Serj Tankian e HR 296: “Onore per i nostri nonni” (Periodicodaily 02.11.19)

Il genocidio armeno è stato riconosciuto dagli Stati Uniti, o almeno dalla Camera dei Rappresentanti, ora tocca al Senato continuare l’opera.
In questa occasione Serj Tankian, leader della band System of a Down, ha scritto due lunghi post sulla questione.

Tankian, come gli altri componenti della band, sono tutti di origine armena, fuggiti con la propria famiglia negli Stati Uniti. Un solo componente della band, il più giovane, è nato in California, ma tutti gli altri sono nativi dell’Armenia, hanno frequentato la scuola armena dove si sono conosciuti ed hanno messo su la band che oggi conosciamo.

Dal post di Serj Tankian si legge: “La Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha fatto un grande passo verso la giustizia oggi onorando adeguatamente la storia con un riconoscimento formale del genocidio armeno. Molti leader e singoli individui del Congresso hanno lavorato incessantemente per decenni per vederlo accadere. Ciò non risolverà la nostra monumentale perdita generazionale della nostra patria e delle nostre vite ancestrali, ma sarà un onore per i nostri nonni e per ciò che hanno vissuto. Il Senato dovrebbe essere il prossimo, si spera, con numeri a prova di veto. Grazie a tutti coloro che hanno contribuito a far sì che ciò accadesse. Much Love Serj #armeniangenocide

serj tankian parla del genocidio armeno

In un altro post ancora vediamo Serj mandare un messaggio a Ilhan Omar, rappresentante del quinto distretto del Minnesota: “Cara @repilhan, ci stiamo tutti grattando la testa chiedendoci come qualcuno così eloquente contro l’ingiustizia negli Stati Uniti possa essere così ingenuo nella sua posizione nei confronti dei despoti a livello internazionale come nella tua relazione con la Turchia di Erdogan. Il tuo voto “attuale” oggi su HR 296 è stato uno strano fenomeno. Capisco che Erdogan abbia inviato denaro per aiutare il governo della Somalia e tu lo apprezzi, ma ciò non significa che devi ignorare l’orrendo record sui suoi diritti umani e sulla sua Turchia, né la storia reale in riferimento al genocidio della mia gente, gli armeni. Ti ho sempre pensato come una forza intelligente e progressista al Congresso in linea con la maggior parte delle mie convinzioni, quindi sono sinceramente deluso dal tuo sostegno a Erdogan e dalla sua regola gag sul riconoscimento del genocidio negli Stati Uniti. Uno dei tuoi argomenti è che il riconoscimento del genocidio viene usato come misura punitiva contro l’incursione della Turchia in Siria. Hai ragione, lo è. Ma renditi conto che la Turchia e Erdogan hanno utilizzato specificamente il genocidio armeno come capitale geopolitico spendendo milioni di dollari ogni anno su K Street e campagne di disinformazione per riscrivere la storia. Ogni ordine di acquisto per elicotteri Apache dagli Stati Uniti o aerei da combattimento era capitale politico ed economico e opportunità contro un voto di giustizia sul riconoscimento del genocidio. Sto scrivendo questo nella speranza che capirai la gravità della tua decisione oggi e cambierai idea di conseguenza.
Con rispetto
Serj Tankian

Genocidio Armeno: La storia di un massacro

Per l’Armenia questo non fu il primo massacro che subì, altre stragi accaddero intorno al 1890.
Il genocidio in questione della popolazione armena cristiana, avvenuto in Turchia tra il 1915 e il 1916, viene ricordato dalla popolazione come il Medz yeghern, “il grande crimine”.
Le prime uccisioni toccarono all’élite armena fra la notte del 23 e il 24 aprile 1915. L’operazione non si fermò li, ma continuò nei giorni successivi; in un mese più di mille intellettuali armeni, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e parlamentari furono deportati verso l’interno dell’Anatolia.

Per quanto riguarda lo sterminio e la deportazione di massa, della popolazione cristiana dell’Armenia occidentale, erano stati decisi dall’impero Ottomano a causa delle sconfitte subite all’inizio della prima guerra mondiale per opera dell’esercito russo, in cui militavano anche battaglioni di volontari armeni. In sostanza il popolo turco si vendicò facendo una strage.
Dall’inizio del 1915 gli armeni maschi in età da servizio militare venivano raggruppati in “battaglioni di lavoro” dall’esercito turco e poi uccisi, mentre il resto della popolazione era stato deportato verso la regione di Deir ez Zor in Siria . Una marcia della morte che coinvolse più di un milione di persone. Centinaia di migliaia morirono per fame, malattia, sfinimento o furono massacrati lungo la strada.

La Turchia non ha mai accettato la definizione di genocidio, sostenendo che le uccisioni compiute dall’impero Ottomano erano una risposta all’insurrezione degli armeni e alla necessità di difendere le sue frontiere.

Il numero delle vittime è piuttosto controverso. Fonti turche fermano il numero dei morti a duecentomila, mentre quelle armene arrivano a 2,5 milioni. Gli storici hanno stimato che il numero delle vittime vari tra i 500mila e due milioni di morti, anche se il bilancio di 1,2 milioni è il più accreditato.

I paesi che attualmente riconoscono ufficialmente il genocidio armeno sono 22, tra cui l’Italia, mentre in altri è riconosciuto solo da singoli enti o amministrazioni. Altri paesi continuano nel non riconoscere il massacro come un genocidio, probabilmente anche per non incorrere in attriti con la Turchia e, di conseguenza, paura di ripercussioni

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Turchia. Deputati USA, “Fu genocidio armeni, ore non dimentichiamo curdi” (Notizie Geopolitiche, Fatto Quotidiano altri…02.11.2019)

La Camera dei rappresentanti americana ha approvato una risoluzione con cui riconoscere il genocidio degli armeni da parte della Turchia. Il via libera al testo è stato accolto da un applauso dell’Assemblea.
Tra il 1915 e il 1916, prima della dissoluzione dell’Impero Ottomano, si stima che furono deportati e uccisi dalle armate del sultano oltre un milione di esponenti della comunità armena. I discendenti delle vittime e i loro rappresentanti chiedono da tempo che Ankara ammetta le sue responsabilità in quella vicenda e incoraggiano il resto del mondo a riconoscere ufficialmente e a impiegare il termine “genocidio”.
La Turchia però si è sempre rifiutata, contestando le eventuali adesioni di quei governi che hanno accolto la richiesta degli armeni.
La decisione dei deputati americani giunge a tre settimane dal lancio di una offensiva turca nel nord-est della Siria, nell’ambito della politica di Ankara di contrastare le iniziative autonomiste della comunità curda, divisa oltre che tra Turchia e Siria anche tra Iraq e Iran.
Per alcuni deputati americani, le violenze contro i curdi sono analoghe a quelle subite dagli armeni: “Quando vediamo le immagini di famiglie terrorizzate nel nord della Siria, non possiamo affermare che i crimini di un secolo fa appartengano al passato. Non dimenticheremo e non staremo zitti”, il commento di Adam Schiff, deputato democratico relatore del testo.
Il recente attacco della Turchia nella Siria nord-orientale è sopraggiunto all’indomani del ritiro delle truppe americane, una decisione che ha suscitato tra i democratici americani molte proteste.

