia e Azerbaigian sembrano vicini a un accordo di pace. Il Primo Ministro armeno Pashinyan ha di recente enunciato i tre punti fondamentali che potrebbero contribuire a una normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi.

 

1. L’OFFENSIVA AZERA E LA FINE DEL NAGORNO-KARABAKH

Il 19 settembre l’esercito azero ha lanciato un’offensiva militare contro la regione separatista del Nagorno-Karabakh (Artsakh in armeno), aprendo una nuova fase di ostilità nel Caucaso meridionale. L’attacco militare ha portato in sole 24 ore alla resa della Repubblica autonoma, che con l’accordo di cessate il fuoco del 20 settembre non ha potuto fare altro che riconoscere la fine dell’esistenza del Nagorno-Karabakh come entità indipendente de facto e la dissoluzione di ogni istituzione a partire dal 1° gennaio 2024. Terminata la fase militare del conflitto ora bisogna delineare le dinamiche che investiranno questa regione nel prossimo futuro e le condizioni che intendono fissare le parti per cercare di ricostituire un clima di stabilità.

Fig. 1 – Il Presidente azero Ilham Aliyev assiste alla parata per il Giorno della Vittoria nel centro di Stepanakert/Khankendi in Nagorno-Karabakh, 8 novembre 2023

2. IL NODO DELLA MEDIAZIONE

Finora si sono seguiti due percorsi principali di negoziazione, uno facente capo all’Europa e agli USA, e uno mediato dalla Russia. Mentre l’Armenia predilige una mediazione occidentale e vorrebbe allontanarsi sempre di più dallo storico alleato russo, la Repubblica di Azerbaigian intende risolvere la questione rimanendo nell’ambito regionale, affidando la mediazione alla Russia, alla Turchia, all’Iran o alla Georgia.
Un appuntamento importante era previsto per il 5 ottobre al vertice della Comunità politica europea a Granada, dove avrebbero dovuto incontrarsi il Presidente dell’Azerbaigian Aliyev e il Primo Ministro armeno Pashinyan alla presenza di mediatori europei, ma Aliyev si è tirato indietro a causa della presenza della Francia, fornitrice di armi difensive all’Armenia, e per il dissenso provocato dall’esclusione della Turchia dal tavolo negoziale. Pochi giorni dopo, il 10 ottobre, Pashinyan ha deciso di disertare il vertice del Consiglio dei leader della Comunità degli Stati Indipendenti a Bishkek, capitale del Kirghizistan, riunione alla quale ha presenziato anche il Presidente Putin. Nonostante questi dissapori i colloqui sono proseguiti: il 23 ottobre i Ministri degli Esteri di Iran, Russia, Turchia, Armenia e Azerbaigian si sono incontrati a Teheran nel vertice 3+3 (3+2 a causa dell’assenza della Georgia) per esaminare gli ultimi sviluppi nel Caucaso meridionale e incoraggiare l’intrapresa di un percorso di pacificazione in ambito regionale.

Fig. 2 – Il premier armeno Nikol Pashinyan durante il vertice della Comunità politica europea a Granada, 5 ottobre 2023. Insieme a lui il Cancelliere tedesco Scholz, il Presidente del Consiglio europeo Michel e il Presidente francese Macron

3. I TRE PUNTI CENTRALI DEL FUTURO ACCORDO DI PACE

Il 26 ottobre a Tbilisi, capitale della Georgia, si è tenuto il Forum economico sulla Via della Seta. Durante l’evento il Primo Ministro armeno Pashinyan ha annunciato che la conclusione di un accordo di pace con l’Azerbaigian è imminente e ha espresso i tre principi fondamentali su cui le parti avrebbero trovato un  compromesso. Tali principi sono: il riconoscimento dell’integrità territoriale dei due Paesi, la delimitazione dei confini sulla base della dichiarazione di Alma Ata del 1991 (che ha decretato la fine dell’URSS e la sovranità dei confini delle 12 Repubbliche firmatarie) e l’enunciazione di un progetto infrastrutturale ad ampio respiro denominato “Crocevia della pace”, le cui ambizioni sono state spiegate dallo stesso Pashinyan: “tutti i Paesi utilizzano le rispettive infrastrutture secondo il principio di uguaglianza e reciprocità. Sulla base di questi principi, la disponibilità dell’Armenia ad aprire, riaprire, ricostruire, costruire tutte le comunicazioni regionali”. Il disegno di una “Crocevia della pace” porterebbe l’Armenia ad aprirsi ai propri vicini tramite un potenziamento significativo dei collegamenti infrastrutturali tra i Paesi della regione.
“La proposta dell’Azerbaigian riguardo all’accordo di pace è valida ancora oggi. Pertanto, i prossimi passi dovrebbero essere compiuti principalmente dall’Armenia. Finora la maggior parte dei punti dell’accordo di pace sono stati concordati tra le parti”: queste le parole del Vice Ministro degli Affari Esteri dell’Azerbaigian all’indomani delle dichiarazioni di Pashinyan, aggiungendo anche che una sovranità piena e riconosciuta dell’Azerbaigian nel Nagorno-Karabakh contribuirà alla conclusione di un accordo di pace.
È importante ribadire quanto tutto possa essere ancora suscettibile di ulteriori sviluppi e che nulla è definitivo. In tal senso il discorso intriso di retorica nazionalistica del Presidente Aliyev, pronunciato in occasione del Giorno della Vittoria l’8 novembre, non appare molto conciliante. Discorso al quale si aggiungono le ultime dichiarazioni del Ministro degli Esteri azero, in cui accusa Yerevan di minacciare il percorso di pace, continuando a fornire sostegno militare alle forze separatiste e mantenendosi in territori reclamati da Baku. Gli ultimi eventi ci mostrano quindi come una piena normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi sia ancora difficile, ma passi avanti, seppur modesti, si stanno compiendo verso questa direzione. Tuttavia, la ferita di una comunità millenaria ormai scomparsa rimarrà sempre aperta e lascia un doloroso precedente nella memoria storica di questo territorio.

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I “grandi” della terra, quando discutono su guerra e pace, dovrebbero ascoltare i bambini (Korazym 20.11.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 20.11.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi, 20 novembre 2023 è la Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. «Grishka sta facendo i compiti. “Mi manca moltissimo la mia strada e la mia casa a Stepanakert. Spero che un giorno tornerò lì”, conclude il suo saggio. Grishka ha lasciato la sua casa e la sua strada a settembre. Attualmente frequenta la scuola ad Abovyan, in Armenia» (Marut Vanyan – Foto di copertina).

Proseguiamo in fondo a questo articolo con il fact checking in riferimento alla fake news della “sinagoga di Yerevan data alle fiamme”, di cui abbiamo riferito il 17 novembre [QUI] e il 19 novembre [QUI].

Abbiamo trovato questo video senza commento su YouTube, in un account apparentemente creato ad hoc [QUI]. Ci chiediamo, come si può conciliare questi propositi con la dichiarata volontà di creare fiducia tra Armeni e Azeri, se delle menti azeri contemplano di sostituire a Stepanakert il monumento “Noi siamo le nostre montagne” (simbolo di pace) con il monumento “Pugno di ferro” (simbolo di guerra). Gli Armeni dell’Artsakh sono stati sfollati con la forza dalle loro case e dalle loro terre, e con questo la pulizia etnica pianificata da Aliyev ormai è compiuta, ma perché voler sfollare questa coppia anziana di una nonna e un nonno, quando sono lì dagli anni ’60?

Per saperne di più:

  1. Gli Azeri come gli Armeni sono vittime del “pugno di ferro” del regime autocratico e corrotto dell’Assurdistan – 2 novembre 2023 [QUI]
  2. A Stepanakert etnicamente pulita, l’Azerbajgian ha eretto a un monumento “Pugno di Ferro” prima di una programmata parata militare con Aliyev – 31 ottobre 2023 [QUI]
  3. Մենք ենք մեր սարերը. Noi siamo le nostre montagne. Il messaggio del simbolo del popolo armeno dell’Artsakh – 17 ottobre 2023 [QUI]

Nel terzo articolo avevamo scritto: «Adesso, che Stepanakert è nel potere autocratico di Ilham Aliyev, si teme per le sorti del monumentale simbolo dell’Artsakh, perché la disgustosa autocrazia dell’Azerbajgian ha dichiarato di aver l’intenzione di distruggere Noi siamo le nostre montagne, sempre nel nome della “reintegrazione dei cittadini di etnia armena della regione economica del Karabakh in Azerbajgian”».

