IRAN. Russia e Armenia inviano aiuti umanitari per i danni delle inondazioni (Agcnews.eu 07.04.19)

Il ministero delle Emergenze russo, insieme al ministero delle Emergenze armeno, hanno iniziato a consegnare aiuti umanitari all’Iran colpito dalle inondazioni, riporta l’agenzia di stampa Mehr. Le spedizioni di aiuti umanitari saranno inviate dal Russian-Armenian Humanitarian Response Center in Armenia all’Iran e saranno consegnate alla Società iraniana della Mezzaluna Rossa nella città settentrionale di Rasht, ha detto il 6 aprile il ministero russo delle Emergenze.

Riferendosi allo stretto rapporto tra le due parti, riporta Panarmenian, e al continuo contatto del ministero russo delle situazioni di Emergenza con l’Ircs sulle necessità della popolazione nelle zone colpite dalle inondazioni, il primo Ministro russo Dmitry Medvedev ha ordinato al Ministero di inviare aiuti umanitari per aiutare a salvare i danni.

In precedenza, gli iraniani che vivono in Russia e l’ambasciata iraniana a Mosca si sono uniti all’Ircs per aiutare le vittime delle recenti inondazioni nel paese. Piogge eccezionalmente pesanti dal 19 marzo hanno inondato circa 1.900 città e villaggi in tutto l’Iran, causando 70 vittime e migliaia di altri feriti, secondo il ministro degli interni Rahmani Fazli, e causando centinaia di milioni di dollari di danni all’agricoltura iraniana. Le inondazioni hanno colpito diverse province del nord e dell’ovest del paese, tra cui Golestan, Mazandaran, Lorestan e Khuzestan.

«In risposta alla richiesta dell’Iran e in collaborazione con il ministero delle situazioni di Eemergenza armeno, è stato inviato un aiuto umanitario per le persone colpite dalle inondazioni”, si legge nella dichiarazione del ministero russo delle situazioni di Emergenza, riporta Irna. 

Il ministero ha inviato quattromila tende, coperte e letti pieghevoli alla sua stazione regionale nella capitale armena Yerevan. Il governo russo ha creato il centro nella città nel 2015, nel tentativo di servire come base regionale per gli aiuti umanitari all’Armenia e ai paesi limitrofi. 

Le inondazioni improvvise hanno devastato le province iraniane settentrionali, occidentali e sudoccidentali; in precedenza, l’ufficio dell’Unicef in Iran ha annunciato che le forniture iniziali sono già in viaggio verso l’Iran per aiutare il ministero della Salute a garantire che i servizi di immunizzazione e di nutrizione infantile siano rapidamente ripristinati nelle diverse province colpite dalle inondazioni. Anche la Germania, la Francia e la Svizzera hanno inviato aiuti. 

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Delegazione dell’APN cinese in Armenia (crionline 07.04.19)

Dal 4 al 6 aprile il vice presidente del Comitato permanente dell’Assemblea Popolare Nazionale cinese Shen Yueyue ha visitato l’Armenia, su invito del Congresso Nazionale armeno, a capo di una delegazione e ha avuto incontri rispettivamente con il presidente del paese Armen Sarkissian, il premier Nikol Pashinyan, e con il presidente e il vice presidente del Congresso Nazionale, Ararat Mirzoyan e Lena Nazaryan.Shen Yueyue ha dichiarato che la Cina intende approfondire la cooperazione pragmatica con l’Armenia in vari settori, sfruttando a tal fine l’iniziativa Belt and Road avanzata dal presidente cinese Xi Jinping. Shen Yueyue ha affermato inoltre che gli organismi legislativi dei due paesi dovranno dare un attivo contributo al continuo approfondimento dello sviluppo delle relazioni bilaterali.

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La Turchia e il genocidio armeno (Corriere del Ticino 05.04.19)

Maddalena Ermotti-Lepori, candidata del PPD al Gran Consiglio

Leggo sul Corriere del Ticino di mercoledì scorso un’opinione elettorale dal titolo «La democrazia, l’Islam e la Turchia» in cui si ricorda che la Turchia moderna, nata sulle ceneri dell’Impero ottomano, ha compiuto massacri contro le opposizioni e gli altri popoli che reclamavano per i loro diritti, e si citano i massacri di Aleviti avvenuti nel 1921 e quelli, successivi, di curdi e di comunisti. Nulla di esplicito è però detto sul primo genocidio del XX secolo, che servì da modello a Hitler. Si tratta del massacro pianificato dal governo turco contro gli armeni, popolo che risiedeva in Anatolia dal settimo secolo avanti Cristo, e contro le altre minoranze cristiane. Il movente principale è da ricercarsi all’interno dell’ideologia panturchista, che ispira l’azione di governo dei Giovani Turchi, determinati a riformare lo Stato su una base nazionalista, e quindi sull’omogeneità etnica e religiosa. In nome di questa ideologia, nel 1915-1916 vennero massacrate in modo pianificato 1.500.000 persone: i due terzi degli armeni dell’Impero ottomano. E così, seguendo un preciso piano, dapprima i maschi adulti furono chiamati a prestare servizio militare, poi vennero disarmati e infine passati per le armi. A ciò fece seguito il rastrellamento e il massacro dell’élite armena di Costantinopoli, seguito poi dalla fase dei massacri e delle violenze indiscriminate sulla popolazione civile (per lo più anziani, donne e bambini). La fase finale del genocidio fu la deportazione sistematica della restante popolazione armena verso il deserto, in cui la maggioranza fu sterminata nel corso di vere e proprie marce della morte. Gli ottomani cancellarono dunque la comunità armena, cristiana, come soggetto storico, culturale e soprattutto politico. Negli anni successivi, quando ormai non vi erano più cristiani da perseguitare, anche altre minoranze furono perseguitate, e a loro va tutta la nostra solidarietà. Ci tengo dunque ad affermare con forza che tutte le minoranze vanno difese, senza dimenticarne nessuna. Bisogna fare memoria dei massacri affinché essi non abbiano più a ripetersi.