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Usa, gli States riconoscono il genocidio degli armeni. A quando gli altri? (Ilfattoquotidiano 01.11.19)

L’incoerenza e l’opportunismo, sul fronte dei genocidi perpetrati in Europa tra XIX e XXI secolo, continuano a regnare. L’occasione per riflettere viene offerta dal recente riconoscimento, da parte della Camera degli Stati Uniti, del genocidio di un milione e mezzo di armeni commesso tra 1915 e 1917 dall’Impero ottomano, di cui è erede la Turchia. Dove per “genocidio” si intende, secondo la definizione adottata dall’Onu, “ciascuno degli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.

Occorre premettere che la contorta linea politica delle istituzioni statunitensi nei confronti della Turchia e del suo presidente/dittatore Recep Tayyip Erdogan è a dir poco ondivaga. Si distingue il presidente repubblicano Donald Trump, che prima ha abbandonato gli ex alleati curdi nel Nord della Siria nelle fauci dell’esercito turco, quindi ha invitato Erdogan alla Casa Bianca per il 13 novembre. Lo accoglierà perché la Turchia, giura Trump, ha “una buona reputazione”, è “un grande partner commerciale” e “un Paese con cui è facile trovare accordi”.

Però il presidente degli Stati Uniti si troverà sull’uscio un Erdogan imbufalito. Motivo? Proprio il 30 ottobre i deputati della Camera Usa hanno approvato quasi all’unanimità (democratici e repubblicani assieme, con soli 11 contrari e 19 astenuti su 435 votanti), la risoluzione che riconosce il genocidio armeno e un’altra che chiede di imporre sanzioni alla Turchia per l’offensiva in Siria. La parola passerà presto al Senato.

Così, mentre in Turchia chi parla o scrive del genocidio finisce in galera, la scelta dei deputati statunitensi ha confortato l’Armenia (piccolo Stato indipendente, prima all’interno dell’Urss) e i milioni di armeni della diaspora successiva al massacro o giunti dopo la disgregazione sovietica: 2 milioni vivono degli Stati Uniti, qualche migliaio dentro i confini italiani. Attualmente il massacro viene riconosciuto da una trentina di Paesi, tra cui l’Italia.

Però i ruoli geopolitico, militare ed economico turchi inducono alla cautela. E manca la presa di posizione definitiva da parte degli Stati Uniti, che forse arriverà se Trump non si metterà di traverso. Quest’ultimo nel 2017 aveva definito la vicenda “una delle peggiori atrocità di massa del XX secolo”, senza fare poi passi ufficiali. Barack Obama, prima di essere eletto nel 2008, si era impegnato a riconoscere il genocidio, ma non lo fece.

Torniamo dunque all’incoerenza a proposito di genocidi. Sia chiaro: il sacrificio di quasi due milioni di armeni merita senza dubbio un pieno riconoscimento, possibilmente più esteso di quello espresso da appena trenta Stati sovrani su 196 nel mondo. Resta tuttavia l’impressione che i governi e i parlamenti dei Paesi cosiddetti “democratici” cavalchino lo sdegno, pure quello a scoppio ritardato, sull’onda delle mode più convenienti.

Per esempio, si fa grande fatica a considerare degni di solidarietà i genocidi legati alla guerra condotta dall’Arabia Saudita contro gli sciiti nello Yemen o quelli contro un milione di rohingya, perseguitati in Birmania. Sono abbandonati a se stessi – per fare altri due esempi – anche gli yazidi (500mila) in Iraq, massacrati ultimamente anche dall’Isis, e gli uiguri (8,5 milioni) in Cina.

Nel caso degli Stati Uniti, poi, c’è un’enorme buco nero per quel che riguarda il genocidio delle popolazioni native americane. Nel 1890, allorché la “conquista del Selvaggio West” (espressione ancora usata dalla retorica americana bianca) fu completata, in tutto il Nord America erano rimasti 250mila dei 12 milioni di nativi presenti quattro secoli prima; ma la loro emarginazione è andata avanti ancora a lungo e per molti versi non è mai finita.

Fra le tante pagine nere della storia, poche sono state manipolate come questa: stragi, esecuzioni di massa, persecuzioni, segregazione, sterilizzazione forzata sono crimini non soltanto rimossi, ma addirittura “esaltati” da certa cinematografia western, “popolata” dai “pellerossa cattivi”. Soltanto nel 2005 il Senato statunitense ha presentato le scuse ufficiali. Nonostante questa tardiva presa di posizione, i nativi – oggi in tutto 5 milioni – sono ancora per lo più emarginati.

Tra i ragazzi che vivono nelle riserve il numero di suicidi è 150 volte più alto rispetto a quello tra i coetanei bianchi. Un nativo su cinque è alcolizzato, le condizioni economiche e sanitarie sono disastrose, la disoccupazione è endemica. E ancora oggi i “pellerossa” valgono meno di un oleodotto, come dimostra la forte repressione durante le proteste dei Sioux che si sono opposti alla costruzione dell’inquinante Dakota Access Pipeline nei “loro” limitati territori: gli oleodotti hanno il forte sostegno del presidente Trump, che ha ordinato di colpire duramente le comunità indigene (e gli ambientalisti).

Insomma, il riconoscimento del genocidio armeno è importante, così come non bisogna dimenticare la Shoah e i campi di sterminio nazisti. Ma sarebbe fondamentale anche riconoscere che tra XIX e XXI secolo di genocidi ce ne sono stati altri. Così come altri ancora sono in corso: però quasi nessuno ha voglia di vedere quello accade in luoghi in cui telecamere e social network non possono, o non vogliono, arrivare.


 

Armenia, un viaggio verso la città di Sevan e dei suoi bellissimi monumenti (Kmetro0.it 01.11.19)

K metro 0/Assadakah – Yerevan – Ho scritto molto sull’Armenia, un Paese che amo molto, ma ogni volta che lo visito, non posso non immergermi nello splendore del lago Sevan e dei suoi bellissimi monumenti.

Ci siamo lasciati alle spalle Yerevan, la capitale, e ci siamo diretti nella provincia di Gegharkunik, nella parte orientale della repubblica Armena, ad est della splendida città di Sevan. Non era la prima volta che vedevo l’immenso lago di montagna, raggiungendo un’altitudine di quasi 2000 metri.

Il lago Sevan è uno dei tesori dell’Armenia, con i suoi 80 km di lunghezza ed è il più grande del Caucaso. Ben ventotto immissari, tra fiumi e torrenti che lo alimentano, il fiume Hrazdan rimane solo l’unico emissario. Un corso d’acqua che sorge sulla cresta di una sottile penisola fra le acque, e sulla quale sorge un magnifico complesso di chiese armene che, dal nome del lago, è denominato Sevanavank. Questo monastero, che oggi si può tranquillamente raggiungere in auto, era anticamente su un lembo di terra circondato dalle acque e si chiamava “Mariamashen” dal nome Mariam che era la principessa della dinastia dei Bagratuni, che nel IX secolo lo fece costruire. Un luogo, quello di Sevanavank, abitato fin dall’età neolitica e soggetto a numerose distruzioni a seguito della dominazione araba. Ed è stato sulle rovine di uno dei primi monasteri, fatti costruire nel IV secolo dal re Tiridate III, che la principessa Mariam, cinque secoli dopo, decise di costruire un insieme di tre chiese, celle per i monaci e una fortezza a protezione.

