Nel 2005 i System of a Down pubblicano un pezzo dal titolo misterioso, che viene lanciato come primo singolo dal quarto album Mezmerize, acclamato dalla critica come uno dei migliori dischi metal del decennio, che debutta al n.1 in America e in altri 11 paesi nel mondo.
Il singolo si intitola B.Y.O.B. una sigla che nello slang giovanile americano sta per “Bring Your Own Booze”, un invito a portarsi da bere da casa ad una festa. Sono però gli anni del conflitto in Iraq, dell’invasione Americana e della drammatica Battaglia di Falliujah (che dura 46 giorni e viene definita dai generali americani “la peggior esperienza di guerriglia urbana dai tempi del Vietnam”) e i System of a Down trasformano la sigla dei party nei college in una rabbiosa dichiarazione contro l’assurdità della guerra e la sua narrazione da parte della società americana: Bring Your Own Bomb.
Fin dal titolo, il messaggio della band californiana di origine armena è quello di smontare la retorica militare: la guerra non è può mai essere considerata giusta. Musicalmente, B.Y.O.B. è una dimostrazione della incredibile versatilità e potenza dei System of a Down, una cavalcata in cui la band passa da un ritmo marziale con doppia cassa di batteria ad un riff metal aggressivo, poi sorprende con un ritornello pop in cui le operazioni militari nel deserto vengono raccontate ironicamente come una festa a cui tutti vorrebbero partecipare (“Vanno tutti al party a divertirsi / Ballano nel deserto mentre fanno esplodere il tramonto”) e poi chiudono con un finale trash metal furioso e una strofa tra le più radicali nella storia delle canzoni di protesta, in cui Serj Tankian grida:
Perché i presidenti non combattono le guerre?
Perché mandano sempre i poveri?
La costruzione musicale complessa ma allo stesso tempo immediata, il modo di cantare di Serj Tankian che alterna ogni registro della propria voce, dal lirico al metal, conquista il pubblico e fa arrivare B.Y.O.B. al numero 27 in classifica in America (la posizione più alta della loro carriera) e fa vincere alla band un Grammy Award come miglior performance Hard Rock. Il messaggio contro la guerra dei System of a Down ha continuato a catturare l’attenzione del pubblico nel corso degli anni, anche perché gli scenari cambiano ma non la retorica della guerra vista come un’esperienza eroica, e nemmeno la presenza di conflitti nel mondo: il videoclip distopico di B.Y.O.B. girato da Jake Nava ha raggiunto 382 milioni di visualizzazioni su YouTube nel 2022.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-28 19:09:122022-03-01 19:35:21SYSTEM OF A DOWN: La stroria di B.Y.O.B., La dichiarazione della Band contro l'assurdità della Guerra (Virgin Radio 28.02.22)
In occasione della preghiera ecumenica nella commemorazione di San Gregorio di Narek, il cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, è intervenuto all’Angelicum ricordando come San Giovanni Paolo II abbia definito l’ecumenismo dei santi “forse il più convincente”, e ancora l’importanza della decisione di Francesco di proclamare, nel 2015, San Gregorio di Narek dottore della Chiesa universale
Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Un’opportunità per celebrare l’amicizia tra la Chiesa cattolica e la Chiesa apostolica armena, e ancor più la reale comunione che già esiste tra le due Chiese. Così il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha definito l’odierna preghiera ecumenica nella commemorazione di San Gregorio di Narek. L’evento si è svolto nell’Aula Minore della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, conosciuto anche come Angelicum.
Lo scambio di doni
Il porporato ha posto in evidenza come la comunione reale si “approfondisce costantemente nello scambio reciproco di doni”, citando un passaggio della Evangelii Gaudium in cui Francesco parla della capacità di “raccogliere quello che lo Spirito ha seminato [nelle altre Chiese] come un dono anche per noi”. Quindi il pensiero del cardinale è andato ai “santi, i martiri e i dottori delle nostre Chiese” che “occupano il primo posto”, ricordando come “San Giovanni Paolo II lo ha affermato con forza nella sua Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente, dove ha riconosciuto che l’ecumenismo dei santi è forse il più convincente, e in seguito nella sua enciclica Ut unum sint, dove ha persino dichiarato che in una visione teocentrica, noi cristiani già abbiamo un martirologio comune”.
San Gregorio di Narek
Un martirologio comune dove, secondo Koch, “brilla con particolare splendore una stella: quella di San Gregorio di Narek”, che “ci indica il cammino che resta da percorrere verso la piena comunione”. Il presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani ha sottolineato come il santo abbia “saputo esprimere più di ogni altro la sensibilità del popolo armeno. Ma il suo messaggio, pur essendo profondamente radicato nell’esperienza del suo popolo, ha una portata universale ed ecumenica”. Sono tre gli aspetti di Gregorio di Narek messi in luce dal porporato. Innanzitutto “la sua sincerità”, che lo ha reso “il poeta della povertà umana”, come disse in un’omelia del 1987 Papa Wojtyla. Un secondo aspetto del messaggio universale del santo è quello della “profonda fiducia in Dio in mezzo alle prove, fiducia che caratterizza la storia e la spiritualità del popolo armeno”. Il terzo elemento è quello della “solidarietà universale radicata nella fraternità umana e nella comunione dei santi”, che porta il futuro santo a “identificarsi con i poveri e i peccatori di ogni tempo e luogo, intercedendo in favore di tutti”.