Il regime autocratico di Ilham Aliyev continua la sua vendetta contro gli Armeni dell’Artsakh sulla base di varie false accuse. Il cittadino dell’Artsakh, Rashid Beglaryan, era stato sequestrato e detenuto dopo essersi perso vicino ad Aghavno, occupata il 1° agosto 2023, mentre stava assistendo alla consegna degli aiuti umanitari da parte di Spayka. Beglaryan era stato sfollato con la forza da Shushi durante la guerra dei 44 giorni del 2020. Successivamente si stabilì nel villaggio Hin Shen vicino a Shushi. È stato riferito che Rashid Beglaryan è accusato sulla base di cinque articoli del codice penali, per aver partecipato al “genocidio di Khojaly”. I fonti mediatiche azeri riferiscono che Rashid Beglaryan è stato interrogato e costretto ad ammettere falsamente la sua colpevolezza. Di seguito riportiamo nella nostra traduzione italiana quanto riportato dal sito Calibro, vicino al Ministero della Difesa dell’Azerbajgian:
«Durante l’interrogatorio del DTX [il Servizio di Sicurezza dell’Azerbajgian], l’accusato Rashid Beglaryan ha ammesso la sua partecipazione al genocidio di Khojaly e ha affermato che il 25 febbraio 1992 le forze armate armene e i gruppi armati armeni illegali che operavano sotto il loro comando hanno effettuato un attacco a Khojaly. In conformità con l’attacco pianificato, ai civili Azeri sopravvissuti sono state fatte false promesse che sarebbero stati in grado di attraversare in sicurezza la regione di Askeran. Formazioni armene hanno teso un’imboscata ad almeno 200 civili, per lo più donne, bambini e anziani, che si muovevano lungo la costa del fiume Gargar verso la regione di Aghdam, e li hanno uccisi con armi automatiche nell’area della fortezza di Askeran. Dopo che gli effetti personali delle vittime furono saccheggiati dai membri del gruppo criminale, i loro corpi furono sepolti nelle vicinanze della fortezza di Askeran. Durante la verifica delle testimonianze sul posto, Rashid Beglaryan ha fornito informazioni dettagliate sui luoghi in cui sono stati commessi atti criminali contro la popolazione civile».

L’Armenia e l’Unione Europea hanno firmato un accordo sullo status della Missione dell’Unione Europea in Armenia

Pochi giorni dopo che il Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea ha approvato l’espansione della Missione dell’Unione Europea in Armenia (EUMA), il Viceministro degli Esteri armeno, Paruyr Hovhannisyan, e il Capo della Delegazione dell’Unione Europea in Armenia, l’Ambasciatore Vassilis Maragos, hanno firmato un accordo al Ministero degli Esteri armeno sullo status dell’EUMA, riguardante la regolamentazione dei privilegi e dei diritti della Missione.

«Siamo pronti ad andare avanti e a rafforzare ulteriormente la presenza della Missione nel Paese, per contribuire alla stabilità e al monitoraggio sul lato armeno del confine e per vedere cosa sta succedendo», ha dichiarato Maragos.

Hovhannisyan a sua volta ha spiegato che l’accordo sullo status riguarda la creazione di condizioni agevolate per gli osservatori, che vanno dall’assistenza sanitaria alle questioni tecniche. «È simile all’autorità che i diplomatici hanno in ogni Paese», ha detto il Viceministro degli Esteri armeno.

L’Unione Europea condivide la visione del Primo Ministro armeno di un Caucaso meridionale aperto

Il Rappresentante speciale per il Caucaso meridionale e la crisi in Georgia dell’Unione Europea, Toivo Klaar, ha espresso sostegno al progetto “Crocevie di Pace” del governo armeno e ha sottolineato che è abbastanza logico che ogni strada, ogni ferrovia che attraversa il territorio armeno sia controllata dall’Armenia., senza alcuna extraterritorialità riguardo ai collegamenti.

In un’intervista con il corrispondente da Brussel di Armenpress [QUI], che riportiamo di seguito nella nostra traduzione italiana dall’inglese. Ha parlato anche del possibile trattato di pace tra Armenia e Azerbajgian e della garanzia del diritto al ritorno degli Armeni del Nagorno-Karabakh.

A differenza dell’Azerbajgian, che parla costantemente del cosiddetto Corridoio di Zangezur nell’ambito dello sblocco delle comunicazioni regionali, implicando ovviamente l’idea di avere un corridoio extraterritoriale attraverso il territorio sovrano dell’Armenia, il governo armeno propone il progetto “Crocevie di Pace”, che implica lo sblocco delle comunicazioni regionali basate sulla giurisdizione e la sovranità dei Paesi e come risultato della sua attuazione la regione può diventare un importante snodo logistico e commerciale internazionale e anche una sorta di garanzia per la pace.

Come interpreterebbe questa iniziativa del governo armeno e quali opportunità vede qui? Ritiene possibile la realizzazione di questo progetto, tenendo conto della posizione distruttiva dell’Azerbajgian in materia di sblocco delle comunicazioni?
Innanzitutto, penso che, qualche mese fa [nel maggio 2023], a Mosca, il presidente Aliyev abbia detto molto chiaramente pubblicamente in televisione, in un incontro avuto con il Primo Ministro Pashinyan alla presenza del Presidente Putin, che nominandolo un “corridoio” non implica extraterritorialità. Il Presidente Aliyev ha affermato – anche in altre occasioni in contesti più piccoli – che ciò non implica extraterritorialità. Sì, chiamandolo corridoio, come sapete, diciamo corridoi di trasporto in riferimento ai diversi corridoi che abbiamo in Europa e non implichiamo mai extraterritorialità.
Quindi, ovviamente, dal nostro punto di vista, è abbastanza logico che qualsiasi strada, qualsiasi ferrovia che attraversi il territorio armeno sia controllata dall’Armenia, o qualsiasi strada o ferrovia che attraversi il territorio azerbajgiano o attraversi, non so, il territorio tedesco , è controllato dal Paese in questione. Quindi, questa è assolutamente l’unica disposizione logica.
E ciò che è anche molto legittimo è, ad esempio, in questo caso l’Azerbajgian, voler avere la garanzia che i cittadini Azeri e le merci che attraversano il territorio armeno saranno sicuri e protetti. Ciò è perfettamente logico e normale. Ma il modo in cui ciò verrà garantito è responsabilità delle autorità armene. Penso che la visione del Primo Ministro Pashinyan di collegamenti stradali e ferroviari che uniscono i Paesi sia qualcosa che condividiamo assolutamente.
Condividiamo assolutamente la visione di un Caucaso meridionale aperto, in cui i collegamenti ferroviari e stradali siano aperti e i Paesi siano ricollegati come lo erano alla fine del periodo sovietico e ancora di più, perché anche i collegamenti stradali e ferroviari verso la Turchia, e naturalmente anche l’Iran, come già avviene, ma anche la Turchia, dovrebbe essere aperto.
Questo è il modo in cui vediamo il futuro, assolutamente, la nostra visione di un Caucaso meridionale in pace è quella in cui tutti i collegamenti di trasporto sono di nuovo aperti e ci sono scambi commerciali, ci sono persone che viaggiano attraverso le varie frontiere.

Dato che lei ha menzionato la richiesta del Presidente dell’Azerbajgian secondo cui i cittadini Azeri dovrebbero attraversare questo corridoio in modo molto sicuro, qui voglio porre una domanda che riguarda i residenti Armeni del Nagorno-Karabakh che sono stati sfollati con la forza. Qual è la sua opinione riguardo al diritto di queste persone di tornare indietro e anche di assicurarsi che non lo dimenticheremo e passeremo ad altre questioni tra qualche mese?
Ma il corridoio Lachin è stato bloccato e gli Armeni non hanno avuto la possibilità di attraversarlo in sicurezza, molti di loro vengono arrestati e accusati. E le forze azere non garantivano alcun tipo di sicurezza a questi Armeni. Quindi, l’Azerbajgian sta chiedendo cose che non ha fatto altrettanto bene. Allora qual è la sua opinione al riguardo, soprattutto riguardo al diritto al ritorno degli Armeni del Nagorno-Karabakh?