Ma anche il complesso di Sevanavank non fu risparmiato dalle distruzioni delle invasioni, soprattutto quella dei mongoli del XIII secolo. Dopo il ripristino di Echmiazin, nel 1441, fu ricostruito tanto che, dieci anni dopo venne fondato il seminario di Sevanavank, simile a quello dell’università di Tatev. In epoca recente, negli anni dell’Armenia Sovietica, questo antico monastero venne chiuso, la chiesa dedicata alla Madonna è stata demolita e le pietre dell’antica struttura sono state usate per realizzare una casa di riposo a Sevan. Anche il terremoto del 1936 danneggiò le antiche strutture, che vennero successivamente restaurate e messe in sicurezza. Solo dagli anni ‘90 nel monastero sono ricominciatele funzioni religiose.

Ma come mai quella che era un’isola diventò penisola? La ragione sta nel tentativo, effettuato nel periodo sovietico, di limitare l’enorme evaporazione estiva del lago, abbassando il livello dell’acqua. Secondo lo studio effettuato dall’ingegnere Soukias Manasserian infatti, in tal modo si sarebbe potuto assicurare la quantità giusta di acqua per sfruttare l’importante riserva per scopi idroelettrici.  Purtroppo, però, diminuendo la profondità del lago di circa 20 metri, si provocò un grave danno idrogeologico, che portò ad un ulteriore prosciugamento e la conseguente trasformazione dell’isola in penisola.

Ma anche questo luogo, dalla spiccata spiritualità, ha la sua leggenda, legata proprio al nome del lago. Sevan infatti, in armeno significa lago nero. Pare che in una delle numerose invasioni degli arabi gli abitanti della città di Sevan, spaventati, attraversarono il lago ghiacciato per arrivare sull’isola e rifugiarsi nel monastero a pregare. Anche gli arabi, nel tentativo di raggiungerli, passarono sopra lo specchio del lago ma il ghiaccio non ha retto al peso ed è ceduto. Le truppe restarono imprigionate nel ghiaccio e morirono. Il lago, pieno di questi corpi, appari nero e fu da allora chiamato lago di Sevan.

Inutile dire che questo affascinante complesso monastico rappresenta uno dei posti più noti dell’Armenia, con le sue due chiese gemelle, le rovine del gavit, le antiche celle dei monaci. Le altre testimonianze purtroppo non esistono più, ma gli edifici rimasti, dall’alto della collina, si affacciano sulla meraviglia di quel lago tanto grande da sembrare il mare che la piccola Repubblica d’Armenia non ha più. Dalla splendida terrazza panoramica della collina si può ammirare la residenza presidenziale e quella riservata a poeti e scrittori del periodo sovietico, che si ritiravano lì in cerca di ispirazione, ammirando le acque brillanti grazie al riverbero dei radiosi tramonti d’oriente

 

di Talal Khrais e Letizia Leonardi

Perché è importante che gli Usa abbiano riconosciuto il genocidio armeno (Tempi.it 01.11.19)

«Molti parlamenti, uno dopo l’altro, hanno cominciato a riconoscere il genocidio degli armeni: e ieri è stato il momento della Camera degli Stati Uniti. È un atto che diffonde una verità storica, non ha conseguenze pratiche: e vorrebbe aiutare il popolo turco ad affrontare finalmente questo immenso “scheletro nell’armadio” che avvelena il Paese e lo priva della sua stessa memoria». Ha scritto così, giovedì 30 ottobre, sul Corriere della Sera, la scrittrice italiana d’origine armena Antonia Arslan, commentando la decisione della Camera dei rappresentanti statunitensi di riconoscere come «”genocidio” lo sterminio di circa 1,2-1,5 milioni di armeni a opera dell’Impero Ottomano, tra il 1915 e il 1917 con una scia di sangue fino al 1922».

La rabbia turca

Come è noto, la Turchia non vuole riconoscere come “genocidio” ciò che accadde 100 anni fa ad opera dei giovani turchi sui cristiani armeni. Ad oggi sono una trentina i paesi (tra cui anche l’Italia e il Vaticano) ad averlo fatto. Una presa di posizione che innervosisca sempre molto la Turchia. Infatti, come prevedibile, Ankara ha subito protestato convocando l’ambasciatore americano e lasciando intendere che il presidente Recep Tayyip Erdogan potrebbe rifiutarsi di recarsi a Washington da Donald Trump il 13 novembre. Ancora oggi chi osa parlare di “genocidio armeno” può subire l’arresto e fino a due anni di carcere secondo l’articolo 301 del codice penale nazionale turco.

Il Grande Male

Tempi vi ha parlato in diverse occasioni del Metz Yeghern, il Grande Male, la carneficina cui furono sottoposti gli armeni tra il 1915 e il 1922. A partire dal 24 aprile 1915 furono arrestati e deportati gli esponenti delle élites armene di Costantinopoli, Smirne e Aleppo. Nei due anni successivi persero la vita un milione e mezzo di armeni a causa sia di massacri che di malattie e stenti dovuti alle condizioni in cui venivano spostati attraverso i territori dell’Impero.

Le ombre del popolo perduto

La “battaglia” per il riconoscimento del genocidio, come ha sempre spiegato Arslan, prosegue ancora oggi a causa del “negazionismo” turco. Come ha sempre scritto l’autrice della Masseria delle allodole sul Corriere,

«Negazionismo: non sono solo parole, sono atti ben precisi, calcolati e studiati per spargere sale su ferite appena rimarginate, per creare confusione in menti abitate dal ricordo di violenze inaudite che vengono minimizzate o negate, col preciso scopo di venire infine dimenticate. Per gli armeni, ci fu una logica perversa in questo meccanismo diabolico, che li schiacciò. Dopo il trattato di Losanna del 1923, con la complicità delle potenze vincitrici della Prima guerra mondiale, la stessa parola “armeni” scomparve, le centinaia di testimonianze pubblicate fra il 1915 e il 1921 furono consegnate all’oblio, i monumenti sparsi nell’intera Anatolia distrutti, i nomi dei luoghi cambiati. Le ombre del popolo perduto vagavano invano per l’Armenia storica, nessuno le vedeva…».

La battuta di Hitler

Non solo. Come ha brillante dimostrato la studiosa americana Siobhan Nash Marshall nel suo I peccati dei padri. Negazionismo turco e genocidio armeno, i fatti del 1915 sono profondamente legati alla Shoah. L’esempio armeno colpì così profondamente Adolf Hitler tanto da indurlo a invadere la Polonia nella certezza che il mondo avrebbe tollerato e poi dimenticato: «Wer redet heute noch von der Vernichtung der Armenier?» (“Chi oggi parla ancora dello sterminio degli armeni?”, si chiedeva il Führer prima di passare all’azione). E non è un caso che il termine “genocidio” sia stata coniato dall’ebreo polacco Raphael Lemkin nel 1944.

