Erodoto si sbagliava, gli armeni non provengono dai Balcani (AGI 26.11.24)

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Appello Parlamentare Bipartisan per il Rilascio dei Prigionieri Armeni dell’Artasakh- Nagorno Karabagh. (Stilum Curiae 26.11.24)

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione questo messaggio che abbiamo ricevuto dalla Comunità Armena. Buona lettura e diffusione.

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COP29 – APPELLO PARLAMENTARE BIPARTISAN PER IL RILASCIO DEI PRIGIONIERI ARMENI

Appello Parlamentare

Premesso che dall’11 al 22 novembre 2024 l’Azerbaigian ospiterà COP29, conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico;

Considerato che l’Italia ha ottimi rapporti commerciali e politici con Baku e intrattiene una proficua collaborazione anche nel campo energetico, il che ci posiziona fra i primissimi partner europei dell’Azerbaigian;

Valutato che è interesse dell’Italia che l’area sud caucasica sia pacificamente stabilizzata e pertanto vengano incoraggiate tutte le azioni che promuovano un aumento di fiducia tra Armenia e Azerbaigian e la firma di un definitivo accordo di pace;

Preso atto che, dopo i recenti conflitti, risultano ancora trattenuti, con differenti motivazioni, a Baku, 23 prigionieri di guerra armeni e altri detenuti le cui famiglie attendono da tempo il ritorno a casa;

Considerato che il loro rilascio rappresenterebbe un segnale positivo nelle relazioni fra i due Paesi e avrebbe ulteriori positive ricadute su tutta l’area regionale e sulla stessa COP29;

i sottoscritti, deputati e senatori della repubblica italiana chiedono al Governo

• di sensibilizzare il partner azero affinché in concomitanza con l’evento COP29 proceda, quale gesto di buona volontà e in segno di amicizia con l’Italia, alla liberazione di tutti i prigionieri e detenuti armeni;

• di curare, qualora necessario anche con mezzi propri, il ritorno a casa degli stessi;

di comunicare ad Armenia e Azerbaigian l’impegno dell’Italia finalizzato al raggiungimento di un accordo definitivo di pace nella regione.

On. Alessandro Battilocchio -FI
On. Brando Benifei- PD Eurodeputato
On. Deborah Bergamini- FI
On. Simone Billi- Lega
Sen. Stefano Borghesi-Lega
Sen. Susanna Camusso-PD
On. Andrea Casu- PD
On. Giulio Centemero- Lega
Sen. Gian Marco Centinaio – Lega
On. Alessandro Colucci- Noi moderati
Sen. Andrea De Priamo- FdI
On. Gianmauro Dell’Olio- 5 Stelle
On. Benedetto Della Vedova – + Europa
Sen. Graziano Delrio – PD
Sen. Gabriella di Girolamo – 5 Stelle
On. Piero Fassino- PD
Sen. Aurora Floridia- Alleanza Verdi e Sinistra
On. Paolo Formentini- Lega
Sen. Mariastella Gelmini- Gruppo Civici d’Italia – UDC- Noi moderati
On. Giorgio Lovecchio- FI
On. Lorenzo Malagola- FdI
On. Stefano Maullu- FdI
Sen. Roberto Menia- FdI
Sen. Elena Murelli- Lega
Sen. Luigi Nave- 5 Stelle
On. Federica Onori- Azione
On. Andrea Orsini- FI
On. Andrea Pellicini- FdI
On. Catia Polidori- FI
On. Emanuele Pozzoli- FdI
On. Erik Pretto – Lega
Sen.    Tatjana Rojc – PD
On. Massimiliano Salini- FI Eurodeputato
Sen. Ivan Scalfarotto – Italia Viva
Sen. Filippo Sensi – PD
Sen. Luigi Spagnolli- Gruppo Per le Autonomie
Sen. Francesco Verducci- PD
Sen. Sandra Zampa – PD
On. Gianpiero Zinzi – Lega

“The Baku Connection”: il complesso asse di interessi tra Francia, Azerbaigian e Armenia (IARI 25.11.24)

C’è un clima di diffidenza tra Parigi e Baku: il sostegno francese alla vicina Armenia ha deteriorato il clima diplomatico tra Francia e Azerbaigian. Negli ultimi anni, il governo azerbaigiano di Ilham Aliyev sta forgiando la sua particolare rivincita sostenendo movimenti separatisti nei territori francesi d’oltremare, mentre allo stesso tempo gioca la sua carta di “amico fedele” dell’Unione Europea, per la quale il suo petrolio e gas sono diventati imprescindibili. Quando è iniziata la guerra sottile dell’Azerbaigian contro Parigi? Cosa possiamo aspettarci in futuro?

Francis Bacon diceva: La diffidenza è la compagna più sicura della saggezza. Un proverbio che viene applicato dallo storico numero 37 di Quai d’Orsay, la maestosa sede del Ministero degli Affari Esteri e dell’Unione Europea francese. Particolarmente in tutto ciò che riguarda l’Azerbaigian, repubblica turcica bagnata dal Mar Caspio, con la quale la Francia mantiene un rapporto deteriorato negli ultimi anni a causa del sostegno francese all’Armeniatradizionale alleata francese nel Caucaso, con la quale i legami diplomatici, culturali (Armenia e membro dell’Organizzazione internazionale della Francofonia dal 2012, e c’è un’importante comunità della diaspora armenia in Francia) e storici risalgono al Medioevo[1].