Solidarietà universale e umanità
Nel ringraziare l’arcivescovo Khajag Barsamian, rappresentante della Chiesa apostolica armena presso la Santa Sede, per aver organizzato l’evento ecumenico – in collaborazione con l’Istituto di Studi Ecumenici dell’Angelicum e l’Ambasciata d’Armenia presso la Santa Sede -, il cardinale Koch ha sottolineato l’importanza della proclamazione, nel 2015, di San Gregorio di Narek a dottore della Chiesa universale da parte di Papa Francesco, definendola “un magnifico esempio di scambio di doni al servizio dell’edificazione dell’unica Chiesa”. Infine il porporato ha voluto ricordare, “in questi giorni segnati da tante tensioni e guerre”, un ulteriore aspetto del messaggio del santo “che Papa Francesco ha definito dottore della pace”, ovvero “la solidarietà universale con l’umanità”, che risulta essere “un grande messaggio cristiano di pace, un grido pieno di dolore che implora misericordia per tutti”. “Che l’esempio e l’intercessione di San Gregorio – ha concluso – ci guidino in questo cammino di unità e di pace”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-28 19:00:492022-03-03 16:12:53San Gregorio di Narek e l'ecumenismo convincente dei santi (Vaticannews.va 28.02.22)
Letizia Leonardi ( Assadakah Roma News) – Mentre il mondo ha gli occhi puntati sulla guerra Russia – Ucraina c’è un popolo che ricorda uno dei tanti massacri subiti. Il 27 febbraio del 1988 a Sumgait, nell’omonimo sobborgo industriale a nord della capitale dell’Azerbaigian, la popolazione azera, aizzata dal regime di Baku, iniziò una sanguinosa caccia all’armeno. Il bilancio dei morti è rimasto ufficioso ma è certo che ci furono moltissime vittime, barbaramente assassinate.
Secondo un resoconto ufficiale i morti furono trentadue e centinaia i feriti e di casi di violenza sessuale. Ma secondo alcune fonti il numero delle vittime sarebbe superiore a trecento, mentre il partito armeno Dashnak parla di quasi 1.500 morti.
Per due lunghissimi giorni bande armate di azeri assaltarono i quartieri degli armeni. Solo l’arrivo delle forze dell’ordine, la sera del 28 febbraio riuscì a porre termine all’aggressione. Da quel momento gli armeni si sentirono catapultati nel tragico 1915, anno di inizio del terribile genocidio e nulla tornò più come prima, nei rapporti tra armeni e azeri. Le due etnie non riuscirono più ad istaurare una convivenza leale e tranquilla.
Il pogrom di Sumgait è stato il prologo di una serie di aggressioni azere, anni dopo, nei confronti degli armeni del Nagorno Karabakh. Questo doloroso evento è strettamente collegato con la questione relativa al Nagorno Karabakh, poi sfociata nella guerra nel 1992 e in quella più recente del 2020 perché la propaganda anti armena, da parte dell’Azerbaijan, non è mai cessata. Il governo di Baku non ha mai accettato l’autoproclamazione di indipendenza dall’Azerbaijan, attraverso un pronunciamento democratico, così come previsto dalla legislazione sovietica. Il massacro di Sumgait è stato solo l’inizio di una escalation di violenze, di stragi contro gli armeni che vivevano in Azerbaijan: quella a Kirovabad, Baku e poi ancora durante la guerra del 1992-94. Un circolo vizioso di violenze e vendette che non si possono dimenticare perché in ballo non c’è solo la vita pacifica, le vite umane ma i principi di tolleranza e del diritto all’autodeterminazione dei popoli. Quella del Nagorno Karabakh (Artsakh per gli armeni) è una ferita che non si è mai rimarginata e che, dalla fine della guerra dei 44 giorni, iniziata, ancora una volta, con l’aggressione azera del 27 settembre 2020, ancora sanguina perché gli armeni hanno subito ogni cosa senza che la comunità internazionale abbia avuto qualche reazione.