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L’arte italiana da Trieste all’Armenia (Imagazine 05.04.19)

Inaugurata presso la Galleria nazionale di Yerevan, in Armenia, la rassegna espositiva “La Forma del Colore: dal Rinascimento al Rococò. Tre secoli di grande arte italiana dalla Galleria nazionale d’arte antica di Trieste”. L’esposizione, che comprende una serie di capolavori provenienti dalla collezione della Galleria d’Arte Antica di Trieste, è curata da Luca Caburlotto, Rossella Fabiani, Dominique Lora e resterà aperta fino all’ 11 giugno 2019.

Il nucleo principale della collezione della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Trieste è costituito dalla Collezione Mentasti, acquistata dallo Stato italiano tra il 1955 e il 1957 e comprendente dipinti inediti che attraversano tre secoli di pittura sacra, dalla Controriforma al Rococò, suddivisi in altrettanti momenti espositivi. Ad un primo momento – come scrive in catalogo la curatrice Dominique Lora – appartiene “lo spettacolo della fede”, ovvero dell’arte controriformistica centrata sul potere educativo e ispiratore delle arti visive al quale rimandava la Chiesa incoraggiando la produzione di immagini iconografiche drammatiche e suggestive per impressionare l’osservatore.

Superando il valico iconografico tra Riforma e Controriforma, molti artisti riuscirono – grazie al loro genio – a sviluppare nuovi linguaggi, eludendo gli artigli dell’Inquisizione e generando nuove forme di espressione spirituale. In tale contesto, il Cristo morto sorretto dall’Angelo eseguito da Domenico Robusti, figlio di Jacopo Tintoretto nel 1595 ca., è una composizione nodale e di grande sensibilità cromatica, dalla quale emerge il corpo bianco e luminoso del Cristo morto abbandonato tra le braccia dell’angelo. Un’immagine che incarna un vero e proprio trait d’union tra lo spirito rinascimentale del Cristo in Pietà sorretto dall’angelo di Antonello da Messina del 1476-78 (Museo del Prado) e la formidabile e struggente immagine del Cristo deposto di Bernini – qui esposto – probabilmente realizzato tra il 1660 e il 1670, in cui il grande regista del Barocco romano cattura e coinvolge completamente lo spettatore in un primo piano privo di sfondo e di ornamenti, saturo di intensa e dolorosa umanità. Diversamente innovativa è invece La visione di san Gerolamo della bottega del Guercino che introduce una nuova pittura realista e coinvolgente, realizzata per mezzo di effetti chiaroscurali e giochi luministici inediti.

Il secondo momento espositivo è centrato sul Barocco e “l’iconografia della luce”. Se la Controriforma aveva tentato di imporre norme estetiche e culturali per controllare la produzione artistica, l’impulso sperimentale e inarrestabile di grandi maestri come Annibale Carracci, Caravaggio, Pieter Paul Rubens e Anthony Van Dyck avevano invece gettato le fondamenta per la creazione di un nuovo linguaggio, che, oscillando tra realismo e classicismo, diede origine ad un movimento artistico e culturale rivoluzionario. Vero e proprio dialogo tra reale e sovrannaturale, tra superfluo e necessario, il Barocco si sviluppò dapprima a Roma, orchestrato da Giovan Lorenzo Bernini e potenziato, tra gli altri, da Pietro da Cortona, Andrea Pozzo, Baciccio e Andrea Sacchi. Incarnando l’apparato comunicativo, morale e spirituale della Chiesa cattolica, questo movimento proteiforme si diffuse attraverso la penisola italiana influenzando il fare artistico di pittori eclettici e poliedrici quali Domenico Fetti (San Francesco in meditazione), Vincenzo Spisanelli (La chiamata di sant’Andrea), Simone Brentana (Giuditta e Oloferne) o Francesco Maffei (La liberazione dell’ossessa), oltrepassando infine i confini italiani, da Parigi a Vienna, da Praga a San Pietroburgo, fino a raggiungere il continente Sud Americano.

Al terzo e ultimo nucleo del percorso espositivo appartiene il “Rococò: tra ragione e sentimento”. A cavallo tra XVI e XVII secolo, la sperimentazione artistica si concentra su dicotomie quali ragione e sentimento, oggettivo e soggettivo, regola e libertà. L’artista afferma l’indipendenza dell’arte e sostiene la propria libertà creativa. Tra i grandi interpreti del movimento Rococò vi sono: Nicola Grassi (Maddalena e Annunciazione), Domenico Zorzi (La Vergine appare a San Gaetano), Francesco Fontebasso (La Vergine appare a san Gerolamo), Francesco Cappella detto Daggiù (Madonna con bambino) e – a rappresentanza della scuola romana – Pompeo Batoni (La Vergine con il bambino e san Giovanni Nepomuceno). Particolarmente emblematica di questo periodo è l’opera di Carlo Innocenzo Carloni (Scaria d’Intelvi 1686/87 -1775) raffigurante La Gloria di San Filippo Neri.La composizione è un bozzetto preparatorio (forse in vista degli affreschi per la chiesa di san Filippo di Lodi) e incarna pienamente lo spirito Rococò nella sua ampia e aerea composizione, arricchita dall’uso di colori preziosi e brillanti e in cui una moltitudine di personaggi si muovono attraverso arditi scorci prospettici. La maniera del Carloni sconfina nel “Rococò internazionale”, il gusto di cui Giovanni Battista Tiepolo fu l’indiscusso protagonista.