Penso che lei stia introducendo molte questioni diverse, ma mi concentrerei sulla questione centrale della possibilità di ritorno degli ex residenti del Nagorno-Karabakh. Crediamo assolutamente che questa sia una cosa molto importante, che innanzitutto venga garantito loro il diritto al ritorno. E in secondo luogo, che si creino condizioni tali da fornire loro sufficiente sicurezza e un senso di sicurezza tale da spingerli a farlo.
E lo abbiamo detto molto chiaramente, dal punto di vista dell’Unione Europea, che tutte le persone sfollate dovrebbero poter tornare nei loro precedenti luoghi di residenza se lo desiderano, in tutta sicurezza.
E, in questo senso, questo è qualcosa per cui abbiamo insistito, in tutti i tipi di forum diversi. Riteniamo che si tratti di una questione molto importante che deve essere affrontata.
Ma ovviamente nessuno può essere costretto a tornare se non lo desidera. Ma se lo sono, dovrebbe essere fatto il massimo sforzo per fornire loro il tipo di condizioni che consentano ad almeno un buon numero di loro di decidere di tornare.

Dato che ha parlato di pace nella regione… L’Azerbajgian continua la sua retorica espansionistica e vuole raggiungere un accordo di pace solo nel quadro che gli conviene. Come immagina il trattato di pace tra Armenia e Azerbajgian? Quali punti dovrebbero essere inclusi in esso affinché possa essere definito giusto ed equilibrato e sostenibile?
Dal mio punto di vista, penso che sia importante che, da un lato, ci sia un trattato, che ci sia un testo, che può essere molto esaustivo o meno nella sua formulazione. Tutto dipende da come Armenia e Azerbajgian alla fine decideranno come inquadrare, come esprimere le cose nel testo del trattato. Importante almeno quanto l’eventuale trattato di pace, è ciò che lei definisce l’attuazione, le condizioni che verranno dopo.
E lì ovviamente abbiamo parlato dell’apertura delle comunicazioni, abbiamo parlato della delimitazione del confine, anche per me ciò che è molto importante è garantire il tipo di condizioni lungo il confine, il che significa che ci sia un distanziamento delle forze, nasce un genuino senso di sicurezza, che viene fornito ai residenti lungo il confine, ma anche più in generale. E poi, ovviamente, ci sono tutte queste questioni come, ad esempio, l’apertura delle ambasciate, la garanzia dell’apertura di collegamenti aerei diretti, la possibilità per le persone di viaggiare avanti e indietro. Naturalmente anche la retorica sarà una cosa importante per tutti gli interessati.
Dopo più di 30 anni di conflitto, non si tratta solo della retorica utilizzata dall’Azerbajgian, ma anche dall’Armenia. Ci sono state dichiarazioni di attori diversi e in contesti diversi. L’intero contesto deve cambiare per dare davvero alle popolazioni dell’Armenia e dell’Azerbajgian la sensazione che, davvero, ora ci troviamo in un mondo diverso, in una situazione in cui il Caucaso meridionale può davvero svolgere il suo ruolo di crocevia, crocevia di pace nelle direzioni nord-sud ed est-ovest.
E quindi, questo è per me importante almeno quanto la firma di un testo di trattato di pace, che, come ho detto, è importante, ma ciò che segue è almeno altrettanto importante, in modo che ci sia questo reale senso di cambiamento nelle circostanze.

L’Unione Europea vuole essere il mediatore che farà da intermediario in questo Trattato di pace. Ma all’ultimo momento la parte azera ha rifiutato prima l’incontro di Granada e poi l’incontro previsto a fine novembre a Brussel. Come interpreta questi rifiuti di Aliyev? In che misura l’Unione Europea considera costruttive le iniziative dell’Azerbajgian?
Prima di tutto, l’Unione Europea non deve necessariamente essere da nessuna parte in questo contesto. Abbiamo offerto, e il Presidente Michel in particolare ha offerto, i suoi buoni uffici. Per noi l’interesse primario è avere effettivamente un accordo tra Armenia e Azerbajgian. E per noi il luogo in cui verrà firmato è molto meno importante del fatto che ci sia una reale normalizzazione tra Armenia e Azerbajgian.
Quindi, questa è una cosa. Per quanto riguarda la decisione del Presidente Aliyev di non venire a Grenada, siamo rimasti delusi, abbiamo pensato che fosse una possibilità importante e un forum molto importante per inviare messaggi forti. Siamo fermi, il Presidente Michel è ancora, pronti e disposti a organizzare un incontro dei leader a Brussel il prima possibile. Ebbene, le date sono certamente importanti.
Ma la cosa più importante è andare effettivamente avanti ed è su questo che ci concentriamo, cercare di incoraggiare il progresso verso una vera normalizzazione delle relazioni.

Molti esperti politici pensano che l’Azerbajgian non sia veramente interessato alla piattaforma europea e che il formato 3+3 sia più vantaggioso per Aliyev. Qual è la tua valutazione di questo approccio?
Non ho un’opinione particolare, dal nostro punto di vista consideriamo l’incontro “3+3”, sia quello recente che quelli precedenti, come qualcosa in cui i Paesi della regione hanno certamente questioni che, come vicini, vogliono discutere e dovrebbero poter discutere in una sorta di contesto regionale.
Allo stesso tempo, capisco anche che, almeno inizialmente, si era inteso che soprattutto il conflitto, l’accordo di pace, la soluzione, non dovessero davvero essere oggetto di discussione in quella particolare forma.
Quindi, ancora una volta, per noi la cosa più importante è il progresso, il luogo in cui tale progresso avviene è molto meno importante. Ma crediamo che in realtà, a nostro avviso, non vi sia alcun motivo reale per cui non si possano realizzare seri progressi nel processo di risoluzione, perché, per noi, le questioni sul tavolo sono pochissime e crediamo che queste siano state discusse molte volte finito, quindi non vediamo davvero una ragione per cui non potremmo muoverci e perché Azerbajgian e Armenia non potrebbero procedere molto rapidamente verso la normalizzazione delle relazioni.

L’Azerbajgian critica il riarmo dell’Armenia, che dispone di un budget militare tre volte più alto e che le spedizioni di armi non cessano di atterrare all’aeroporto di Baku. Come interpreti questa retorica dell’Azerbajgian?
Ebbene, penso che ogni Paese abbia il diritto di difendersi e di acquistare le armi necessarie che ritiene necessarie per la difesa del proprio territorio. Questa è la mia semplice risposta. La maggior parte dei Paesi del mondo acquista armi dall’estero allo scopo di difendere il proprio territorio. Quindi, in questo senso, non c’è nulla di spettacolare o di sbagliato in questo.

Il Ministero degli Esteri dell’Azerbajgian ha criticato la dichiarazione del Signor Borrell durante la conferenza stampa e ha affermato che “I tentativi dell’Unione Europea di fornire armi all’Armenia e quindi sostenere la sua insidiosa politica di militarizzazione che mina la pace e la stabilità nella nostra regione, incoraggiano una politica che porta a nuovi scontri in regione, che attribuisce una responsabilità all’Unione Europea. I piani per l’utilizzo del Fondo europeo per la pace, che, tra le altre cose, implica lo sviluppo di capacità militari, servono ad esacerbare le tensioni nella regione”. In effetti, l’Azerbajgian minaccia non solo l’Armenia ma anche l’Unione Europea. Qual è la tua opinione al riguardo?
Ebbene, penso che accogliamo con grande favore l’interesse del governo armeno ad espandere le sue relazioni con l’Unione Europea. Per quanto riguarda l’interesse dell’Armenia per il Fondo europeo per la pace, dal nostro punto di vista si tratta di sostenere potenzialmente l’Armenia in alcune aree in cui si considera vulnerabile – la sicurezza informatica è stata menzionata tra queste – e anche in questo caso, se va avanti (questo è ancora in fase di pianificazione), non riteniamo che ciò sia rivolto contro qualcuno ma piuttosto allo scopo di rafforzare la sovranità dell’Armenia, il che, credo, è nell’interesse di tutti, non solo dell’Armenia, ma anche di I vicini dell’Armenia e della più ampia comunità internazionale.
Vogliamo avere un’Armenia forte e sicura di sé che sia un buon partner per l’Unione europea e sia allo stesso tempo un buon partner per i suoi vicini, compreso l’Azerbajgian.