Ma perché due popoli che convivevano pacificamente sono diventati improvvisamente nemici, tanto da far scorrere il sangue di innocenti a Sumgait, sulle coste del mar Caspio che, fino agli anni ’60 aveva un terzo di abitanti di etnia armena? Perché nel frattempo è arrivata l’industrializzazione, l’estrazione del petrolio e la popolazione è notevolmente aumentata. Sono cominciati i sentimenti nazionalistici tra gli azeri e gli armeni iniziavano ad essere una spina nel fianco, oggetto di discriminazioni e angherie. Il 26 febbraio 1988 la radio nazionale azera comunicò la notizia, peraltro mai verificata, che due azeri erano stati uccisi da armeni ad Ağdam. A seguito di questa informazione, che con il linguaggio di oggi sarebbe potuta essere una fake, bande di estremisti azeri andarono nella zona abitata dagli armeni per uccidere. Ma non solo: devastarono case, negozi e violentarono donne. Ci furono circa quattrocento arresti e ottantaquattro processi penali che, ella maggior parte dei casi, si conclusero con assoluzione o lievi condanne. Solo in un caso, quello di Aslam Ismailov, ci fu una condanna a quindici anni per assassinio premeditato….Eppure gli armeni non si sono uccisi e violentati da soli e nemmeno hanno distrutto essi stessi le proprie abitazioni e negozi. Anche allora il mondo si è voltato dall’altra parte ma oggi è il giorno del ricordo per chi non deve e non vuole dimenticare.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-27 10:32:372022-02-27 10:32:53Armenia - Il ricordo doloroso dei massacri di Sumgait (Assadakah 27.02.22)
Quando l’Islam attaccò Costantinopoli e Gerusalemme, i cristiani reagirono per difendere la loro origine spirituale sebbene si trovava lontano. Si percepivano ancora in continuità con essa. La Russia nasce a Kiev in Ucraina come la cristianità è nata e Gerusalemme. Se in occidente la storia, l’identità e il cristianesimo non contano più, in Russia si. La fiamma che i re cristiani accesero e i gloriosi eroi difesero, Clovis e Giovanna d’Arco per i franchi, Tiridate e Vartan per gli armeni, in Russia è ancora viva. La Russia è e si sente una continuazione dell’origine cristiana, di Bisanzio e dell’Impero Russo che poi fu, di una civiltà con valori, ideali, un pensiero, una scienza, un arte e una estensione grandissimi. Bisogna averne rispetto come loro ebbero il rispetto e la curiosità per assimilare l’occidente. Questo molti politici e strateghi d’occidente lo ignorano.
L’impero non tollera pericoli alla sua sopravvivenza. L’impero sottomette e tutti gli imperi sono violenti. Mentre l’occidente scopriva le americhe, i russi occupavano le steppe e altri imperi si espandevano allo sesso modo. Francesi e inglesi combatterono per gli Stati Uniti e il Canada. Gli Stati Uniti combatterono una guerra interna per il dominio tra sistemi differenti. Il mondo lo abbiamo spartito anche noi col colonialismo.
Inutile allora dare l’allarme per la guerra dopo aver attizzato il fuoco in tutti i sensi. Se la Svizzera, la Finlandia, la Spagna e la Svezia hanno saputo rimanere neutrali in altri tempi potendo invece schierarsi, vuol dire che Zelenski è uno scellerato a provocare i russi sapendo di non poter entrare nè nella NATO e nè nell’UE e neanche di resistere in caso di guerra. Puoi difendere quanto vuoi l’idea di libertà, l’impero schiaccia e devi farne i conti. Come in Iraq e Afghanistan. Allo stesso modo siamo stati dei codardi a spingere per una utopica libertà e sostenere a parole l’Ucraina sapendo di non poter perpetrare i nostri valori come i russi combattono per la Russia. E non sto parlando di rispondere con la guerra. Siamo stati dei codardi a non rispondere adeguatamente alla domanda della Russia circa l’obiettivo dell’espansione a Est della NATO lasciandola senza alternative.
Pensate cosa farebbe l’UE se la Svizzera si alleasse con la Cina. Rispetterebbe la sua libertà o imporrebbe la giustizia? Ebbene si! La giustizia si impone anche illegalmente e nessuno può fare l’ipocrita perché gli altri non sono stupidi. Ha ragione Putin a dire che la NATO non fa che espandersi. E ha ragione a dire che la giusta guerra nel Kosovo era giuridicamente illegale come anche il riconoscimento del Kosovo dalle Nazioni Unite. Ha ragione a non accettare, perché anche di questo si tratta, lo scambio che gli USA stanno tentando imporre alla vigilia della inaugurazione del North Stream. Se volete che il vostro gas scorra in Europa dovete cedere sulla vostra influenza geopolitica. Perché in Kosovo o in Iraq possiamo intervenire per ragioni umanitarie e in Crimea, Georgia e Ucraina gli altri non dovrebbero farlo fosse anche per pretesti non veri? Sono situazioni prodotte da noi pensando di potercela cavare. Non è così e come i russi anche i cinesi ce lo dimostreranno presto.
Tutto ciò non toglie le responsabilità della Russia. La Russia è violenta, autoritaria, ingiusta e assassina. La Russia non ha prodotto la giustizia e il benessere che libera e incolla i popoli. La Russia non è un sistema desiderabile, ma è comunque il sistema più vicino a noi, culturalmente e geograficamente. Oggi la Russia è uno dei richiami più forti per l’Europa e l’Occidente, ma noi non lo capiamo.