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Gli Usa hanno riconosciuto il genocidio degli armeni. Sale la tensione con Ankara (Agi 31.10.19)

Riconoscimento del genocidio armeno e sanzioni: dopo l’offensiva di Ankara nel nord della Siria, gli Usa mettono in guardia la Turchia. Erevan esulta e parla di “passo storico”, ma Ankara replica con rabbia: il ministero degli Esteri ha convocato l’ambasciatore americano e il presidente, Recep Tayyip Erdogan, lascia capire che potrebbe rifiutarsi di andare a Washington alla Casa Bianca da Donald Trump.Il riconoscimento del genocidio armeno da parte della Camera dei Rappresentanti americana è una vittoria morale per Erevan ed è una secchiata d’acqua fredda per Ankara, il partner ribelle della Nato, che Washington fatica a rimettere in riga. Il voto è arrivato pochi minuti dopo prima che la Camera approvasse sanzioni contro la Turchia per la sua offensiva contro le milizie curde Protezione Unità Popolare (YPG) nel nord-est della Siria.

La risoluzione era stata presentata all’inizio dell’anno ma il ‘via libera’ è stato ritardato per mesi e ha coinciso con la nuova escalation di tensione tra Usa e Turchia. La Camera ha riconosciuto formalmente il “genocidio armeno” a stragrande maggioranza (405 sì su 435 voti, con solo 11 contrari). Anche le sanzioni sono state approvate con 403 sì e soli 11 no e ora passano al Senato. Il genocidio armeno è riconosciuto da una trentina di Paesi, tra cui l’Italia.

Ankara ha subito “respinto” la risoluzione, bollata come una decisione “ad uso interno, priva di qualunque base storica e giuridica”. La Turchia ha sempre negato che si possa parlare di genocidio per le deportazioni ed eliminazioni di armeni perpetrate dall’impero ottomano tra il 1915 e il 1916, che secondo alcune stime avrebbero causato fino a un milione e mezzo di morti. “è un passo politico insignificante”, ha affermato il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, “indirizzato solo alla lobby armena e ai gruppi anti-Turchia”.
Nel 2017, subito dopo l’insediamento alla Casa Bianca, Trump aveva definito il massacro degli armeni nel 2015 “una delle peggiori atrocità di massa del XX secolo” ma aveva evitato di usare il termine genocidio. Il suo predecessore Barack Obama in campagna elettorale si era impegnato a riconoscere il genocidio armeno ma poi non lo aveva fatto.

Ora ha preso in mano la situazione Capitol Hill, che si ritrova in una rara intesa bipartisan proprio mentre si apre la battaglia sull’impeachment. Ed è significativo anche che Trump non abbia fatto nulla per bloccarla. Ankara però non ci sta ed Erdogan, fa capire che potrebbe anche non andare a Washington: ha detto di essere “ancora indeciso” se andare negli Stati Uniti, dove il 13 novembre prossimo è in programma l’incontro con Trump.
Adesso resta da capire se la decisione dei deputati americani puo’ essere un passo ulteriore verso l’isolamento della Turchia nel panorama geopolitico, dopo che l’operazione in Siria gli ha attirato le critiche dell’Occidente e approfondito la frattura con i Paesi del Golfo (ad eccezione del Qatar).

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Ankara convoca ambasciatore americano (Agi 30.10.19)


Turchia, deputati Usa: fu genocidio quello degli armeni, non dimenticare i curdi (Buisiessinsider 30.10.19)


Turchia, deputati Usa: fu genocidio quello degli armeni, non dimenticare i curdi (Redattoresociale 30.10.19)

Il presidente del parlamento dell’Armenia Ararat Mirzoyan è stato ricevuto dal sindaco di Napoli (La Repubblica 29.10.19)

Il presidente del parlamento dell’Armenia Ararat Mirzoyan è stato ricevuto nel pomeriggio dal Sindaco di Napoli Luigi de Magistris.
Il Presidente ha guidato una folta delegazione – in visita ufficiale in Italia su invito dei due rami del Parlamento italiano – e ha voluto scegliere Napoli, dopo la tappa a Roma, per completare il suo tour nel nostro Paese.

Lungo e cordiale è stato il colloquio nel corso del quale sono stati toccati molti temi, sia di natura politica che anche quelli dei flussi turistici, di artigiano, di agricoltura e della grande vivacità culturale di Napoli. Il Presidente Mirzoyan, anche a nome del Sindaco di Erevan, la capitale, una città con molte similitudini con Napoli, ha invitato in Armenia il primo cittadino anche per lavorare ad un gemellaggio tra le città di Napoli ed Erevan.

Nella delegazione erano presenti, tra gli altri, l’Ambasciatrice dell’Armenia in Italia Victoria Bagdassarian Al termine dell’incontro de Magistris e Mirzoyan hanno proceduto al tradizionale scambio dei doni. Il Sindaco ha donato il gagliardetto ufficiale della Città ed una pubblicazione con le più belle immagini di Napoli che il Presidente armeno ha molto apprezzato.

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Nagorno-Karabakh: Osce su prossimo incontro ministri Esteri, ci aspettiamo passi avanti (Agenzianova 31.10.19)

Mosca, 31 ott 16:54 – (Agenzia Nova) – L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) si augura che il prossimo incontro tra i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian, Zohrab Mnatsakanyan e Elmar Mammadyarov, porti a dei passi in avanti nel quadro del processo per la risoluzione del conflitto in corso nella regione del Nagorno-Karabakh. Lo ha dichiarato oggi il segretario generale dell’Osce, Thomas Greminger, al termine del suo incontro di oggi a Mosca con il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. “I negoziati hanno subito alcuni rallentamenti ultimamente, ma ci auguriamo che il prossimo incontro tra i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian possa contribuire a superare questo stallo”, ha detto Greminger. (segue) (Rum)

Armeni e curdi, la sfida Usa a Erdogan (Rassegna 31.10.19)

Kim Kardashian celebra riconoscimento genocidio armeno (Sputnik 31.10.19)

La star di un reality show americano e imprenditrice californiana di origine armena Kim Kardashian ha pubblicato su Instagram le nuove foto di un recente viaggio in Armenia per celebrare il riconoscimento da parte del Congresso degli Stati Uniti del genocidio armeno.

Il 29 ottobre la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha votato a favore del riconoscimento del genocidio armeno. Risoluzioni analoghe sono state introdotte per anni, ma non hanno mai ottenuto i voti necessari.

“Ieri c’è stata una vittoria così grande per il popolo armeno quando il Congresso americano ha riconosciuto il genocidio del popolo armeno! Questa foto è stata scattata questo mese in Armenia”, ha scritto Kim su Instagram.

Kim ha successivamente pubblicato una serie di scatti con sua sorella maggiore Kourtney e i suoi figli. Le donne indossavano rigorosi abiti neri e gioielli tradizionali del Paese caucasico.