Dopo la guerra lampo lanciata dall’Azerbaigian contro l’Armenia nel 2022 e 2023, che si è conclusa con l’incorporazione dell’intera regione del Nagorno Karabakh e la dissoluzione del territorio pro-armeno della Repubblica di Artsakh, la Francia ha approfondito il suo rapporto strategico nella difesa e nella cooperazione con Erevan. Questo approccio ha avuto come conseguenza diretta un aumento delle tensioni diplomatiche tra Parigi e Baku.

Il presidente azerbaigiano ha tenuto un discorso incendiario contro la Francia nel corso della 53ª riunione del Consiglio dei Capi delle Agenzie di Sicurezza e dei Servizi Speciali della CSI in Ottobre 2023, in cui ha criticato il ruolo della leadership francese dal 2020 ad oggi, accusandola di minacce infondate e ricatti contro l’Azerbaigian. Ha affermato che la Francia aveva violato il diritto internazionale per 30 anni attraverso il suo alleato, l’Armenia, e ha menzionato i crimini coloniali francesi in Algeria e in Africa. Inoltre, ha criticato la Francia per mantenere ancora oggi delle colonie e per il suo comportamento diplomatico provocatorio e insultante. Questo è stato il primo battibecco tra l’Azerbaigian e la Francia, che ha motivato l’assenza di osservatori francesi nelle elezioni avvenute nel paese caucasico a febbraio 2024, la critica alla qualità della democrazia azerbaigiana da parte del senatore francese Claude Kern, l’espulsione di due diplomatici francesi da Baku sotto accuse non chiarite così come la detenzione di altri cittadini francesi accusati di spionaggio, la chiusura dell’Istituto Francese di Baku e lo smantellamento del gruppo di lavoro per le relazioni interparlamentari tra l’Azerbaigian e la Francia[2]. Questo non ha fermato la determinazione francese di privilegiare l’Armenia come partner strategico nel Caucaso, e la reazione dell’Azerbaigian non si è fatta aspettare, alzando il livello della pressione contro Parigi, questa volta sventolando la bandiera dell’anticolonialismo.

Dividi et Impera

Ricordiamo che la Repubblica Francese non si limita al territorio della Francia metropolitana, l’Esagono: la nazione gallica possiede territori d’oltremare presenti nei quattro emisferi mondiali.

Mappa dei “territori francesi ancora soggetti a decolonizzazione” presentata al congresso delle colonie francesi organizzato dal Gruppo d’Iniziativa di Baku. Fonti. – https://blogs.mediapart.fr/edition/memoires-du-colonialisme/article/110723/le-groupe-dinitiative-de-bakou-contre-le-colonialisme-francais-est-ne-gib / https://azertag.az/fr/xeber/bakou_abrite_le_congres_des_colonies_franchaises_mis_a_jour_video-3100238https://afriquexxi.info/L-Azerbaidjan-un-ami-qui-vous-veut-du-bien#&gid=1&pid=2

Dalla Corsica alla Guadalupa e alla Guyana, dall’Isola di Mayotte alla Nuova Caledonia, la Francia è la nazione con la seconda più grande zona economica marittima al mondo, che le permette di accedere a importanti risorse naturali, zone di pesca e persino a un vettore d’accesso allo spazio, rappresentato dalla base spaziale di Kourou, nella Guyana francese.

Ma, anche se ufficialmente tutti questi territori d’oltremare hanno lo stesso livello di diritti, la situazione di difficoltà economica e la mancanza di opportunità facilitano lo sviluppo di movimenti autonomisti e di proteste contro il percepito governo parigino, lontanissimo e ultracentralista. Dal storico movimento di indipendenza corso agli anni di piombo del terrorismo dell’ETA, il gruppo indipendentista basco, fino ai molto più recenti disordini nella Nuova Caledonia contro le modifiche della legge elettorale. (E nel quale il Governo francese sospetta dell’inferenza di Baku, siccome manifestanti portavano bandiere)

È in questo contesto che è stato creato, sotto l’auspicio delle autorità azere e del Centro di Analisi delle Relazioni Internazionali della Repubblica di Azerbaigian, il Gruppo di Iniziativa di Baku[3] (GIB) contro il colonialismo francese, il 6 luglio 2023. Alla riunione sono stati invitati i principali leader politici e culturali dei movimenti indipendentisti e anticoloniali di Tahiti, Martinica, Guyana e Polinesia Francese. Una reazione avvenuta parallelamente all’incontro tra i ministri della difesa francese e armeno per rinforzare la cooperazione militare e di difesa e alla firma dell’accordo di cooperazione intergovernativa in ambito culturale, scientifico e tecnico tra Parigi ed Erevan.