La Russia difende la sua storia coerentemente. Noi no! Difende la sua identità e le origini. Noi no! Difende la sua zona di influenza e i suoi interessi. Noi no! Agli occhi dei russi noi occidentali siamo pervertiti, ipocriti e pericolosi, motivo in più per difendere quello che sono. Lo abbiamo viso durante la guerra in Artsakh. Nessuna delle pance occidentali ha protestato mentre 5.000 armeni morivano per difendere il confine estremo della civiltà occidentale alla vigilia della inaugurazione del Transadriatic Pipeline, il gasdotto che rifornisce l’Europa di gas azero. Sostenere la giustizia degli armeni che reclamano la loro terra e la loro libertà avrebbe significato irritare la Turchia. Sostenere gli armeni avrebbe significato perdere l’alleato azero ricco di gas. Sostenere gli armeni avrebbe voluto dire dar ragione ai russi sulla Crimea, il Donbass e Lugansk. E quindi ci si è trincerati dietro la legalità che ha riconosciuto il Kosovo ma non l’Artsakh. E Taiwan? Se noi inventiamo ragioni per sostenere arbitrariamente una volta la giustizia, un’altra la legalità e un’altra volta la libertà senza connessione tra esse come possiamo pretenderle dagli altri?
La storia non si cambia con la retorica e con la menzogna dei nostri politici e dei nostri giornali. La storia non si cambia con l’ignoranza complice delle masse che consumano e dormono. La storia la si cambia con gli ideali e le azioni coerenti ad essi. Se l’Occidente fosse cosciente del suo potenziale potrebbe tentare di perpetrare la civiltà più grande nel difendere la libertà dell’uomo e la giustizia e saprebbe creare la naturale alleanza tra Stati Uniti, Europa e Russia fondata sui più alti principi sociali che provengono dalla comune origine nel cristianesimo. In America è stato fatto, altro che esportazione della democrazia. In assenza di ciò, almeno siamo coscienti della corresponsabilità per la guerra in Ucraina e facciamo l’unica cosa sensata, aderire all’appello del Papa per riappacificare tutti.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-26 10:33:132022-02-27 10:35:19"Dov'erano le pance occidentali zeppe di gas azero quando 5000 miei fratelli armeni venivano uccisi?" (Newsletter Giulio Meotti 26.02.22)
So che tutto questo sembra un miraggio, davanti ai progetti anticristiani dei Turco-Azeri, con la Russia di Putin distratta da altri scenari tremendi. Non è così. Ne ho la prova. Non c’è guerra che possa fermare la speranza.
Sono tentato dalla disperazione. Lo confesso. Scrivo come al solito dall’Armenia, a un passo dal meraviglioso lago di Sevan, nelle giornate limpide scorgo l’abissalmente celeste monte Ararat, che evoca la presenza di Dio e subito mi fa gridare il salmo 121: «Alzo gli occhi verso i monti… Da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore». Lo grido, ma sembra più forte l’urlo che dice di no, e che la guerra, e insieme la distruzione del nostro popolo armeno e di qualsiasi segno di presenza cristiana, prevarrà.
Eppure, eppure non è così. La speranza è più vera, forte, bella della menzognera disperazione che pure avanza con la potenza dell’invincibilità. Ma la menzogna è la non-realtà. Il male non reggerà la forza della croce che fiorisce nella resurrezione di Nostro Signore e di coloro «che amano Dio». «Tutto coopera al bene per coloro che amano Dio» (Rm 8,28). Anche la guerra, anche questa ferocia? Ma certo! Spes contra spem. Ma certo che è così. E non è una petizione volontaristica, un’utopia beffarda che offende gli innocenti sventrati dai droni degli azero-turchi.
Lo so che sembro un matto. Parlare di speranza mentre la Turchia ha disegni di impero ottomano per reagire alla crisi interna, e la Russia, che finora ha difeso gli Armeni e ancora mette in campo i suoi soldati a loro tutela, ha altri scenari tremendi che occupano la mente di Putin; tutto questo sembra il miraggio di un campo di fragole rugiadose nel deserto salato, dunque alla fine una presa in giro. Non è così. Ne ho la prova.
La Cattedrale apostolica armena del Santo Salvatore Ghazanchetsots di Shushi, danneggiata nel bombardamento mirato dell’Azerbajgian dell’8 ottobre 2020.
La disinformazione di Aliyev
Per chi segue questo miserabile Molokano sa quanto sia drammaticamente incerta la sorte di:
1) il Nagorno-Karabakh, in armeno Artsakh, terra da migliaia di anni, luogo della memoria non museale ma viva di Cristo («Jesu dulcis memoria»), ormai dato per riconquistato dall’Azerbaigian, che fa scempio di chiese e cerca di espellere i cristiani;
2) la Repubblica di Armenia, che è premuta ai suoi confini da forze azero-turche che So che tutto questo sembra un miraggio, davanti ai progetti anticristiani dei turco-azeri, con la Russia di Putin distratta da altri scenari tremendi. Non è così. Ne ho la prova lanciano continue provocazioni per una imminente invasione.
È in corso un’operazione di disinformazione propagandistica che purtroppo trova eco sui media italiani. Essa è condotta non con la forza della ricerca storica, ma con quella della lusinga e chissà mai con esibizione di ricchezza che trasuda dai giacimenti dei dintorni di Baku, utili a beneficiare chi sta dalla parte delle pretese territoriali del presidente-dittatore.
La statua dell’Angelo della Pace, custode dell’Artsakh che saluta i fedeli che arrivano alla Cattedrale apostolica armena del Santo Salvatore Ghazanchetsots di Shushi, distrutta nel bombardamento mirato dell’Azerbajgian dell’8 ottobre 2020.