Usa, riconosciuto genocidio armeno e sanzioni alla Turchia, l’ira di Ankara (Ilvaloreitaliano 31.10.19)

WASHINGTON. Meglio tardi, molto tardi, che mai. Doppio schiaffo della Camera Usa ad Ankara, a due settimane dalla visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan alla Casa Bianca: i deputati hanno approvato in modo bipartisan quasi all’unanimità una risoluzione che riconosce il genocidio armeno e un’altra che chiede al presidente Donald Trump di imporre sanzioni e altre restrizioni alla Turchia e ai dirigenti di quel Paese per l’offensiva nella Siria settentrionale. Immediata la reazione di Ankara, che “rifiuta” la risoluzione sul genocidio armeno, bollandola come una decisione “ad uso interno, priva di qualunque base storica e giuridica”.

Il ministero degli esteri turco ha convocato David Satterfield, ambasciatore Usa ad Ankara e ha condannato fortemente anche la risoluzione sulle sanzioni, sottolineando che la decisione non è consona all’ alleanza Nato tra i due Paesi e all’accordo tra Usa e Ankara sulla tregua in Siria, e ammonendo Washington a prendere misure per evitare passi che danneggino ulteriormente le relazioni bilaterali. Il 24 aprile è il giorno della memoria dello Metz Yeghern, ossia il  Grande Male, il nome con cui gli armeni indicano il genocidio di cui furono oggetto a partire dal 1915 per volontà del governo dei Giovani Turchi nei giorni del tramonto dell’Impero Ottomano. Il 24 aprile 1915 furono arrestati e deportati gli esponenti delle élites armene di Costantinopoli, Smirne e Aleppo. Nei due anni successivi persero la vita un milione e mezzo di armeni a causa sia di massacri che di malattie e stenti dovuti alle condizioni in cui venivano spostati attraverso i territori dell’Impero. Il silenzio dell’ Occidente fu assordante. Recentemente la questione del genocidio armeno è tornata di attualità in Italia e il Parlamento italiano si era impegnato a riconoscere ufficialmente l’evento e a darne risonanza internazionale.


Genocidio armeno. Anche gli Usa si convincono. L’arma segreta? Kim Kardashian (Blitzquotidiano 31.10.19)

ROMA – La decisione della Camera dei Rappresentanti Usa di riconoscere il genocidio degli armeni perpetrato tra il 1915 e il 1916 dai turchi e costò la vita a un milione e mezzo di persone è incontestabilmente un fatto storico. Scontata la rabbiosa reazione di Erdogan. Ha richiamato l’ambasciatore turco a Washington, messo in stand-by la visita di Stato programmata, minaccia di buttarsi nelle braccia della Russia fregandosene dell’alleanza atlantica.

Se ne discuterà a lungo (tranne in Turchia dove chi solo vi accenni finisce in galera). Intanto vanno rilevati alcuni fatti collegati alla vicenda piuttosto sorprendenti. Di sicuro lo è l’appoggio offerto da Trump, solitamente allergico a quanto accade fuori dall’America. Ma chi ha convinto lui, la figlia Ivanka, il cognato Jared Kushner, la pasionaria democrat Jackie Speier e i suoi 405 colleghi che hanno votato la risoluzione praticamente all’unanimità?

Non gli intellettuali, non una campagna d’opinione. Nemmeno un toccante film come Ararat, del 2002, girato dal grande regista canadese-armeno Atom Egoyan. Dove peraltro si cita, a proposito del silenzio di cento anni sul tentativo di eliminazione di un intero popolo, una frase attribuita ad Hitler in procinto di compiere il suo di genocidio: “Qualcuno si ricorda degli armeni?”.

Non ci è riuscito nemmeno l’armeno più famoso del mondo, Shahnour Vaghinagh Aznavourian, al secolo Charles Aznavour, immenso chansonnier e anche lui protagonista di Ararat. Nella società dello spettacolo di debordiana memoria, aggiornata dai social network alla società dello spettacolo di se stessi, ruolo e meriti vanno attribuiti invece a Kim Kardashian. Sì proprio lei, la regina dei like e del trash-chic, moglie del rapper Kanye West, maitresse a penser leopardata.

Un segno dei tempi, non c’è che dire. Inutile smoccolare sullo scadimento dei valori. Vano stracciarsi le vesti per il sacrilego accostamento tra la distruzione di un popolo e la banalità decerebrata spacciata via facebook. I potenti, gli influencer, provengono oggi dall’industria dell’intrattenimento che da un pezzo ha surclassato negli Usa i tradizionali fortini del potere economico, dall’acciaio al petrolio.

Dove non arrivano la denuncia e il memoir, l’analisi storica e i documenti d’epoca, dove nulla possono la rivendicazione etnica e la solidarietà internazionale, giunge, a proposito, tempestivo e risolutore, il marchio di fabbrica del brand Kardashian. Le sue generose natiche da esposizione. L’arma segreta degli armeni. (fonte La Repubblica)


Gli Stati Uniti riconoscono il genocidio armeno (31.10.19)

a Camera degli Stati Uniti ha riconosciuto il 30 ottobre 2019 – quasi all’unanimità,  405 «sì», 11«no» su 435 voti – una risoluzione che riconosce e invita «a commemorare il genocidio armeno e a rifiutare i tentativi di associare il governo americano alla sua negazione». Il «sì» bipartitico è salutato da un lungo applauso. È il riconoscimento formale di Washington. La Camera approva anche – 403 «sì» e 11 «no» (ora passa al Senato) – una risoluzione che chiede al presidente Donald Trump di imporre sanzioni e restrizioni alla Turchia per l’offensiva militare in Siria. Furibonda la reazione turca: Ankara convoca l’ambasciatore americano. Il Paese guidato dal dittatore Erdogan «rifiuta» la risoluzione, la bolla come «decisione a uso interno, priva di qualunque base storica e giuridica, un passo politico insignificante».

Il 1917 è l’anno di svolta nella Grande Guerra (1914-18) – Diserzioni negli eserciti e rivolte della gente spossata, anche da uno degli inverni più rigidi del secolo; Caporetto e Rivoluzione Russa; denuncia dell’«inutile strage» e genocidio degli armeni, il primo (e dimenticato) del XX secolo. «Metz Yeghern, il Grande Male» colpisce un nobile popolo. Re Tiridate III di Armenia, convertito e battezzato con la sua corte da san Gregorio Illuminatore, nel 312 dichiara il Cristianesimo «religione di Stato», un anno prima che l’«editto di Milano», sottoscritto nel febbraio 313 da Costantino il Grande per l’Occidente e da Valerio Liciniano Licinio per l’Oriente, conceda libertà di culto anche ai cristiani. Sotto l’Impero Ottomano un milione e mezzo di armeni rifiutano di rinnegare la fede e sono sterminati. Inizialmente i non musulmani sono protetti dall’Islam in quanto «gente del libro» e monoteisti: tra islamici e non musulmani, pur in posizione subalterna, la coabitazione regge fino a quando il nazionalismo non conta­gia anche l’Impero Ottomano. A Costantinopoli presso la Sublime Porta le minoranze religiose sono protette dalle potenze europee: la Francia tutela i cattolici, la Russia gli ortodossi, la Gran Bretagna i protestanti e gli anglicani, gli Stati Uniti gli ebrei.