La mostra “La Forma del Colore: dal Rinascimento al Rococò. Tre secoli di grande arte italiana dalla Galleria nazionale d’arte antica di Trieste” offre dunque allo spettatore una visione unitaria all’interno di unico percorso espositivo delle scuole che si svilupparono nell’Italia settentrionale a partire della seconda metà del Rinascimento fin quasi al termine del XVIII secolo. Come un microcosmico Grand Tour della grande arte italiana, la mostra presenta un numero di capolavori particolarmente rappresentativi delle maggiori scuole del nord Italia incluse Bologna (Guercino, Giuseppe Maria Crespi), Genova (Giovanni Battista Paggi, Bernardo Strozzi, Gioacchino Assereto, Giovanni Francesco Castiglione), la Lombardia (Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, Pier Francesco Cittadini detto il Milanese), il Veneto (Bonifacio De Pitati, Jacopo e Domenico Tintoretto, Carlo Caliari, Jacopo Bassano, Francesco Maffei, Nicola Grassi, Francesco Fontebasso, Antonio Canaletto), Mantova (Giuseppe Bazzani). Ad arricchire la narrativa e la dialettica del progetto espositivo vi sono inoltre alcune opere realizzate da grandi maestri stranieri o provenienti da altre regioni italiane come Pieter Paul Rubens (Fiandre), Giovan Lorenzo Bernini, Pietro da Cortona e Pompeo Batoni (Roma) e Francesco Solimena (Napoli).

La mostra consolida le relazioni culturali bilaterali evidenziando, tra l’altro, l’importante legame con Trieste, città cosmopolita e porto franco dove la colonia armena ha acquisito, fin dal Settecento, un ruolo di fulcro per produzione culturale ed intensità di scambi commerciali con l’Italia. Così scrivono, infatti, i curatori nel catalogo della mostra: “Dopo l’arrivo a Trieste dei primi padri mechitaristi, nella prima metà del Settecento, la Nazione armena si sviluppa grazie all’emanazione il 30 maggio 1775 del diploma imperiale di Maria Teresa d’Asburgo, che concede il riconoscimento ufficiale all’ordine dei padri mechitaristi, favorendo l’insediamento della comunità armena; con il diploma i monaci vengono riconosciuti quali sudditi austriaci e ricevono in concessione la chiesa dei Santi Martiri.L’incrociarsi di etnie, di culture, di religioni e il dinamico sviluppo economico favoriscono lo sviluppo della cultura e la nascita delle raccolte di intenditori e amatori d’arte, espressione del nuovo capitalismo ottocentesco: sono coloro che, tra l’altro, daranno vita, con le loro donazioni, ai civici musei cittadini portando all’inaugurazione, nel 1957, della Galleria nazionale d’arte antica di Trieste”.

La rassegna espositiva è realizzata dall’Ambasciata d’Italia a Yerevan in collaborazione con il Ministero della Cultura e con il patrocinio del Primo Ministro della Repubblica d’Armenia.

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“LA FORMA DEL COLORE” A JEREVAN

“LA FORMA DEL COLORE” A JEREVAN

JEREVAN\ aise\ – Una mostra destinata a lasciare il segno. “La forma del colore, da Tintoretto a Canaletto”, che si apre oggi a Jerevan, rappresenta un percorso straordinario, che si snoda per tre secoli dal Rinascimento al Rococò, attraverso 55 opere che arrivano in Armenia dalla Galleria Nazionale d’Arte Antica di Trieste.
Un progetto culturale frutto della collaborazione tra l’Ambasciata d’Italia, la Galleria Nazionale di Armenia, che ospita la mostra fino al 16 giugno, il Polo Museale del Friuli-Venezia Giulia e la Galleria Nazionale di Arte Antica di Trieste.
A sottolineare l’importanza dell’evento il patrocinio del Premier armeno Nikol Pashinyan, presente all’inaugurazione insieme al Presidente dell’Assemblea Nazionale, Ararat Mirzoyan, all’ambasciatore Vincenzo Del Monaco e ad una nutrita delegazione parlamentare italiana guidata dall’On. Maurizio Lupi.
La mostra offre una visione delle Scuole che fiorirono nel Nord Italia a partire dalla seconda metà del Rinascimento e che si consolidarono sulla scia della Controriforma.
Un giro d’orizzonte sull’arte che collega Trieste e Venezia, Milano e Genova, che da Bologna si snoda sino alla Roma di Giovan Lorenzo Bernini, e poi alle Fiandre di Pieter Paul Rubens. L’esposizione rende omaggio al tempo stesso agli Armeni, per il loro contributo alla fioritura sociale ed economica delle comunità in Italia dove essi si stabilirono, integrandosi perfettamente. La selezione delle opere segue infatti la presenza armena in ciascuna di quelle città. (aise) 


Jerevan: ‘La forma del colore’ alla Galleria Nazionale

Una mostra destinata a lasciare il segno. “La forma del colore, da Tintoretto a Canaletto” che si apre oggi a Jerevan, rappresenta un percorso straordinario, che si snoda per tre secoli dal Rinascimento al Rococò, attraverso 55 opere che arrivano in Armenia alla Galleria Nazionale d’Arte Antica di Trieste.