I capi azeri (non il popolo!) sostengono che solo loro sono in grado di mantenere vive le vestigia del cristianesimo in Artsakh. Una recita incredibile. C’è una foto che dice (quasi) tutto. In divisa militare Ilham Aliyev, il presidente dell’Azerbaigian, fa il suo ingresso trionfale nella cattedrale armena apostolica del Santo Salvatore Ghazanchetsots a Shushi. È il 15 gennaio 2021, gli sta accanto la moglie Mehriban Aliyeva, primo vicepresidente, insomma la numero 2, anch’essa con gli indumenti dell’alto ufficiale dell’esercito. E la frase che dice tutto è questa, incisa con il coltello del conquistatore, sul petto del popolo armeno. «(Questa cattedrale) è premio di guerra e simbolo di vittoria». Le foto ufficiali diffuse dai media azeri evitano di mostrare gli squarci causati dalle bombe azere dell’8 ottobre 2020. con il drone che colpì con mira infallibile il volto scolpito dell’Angelo della pace, custode dell’Artsakh che saluta i fedeli che arrivano alla cattedrale.
“Premio di guerra e simbolo di vittoria”. Così Ilham Aliyev, il Presidente dell’Azerbajgian ha definito il 15 gennaio 2021, nel corso della sua visita con la sua moglie Mehriban Aliyeva, Primo Vicepresidente dell’Azerbajgian, la Cattedrale armena apostolica del Santo Salvatore Ghazanchetsots a Shushi. Le foto ufficiali diffuse dai media azeri non mostrano gli squarci causati dalle bombe azere dell’8 ottobre 2020. La pace è ancora lontana. E le chiese armene nell’Artsakh/ Nagorno-Karabakh sempre più in pericolo.
Cose maiuscole
Eppure esiste una fiamma lucente. Antonia Arslan, grandissima scrittrice armena-italiana, lascia l’indirizzo del Molokano a un’amica americana, Siobhan NashMarshall. Essa mi inonda di centinaia di immagini di ragazzi festosi. C’è la guerra, rischiano di perdere tutto, e brilla una luce negli occhi, nei gesti. Fornisco solo due didascalie qui: «Complesso educativo italo-armeno intitolato ad Antonia Arslan a Stepanakert, Artsakh». «Artigiani Brianzoli e Veneti lavorano con Armeni dell’Artsakh». Scrive in maiuscolo i nomi dei popoli, all’uso americano [uso non solo americano, anche della mia cultura e di questo Blog dell’Editore. V.v.B.]. Ma a me pare tutto così maiuscolo, che mi commuove.
Non c’è guerra che possa fermare la speranza. E mi suggerisce l’amica Giovanna Villa, 88 anni, che non smette di pregare dal suo letto di inferma: «L’indifferenza è peggio della violenza. Impariamo dal Vangelo, la parabola del Samaritano. Gesù non ha parole dure per chi ha rapinato il viandante, ma le ha contro chi aveva altro da fare, pensando “Te ghe de rangiass” (tradotto dal brianzolo: arrangiati tu)». Lei ha gli stessi occhi di Gesù, come certe vecchie madri armene.
Questo articolo è stato pubblicato il 1° febbraio 2022 nella rubrica Il Molokano su Tempi.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-23 18:06:512022-02-24 18:08:28Non c’è guerra (né propaganda) che fermi la speranza degli Armeni (Korazym 23.02.22)
Kiev, 23 feb 08:24 – (Agenzia Nova) – L’Armenia non intende riconoscere le autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk. Lo ha affermato questa mattina il portavoce del ministero degli Esteri armeno, Vahan Hunanyan. “Non c’è una questione del genere all’ordine del giorno”, ha detto Hunanyan, auspicando che Mosca e Kiev risolvano i loro problemi attraverso la diplomazia e i negoziati, basati sulle norme e sui principi del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. “Ci auguriamo che vengano presi i passi necessari per ridurre la tensione e risolvere pacificamente la situazione”, ha dichiarato Hunanyan. (Rum)
La fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) accende i riflettori sulla comunità cristiana dell’Armenia. Nell’ottobre scorso una delegazione si è recata sul posto con l’obiettivo di acquisire le informazioni necessarie a soccorrere i rifugiati provenienti dal Nagorno-Karabakh, piccola regione montana del Caucaso abitata prevalentemente da armeni, divenuta enclave contesa e teatro dell’ultimo scontro armato iniziato nel settembre 2020 fra Armenia (cristiana per il 94,4%) e Azerbaigian (musulmano per il 96,2%). Una situazione scaturita direttamente dall’implosione dell’Urss, sulla quale si sono sovrapposti gli interessi delle tre potenze regionali: Russia, Turchia e Iran. Nel corso del conflitto i siti del patrimonio culturale e religioso sono diventati obiettivi privilegiati. A cominciare dalla cattedrale di Shusha, importante monumento storico e religioso, colpita per due volte dal fuoco dell’artiglieria.