Fact checking
La fake news della “sinagoga di Yerevan data alle fiamme”

Proseguiamo con il fact checking in riferimento alla fake news della “sinagoga di Yerevan data alle fiamme”, di cui abbiamo riferito il 17 novembre [QUI] e il 19 novembre [QUI].

«Mercoledì notte, l’unica sinagoga dell’Armenia, che serve la piccola popolazione ebraica nella capitale Yerevan, è stata data alle fiamme» (Movimento di Lotta contro l’Antisemitismo).

Il Manifesto ha scritto il 17 novembre 2023 [QUI]: «Erevan, bruciata la sinagoga. L’unica sinagoga di Erevan, la capitale armena, è stata data alle fiamme ieri da anonimi appartenenti all’”Esercito segreto per la liberazione dell’Armenia”. Il gruppo, che accusa lo stato ebraico di “fornire armi al regime criminale di Aliyev (Presidente dell’Azerbajgian, nemico dell’Armenia nella contesa per il territorio del Nagorno-Karabakh, ndr)”, ha anche minacciato le comunità ebraiche di Stati Uniti ed Europa: “Se continueranno a sostenere Baku, continueremo a bruciare le loro sinagoghe in altri Paesi”».

Pare che sia il Movimento di Lotta contro l’Antisemitismo, sia Il Manifesto (e altri come loro), non hanno mai sentito parlare di fact-checking. Se avessero preso la briga di fare una ricerca – non diciamo neanche più approfondita, ma solo veloce – invece di attaccare senza basi il popolo armeno, avrebbero saputo che:

  • il 15 novembre è stato appiccato il fuoco al garage vicino alla sinagoga, al marciapiede davanti alla sinagoga e alla porta della sinagoga;
  • la sinagoga di Yerevan non è “stato dato alle fiamme”, perché l’incendio è stato domato immediatamente e nessun danno è stato inflitto alla sinagoga;
  • è stata avviata direttamente un’indagine penale. Il Comitato Investigativo dell’Armenia ha comunicato ufficialmente che il tentato incendio è stato compiuto da uno straniero non residente in Armenia, che era arrivato da e tornato a Mosca dopo una permanenza di 8 ore in Armenia con lo scopo di eseguire l’operazione;
  • si è trattata di un’operazione false flag era dannatamente ovvio, visto che i primi a condividere ampiamente il video che proveniva da chi aveva acceso il fuoco, con relative accuse e senza la verifica dei fatti, sono stati i social media azeri e prima ancora che le autorità armene sapessero cosa fosse successo, in Azerbajgian la notizia era in prima pagina;
  • il 15 novembre, l’Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania, Nasimi Aghayev, era il primo pubblicato un post su Twitter con il video, in cui affermava: «La notte scorsa è stata bruciata una sinagoga a Yerevan, in Armenia, l’unica sinagoga del paese. L’aumento allarmante dell’antisemitismo in Armenia rende la sua piccola comunità ebraica piuttosto vulnerabile. Secondo lo studio dell’Anti Defamation League, l’Armenia è il secondo paese più antisemita d’Europa»;
  • su Telegram un gruppo ha rivendicato l’attentato, con una narrazione incentrata sull’Occidente, curata e squilibrata (è stato usato il nome di un’organizzazione terroristica che oggi non esiste più, ma che viene spesso utilizzata da Turchi e Azeri per screditare gli Armeni). Come motivo dei loro due attacchi alla sinagoga di Yerevan, questo gruppo (non più esistente) cita gli attacchi degli estremisti Israeliani contro la Comunità armena in Israele, la presa forzata di parti del quartiere armeno e la vendita di armi Israeliane all’Azerbaigian. Questa organizzazione di cui viene usato il nome fu attiva tra il 1975 e il 1987, con l’obiettivo di “costringere il governo turco a riconoscere pubblicamente la propria responsabilità per il genocidio armeno del 1915, pagare le riparazioni e cedere il territorio per una patria armena”, ha sostenuto che “il governo provvisorio dell’Armenia […] per ingraziarsi gli americani e l’ebraismo mondiale, ha stabilito forti posti di sicurezza davanti al Centro Chabad”, intendendo: guardie di sicurezza, auto della polizia e telecamere di sorveglianza, ma anche quello non poteva non fermarli;
  • la Comunità ebraica in Armenia si è detta scioccata: il Presidente Rima Varzhapetyan-Feller ha dichiarato che “non hanno mai avuto problemi in Armenia” e “non sapevano cosa fosse successo e i canali azeri stavano già diffondendo le immagini dell’edificio. (…) Ci sono alcune forze che non lavorano contro noi Ebrei, ma contro l’Armenia. Questo è scandaloso“;
  • il Centro Comunitario Judaico Chabad di Yerevan ha dichiarato che non vuole che questo incidente venga travisato, che “non possa confermare alcun antisemitismo in corso in Armenia” e che considerano l’Armenia “uno dei luoghi più sicuri per gli Ebrei nel mondo in questi tempi difficili”.
  • anche altri membri della Comunità ebraica in Armenia la pensano allo stesso modo, come il giornalista ebreo di Yerevan, Dor Shabashewitz, e il blogger ucraino-israeliano Alexander Lapshin.

Dor Shabashewitz, che abbiamo già citato in precedenza, ha osservato: «Vorrei che le organizzazioni internazionali facessero qualche ricerca e parlassero con gli Ebrei Armeni prima di giungere a conclusioni affrettate.
1. La sinagoga non è stata danneggiata dal tentato incendio doloso.
2. L’incendiario era uno straniero non residente.
3. Mi sento sicuro e benvenuto qui, così come la maggior parte degli altri ebrei che conosco.
Funzionari armeni e organizzazioni ebraiche concordano che l’attacco è stato molto probabilmente orchestrato dall’estero appositamente per sporcare la reputazione dell’Armenia.
Se non volete credermi sulla parola, contattate il Rabbino [Capo di Armenia Gershon Meir] Burshtein o i leader laiche della comunità ebraica, [il Presidente della Comunità ebraica in Armenia] Rima Varzhapetyan[-Feller] e Nathaniel Trubkin».

A chi ha commentato «wow, è come “parliamo con gli Ebrei Iraniani, ci spiegheranno che l’Iran è un Paese pacifico”», Dor Shabashewitz ha risposto: «Questa è una falsa analogia. A differenza dell’Iran, l’Armenia è una democrazia; permette ai cittadini Israeliani come me di visitare e vivere; non considera Israele il suo acerrimo nemico e non deve investire nella propaganda anti-israeliana».

Speriamo che nel caso sia del Movimento di Lotta contro l’Antisemitismo, sia de Il Manifesto, si è trattata “solo” di superficialità (anche se grave in sé) e non di collaborazione per diffondere disinformazione e fake news sul libro paga dell’Azerbajgian e della Russia. Comunque di un vergognoso comportamento armenofobico al massimo, con un’inquadratura giornalistica e un affidamento su un giornalismo pigro, non faranno altro che infiammare le tensioni tra gli Ebrei e gli Armeni. La Russia e altri Paesi vogliono fare di tutto per peggiorare le cose per Ebrei e Armeni. Invece, organizzazioni internazionali e media devono lavorare insieme per combattere gli attacchi di disinformazione in questo momento estremamente instabile.

In ogni caso, questa propaganda violenta contro il popolo armeno è categoricamente sbagliata. Anche se fosse stato un cittadino armeno l’autore dell’aggressione (che non lo era nemmeno, secondo li informazioni raccolte dalla polizia armena), la colpa di un solo individuo non può ricadere su un intero popolo, che peraltro non dimostra sentimenti di antisemitismo.