Un progetto culturale frutto della collaborazione tra l’Ambasciata d’Italia, la Galleria Nazionale di Armenia, che ospita la mostra fino al 16 giugno, il Polo Museale del Friuli-Venezia Giulia e la Galleria Nazionale di Arte Antica di Trieste.

A sottolineare l’importanza dell’evento il patrocinio del Premier armeno Nikol Pashinyan, presente all’inaugurazione insieme al Presidente dell’Assemblea Nazionale, Ararat Mirzoyan, all’ambasciatore Vincenzo Del Monaco e ad una nutrita delegazione parlamentare italiana guidata dall’On. Maurizio Lupi.

La mostra offre una visione delle Scuole che fiorirono nel Nord Italia a partire dalla seconda metà del Rinascimento e che si consolidarono sulla scia della Controriforma. Un giro d’orizzonte sull’arte che collega Trieste e Venezia, Milano e Genova, che da Bologna si snoda sino alla Roma di Giovan Lorenzo Bernini, e poi alle Fiandre di Pieter Paul Rubens. L‘esposizione rende omaggio al tempo stesso agli Armeni, per il loro contributo alla fioritura sociale ed economica delle comunità in Italia dove essi si stabilirono, integrandosi perfettamente. La selezione delle opere segue infatti la presenza armena in ciascuna di quelle città.

Ambasciata d’Italia  Jerevan

https://ambjerevan.esteri.it/ambasciata_jerevan/it/


Cultura: Armenia, oggi inaugurazione mostra “La forma del colore: da Tintoretto a Canaletto”
Erevan, 05 apr 14:47 – (Agenzia Nova) – E’ in programma per oggi a Erevan l’inaugurazione della mostra “La forma del colore: da Tintoretto a Canaletto”. Si tratta di importante evento culturale, organizzato con il patrocinio del primo ministro armeno Nikol Pashinyan, che sarà presente all’inaugurazione insieme al direttore della Galleria nazionale Arman Tsaturyan, all’ambasciatore italiano a Erevan Vincenzo Del Monaco, ed ad una delegazione parlamentare italiana in visita nel paese del Caucaso. La mostra è composta di 55 opere provenienti dalla Galleria nazionale d’arte antica della città di Trieste, offrendo un percorso artistico che si snoda dal Rinascimento al Rococò; un giro d’orizzonte sull’arte che collega Trieste e Venezia, Milano e Genova, che da Bologna si snoda sino a Napoli e poi alla Roma di Giovan Lorenzo Bernini, infine alle Fiandre di Pieter Paul Rubens. La mostra vuole essere al contempo un omaggio agli armeni, per il loro contributo alla fioritura sociale ed economica delle comunità in Italia dove essi si sono stabiliti e integrati. (Res)

Etiopia-Armenia: presidente Zewde incontra ministro Esteri armeno Mnatsakanyan (Agenzia Nova 04.04.19)

Addis Abeba, 04 apr 10:59 – (Agenzia Nova) – Il presidente etiope Sahle-Work Zewde ha ricevuto il ministro degli Esteri dell’Armenia, Zohrab Mnatsakanyan, in visita ufficiale in Etiopia. Al centro dei colloqui, secondo quanto riferisce l’emittente “Fana”, ci sono state le relazioni bilaterali, la presenza della comunità armena presente ad Addis Abeba e il ruolo delle donne nella società e nei processi decisionali. In precedenza Mnatsakanyan aveva incontrato il ministro di Stato etiope per gli Affari esteri, Markos Tekle, con il quale aveva firmato un memorandum d’intesa per stabilire una consultazione politica periodica tra i due paesi. Le due parti hanno quindi concordato di rafforzare le relazioni bilaterali nelle aree del commercio e degli investimenti e di instaurare una cooperazione in una serie di settori, tra cui la scienza e la tecnologia, la salute e l’istruzione. Il ministro Mnatsakanyan, da parte sua, ha elogiato il programma di riforme avviato dal governo dell’Etiopia e il ruolo svolto da Addis Abeba nella promozione della pace e della stabilità regionali, affermando che l’Armenia è pronta a condividere la sua esperienza con l’Etiopia per quanto riguarda l’istruzione e l’innovazione nell’istruzione superiore e ad aprire un’ambasciata in Etiopia, nel tentativo di rafforzare ulteriormente i legami bilaterali tra i due paesi. (Res)

Erasmus per giovani imprenditori: premiati a Bruxelles un armeno ed un greco (lobbiettivoonline.it- 03.04.19)

In occasione del decimo anniversario del programma Erasmus per giovani imprenditori (Erasmus for Young Entrepreneurs), a Bruxelles due imprenditori hanno ricevuto prestigiosi premi: Nelly Davtyan (Armenia) è stato selezionato come “imprenditore del decennio” e Ioannis Polychronakis (Grecia) come “imprenditore ospitante del decennio”.

L’EYE ha contribuito a costituire oltre 7000 partenariati tra imprenditori neofiti ed esperti in tutta l’UE. Sono stati ben 14.000 gli imprenditori coinvolti nei partenariati, che hanno permesso loro di lanciare una nuova impresa, apprendere nuove competenze, creare nuovi prodotti e servizi ed espandersi verso nuovi mercati.