Nel novembre 2020 è arrivato il cessate il fuoco, che però non è bastato a evitare «innumerevoli crimini di guerra», ricordano da Acs, con più di 4mila soldati armeni caduti e circa 90mila rifugiati, di cui solo 25mila sono stati in grado di tornare alle loro case. «Molti armeni si sentono delusi dai termini dell’armistizio in base al quale l’Azerbaigian dovrebbe mantenere il controllo dei territori conquistati in guerra e le truppe russe dovrebbero restare nel Nagorno-Karabakh per un periodo di cinque anni per garantire la pace». Intanto gli aiuti di Stato non sono più disponibili e molte organizzazioni caritative sono state costrette ad abbandonare il territorio.
«L’intervento di Aiuto alla Chiesa che soffre è diventato sempre più urgente», rimarcano dalla fondazione, che si rivolge ai benefattori e a tutta la comunità cattolica italiana per raccogliere i fondi necessari ad aiutare i cristiani rifugiati a Goris, vicino ai confini del Nagorno-Karabakh. L’obiettivo è aiutare 150 famiglie cristiane per 15 mesi, in primo luogo fornendo cibo e assicurando un alloggio, e in secondo luogo facilitando l’incontro tra offerta e domanda di lavoro, allo scopo di rendere i nuclei familiari autosufficienti nel più breve lasso di tempo possibile. È un modo, spiegano, per contribuire alle attività della Chiesa armena, che «sopperisce alla carenza di aiuti da parte delle autorità civili assicurando alle migliaia di rifugiati cristiani non solo assistenza spirituale e psicologica ma anche il sostegno materiale», informano ancora dalla fondazione pontificia.
L’altro obiettivo, nella fedeltà al dna della fondazione, è sostenere la formazione dei seminaristi. In concreto, viene proposto ai benefattori italiani un progetto che sarà realizzato d’intesa con l’Ordinariato della Chiesa cattolica armena. «Nel suo viaggio apostolico in Armenia – ricorda il direttore di Acs Italia Alessandro Monteduro – Papa Francesco ha affermato che oggi i cristiani in alcuni luoghi sono discriminati e perseguitati per il solo fatto di professare la loro fede. Il pontefice in quella occasione ha aggiunto che il popolo armeno è fra quelli che hanno sperimentato sofferenza, dolore e persecuzione. È questo popolo che i futuri sacerdoti, con il sostegno dei benefattori di Acs, dovranno servire», conclude Monteduro.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-22 18:09:162022-02-24 18:15:22Acs accanto ai cristiani armeni in fuga (RomaSette 22.02.22)
Si avvicina a grandi falcate la tanto attesa sospensione dello stato di emergenza, oramai fissata per la fine di marzo. Con l’allentamento delle restrizioni potrebbero esserci delle ottime notizie anche per i viaggiatori più incalliti, che potrebbero tornare a girare in lungo e in largo senza temere troppo il virus. Per la loro gioia oggi consigliamo una meta fra le meno conosciute che però vale assolutamente la pena visitare e che farà sorridere il nostro portafoglio. A poche ore dall’Italia si trova un paradiso perfetto per gli amanti della natura, della cultura e dell’enogastronomia. Vediamo insieme di quale posto si tratta.
L’Armenia, piccola perla incastonata fra Europa e Asia
Stiamo parlando dell’Armenia. Questo Paese è una linea di separazione netta fra Europa e Russia ed è famoso per essere stato la prima nazione ad adottare il cristianesimo. Ancora oggi, infatti, il suo animo reca le tracce di questa religione. È infatti molto comune trovare in lungo e in largo per il Paese dei monasteri o dei luoghi di culto. Un esempio su tutti è Echmiadzin, considerata la più antica cattedrale del mondo e databile al IV secolo, che ora fa parte del circuito dei beni tutelati dall’UNESCO.
Lo stesso vale per il monastero di Khor Virap, forse uno dei monumenti più conosciuti della zona. Entrambi questi siti sono legati alla figura di Gregorio l’Illuminatore. Se però si vogliono visionare anche dei resti antecedenti al cristianesimo, consigliamo di vedere Garni, un antico tempio dedicato al dio Mitra e perfettamente conservato. Per quanto riguarda invece il lato paesaggistico, è assolutamente da visitare il lago Sevan, il più grande di tutta l’area caucasica.
A poche ore dall’Italia si trova un paradiso molto economico che conserva intatta una storia millenaria e una natura incontaminata
Per raggiungere dalle principali città italiane questa meravigliosa destinazione sono necessarie circa 4 ore di volo. Sono presenti anche degli operatori low cost che effettuano queste tratte. Il cambio poi fra dram armeno, la valuta locale, e l’euro risulta particolarmente vantaggioso: infatti il loro rapporto è di 0,0018 a 1. Questo permette di poter prendere un appartamento o una camera di hotel a dei prezzi veramente vantaggiosi. Lo stesso vale per il cibo: si possono infatti ordinare dei pasti completi rientrando totalmente all’interno di un budget di una manciata di euro. Se invece si volesse rimanere nei confini europei consigliamo di dare una chance a questa meta chiamata la piccola Parigi.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-21 18:15:442022-03-06 18:11:23A poche ore dall’Italia si trova un paradiso molto economico che conserva intatta una storia millenaria e una natura incontaminata (Proiezionidiborsa 21.02.22)
Articolo di Silvia M.C. Senette pubblicato sul Corriere dell’Alto Adige il giorno 20 febbraio 2022
È «un arco abbagliante tra passato e presente» il libro di poesie italo-armene Frutti di sole, frutti di re (Kimerik) di Federica Mormando, ispirato e dedicato all’Armenia.