Come abbiamo riferito, l’informazione fornita dalla polizia armena è stata confermata anche dai rappresentanti della comunità ebraica armena. Inoltre, Dor Shabashewitz ha sottolineato: «Il blogger Russo-Israeliano, Alexander Lapshin, il 17 ottobre ha parla del recente attacco all’unica sinagoga di Yerevan in un video. Anche lui pensa che sia stato compiuto da agenti Azeri nel tentativo di sporcare la reputazione dell’Armenia. Ho aggiunto i sottotitoli in inglese al suo video».

Quindi la vera domanda è: sapendo tutto questo, perché sono state diffuse informazioni false? Questo attacco alla sinagoga di Yerevan è chiaramente farina dal sacco della macchina di propaganda e disinformazione dell’Azerbajgian, che cerca costantemente di far apparire gli Armeni come antisemiti.

Viene spontaneo a chiedere, per chi vuole essere onesto, come può un fuoco all’esterno, provocato da un visitatore in Armenia, essere paragonato alla “Notte dei cristalli” della Germania nazista (nella storiografia tedesca, i Novemberpogrome o la Reichskristallnacht fu l’ondata dei pogrom antisemiti divampati su scala nazionale nella Germania nazista tra il 9 e il 10 novembre 1938). Gli Armeni non hanno fatto del male agli Ebrei, anzi, è successo al contrario, con Israele che fornito per quattro anni aiuti all’Azerbajgian per completare la pulizia etnica in Artsakh e continua a fornirli per la preparazione alla prossima aggressione contro l’Armenia. Va aggiunto anche il rifiuto di Israele di riconoscere il genocidio armeno. E nonostante tutto questo, in Armenia non si è visto sorgere un sentimento anti-ebraico, anti-israeliano o antisemita. L’antisemitismo e l’intolleranza non hanno posto in Armenia, dove puoi vedere la sinagoga costruita dagli Armeni e uno dei cimiteri ebraici più antichi del mondo La diffamazione degli Armeni e del loro Paese, paragonandoli agli nazi e al loro Paese nazista è falso, vergognoso e dannoso.

Questo attacco alla sinagoga di Yerevan è stato anche un tentativo di distogliere l’attenzione dai sentimenti anti-armeni, dagli attacchi e umiliazioni di cui sono vittima gli Armeni nel loro quartiere a Gerusalemme da parti di coloni Ebrei, mentre nessuno parla di armenofobia in Israele, e dalla confisca delle terre da parte degli Ebrei nel quartiere armeno di Gerusalemme e dagli sentimenti anti-armeni a Gerusalemme.

Chi attacca una sinagoga per decisioni politiche di un governo, deve essere completamente squilibrato. Chiunque sia, è da considerare nemico del popolo armeno e va assicurato alla giustizia. Gli Armeni sono abituato a essere diffamati semplicemente perché esistono. Questi atti sono proiettati su tutti gli Armeni da parte di Turchi, Azeri e persino Russi. Chi ritiene che i due attacchi in breve tempo alla sinagoga di Yerevan incidenti possano essere considerati una scusa per l’armenofobia, deve ripensarci. Le azioni di pochi non rappresentano un’intera nazione. È molto tristo dover costatare che l’antisemitismo venga utilizzato come strumento politico e la comunità ebraica in Armenia come pedina in questo gioco. L’antisemitismo purtroppo esiste in ogni società e deve essere combattuto, non strumentalizzato.

In Armenia, gli attacchi contro gli Ebrei sono illegali, il che dice tutto, rispetto alla maggior parte dei Paesi musulmani. Ci auguriamo che il governo israeliano si renda conto che dovrebbe essere alleato del popolo armeno, non alleato di coloro che desiderano distruggere l’unico altro Paese non musulmano nel Caucaso. Armenia e Israele dovrebbero essere alleati naturali.

Contemporaneamente alla diffusione della fake news della “sinagoga di Yerevan data alle fiamme”, la macchina della propaganda del regime di Aliyev ha ripreso la campagna delle bugie e della disinformazione che accusa gli Armeni di aver distrutto le moschee in Artsakh e in Armenia, di cui abbiamo riferito esattamente un anno fa, il 16 novembre 2022 [QUI]: «I funzionari dell’agitprop (termine russo, da “agitazione e propaganda”) del dittatore azero accusano con bugie e diffondono disinformazione sugli Armeni che “dissacrano le moschee nell’Artsakh”. Quando il regime di Ilham Aliyev parla di “moschee distrutte in Artsakh”, cerca di mettere il mondo musulmano in rivolta contro gli Armeni. Ecco cosa c’è da sapere sulla questione.
L’Organizzazione per la lotta contro le accuse infondate degli Armeni (ASIMDER) di Iğdır in Turchia, in luglio 2010 ha inviato a Papa Benedetto XVI una lettera accusando gli Armeni di aver trasformato la Moschea del Venerdì di Aghdam in una stalla per mucche e un porcile. Ciononostante, gli Armeni hanno restaurato la moschea nel novembre 2010, anche se solo parzialmente. Come parte dell’accordo di cessate il fuoco trilaterale del 9 novembre 2020, che ha posto fine alla guerra dei 44 giorni nell’Artsakh, la città di Aghdam e il distretto circostante (che Azerbajgian considera territorio suo, insieme a tutto il resto del Nagorno-Karabakh e parte dell’Armenia, incluso la capitale armena Erevan) sono tornati sotto occupazione militare azera entro la data concordata del 20 novembre 2020».

In reazione alla fake news della “sinagoga di Yerevan data alle fiamme” si leggono sui social azeri post come questi, contenenti macroscopiche menzogne e bufale: «La mancanza di rispetto dell’Armenia non solo nei confronti dell’Ebraismo, ma anche dell’Islam e delle altre religioni è inaccettabile. A proposito, in Armenia non esiste una sola moschea, ma l’Azerbajgian è un paese multireligioso»; «Gli Armeni rispettano solo se stessi, durante l’occupazione l’Armenia ha trasformato le moschee azerbajgiane in porcili. È così brutto. Come può un essere umano farlo? Gli edifici sacri di Dio come le moschee e le sinagoghe vengono distrutti dagli Armeni».

Oggi, in diverse parti dell’Armenia si possono trovare rovine di 10 moschee con una storia tracciabile. Le rigide politiche antireligiose sovietiche e l’incuria delle autorità locali nei tempi dell’Unione Sovietica hanno portato alla demolizione di molti altri. Oggi in Armenia esiste una sola moschea operativa, la Moschea Blu. È una bellissima moschea sciita nel centro di Yerevan.

In generale, la storia delle moschee armene è complicata. Gli Armeni hanno attraversato secoli di invasioni, conflitti e cambiamenti geopolitici. Dall’introduzione dell’Islam nella regione nel VII secolo, l’architettura islamica nelle terre armene si è evoluta. Una varietà di stili ha ispirato questa architettura, comprese le influenze selgiuchidi e timuridi. Ad un certo punto l’Armenia è stato parte integrante del mondo musulmano sciita, nonostante gli Armeni fossero cristiani. In effetti, è quasi incredibile che gli Armeni siano rimasti Cristiani, nonostante questa storia.

Quindi, ci sono molti più esempi di architettura islamica sulle terre armene. Molti di questi siti antichi e storicamente significativi, tuttavia, furono distrutti durante le guerre russo-persiane del XIX secolo e le severe politiche laiche sovietiche del XX secolo. Questo è il motivo per cui in Armenia non sono rimaste molte moschee. La maggior parte delle moschee non esisteva più, quando l’Armenia riconquistò l’indipendenza dall’URSS e poté finalmente decidere le proprie politiche.

Dopotutto, la Moschea Blu è, in effetti, in così buone condizioni solo perché il governo iraniano mantiene rapporti di buon vicinato con quello armeno. E l’Iran ha finanziato interamente la ristrutturazione della moschea, che i sovietici trasformarono in un museo (cosa fece Atatürk con l’Haga Sofia che era stata trasformata in una moschea dai sultani, da Erdoğan nuovamente convertita in una moschea). E ora probabilmente la Moschea Blu a Yerevan non sarebbe una moschea operativa se non fosse stato per l’accordo tra i governi di Armenia e Iran.