“Il mercato unico è la risorsa più importante di cui disponiamo – ha dichiarato la Commissaria Elzbieta Bieńkowska, responsabile per il Mercato unico, l’industria, l’imprenditoria e le PMI – È particolarmente importante per i nostri imprenditori, in quanto consente loro di lanciare un’impresa, crescere e travalicare i confini. Sono lieta che disponiamo di un programma che consente loro di beneficiare maggiormente del mercato unico. Per questo motivo ci stiamo espandendo verso nuove sedi e abbiamo proposto ulteriori finanziamenti a partire dal 2021”.

Il programma EYE facilita lo scambio di esperienze imprenditoriali e gestionali in tutta Europa e oltre, abbinando un imprenditore neofita o un potenziale imprenditore a un imprenditore di provata esperienza che gestisce una piccola impresa in un altro paese. Lo scambio è cofinanziato nell’ambito del programma COSME, il programma europeo per le piccole e medie imprese. Solo tra il 2014 e il 2016, grazie a EYE sono state create oltre 250 nuove imprese e più di 2.000 posti di lavoro.

Per saperne di più sul programma EYE, consultare il sito web e l’opuscolo sul decimo anniversario del programma EYE.

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Nagorno Karabakh: artisti di frontiera (Osservatorio Balcani & Caucaso 03.04.19)

“Per noi, creare significa sopravvivere. A volte evitiamo addirittura di comprare determinate cose, così abbiamo soldi per la nostra arte”, afferma Satenik Hayiryan. Satenik è una stilista e vive con il marito Serob Mamunts, un ceramista. Questa coppia di appena 28 anni si è preposta un obbiettivo ambizioso: aiutare la rinascita della vita artistica nello stato non riconosciuto del Nagorno Karabakh. Tuttavia, per molti abitanti in questo territorio montuoso, che è tecnicamente ancora in guerra con il vicino Azerbaijan, le priorità restano la sicurezza e la difesa nazionale.

Serob e Satenik si sono incontrati all’università e si sono sposati durante l’ultimo anno dei loro studi, a 23 anni. La coppia si è trasferita per lavoro diverse volte nei primi 6 anni di matrimonio; Serob proviene da Martakert, nell’estremo nord del Karabakh, solamente 4-5 chilometri dalla linea del fronte.

Entrambe le loro vite sono state toccate dal conflitto. Serob ha perso il padre durante la feroce guerra che è infuriata in quest’area negli anni ’90, guerra a cui attribuisce la responsabilità di aver cambiato profondamente la sua prospettiva sulla vita e sulla sua passione più grande: l’arte. La moglie di Serob, Satenik, proviene dal villaggio di Sghnakh nel sud del Karabakh. Dopo il matrimonio si è trasferita nella città natale di Serob per due anni, dove ha trovato lavoro insegnando arte in una scuola locale. Nell’aprile 2016 il conflitto è scoppiato nuovamente e quest’area di frontiera ha subito pesanti bombardamenti. Satenik, allora incinta del loro primo figlio, è stata evacuata da Martakert il 2 di aprile: “Quei fatti hanno cambiato la mia visione del mondo, nonostante non abbia ancora creato qualcosa a tema militare”, sottolinea Satenik. “La guerra è un argomento molto sensibile e ognuno gli si deve rapportare con cautela”. Dopo quest’esperienza, Satenik ha giurato di rimanere nel Karabakh, che ritiene essere la propria casa.

Dopo un breve periodo a Stepanakert, la capitale, la coppia si è recentemente trasferita nella città storica di Shushi, dove si trova a ricominciare tutto da zero. “Dal 2012 stiamo lavorando al Centro di Riabilitazione Lady Cox (chiamato così in onore della baronessa Caroline Cox, membro della Camera dei Lord britannica e sostenitrice della causa armena durante gli anni della guerra degli anni ’90, ndr). Tengo un corso terapico di arte ceramica sia per bambini che per adulti con disabilità fisiche e psichiche. Satenik insegna a creare bambole”, spiega Mamunts, che ha dovuto cercare un secondo lavoro a seguito della nascita del secondo figlio.

Artisti come Serob e Satenik devono solitamente trovare altri lavori per arrivare a fine mese. Per lo stesso motivo, gli artisti del Karabakh devono spesso scegliere tra la loro passione o il loro paese: molti finiscono per trasferirsi nella capitale armena Yerevan, dove vedono opportunità migliori per accrescere le loro capacità, anche attraverso una comunità artistica più attiva.

Per quelli che rimangono nel Karabakh, l’industria del turismo è un’importante ancora di salvezza. Mentre solo pochi abitanti del posto hanno abbastanza soldi da spendere nell’arte, i turisti invece lo possono fare. Questo permette agli artigiani locali di guadagnare dei soldi extra durante i mesi estivi ed è un mercato cruciale per manufatti tradizionali, tappeti riccamente decorati e i Kilim per cui il Karabakh è famoso. Di conseguenza i diplomati dai pochi istituti artistici del territorio, come l’accademia di belle arti dell’Università di Artsakh nella capitale e l’Istituto di arte applicate Hagop Gyurjyan a Shushi, spesso finiscono con l’utilizzare le proprie abilità per produrre manufatti da vendere ai turisti piuttosto che lavorare su opere d’arte.