Lo stermino comincia nel 1894-96 con Abdul-Hamid II – I sultani sono sovrani politici e capi religiosi. Nel 1908 i Giovani Turchi lo depongono e lo sostituiscono con il fratello Mehmet V; propugnano un nazionalismo che soffoca i non musulmani; sterminano 30 mila armeni. Alla vigilia della Grande Guerra le potenze europee ritirano il personale diplomatico e così le minoranze religiose restano indifese. I Giovani Turchi ne approfittano e nella notte del 23-24 aprile 1915 passano di casa in casa ad arrestare e uccidere 50 intellettuali, accusati di essere la «quinta colonna» dell’Impero Russo. Un pretesto per scatenare la pulizia etnica che dura fino al 1922. Conversioni forzate, maltrattamenti, deportazioni e «marce della morte» provocano un milione e mezzo di morti per fame, malattie, sfinimento. Sovrintendono ufficiali tedeschi in collegamento con l’esercito turco, «prova generale» della deportazione nazifascista degli ebrei, con il ghigno beffardo di Hitler: «Chi ricorda più lo sterminio degli armeni?». I principali genocidi del XX secolo sono: i nazifascisti (1939-45) sterminano 6 milioni di ebrei e mezzo milione di zingari perseguitati, seviziati, sterilizzati e gasati perché «razza inferiore» nel «Porajmos, Grande divoramento»; stalinismo comunista in Urss con milioni di morti (1924-53); Khmer rossi in Cambogia (1975-79); pulizia etnica in Bosnia (1992-96), in Ruanda e Burundi (1994).

Periscono vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani, bambini e malati armeni, assiri, caldei, greci. L’ecatombe innesca la diaspora in Europa, Stati Uniti, Russia e Ucraina, Sudamerica. Benedetto XV scrive al sultano Mehmet V (10 settembre 1915) per far cessare l’eccidio «che avviene contro il volere di Vostra Maestà. Il popolo armeno, per la reli­gione che professa, è spinto a mantenere fedele suddi­tanza a Vostra Maestà». Nella risposta il sultano sostiene l’impossibilità di distinguere fra inno­centi e sediziosi e giustifica la pulizia etnica. Il Papa proclama «dottore della Chiesa universale» Sant’Efrem Siro vissuto in esilio a Edessa in Turchia. In visita in Armenia, Giovanni Paolo II (27 aprile 2001) definisce lo sterminio «un’aberrazione disumana, un tempo di indicibile terrore e sofferenza».

Suscita le ire della Turchia anche Papa Francesco che celebra in San Pietro il centenario del martirio e proclama dottore della Chiesa San Gregorio di Narek, monaco, filosofo, teologo, mistico e poeta: «Fare memoria dello sterminio di un milione e mezzo di armeni sotto un regime totalitario è doveroso, per il popolo armeno, per la Chiesa, per la famiglia umana perché il monito che viene da questa tragedia ci liberi dal ricadere in simili orrori. Quel massacro fu un vero martirio. Sentiamo il grido di tanti fratelli e sorelle che, per la fede in Cristo o l’appartenenza etnica, sono uccisi, decapitati, crocifissi, bruciati vivi, costretti ad abbandonare la loro terra. Basta conflitti e violenze fomentate strumentalizzando le diversità etniche e religiose. Si riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco».

Ma la Turchia si ostina a negare e non vuol sentir parlare di «genocidio». L’11 dicembre 1946 l’assemblea delle Nazioni Unite (risoluzione 96) riconosce «il crimine di genocidio, negazione del diritto alla vita di gruppi umani, razziali, religiosi, politici o altri, che siano stati distrutti in tutto o in parte». Il termine è coniato da Raphael Lemkin, giurista polacco (1944). In risposta alle parole di Papa Bergoglio, il ministero degli Esteri convoca mons. Antonio Lucibello, nunzio apostolico ad Ankara, e gli esprime «il disappunto del governo. Le dichiarazioni del papa non sono fondate su dati storici e sono inaccettabili». Nominare in pubblico il genocidio è punito con tre anni di carcere in quanto «gesto anti-patriottico e vilipendio dell’identità turca»: per questo molti sono perseguitati, tra cui lo scrittore Orhan Pamuk, Premio Nobel per la letteratura 2006, e il giornalista armeno Hrant Dink, ucciso da un ultranazionalista. Nel 2014 il primo ministro Recep Tayyip Erdogan, poi presidente-dittatore, con un gesto a sorpresa, esprime le condoglianze «ai nipoti degli armeni uccisi». Le cifre sono discordanti: secondo l’Armenia le vittime sono almeno 1 milione e mezzo; secondo la Turchia 300 mila: secondo l’Associazione internazionale degli studiosi di genocidi sono «oltre un milione». Riconoscono il genocidio armeno: Argentina, Armenia, Belgio, Canada, Cile, Cipro, Francia, Grecia, Italia, Lituania, Libano, Paesi Bassi, Parlamento europeo, Slovacchia, Stato Città del Vaticano, Svezia, Uruguay, Venezuela. Il Congresso degli Stati Uniti nel marzo 2010 approva la risoluzione che ne chiede il riconoscimento, ora è avvenuto.

Un secolo fa a Torino trovano accoglienza anche i profughi armeni. A Roma Pio XI mette a disposizione dei profughi la residenza estiva di Castel Gandolfo. Don Adolfo Barberis, segretario del cardinale arcivescovo di Torino Agostino Richelmy, un vulcano di attività, in una lettera descrive l’accoglienza: «Si ripetono un poco le opere di carità di Lourdes, in beneficio dei poveri profughi, nell’Istituto Sant’Anna. Si vanno ad accogliere alla stazione donne e fanciulli a tutte le ore della notte: si dà loro da mangiare e da bere, poi un poco di materasso per riposare, una benedizione, spesso Messa, confessione e Comunione, poi si mandano a spasso nel nome del Signore, e si accolgono altri».

 

 

 


Armeni e curdi, la sfida Usa a Erdogan (Il Giornale 31.10.19)

New York. A due settimane dalla visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan alla Casa Bianca, la Camera Usa assesta un doppio schiaffo bipartisan ad Ankara, approvando a larghissima maggioranza una risoluzione che riconosce il genocidio armeno e un’altra che chiede al presidente americano Donald Trump di imporre sanzioni alla Turchia e ai suoi dirigenti per l’offensiva nella Siria settentrionale.

La mossa ha mandato su tutte le furie Erdogan: «Questa accusa è il più grande insulto alla nostra nazione», ha detto del documento che riconosce formalmente il genocidio armeno per mano dell’impero ottomano durante la prima guerra mondiale. «La risoluzione non ha alcun valore», ha precisato, mentre l’ambasciatore statunitense ad Ankara David Satterfield veniva convocato al ministero degli Esteri per vedersi contestare una misura «priva di qualsiasi base storica o legale».