In precedenza abbiamo già fatto fact checking sulle “moschee trasformate in stalle e porcili”. Dopo l’aggressione terroristica dell’Azerbajgian all’Artsakh il 19 e 20 settembre 2023, ha ripreso a girare nuovamente la foto del rudere di una moschea, usata come porcile. (A proposito, come abbiamo riferito, di moschee ridotte a ruderi e discariche se ne sono abbastanza in Azerbajgian, per non dover andare a cercare altrove.)

Secondo il quotidiano Tükiye del 3 ottobre 2023 [QUI], Il Ministero degli Interni dell’Azerbajgian ha riferito che la moschea nel villaggio di Malibeyli (Ajapnyak in armeno, un villaggio nel distretto di Stepanakert) «passato sotto il controllo dell’Azerbajgian dopo l’operazione antiterrorismo, è stata bruciata dagli Armeni nel 1992, il suo minareto è stato demolito e la parte rimanente è stata utilizzata come porcile durante l’occupazione. Dopo la guerra del Karabakh, si scoprì che molte moschee nella regione venivano utilizzate come stalle».

Presidente Ilham Aliyev: Recentemente è stato rivelato che la moschea di Malibeyli era stata utilizzata come stalla
Azertac, 10 ottobre 2023

Una delle conseguenze più gravi di 30 anni di occupazione per il popolo Azerbajgiano è stato il danno deliberato al nostro patrimonio culturale di importanza universale, compresi tutti i siti associati alla fede islamica. Sfortunatamente, durante questo periodo, 65 moschee su 67 furono rase al suolo e le restanti furono profanate ospitando animali. È stato recentemente rivelato che un’altra moschea – la Moschea di Malibeyli – è stata distrutta e utilizzata come stalla.
Secondo Azertac, il presidente Ilham Aliyev ne ha parlato nel suo messaggio ai partecipanti alla 27ª riunione del Consiglio dei Ministri dell’Organizzazione per la cooperazione economica a Shusha.
Tutto questo è un insulto ai sentimenti degli Azeri e dei Musulmani del mondo, ha aggiunto il Presidente.

Il blogger Tonyface aveva incluso la stessa foto della moschea usata come porcile – presentata da Tükiye il 3 ottobre 2023 come proveniente da Malibeyli – invece come proveniente da Aghdam (Akna), “la città fantasma”, in un post del 5 ottobre 2014 [QUI].

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A Gerusalemme scoppia la crisi tra cristiani armeni e coloni israeliani, proteste in corso per espropri nel Quartiere Armeno (Il Messaggero 19.11.23)

Forti tensioni tra cristiani e coloni israeliani a Gerusalemme. La guerra a Gaza è come se avesse fatto saltare un tappo. Il campanello d’allarme è costituito dalla situazione venutasi a creare nel quartiere armeno, all’interno della Città Vecchia, dove ogni centimetro quadrato di territorio è da sempre sottoposto a vincoli strettissimi e di fatto immodificabili. Tutto è iniziato sottotono lo scorso 4 novembre quando i residenti armeni hanno protestato pacificamente contro la costruzione illegale di non ben precisate strutture (destinate a essere probabilmente un hotel di lusso) all’interno del loro quartiere. La questione è degenerata quando si sono presentati dei coloni armati chiedendo l’intervento della polizia. A difesa degli armeni sono scesi in campo anche gli ortodossi, i cattolici, i copti e i protestanti con una nota congiunta di solidarietà, nella speranza di fare muro e impedire la distruzione o lo stravolgimento di un luogo secolare. Intanto i coloni israeliani con ruspe e scavatrici si sono piazzati dentro il secolare Giardino delle Mucche, un’area piuttosto vasta dentro al quartiere armeno, tra le tutele dell’Unesco.

Gerusalemme, statua di Gesù distrutta a martellate da un fanatico ebreo. La Chiesa: «Clima intollerante»

Il quartiere armeno, che rappresenta per estensione un sesto della città vecchia, è stato abitato da armeni fin dal IV secolo durante l’inizio dei pellegrinaggi cristiani a Gerusalemme. Preservare questo patrimonio per loro non è solo una questione di importanza locale ma assume una valenza globale.

Civiltà Cattolica: «Israele sta bombardando Hamas o il popolo palestinese?» sulla rivista dei gesuiti i dubbi della Chiesa

All’origine di questa crisi c’è un controverso accordo siglato anni fa dal Patriarca armeno, per il tramite di un prete traffichino che proprio per questo venne cacciato. Il contratto (si parlava di un affitto per 99 anni) fu impugnato e invalidato dal tribunale israeliano quest’estate, tuttavia l’imprenditore australiano di origine ebraica (che aveva firmato il contratto) assieme ad un gruppo di coloni israeliani (con i quali era in affari)  si sono presentati ugualmente con ruspe e altri macchinari chiedendo l’espulsione degli armeni dal Giardino delle Mucche. Il progetto dichiarato è di far sorgere in questo comprensorio un hotel di lusso che metterebbe non solo in pericolo diverse case armene, ma in prospettiva abolirebbe uno spazio di pertinenza cristiana ritenuto “vitale” dal patriarcato.

Israele, allarme delle Chiese a Gerusalemme: escalation di violenze contro i cristiani, fanatici ebrei aggrediscono vescovo al Getsemani

La presenza dei coloni armati nel quartiere armeno, ha intensificato le tensioni tra ebrei della destra estrema e i cristiani. Dall’anno scorso a quest’anno, prima che scoppiasse la guerra a Gaza, tutti i cristiani (cattolici, ortodossi, copti, armeni, protestanti) sono stati oggetto di continue e pesanti provocazioni, episodi aggressivi, profanazioni a chiese e danneggiamenti ad altri luoghi sacri. Statue di madonne fracassate a bastonate, sputi e offese a preti di passaggio, ostacoli vari e molestie continue.

Israele, luoghi di culto cattolici presi di mira da ebrei ultra-ortodossi, clima tesissimo persino sul Monte Carmelo ad Haifa

Con una nota congiunta i Patriarcati cristiani chiedono alle autorità di fare chiarezza e ripristinare l’armonia poiché questo contenzioso sta mettendo in pericolo la presenza fisica e spirituale del Patriarcato armeno e della Comunità armena di Gerusalemme. La polizia di Gerusalemme ha però chiesto agli armeni locali di lasciare l’area.

Il Primo Ministro armeno Pashinyan: non si firma un trattato tra Armenia e Azerbajgian a causa della sfiducia reciproca (Korazym 19.11.23)

Il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha spiegato perché l’Armenia non firma un trattato di pace con l’Azerbajgian, anche se, come ha detto in precedenza, i principi del trattato sono concordati. «In generale il motivo è la sfiducia tra le parti, perché ogni volta vediamo nelle dichiarazioni e in alcune azioni dell’Azerbajgian, e forse loro vedono nelle nostre, l’intenzione di abbandonare gli accordi e pianificare azioni aggressive, che ha un impatto negativo sul lavoro testuale del trattato di pace», ha detto Pashinyan.

Pashinyan ha affermato che restano da chiarire diverse altre questioni cruciali, una delle quali è lo sviluppo di un meccanismo per superare le possibili interpretazioni errate del contenuto del trattato di pace. «Purtroppo, la realtà è che a volte ogni frase può essere interpretata in modo diverso, quindi dobbiamo avere interpretazioni molto chiare su come superare questo problema in caso di interpretazioni divergenti. L’altra questione è la creazione di garanzie di sicurezza, in modo che non sia possibile alcuna escalation dopo la firma del trattato di pace», ha detto Pashinyan. Il Primo Ministro armeno ha aggiunto che il suo governo intende intensificare il lavoro diplomatico e politico per superare questi problemi.

Cos’è la pace vera, in mezzo a tutte queste guerre? Cosa vogliono dire i 2500 anni di storia armena dell’Artsakh per tutti noi? “L’Artsakh fu crocifisso come Cristo. Nulla succede per caso. Artsakh risorgerà come Cristo”.

Ricordiamo le informazioni aggiornate in riferimento alla conferenza organizzata dall’associazione “Germoglio” http://www.germoglio.ch/, dedicata all’Artsakh/Nagorno-Karabakh con video-testimonianze di persone sfollate, che si svolgerà giovedì 23 novembre 2023 alle ore 20.15 presso il Liceo diocesano in via Lucino 79 a Breganzona, Lugano, Svizzera.