L’arte è però qualcosa in più che la mera vendita e creazione di manufatti artigianali. Alcuni artisti del Karabakh si lamentano del fatto che il mancato riconoscimento del territorio li isoli completamente dagli ultimi trend artistici internazionali. Con poche eccezioni, come il Festival internazionale di arte moderna del Karabakh, la maggior parte degli artisti provenienti dall’estero che presentano i propri lavori in Karabakh provengono dalla diaspora armena, che sostiene finanziariamente e politicamente il territorio. La ragione è semplice: coloro che mettono piede qui e rendono pubblica la loro presenza (obbligatorio per qualsiasi aspirante artista) rischiano di essere messi sulla lista nera azera, con la conseguente negazione dell’ingresso in Azerbaijan.

Sarine Hayiryan (non è parente di Satenik) è una ex giornalista culturale che ora lavora come organizzatrice di eventi al Roots Life Center, un’istituzione culturale a Stepanakert. Lei non crede che il mancato riconoscimento del Karabakh possa avere effetti negativi sulla vita artistica del paese e evidenzia che per il terzo anno di fila la sua istituzione ha aiutato a creare una mostra itinerante di opere artistiche dal Nagorno Karabakh in varie città francesi.

Aggiunge che alcuni artisti internazionali hanno comunque affrontato con coraggio la lista nera azera e hanno esibito o svolto delle performance nel Karabakh; crede perciò che un migliore lavoro diplomatico possa superare qualsiasi problema politico. Sarine ritiene inoltre che parte del problema sia causato da bassi livello di sostegno finanziario per l’arte da parte dello stato. “Penso che il ministero della Cultura non debba aiutare gli artisti solamente attraverso l’acquisto di materiale per il loro lavoro, ma anche creando un’atmosfera e un ambiente migliori per loro,” spiega. “In passato promuovevano almeno dei seminari per artisti, mentre ora non lo fanno più. I nostri giovani artisti non hanno contatti con i loro colleghi all’estero”, aggiunge, mentre sottolinea che il Karabakh ha comunque organizzato alcuni eventi internazionali, tra cui festival di scultura e di musica classica. “Ci sono molti artisti talentuosi nel Karabakh e molti professionisti internazionali ammirano il loro lavoro. Queste persone creano ciò che possono, ma sfortunatamente non dureranno tanto. Prima o poi si arrenderanno,” conclude Sarine.

Dal suo budget annuale del 2019 di 113 miliardi di dram armeni, il governo del Nagorno Karabakh ne ha stanziati solamente 2.1 miliardi al ministero della Cultura, del Turismo e della Gioventù. A sua volta il ministero punta a spenderne solamente 224 milioni per eventi culturali. Ciononostante Lernik Hovhannisyan, ministro della Cultura, è irremovibile sul fatto che lo stato stia facendo del suo meglio per supportare la vita artistica. “Forniamo diversi tipi di aiuto. A volte il ministero invita artisti per coinvolgerli in alcuni eventi e ci sono casi in cui gli artisti stessi chiedono al ministero di aiutarli nell’organizzazione di eventi o convegni,” inizia a spiegare il ministro. “Nel 2019 stiamo pianificando di organizzare più di 10 eventi culturali con un budget totale di 104.5 milioni di dram [$214.108]. Questo bilancio include anche viaggi interni e all’estero, concorsi, mostre e altri eventi per i nostri artisti. Inoltre utilizzeremo 120 milioni di dram [$245.886] per la preservazione e il restauro di monumenti storici,” aggiunge Hovhannisyan.

In questo contesto, organizzazioni come quella di Sarine hanno iniziato a giocare un ruolo importante nel mantenere a galla la vita culturale del Karabakh. Non è una coincidenza che l’unico vernissage di Stepanakert, dove gli artisti locali vendono i loro prodotti, sia collocato esattamente di fianco al Roots Life Center, il quale organizza con frequenza mostre delle opere di artisti locali.

Non di minore importanza è il Centro Culturale Nazionale Armeno, con sede a Stepanakert. “Ci focalizziamo soprattutto nell’aiutare giovani artisti provenienti dalle aree rurali, specialmente dai villaggi di confine,” spiega la sua direttrice Hermine Avagyan. “Cerchiamo di trovare nuovi talenti e rendere la vita culturale più attiva, usando i nostri mezzi di comunicazione e finanziari per esporre opere di giovani artisti nel Karabakh, in Armenia e anche all’estero. Mostriamo il Karabakh al mondo attraverso il lavoro dei nostri artisti,” continua, aggiungendo che il centro sta per tenere una mostra nella capitale libanese, Beirut.

Ma qualunque siano gli sforzi, è difficile riuscire a vivere come artista in questo territorio. Ad oggi, il reddito annuale di Satenik e Serob è di solamente 190.000 dram (meno di 400$). Nel frattempo, il bilocale che la coppia ha affittato per sei mesi a Shushi, per cui pagano 40.000 dram (circa 82$), non ha nemmeno un angolo in cui svolgere il loro lavoro artistico. La loro arte è sparsa ovunque nella loro modesta casa. Vicino agli schizzi di Satenik sulle pareti della cucina sono appesi i primi tentativi artistici del figlio Hayk di 5 anni. Sotto questi gattona il loro figlio più giovane, Mihran, di 2 anni e mezzo.