Federica Mormando, psichiatra, giornalista e fondatrice di Eurotalent Italia e Human Ingenium è una mente pluri-talento che spazia dalla psicoterapia adleriana alla fisarmonica, dallo studio del russo alla composizione musicale e all’ autoharp. Il suo percorso di ricerca l’ha portata a fondere due passioni, quella per la poesia e quella per l’Armenia.
«L’Armenia lascia incantati perché unisce un passato che è rimasto immoto, sospeso, come fosse un oggi, al nuovo di città assolutamente moderne e di un turismo che da un paio d’anni langue, per la pandemia e per il conflitto in atto in Nagorno Karaback».
Il libro Frutti di sole, frutti di re rivela nel titolo le intenzioni dell’autrice: «Scrivo di frutti di sole perché tipici dell’Armenia, il melograno e l’albicocco, dal cui legno si produce uno strumento a fiato dal suono tanto profondo da essere chiamato “l’anima del mondo” – spiega –, Frutti di re, invece, per la regalità di queste piante armene che, nonostante tutto, sono sempre fiorite». Quel «nonostante tutto» fa riferimento al conflitto in Nagorno. «Mi affascina la storia di suor Arousiag Sajonia, il cui nome significa “portatrice di luce” e che il console onorario dell’Armenia in Italia, Pietro Kuciukian, definisce “la
Made Teresa d’Armenia” – racconta Mormando –. Suor Arousiag ha un orfanotrofio a Gyumri, capoluogo della region di Shirak, dove accoglie centinala di bambini rimasti improvvisamente orfani e allo stremo». Ma le parole di Mormando si riferiscono soprattutto al genocidio armeno, troppo spesso trascurato dalla memoria collettiva e dai libri di storia. «La mia poesia 1915 dedicata al genocidio armeno inizia con questo verso Ma le stelle non siete riusciti / né a forare / il cielo immenso / d’Armenia – rivela la scrittrice –. Il genocidio armeno mi commuove, mi risuona dentro. E pensare che Hitler disse “chi si ricorderà più del genocidio degli armeni?” prima di iniziare quello degli ebrei. È un bene che oggi sia commemorato il genocidio, visto che la Turchia ancora non l’ha riconosciuto – precisa –, ma l’Armenia non è solo quello: e anche luce, gioia, vita, arte, una cultura molto ricca. Mi place diffondere l’immagine di una terra vitale e di un popolo per il quale nutro un grandissimo fascino». Domani alle 18 al Circolo Cittadino di Bolzano, l’autrice presenterà il libro con la scrittrice Brunamaria Dal Lago Veneri, la pittrice Lucrezia Zaffarano, la pianista Ani Martirosyan. All’Armenia «che riflette la luce e i colori del cielo», Federica Mormando ha dedicato viaggi, tempo, studio, amore e una cinquantina di liriche, alcune profonde, altre dai toni più lievi.
Nei versi di Luci e suoni a Yerevan, la notte / esplode / in piazza grande“. C’è poi la poesia dedicata alla grande festa armena di Vardava in cui, nell’estate torrida, ci si lancia secchiate d’acqua: “Si fa cascata il sole e scrosci / e trilli. / Rahbia e risate / e scherzi di bambini intrecciano all’aria nastri /e strade d’acqua, luccicanti/ di riflessi uguali. Anche noi / tutti uguali, / così inzuppati. Poesie che tratteggiano attimi di diverse realtà, «Come le improvise apparizioni arcaiche, ma ancora attuali, di uomini a cavallo che accompagnano greggi di pecore – dice Mormando – o la memoria di episodi eroici, come quello in cui gli abitanti di sette villaggi in Anatolia salirono su una montagna per resister quaranta giorni ai turchi finché una nave francese li avvistò e portò in salvo». Le Illustrazioni della pittrice Lucrezia Zaffarano accompagneranno domani a Bolzano questo viaggio tra parole e note in Armenia, la planista Ani Martirosyan, che ha tradotto in lingua le poesie, suonerà melodie armene e composizioni di Federica Mormando. Un evento organizzato dalla Società Dante Alighieri di Bolzano e da Human Ingenium con il contributo di Comune e Provincia di Bolzano.
Silvia M.C. Senette
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-20 18:25:022022-03-06 18:31:34Armenia, parole e note (Corriere dell’Alto Adige 20.02.22)
L’Assemblea Nazionale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh ha rilasciato ieri, 18 febbraio 2022 una dichiarazione in occasione della Giornata della Rinascita[QUI]. La dichiarazione ripercorre la genesi storica del Movimento Karabakh e si conclude con un appello affinché il Gruppo di Minsk dell’OSCE riprenda in mano le trattive negoziali per una soluzione pacifica del conflitto che riconosca il diritto all’autodeterminazione del popolo armeno della Repubblica di Artsakh. Riportiamo di seguito il testo nella traduzione italiana a cura dell’Iniziativa italiana per l’Artsakh.