Interverranno:
– Padre Derenik, l’ultimo uomo a lasciare l’Artsakh
– Renato Farina, giornalista ed ex-parlamentare
– Teresa Mkhitaryan, Presidente dell’Associazione “Il germoglio”.

Modera la Dott.ssa Ilda Soldini, Istituto di studi italiani dell’Università della Svizzera italiana

I posti sono limitati. Per la partecipazione inviare un messaggio a Teresa Mkhitaryan via email [QUI] o via SMS o WhatsApp al numero +41792007110.

«Credo fermamente che al mondo ci sono persone per le quali la giustizia è un valore intangibile; credo ci siano Cristiani che credono che con la grazia di Dio, ci sarà la vittoria. Perché il nostro Dio è un Dio vittorioso. La nostra unica speranza è nell’unità, quando siamo uniti, siamo invincibili. Quelle terre sono armene e devono tornare di nuovo ad essere armene. Cristo è Dio vittorioso e ha donato Amore al mondo e quindi amiamoci l’un l’altro. L’Amore vincerà il mondo. E noi Cristiani abbiamo avuto la grazia di ricevere l’Amore in questo mondo. Amiamoci, rispettiamoci e il mondo sarà più bello. E a quel punto noi non piangeremo più di dolore, avremo lacrime di gioia» (Padre Derenik).

Non c’è libertà senza giustizia. Non c’è giustizia senza libertà (Padre Derenik – Korazym.org, 6 novembre 2023 [QUI])

Parlando di fiducia: «Oggi ricorre il secondo mese dell’aggressione azera contro il popolo del Nagorno-Karabakh e la fase finale del genocidio. La comunità internazionale mantiene l’impunità dell’Azerbajgian e talvolta parla in modo ambiguo del diritto al ritorno trascurando le cause del genocidio e le garanzie future» (Artak Beglaryan).

Parlando di fiducia: «Possiedo dati attendibili secondo cui gli Azeri hanno danneggiato molte case e rubato veicoli della popolazione del Nagorno-Karabakh sfollata con la forza alla fine di settembre. Una missione internazionale di monitoraggio dei diritti umani ampia e a lungo termine è necessaria per prevenire ulteriori violazioni dei nostri diritti in quel Paese» (Artak Beglaryan).

Parlando di fiducia: è divertente che i propagandisti Azeri affermino che in Armenia non vive nessuno tranne gli Armeni. Nel centro di Yerevan quasi la metà di coloro che camminano per strada sono espatriati o stranieri. Secondo il capo del Sindacato dei Lavoratori dell’Armenia, Gagik Makaryan, circa 60.000 cittadini dell’India vivono e lavorano attualmente in Armenia. «Ogni giorno circa 100 Indiani arrivano in Armenia», ha detto.

«Daremo agli USA una lezione come abbiamo fatto con voi!»

Parlando di fiducia: questo post di “Azeri Power” è divertente davvero, come un classico esempio di propaganda menzognera azera: L’Azerbajgian sta perdendo il buon senso. Non hanno il coltello più affilato nel cassetto 😂. Idem per quanto dichiarato dall’assistente presidenziale Hikmat Hajiyev, il capo della macchina di propaganda menzognera azera, in un incontro con i giornalisti a Brussel. Secondo la sua logica, l’Armenia che si procura armamenti di difesa è un ostacolo per la pace, mentre l’Azerbajgian continua a fornirsi in modo massiccia di armamenti offensivi per la pace.
Il Ministro della Difesa dell’Azerbajgian, il Colonello Generale Zakir Hasanov, ha deciso di valutare la preparazione dell’esercito alla guerra, come riportato dalla TV statale azera. Evidentemente, l’Azerbajgian si sta preparando per un’altra escalation con l’Armenia, e – come al solito – non nasconde le sue intenzioni aggressive.
Intanto, un militare Armeno è stato ferito ieri, mentre le forze armate dell’Azerbajgian hanno aperto il fuoco su posizioni militari lungo il confine con il Nakhicevan, vicino ai villaggi di Paruyr Sevak-Haiderabad, nella provincia di Ararat ad un’ora di macchina da Yerevan, ha informato il Ministero della Difesa dell’Armenia. Si tratta del primo incidente del genere dall’occupazione azera della Repubblica di Artsakh due mesi fa.

Parlando di fiducia: «Non abbiamo rivendicazioni territoriali contro l’Armenia» (Comunità dell’Azerbajgian occidentale).

«L’Azerbajgian occidentale fa parte della nostra patria divisa. Ora si chiama Armenia. Ciò significa anche che in questo territorio non è mai esistito uno stato chiamato Armenia».

L’assistente presidenziale Hikmat Hajiyev dice che l’Azerbajgian vuole la pace e la normalizzazione delle relazioni con l’Armenia
di Colin Stevens
Eureporter, 17 novembre 2023

Hikmat Hajiyev, Assistente del Presidente dell’Azerbajgian per gli Affari di Politica Estera, questa settimana ha incontrato i giornalisti a Brussel per discutere delle relazioni con l’Armenia dopo la liberazione del Karabakh. L’Armenia occupa la regione dal 1991, dichiarando la Repubblica del Nagorno-Karabakh uno Stato de facto autonomo. Hajiyev ha dichiarato che il regime illegale armeno è disarmato e fuori dall’Azerbajgian. Ciò elimina gli ostacoli a un accordo di pace tra Armenia e Azerbajgian.
Crediamo che questa sia un’opportunità storica per porre fine all’antagonismo e all’ostilità tra due paesi e costruire una pace duratura basata sui cinque principi dell’Azerbajgian per l’Armenia. “Quindi penso che l’Azerbajgian abbia anche stabilito un modello di risoluzione di uno dei conflitti più prolungati sulla più ampia mappa dell’Eurasia”.
Il conflitto del Karabakh costituisce uno dei problemi dell’OSCE sin dalla sua fondazione, sebbene non sia stato risolto. Poiché il suo scopo era quello di mantenere l’occupazione dell’Azerbajgian da parte dell’Armenia, l’Istituto di co-Presidenza del Gruppo di Minsk fallì. Abbiamo posto fine all’occupazione e all’oppressione militare. Pertanto, l’Azerbajgian ora dà priorità alla pace e alla normalizzazione delle relazioni con l’Armenia. “Ma qualsiasi impegno di pace richiede due parti, e l’Armenia dovrebbe mostrare positività e buona volontà. Abbiamo presentato all’Armenia il quinto trattato di pace aggiornato, ma da quasi due mesi non ha reagito. Nuove realtà si sono evolute nella nostra regione. Legalità e legittimità sono alla base di queste nuove realtà”.
Poi ha parlato delle future relazioni dell’Azerbajgian con l’Armenia. “Vogliamo costruire una nuova architettura di sicurezza regionale basata sulla giustizia, riconoscendo l’integrità territoriale e la sovranità di ciascuno e ponendo fine a tutte le rivendicazioni territoriali. Incoraggiamo anche le relazioni Armenia-Azerbajgian. Penso che dovremmo raggiungere la pace. Penso che altri partner possano sostenere tale accordo”.
Ha detto: “In primo luogo, la pace e la sicurezza regionale non sono a Brussel, Parigi, Washington, Mosca o altrove. La pace è regionale”.
Durante la cosiddetta controversia congelata, alcuni nel Parlamento Europeo hanno avvertito l’azerbajgianofobia o l’islamofobia nei confronti dell’Azerbajgian.
“Anche questo non è molto utile per le ambizioni o gli interessi dell’Unione Europea nelle risorse regionali”, ha detto Hajiyev. Il Consiglio Europeo ha recentemente rilasciato una dichiarazione in cui critica l’Azerbajgian, cosa che riteniamo superflua. Le istituzioni europee non hanno mai trattato equamente l’Azerbajgian mentre il suo territorio era occupato. La mia domanda: perché? Per anni c’è stato un approccio nei confronti delle entità separatiste in Georgia, Moldavia e Ucraina, ma un altro approccio contro l’Azerbajgian”.
Ha aggiunto: “Alcuni paesi membri dell’Unione Europea, come la Francia, hanno avviato un programma di militarizzazione in Armenia. Non supportiamo la militarizzazione. Un programma di militarizzazione non è necessario per l’Armenia. La pace armena per i suoi vicini richiede un programma pacifico. Penso che i programmi di militarizzazione siano cattivi”.
Ha osservato che la Francia sta inviando all’Armenia mezzi missilistici. L’Armenia sta inoltre acquistando tre sistemi radar francesi e missili terra-aria a corto raggio “Mistral”.
“Abbiamo costantemente avvertito gli stati membri come la Francia di non sostenere il separatismo nel territorio dell’Azerbajgian. In secondo luogo, non promuovere il revanscismo armeno o i giochi geopolitici nella nostra regione. Sfortunatamente, questo è vero”.
Ha aggiunto: “Pensiamo che questa sia un’opportunità storica e uno slancio storico e che anche istituzioni europee adeguate dovrebbero essere parte della soluzione, non del problema, per portare avanti un’agenda pacifica nella regione della crisi sociale”.