Satenik afferma che lei è prima di tutto una stilista, solamente dopo una pittrice. “Tutto è iniziato con una piccola collezione di vestiti chiamata ‘Paraside Garden’. Li ho decorati con figure di uccellini comuni nei manoscritti armeni”, racconta Satenik. Durante gli anni è riuscita a costruire una cerchia di clienti che periodicamente le hanno ordinato diversi vestiti. Gli orizzonti di Satenik non finiscono ai confini non riconosciuti del Karabakh; tuttavia, nonostante la possibilità di Satenik di vendere i vestiti all’estero usando Internet, afferma che problemi finanziari e tecnici le hanno sino ad ora impedito di andare in quella direzione. “Mi piacerebbe molto avere un piccolo gruppo di persone che mi aiutino a realizzare un maggior numero di mie creazioni, visto che la richiesta sta aumentando,” spiega Satenik. “Poche persone capiscono il mio stile, e ovviamente non si può vivere solamente con i guadagni dal mio lavoro di stilista. Insegno anche alla scuola d’arte di Shushi e al collegio Arsen Khachatryan”, conclude.

Ad un primo sguardo questo collegio nella città di Shushi non è granché. E’ all’interno di una palazzina a tre piani, tutt’attorno solo mura, con erba e alberi che vi crescono all’interno. E’ avvenuto per molti edifici di Shushi, bruciati e bombardati durante gli anni della guerra (1991-1994). Serob insegna qui ceramica da ormai cinque anni. Ha iniziato a sperimentare con la ceramica nel 2012, mentre era ancora uno studente nell’Accademia di belle arti dell’Università statale di Artsakh. C’erano pochi professionisti nella ceramica a Artsakh allora e la situazione non è cambiata molto nonostante gli sforzi di Serob. “Sfortunatamente poche persone sono interessate alla ceramica. Molti dei miei studenti preferirebbero guadagnarsi da vivere come operai piuttosto che come ceramisti,” sospira.

Le pareti della sua aula sono decorate con le creazioni delle classi degli anni passati. Le sue finestre offrono una bellissima vista sulla cattedrale Ghazanchetsots del XIX secolo, uno dei pochi edifici di Shushi che è riemerso dalla guerra illeso. Serob non crea niente qui da solo. “Non ho un laboratorio separato. Lavoro soprattutto all’Istituto d’arte Naregatsi a Shushi. Lì ho insegnato l’arte della ceramica ai bambini per due anni,” spiega. “La scorsa estate il direttore dell’Istituto d’arte di Shushi Hayk Papyan ed io abbiamo promosso un primo ciclo di conferenze sull’arte della ceramica, a cui hanno partecipato 10 artisti dal Karabakh e diverse città dell’Armenia,” afferma Serob. “Questo è il nostro modo di sviluppare l’arte della ceramica nel Nogorno Karabakh e di rendere il Karabakh conosciuto nel mondo. Quest’anno le conferenze saranno internazionali”.

Anche l’arte di Satenik sta avendo successo, e con essa lei spera anche una piccola parte del Karabakh. Alla fine di questo mese, una delle gallerie più grandi di Beirut ospiterà la mostra “Artsakh In My Hand”, organizzata dal Centro Nazionale Culturale Armeno. L’evento mostra il lavoro di 14 artiste donne dal Karabakh, inclusa la collezione di Satenik. “La nuova collezione include elementi ornamentali armeni e delle pitture miniaturizzate. Questa volta farò del mio meglio per adeguarlo al gusto degli armeni della diaspora,” spiega Satenik. “Ho già un’idea generale; ora sto lavorando ai dettagli e alla scelta dei tessuti. E’ una buona opportunità per presentare la mia arte al di fuori del Karabakh e al di fuori dell’Armenia,” aggiunge.

Lo spettro della Guerra dei Quattro giorni, nome con il quale sono conosciuti gli scontri armati del 2016, aleggia ancora sul Karabakh. È stata una delle poche volte in cui Serob ha lasciato il suo lavoro incompleto e in cui non ha toccato l’argilla per diversi giorni. Ma anche in quei giorni, Serob non identificava l’inutilità dell’arte. “Ci sono delle difficoltà e dei limiti in tutto, dall’opportunità di fare mostre alla disponibilità dei materiali. Ciò però non significa che un artista deve smettere di creare,” conclude Serob.

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Armeni, Una Storia Millenaria a Il cinema e i Diritti (Spettakolo 02.04.19)

Fra il 1915 ed il 1923, approfittando della Prima guerra mondiale, il governo nazionalista dei Giovani Turchi di Costantinopoli (odierna Istanbul), mantenendo la politica spietata di dominio parassitario del distruttivo Impero Ottomano, fu responsabile della pianificazione dello sterminio estremamente crudele di quasi un milione e mezzo d’inermi armeni (uomini, donne, bambine e bambini) nell’attuale Turchia e nell’Armenia storica, usando anche allo scopo la minoranza curda: un crimine contro l’umanità che ha ispirato anche Adolf Hitler. In occasione della Giornata della Memoria del Genocidio Armeno, il 24 aprile, il cinetalk propone il docufilm che racconta la lunga storia del popolo armeno, delle sue terre stupende, dell’Armenia storica chiamata Eden dagli occidentali e vari aspetti caratteristici della sua cultura, provando, con il contributo di autorevoli testimoni ebrei, denunciatori del genocidio, a capire le ragioni profonde dell’odio contro questo popolo industrioso, creativo, pacifico e amante della bellezza. Gran parte del film è stato girato nell’affascinante e sui generis città di Fresno, nella favolosa California, con un tour delle stupende chiese della numerosa comunità armena locale. Ospite d’onore sarà il soprano Ani Balian, milanese armena, che subito dopo la proiezione terrà una conferenza multimediale dal vivo in cui, fra un brano musicale e l’altro (tutti brani salvati da un etnomusicologo armeno, Gomidàs), ci racconterà questa pagina di Storia ingiustamente poco nota nonostante la vastità della letteratura storico-scientifica. La coinvolgente performance sarà intermezzata dal racconto da parte dell’artista-divulgatrice e dalla recitazione delle stupende poesie dei giovani poeti armeni uccisi nel genocidio. Il documentario contiene altresì una strabiliante carrellata di armeni famosi, inventori come Steve Jobs e artisti (da Charles Aznavour al Premio Oscar Cher) e brevissimi estratti dai film Il Padre (mai uscito in Italia) e The Promise con il Premio Oscar Christian Bale. Gran finale con un dolcetto armeno in omaggio. Ingresso 15 euro.