Il premier armeno Nikol Pashinian, invece, lo ha definito un voto «storico», e ha ringraziato per quello che ritiene un «passo audace verso la verità e la giustizia storica che conforterà milioni di discendenti dei sopravvissuti al genocidio». «In questo modo onoriamo la memoria delle vittime e diciamo mai più», ha scritto su Twitter l’ex vice presidente Joe Biden, candidato alle primarie democratiche del 2020. La risoluzione, non vincolante, invita a «commemorare il genocidio armeno» e a «rifiutare i tentativi di associare il governo americano alla sua negazione», nonché a educare sulla vicenda. E segue quella di una trentina di paesi, tra cui l’Italia, e di 49 su 50 degli stati Usa, dove vivono due milioni di americani di origine armena. Sulle due risoluzioni ora si dovranno esprimere prima il Senato e poi lo stesso Trump, che con l’annuncio della tregua in Siria ha revocato le sanzioni ad Ankara.

La sfida alla Turchia da parte della Camera Usa arriva sullo sfondo della battaglia per l’impeachment, alla vigilia del voto di oggi dei deputati per formalizzare le procedure della messa in stato di accusa per la prossima fase dell’indagine. Per i dem la mossa «assicurerà trasparenza e fornirà una strada chiara per andare avanti». Il documento, che «stabilisce le procedure per le udienze», richiede in primis audizioni pubbliche, e la speaker Nancy Pelosi in una lettera ai democratici ha scritto: «Stiamo prendendo questa misura per eliminare ogni dubbio sul fatto che l’amministrazione Trump possa trattenere i documenti, bloccare la testimonianza di testimoni, ignorare mandati puntualmente autorizzati o continuare a ostruire la Camera». Nel frattempo il colonnello Alexander Vindman, il massimo esperto di Ucraina nel National Security Council, ha testimoniato ieri alla Camera affermando che la trascrizione della telefonata in cui il tycoon chiese al presidente ucraino Zelensky di indagare i Biden ha omesso parole e frasi cruciali. Secondo quanto riferito dal New York Times, che ha citato tre fonti informate, Vindman ha riferito come le omissioni comprendessero l’affermazione che c’era una registrazione dell’ex numero due di Barack Obama mentre discuteva della corruzione ucraina. Oltre ad una menzione esplicita da parte di Zelensky relativa a Burisma, la società del gas nel cui board sedeva il figlio di Biden. L’ufficiale ha sostenuto che provò a cambiare la trascrizione del colloquio preparata dallo staff della Casa Bianca, ma che mentre alcune sue correzioni ebbero successo le altre due non furono fatte.


Gli Usa, la Turchia e i curdi. Genocidio armeno: ora di verità e di scontento (Avvenire 31.10.19)

Se fossero cittadini della Turchia, 405 americani sarebbero oggi in guai seri. Tanti sono, infatti, i deputati che, sui 435 totali e quindi in maniera del tutto bipartisan, hanno votato perché le stragi di armeni compiute dagli ottomani nel 1915, con oltre un milione e mezzo di vittime, siano riconosciute come un “genocidio”. Parola che le autorità turche non vogliono sentir pronunciare. Mai. In nessun contesto.

Tanto che l’articolo 301 del codice penale nazionale prevede l’arresto e due anni di carcere per chi «offende lo Stato turco», in quella che pure è la versione riformata e mitigata nel 2008 di un articolo che invece prevedeva l’offesa «dell’identità turca». In questa tagliola nel 2005 incappò persino Orhan Pamuk, il più grande scrittore turco, l’unico premio Nobel per la letteratura del Paese, colpevole di aver pronunciato la parola proibita in un’intervista a una rivista svizzera.

I 405 deputati invece sono americani e hanno potuto decidere nel relativo agio di una piena democrazia. Nondimeno il pronunciamento è clamoroso e rovescia la lunga abitudine americana di aggirare il problema in omaggio al rapporto strategico con la Turchia, che per decenni è stata un’alleata decisiva, anche in seno alla Nato. Barack Obama aveva promesso di riconoscere il genocidio degli armeni nel 2008, durante la sua prima campagna per la presidenza, ma una volta eletto non aveva dato seguito concreto alle affermazioni di principio. Donald Trump aveva parlato di «atrocità di massa» pochi mesi dopo essersi insediato alla Casa Bianca, nell’aprile del 2017, ma si era ben guardato dall’usare il termine “genocidio”.

Adesso si cambia. E la svolta americana aggiunge un peso enorme alla non foltissima lista (29 Paesi) dei Paesi che hanno invece riconosciuto il genocidio. Lista di cui, accanto a Germania, Francia e Russia, fanno parte anche l’Italia e la Santa Sede, che ha sopportato in tempi recenti i tentativi di intimidazione che i vertici della Turchia di solito riservano a chi non si adegua al loro revisionismo nazionalista. Tipicamente, la convocazione dell’ambasciatore altrui e il ritiro del proprio. Come avviene ora con gli Usa. E come appunto avvenne quando papa Francesco, nel Messaggio agli armeni del 2015, nel centenario appunto del genocidio, citò la Dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e del patriarca Karekin II del 2001 per ricordare che l’immenso massacro degli armeni di un secolo prima era «generalmente definito come il primo genocidio del XX secolo».

Una immagine del genocidio armeno dall'archivio Ansa

Una immagine del genocidio armeno dall’archivio Ansa

Piacerebbe a tutti poter credere che i deputati americani abbiano deciso di voltar pagina in seguito a una riflessione storica e morale. Avendo magari ascoltato la voce dei gruppi di pressione armeni che, negli Usa, alternano alla forza dei documenti e delle testimonianze le prese di posizione di stelle e stelline della musica e del cinema. E in parte sarà senz’altro così. È impossibile, però, non scorgere anche la più vasta filigrana politica del pronunciamento parlamentare.

È grande negli Usa, soprattutto negli ambienti diplomatici e militari, lo scontento per le recenti decisioni di Donald J. Trump che, ritirando i soldati dal Nord Est della Siria, ha di fatto “invitato” Recep Tayyip Erdogan ad attaccare i curdi del Rojava. A tali ambienti poco importa che il capo della Casa Bianca abbia altri obiettivi strategici, per esempio contenere l’influenza iraniana, in omaggio ai quali nelle stesse ore ha rinforzato con migliaia di soldati le guarnigioni di stanza in Arabia Saudita. Per molti americani è inaccettabile che siano stati scaricati i curdi, alleato decisivo nella lotta contro il Daesh, e che nello stesso tempo si sia offerta alla Russia di Vladimir Putin l’occasione per espandere ancora il proprio ruolo in Medio Oriente.

Non a caso, le risoluzioni parlamentari sono state in realtà due. Quella sul genocidio e quella in cui, con un consenso di pochissimo inferiore, si chiede all’Amministrazione di adottare sanzioni punitive nei confronti dei dirigenti turchi. Il tutto alla vigilia della visita di Stato di Erdogan a Washington che era prevista per il 13 novembre ma che ora, a giudicare dalla reazione dello stesso Erdogan («Non ho ancora deciso») e del suo ministro degli Esteri Cavusoglu («Una decisione insignificante»), pare fortemente a rischio. Per ‘The Donald’, che dopo l’attacco turco aveva varato un pacchetto di flebili sanzioni quasi subito ritirate, è un momento di grande imbarazzo.