La sospensione di fornitura di armi italiane a Israele è scattata il 7 ottobre scorso come da legge 9 luglio 1990, n. 185 (sospensione verso i Paesi in stato di conflitto armato). Perché non è scattata per l’Ucraina e per l’Azerbajgian?

Janusz Bugajski, un membro senior della Jamestown Foundation il 17 novembre 2023 ha pubblicato un articolo su Politico [QUI] dal titolo L’Azerbajgian può diventare un attore costruttivo nel Caucaso, in cui afferma che «gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Turchia devono guidare questo processo di mediazione, poiché trarrebbero benefici diretti da un accordo che potrebbe favorire i legami di sicurezza e l’interconnettività economica nella regione. Non tutte le guerre devono necessariamente finire con un disastro. In effetti, alcuni di essi possono creare le condizioni per una stabilità regionale più duratura. Dopo che l’Azerbajgian ha riconquistato i suoi territori occupati con un’offensiva militare lo scorso settembre, dopo tre decenni di conflitto armato con l’Armenia, il mondo si trova di fronte alla possibilità che il Paese diventi un attore costruttivo nel Caucaso meridionale. Tuttavia, per avere successo, tale trasformazione richiederebbe un coinvolgimento molto più coordinato da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea».
La Jamestown Foundation è nota per i suoi collegamenti equivoci con l’Azerbajgian. Fa parte di tutta la cerchia dei “ricercatori” che abbracciano l’Azerbajgian. Non si sa di Bugajski, ma generalmente un ricercatore della Jamestown Foundation che scrive su questo argomento fa suonare un campanello d’allarme.

In una conferenza stampa congiunta con il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, il Presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan ha detto: «Non abbiamo debiti con Israele. Chi ha debiti non può parlare liberamente! Non abbiamo vissuto la Shoah». Non avendo debiti verso Israele ha affermato: «Sparare agli ospedali o uccidere i bambini non esiste nella Torah». Per quanto i debiti verso i Cristiani (Armeni, Greci, Assiri), Musulmani e Aleviti (Curdi e Turchi), esiste nel Corano il genocidio contro questi gruppi? La Turchia, che è stata fondata sui genocidi, ha commesso crimini contro l’umanità e, prima o poi, ne pagherà i suoi debiti.

Riportiamo nella nostra traduzione italiana dall’inglese, i punti principali dall’articolo L’Armenia rivelata: una gemma nascosta che emerge come il prossimo hub tecnologico globale a firma di Brett Hershman pubblicato su Benzinga il 16 novembre 2023 [QUI]:

  • L’Armenia, un piccolo paese senza sbocco sul mare nel Caucaso meridionale, sta sfidando le aspettative diventando il più nuovo hub tecnologico del mondo.
  • Di fronte alle minacce alla sicurezza e alle risorse naturali limitate, l’Armenia sta sviluppando un ecosistema tecnologico per formare un nuovo paradigma per una cultura che è sopravvissuta a molte difficoltà.
  • Gli imprenditori armeni sono impegnati a risolvere i problemi tecnologici globali per un futuro più prospero e stabile.
  • La forte reputazione dell’Armenia nel campo della scienza e della matematica, un tempo riconosciuta come la Silicon Valley dell’Unione Sovietica, le dà l’opportunità di riconquistare il suo status di centro tecnologico regionale o potenzialmente internazionale.
  • In mezzo alle avversità, l’Armenia vanta una delle economie in più rapida crescita al mondo, con un’impressionante crescita del PIL del 12,6% nel 2022, la più alta dell’Europa orientale e dell’Asia centrale.
  • La diaspora armena, soprattutto negli Stati Uniti, gioca un ruolo chiave nel collegare il settore tecnologico armeno ai mercati globali. ServiceTitan, una società da 10 miliardi di dollari fondata da armeni americani e con sede a Glendale, è un ottimo esempio di come sfruttare queste connessioni della diaspora.
  • La presenza di giganti della tecnologia in Armenia come Adobe, Nvidia, Synopsys, VMWare, Siemens, Advanced Micro Devices (AMD) conferma ancora una volta che l’Armenia è nelle prime fasi di una rivoluzione tecnologica.

L’attacco alla Sinagoga di Yerevan

Il Comitato Investigativo della Repubblica di Armenia ha pubblicato un rapporto preliminare sull’attacco incendiario avvenuto nell’unica sinagoga armena, di cui abbiamo riferito [QUI]: «Il 15 novembre 2023 la polizia ha ricevuto una telefonata secondo cui verso le ore 06.00 un individuo sconosciuto ha causato danni materiali dando fuoco a le porte d’ingresso dell’edificio situato in via Nar-Dos 23 a Yerevan. Dagli elementi fattuali risulta che l’individuo responsabile dei suddetti atti non vive in Armenia e non è cittadino della Repubblica di Armenia. Secondo i dati ottenuti, l’individuo avrebbe lasciato il territorio della Repubblica di Armenia immediatamente dopo aver commesso il reato sopra menzionato. È stata ricevuta l’informazione che l’autore del reato ha registrato questi atti criminali su una videocamera. Dopo aver esaminato le riprese video e considerando altre circostanze di fatto, è stato accertato che l’individuo ha commesso un reato apparente consistente nella distruzione o nel danneggiamento di beni culturali con l’intento di incitare all’odio razziale, nazionale, etnico e religioso. Il filmato specificato è stato diffuso sui canali Telegram azeri, e lo stesso video è stato pubblicato anche sulla piattaforma di social media X. I materiali ricevuti sono stati inviati al dipartimento investigativo del Servizio di Sicurezza Nazionale dell’Armenia per ulteriori indagini».

Dei canali Telegram armeni riferiscono – non confermato ufficialmente – che il cittadino straniero, subito dopo il suo arrivo a Yerevan da Mosca, si è recato dall’aeroporto di Zvartnots alla sinagoga di Yerevan, dove ha tentato di bruciare le porte d’ingresso della sinagoga dopo di che è fuggìto immediatamente a Mosca. Il video è apparso per la prima volta sui canali dei social media azeri, lasciando intendere che l’attacco era stato pianificato.

Rispondendo alla domanda dei media, Ani Badalyan, Portavoce del Ministero degli Esteri dell’Armenia ha dichiarato: «Come abbiamo già sottolineato in precedenza, la Repubblica di Armenia ritiene inammissibile qualsiasi attacco contro qualsiasi istituzione religiosa e in particolare qualsiasi manifestazione di vandalismo, qualsiasi atto irrispettoso nei confronti della sinagoga di Yerevan. Tali casi di intolleranza o di incitamento alla stessa sono inaccettabili e le autorità competenti della Repubblica di Armenia hanno già avviato procedimenti penali. Rifiutiamo categoricamente qualsiasi manipolazione dell’incidente, dell’argomento, sia per scopi politici, propagandistici o di altro tipo. L’antisemitismo e l’intolleranza per motivi nazionali o religiosi non trovano posto in Armenia».

Foto di copertina: il progetto “Crocevie di Pace” della Repubblica di Armenia. Per i dettagli sul progetto [QUI].

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