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Genocidio Armeno – Memoria storica e riconoscimenti istituzionali (Assadakah 02.04.19)

pesso la commemorazione di un centenario rappresenta una formalità, un ricordo che dura il tempo di un solo giorno ma quella del genocidio degli Armeni, celebrata nel 2015, in Italia ha avuto un impatto rilevante che continua a produrre, anche a distanza di tempo, i suoi effetti. Ha avuto l’ottimo risultato di salvare dall’oblio una terribile pagina di storia sconosciuta alla stragrande maggioranza degli italiani, ciò anche grazie alle parole di Papa Francesco che ha definito la tragedia degli Armeni il primo genocidio del XX secolo. Una dichiarazione, quella del Pontefice, che ha sicuramente scosso le coscienze. Dopo questa affermazione, che ha scatenato l’ira di Ankara, e i numerosi eventi organizzati dalle diverse comunità armene per ricordare il milione e mezzo di vittime del Metz Yeghern si è notato, nel nostro Paese, un interesse sempre crescente verso l’Armenia e gli armeni. Si registra una maggiore conoscenza e sensibilità per la storia e le tematiche di questo popolo.

Le iniziative organizzate dagli armeni della diaspora, anche attraverso le Comunità e l’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia, hanno contribuito non solo a puntare l’attenzione su questa materia ma il centenario del 2015 ha offerto anche l’occasione per innumerevoli pubblicazioni dedicate al genocidio ma non solo: ha fatto conoscere anche altre opere di anni precedenti che non avevano avuto la diffusione che meritavano.

Sul fronte dei riconoscimenti nel corso di questi anni, sempre più Enti Locali e Consigli Regionali hanno riconosciuto il genocidio armeno incrementando notevolmente il numero di quelli avvenuti negli anni precedenti al centenario. Dal 1997 al 2014 i riconoscimenti sono stati infatti solo 80 mentre dal 2015 al 2018 sono stati ben 52 soprattutto grazie all’iniziativa lanciata all’inizio del 2015 dal Consiglio per la Comunità Armena di Roma, accolta da altre Comunità e Associazioni, di arrivare ad un totale di 100 riconoscimenti da parte dei Comuni italiani. A tal proposito in molti si sono impegnati ad inviare lettere di richiesta, materiale informativo sul genocidio e una bozza di mozione da portare all’approvazione. L’obiettivo non solo è stato raggiunto ma anche superato. Recentissimo e rilevante poi è stato il riconoscimento del Metz Yeghern da parte del Consiglio della Regione Lazio che ha approvato all’unanimità, il 18 marzo di quest’anno, la mozione presentata dall’onorevole Sergio Pirozzi su richiesta del Consiglio per la Comunità Armena di Roma. Un risultato importante considerato che, la Regione Lazio è la seconda regione più popolata, dopo la Lombardia, è la regione che ha come capoluogo la capitale d’Italia e, considerato che nel corso degli anni ci sono stati diversi tentativi non andati a buon fine. Segno quindi che la sensibilità verso questa immane tragedia è sempre più palese. Anche la Camera dei Deputati nella seduta n. 813 del 17/11/2000 ha approvato il riconoscimento del Genocidio degli Armeni.

Ma non sono solo gli Enti Locali e le Regioni a manifestare interesse crescente. L’argomento Armenia incuriosisce anche Biblioteche Comunali, Associazioni e Istituzioni Scolastiche che chiedono di saperne di più organizzando presentazioni di libri e conferenze. E i testi di storia adottati dalle scuole italiane, da dopo il centenario, hanno cominciato a fare cenno a questa efferata strage che nei tempi passati era stata sempre fagocitata dalle vicende belliche della Prima Guerra Mondiale. In Italia quindi il negazionismo è sempre più isolato, retaggio soprattutto di vecchie ideologie politiche che spesso vanno nel senso opposto a quelle che sono le convinzioni e le coscienze delle singole persone.

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Un libro sugli Armeni che hanno conseguito un titolo studio in Italia (9 colonne.it 02.04.19)

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Un libro sugli Armeni che hanno conseguito <br> un titolo studio in Italia

(2 aprile 2019) La società Dante Alighieri di Jerevan, in collaborazione con l’Ambasciata d’Italia in Armenia, promuove la realizzazione di un “Libro d’Oro” che possa raccogliere i nominativi dei cittadini armeni che abbiano conseguito un titolo di studio in Italia o che vi abbiano frequentato dei corsi di formazione. L’intento – si legge sul sito dell’Ambasciata italiana – è di favorire l’attivo coinvolgimento degli alumni nelle attività culturali della Dante Alighieri in Armenia, di raccoglierne eventuali suggerimenti e proposte, di cogliere ogni potenziale sinergia.

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