Pare evidente, infatti, che i fatti siriani delle ultime settimane siano il frutto di una triangolazione Usa-Russia-Turchia che la Casa Bianca è sola a difendere. Ora Trump deve scegliere tra la critica del Congresso che per di più sta per decidere l’apertura della procedura di impeachment e l’ira di Erdogan, mentre già sfuma tra le polemiche l’effetto da campagna elettorale dell’eliminazione di al-Baghdadi. Anche questa, con ogni probabilità, frutto della triangolazione di cui sopra, che gran parte dell’America non riesce proprio a digerire.


Usa riconosce genocidio armeno, Ankara: “Tentativo di ricattare la Turchia” (La Repubblica 31.10.19)

ANKARA – Il parlamento turco ha votato questa mattina una risoluzione in cui definisce “un tentativo di ricattare la Turchia” il testo approvato dalla Camera Usa, che ha riconosciuto come “genocidio” il massacro degli armeni del 1915. “Il parlamento turco condanna e non riconosce l’adozione da parte della Camera dei rappresentanti americana di un documento in cui si aderisce alla teoria del genocidio armeno. Una decisione che getta ombre su verità storiche e va a discapito dei membri del congresso che hanno mostrato saggezza e coscienza”. Queste le parole della risoluzione, firmata da quattro dei cinque partiti che siedono nel Parlamento turco: oltre al partito di governo Akp e agli alleati nazionalisti del Mhp, il documento è stato votato anche dai rappresentanti dell’opposizione del partito repubblicano, Chp, e dell’altro partito nazionalista, Iyi parti. Npon ha votato la risoluzione il Partito democratico dei Popoli, forza di sinistra e filo-curda.

La Camera dei rappresentanti Usa ha votato ieri a larghissima maggioranza a favore di due risoluzioni. La prima riconosce come “genocidio” il massacro della popolazione armena in Turchia negli anni compresi tra il 1915 e il 1916 ad opera dell’impero ottomano; tragici fatti di cui Ankara ha ammesso la veridicità definendolo “un fatto tragico”, ma su cui si rifiuta di usare la parola genocidio. Ci furono almeno 1,5 milioni di morti.

La seconda risoluzione contiene la proposta di sanzioni alla Turchia in seguito all’intervento militare nel nord-est della Siria e  arriva dopo che il 17 ottobre la Casa Bianca aveva annunciato che tutte le sanzioni in corso nei confronti della Turchia sarebbero state abolite.


 

Antonia Arslan: “Ma Erdogan persiste in un negazionismo feroce” (Famigliacristiana 30.10.19)

Gli Stati Uniti riconoscono finalmente il genocidio armeno. A due settimane dalla visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan alla Casa Bianca, i deputati americani hanno votato quasi all’unanimità la risoluzione che riconosce il genocidio degli armeni da parte dell’Impero ottomano fra il 1915 e il 1917. Una mossa politica, per punire l’intervento militare turco nel Nord della Siria. Erdogan, ovviamente, ha alzato la voce, il Governo di Ankara ha definito la risoluzione come una mossa “ad uso interno, priva di qualunque base storica e giuridica”. Ma la decisione statunitense segna una svolta epocale e un traguardo importantissimo, atteso da tanto tempo, per la comunità armena e non solo, come commenta Antonia Arslan, 81 anni, famosa scrittrice, traduttrice e docente padovana di origini armene, autrice di numerosi romanzi, a partire dal bestseller La masseria delle allodole, pubblicato nel 2004, portato sul grande schermo tre anni dopo dai fratelli Taviani.

Antonia Arslan, cosa rappresenta per gli armeni la risoluzione americana?

«Il riconoscimento del genocidio armeno avrebbe dovuto avvenire già tanti anni fa. Eppure persiste una tradizione di ignoranza e di grande negliglenza in relazione a questo tema che ha fatto sì che solo negli ultimi anni sia stato attuato il riconoscimento da parte di numerosi Paesi, con formule diverse di nazione in nazione, che con molta semplicità affermano che il primo sterminio di un popolo nel Novecento è realmente avvenuto. Eppure, purtroppo, il negazionismo stolto, feroce del Governo turco continua a rifiutare l’evidenza. A breve arriva in Italia il libro di un grande storico turco, Taner Akçam, fra i primi accademici nel suo Paese a parlare apertamente di genocidio degli armeni, e per questo incarcerato, poi costretto a fuggire dal suo Paese. Oggi vive e insegna negli Stati Uniti. Akçam ha analizzato i famosi telegrammi dell’allora ministro degli Interni turco Talaat Pasha in cui veniva ordinato chiaramente lo sterminio degli armeni e ha dimostrato, con un lavoro di analisi enorme e minuzioso, che quei documenti erano assolutamente veri, prove non confutabili del genocidio. Il libro si intitola Killing orders, ordini di sterminio, e uscirà in Italia per Guerini editore».

Pensa che oggi in Italia la conoscenza e la consapevolezza sul tema del genocidio armeno siano abbastanza diffuse, in particolare fra le nuove generazioni?

«Proprio su questo tema l’Italia rappresenta un caso oggetto di studio. Nel nostro Paese vive una minoranza esigua di armeni – solo poche migliaia di persone –  e non particolarmente famosa o influente. Eppure gli italiani, negli ultimi vent’anni, hanno ampliato la loro conoscenza dell’Armenia e degli armeni in modo straordinario. In parte questo fenomeno è dovuto – e lo ammetto con orgoglio e con gioia – al successo del mio romanzo La masseria delle allodole, che è arrivato alla trentanovesima edizione ed è stato adottato come lettura in tante scuole. E’ passata anche l’idea del confronto tra il primo e il secondo genocidio del Novecento – quello degli armeni e quello degli ebrei – fra i quali sono emersi tanti collegamenti. Gli italiani oggi viaggiano tantissimo in Armenia: l’Italia rappresenta il terzo Paese per numero di turisti. L’Armenia è diventata una meta molto affascinante, per chi visita i monasteri, per chi va alla scoperta della natura o a fare trekking sulle montagne. Io ci torno un paio di volte all’anno».

La Chiesa cattolica è sempre stata molto sensibile al tema dello sterminio del popolo armeno. Papa Francesco nel 2016 durante la sua visita in Armenia ha parlato di genocidio.

«Facendo una veloce carrellata storica, è importante ricordare che il Vaticano si è comportato molto bene nei confronti del popolo armeno con diversi Papi. Nel 1915 Benedetto XV scrisse una lettera al sultano ottomano nella quale si legge la frase: “quel miserabile popolo armeno che viene condotto quasi all’estinzione”, definendo così la volontà di sterminio da parte dei turchi.  Il primo a parlare esplicitamente di genocidio è stato Giovanni Paolo II nel 2001, in occasione della ricorrenza dei 1700 anni dalla conversione degli armeni al cristianesimo.  Benedetto XVI, pur non parlando di genocidio, ha compiuto un atto molto importante: ha aperto gli archivi segreti vaticani, dai quali è venuto fuori di tutto sullo sterminio, facendo infuriare la Turchia».

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Gambero Rosso – Armenia. Nella giovane repubblica un vino millenario diventa occasione di sviluppo

 

 

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