«Gli eventi che hanno avuto luogo nell’Artsakh (ex Oblast’ Autonoma del Nagorno-Karabakh) nel febbraio 1988 hanno cambiato radicalmente la successiva cronaca non solo degli indigeni armeni che vivono qui, ma anche di altri popoli dell’ex Unione Sovietica.
Decine di migliaia di persone, utilizzando le idee liberali e democratiche proclamate in URSS, hanno cercato di ripristinare la giustizia storica attraverso manifestazioni pacifiche a Stepanakert e in altre parti della regione, il sogno irrealizzato di diverse generazioni di riunire la regione armena con l’Armenia.
Il Movimento, che stava prendendo piede giorno dopo giorno, ha perseguito sin dall’inizio una soluzione pacifica del problema sollevato con mezzi giuridici e politici, confermata inequivocabilmente il 20 febbraio nella 20a sessione straordinaria dell’ex organo di rappresentanza, il Consiglio regionale dei deputati del popolo. La storica decisione adottata di ritirare la NKAO [Regione Autonoma del Nagorno Karabakh, NdT] dalla RSS dell’Azerbaigian e riunirla alla RSS Armena ha segnato una nuova tappa nella lotta di liberazione nazionale dell’Artsakh: il movimento del Karabakh, la determinazione civile del popolo dell’Artsakh ad avanzare legalmente.
Sfortunatamente, la leadership della RSS dell’Azerbaigian non è stata in grado di sfruttare l’opportunità unica per risolvere correttamente il problema e, di conseguenza, la regione si è trovata in un groviglio di instabilità a lungo termine e l’Azerbaigian nella tentazione di risolvere il problema con mezzi militari.
A seguito della decisione del 20 febbraio che esprimeva la volontà e il desiderio della maggioranza assoluta della popolazione della regione, l’Artsakh è giustamente diventato un simbolo dell’orgoglio e del risveglio nazionale di tutti gli armeni. L’onda del Movimento del Karabakh si diffuse in tutto il mondo; e come risultato della lotta organizzata di tutte le sezioni degli armeni, le due repubbliche armene si sono formate all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso.
La Repubblica di Artsakh, proclamata il 2 settembre 1991 e costituita in conformità con i requisiti del diritto internazionale e della legislazione nazionale, è stata una tappa consapevole sulla strada verso uno stato armeno unito.
Il nostro popolo ha pagato un prezzo molto alto nella lotta per la libertà e l’indipendenza dell’Artsakh. Migliaia di Armeni hanno sacrificato la loro vita durante le guerre del 1991-94, 2016 e del 2020.
La Repubblica di Artsakh esiste oggi e continua la sua lotta per il riconoscimento internazionale grazie al sacrificio di quelle persone coraggiose. Il nostro omaggio alla loro memoria immortale.
Negli ultimi 34 anni abbiamo fatto molta strada nella costituzione e nello sviluppo, nelle vittorie e nei fallimenti, e durante questo periodo si è rafforzata l’idea che il futuro dell’armeno Artsakh è garantito solo nella prospettiva di vivere liberamente e in modo indipendente.
Esprimendo la volontà collettiva e il punto di vista del popolo dell’Artsakh, l’Assemblea Nazionale della Repubblica di Artsakh:
riafferma il suo impegno per la storica decisione del 20 febbraio 1988 e la sua determinazione a difendere il suo diritto a vivere liberamente nella sua patria;
attira l’attenzione delle parti interessate internazionali e, in primo luogo, dei parlamenti dei Paesi Copresidenti del Gruppo di Minsk, sul fatto che il popolo armeno dell’Artsakh ha lottato per secoli per preservare la propria identità, creato valori materiali e culturali che oggi sono in pericolo a causa dell’occupazione di alcuni territori della Repubblica di Artsakh da parte dell’Azerbajgian;
invita i Copresidenti del Gruppo di Minsk ad adottare misure immediate, conformemente al mandato ricevuto dall’OSCE, per riprendere il processo negoziale sulla risoluzione del conflitto del Nagorno Karabakh.
Una pace e una stabilità durature nella regione possono essere raggiunte solo rispettando i diritti e le libertà fondamentali del popolo della Repubblica di Artsakh. Ecco perché gli Armeni dell’Artsakh hanno iniziato la loro lotta di liberazione nel 1988 e sono pronti a continuarla con la determinazione di raggiungere l’obiettivo finale.
Stepanakert, 18 febbraio 2022».
Postscriptum
«Soldati e civili dell’Artsakh continuano a essere presi di mira dagli Azeri. Ieri ferito gravemente un militare e spari contro contadini nei campi. Anche un trattore ne fa le spese. La via per la pace è tragicamente lastricata dai colpi dei cecchini azeri» (Iniziativa italiana per l’Artsakh @IArtsakh – 16 febbraio 2022).
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-02-19 18:02:122022-02-20 18:04:11Il grido della Repubblica di Artsakh per l’autodeterminazione (Korazym 19.02.22)
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