Il sostegno dell’Azerbaijan ai movimenti secessionisti francesi non è dovuto a una particolare e genuina simpatia per la liberazione democratica di questi popoli, ma rappresenta un’arma utile nella più ampia strategia di indebolimento, guerra ibrida e boicottaggio contro la Francia, alleato chiave del grande rivale geopolitico di Baku, l’Armenia. Anche se il primo passo delle ambizioni azere è stato compiuto in gran parte con la resa del Nagorno Karabakh, il presidente Ilham Aliyev continua a esigere dall’Armenia la cessione di una grande striscia di territorio per creare un collegamento fisico tra la Turchia e l’Azerbaigian attraverso la regione armena di Syunik, richiesta categoricamente respinta dal governo armeno, poiché significherebbe l’erosione di un territorio legittimamente armeno. Abbandonata dal suo tradizionale alleato russo, Erevan trova nell’alleato francese un prezioso aiuto per rafforzare le sue capacità di difesa contro un Azerbaigian che si percepisce militarmente superiore.

Il governo francese ha sospettato di un coinvolgimento azero in Nuova Caledonia, a causa della presenza di magliette con il logo del GIB e di bandiere dell’Azerbaijan nelle proteste antifrancesi, nonché di campagne di disinformazione e screditamento contro l’organizzazione dei Giochi Olimpici del 2024.

Un complesso ménage à quatre geopolitico

Il clima di ostilità tra Azerbaijan e l’Eliseo è il risultato diretto del posizionamento francese a favore dell’Armenia. Proprio per questo motivo, l’aggravamento delle tensioni e le azioni azere contro gli interessi francesi sono intrinsecamente legati all’evoluzione futura del conflitto irrisolto tra Azerbaijan e Armenia e all’esito (o meno) del processo di pace dopo la sanguinosa ripresa della guerra nel territorio di confine del Nagorno Karabakh. Allo stesso tempo, bisogna considerare le azioni dell’UE, che si trova nella scomodissima posizione di sostenere l’Armenia, vista come una nazione affine per standard democratici e prezioso alleato contro la Russia, ma senza poter stringere la vite a Baku, il cui petrolio e gas sono diventati assolutamente vitali per alimentare l’industria in assenza delle risorse energetiche russe.

Nel breve periodo non è prevedibile un alleggerimento delle tensioni franco-azere, come dimostra lo scontro diplomatico più recente tra l’Azerbaijan e la Francia, avvenuto nel contesto della convenzione per il clima tenuta nella capitale azera. In questa occasione, ci fu un durissimo scambio di parole tra il presidente Aliyev, che accusò Parigi di “crimini coloniali” e di “violazioni dei diritti nei cosiddetti territori d’oltremare”, e la ministra dell’ecologia francese, Agnès Pannier-Runacher, che non esitò a considerare tali accuse “inaccettabili e indegne di una presidenza della COP, oltre che una flagrante violazione del codice di condotta delle Nazioni Unite”.

La reazione di Parigi fu immediata, con il ritiro della sua delegazione dalla convenzione.L’unico scenario in cui si potrebbe prevedere un allentamento delle tensioni (almeno da parte azera) sarebbe un allineamento di Parigi verso interessi più favorevoli a Baku. Tuttavia, tale azione comporterebbe inequivocabilmente un tradimento francese nei confronti dell’Armenia. La Francia, dopo aver perso una grande parte della sua influenza in Africa a causa del disastro dell’Operazione Barkhane e dei diversi colpi di stato militari nel Sahel, ha bisogno di rafforzare le sue partnership ad alto valore strategico regionale, come quella con la Grecia nel Mediterraneo orientale e con l’Armenia nel Caucaso. È pertanto prevedibile il mantenimento del grado di tensione e della guerra ibrida tra le due nazioni, tenendo conto che il fattore esogeno che avrà ripercussioni su questa ostilità sarà l’evoluzione, nel medio e lungo termine, del conflitto di frontiera nel Caucaso e delle aspirazioni irredentiste dell’Azerbaigian sul corridoio di Zangezur.

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Uno dei problemi della COP29 in Azerbaijan è stato l’Azerbaijan (Il Post 24.11.24)

Il presidente autoritario del paese ha definito il gas naturale un «dono di Dio» e non è sempre sembrato concentrato sulle priorità della crisi climatica

Ilham Aliyev durante un discorso alla COP29
Ilham Aliyev durante un discorso alla COP29 (Sean Gallup/Getty Images)
Uno degli aspetti più controversi della COP29 che si è appena conclusa è stato il ruolo dell’Azerbaijan, il paese ospite di quella che è la più importante conferenza annuale delle Nazioni Unite per il contrasto al cambiamento climatico.

L’Azerbaijan è un paese produttore di petrolio e gas naturale, oltre che un paese repressivo e autoritario il cui leader, il presidente Ilham Aliyev, è stato accusato di aver usato la conferenza dell’ONU per perseguire obiettivi politici personali, piuttosto che per cercare di trovare un accordo – che alla fine è stato trovato, ma è ritenuto deludente.

Non è la prima volta che un paese autoritario e produttore di idrocarburi ospita la COP: era successo anche l’anno scorso, per esempio. Ma l’interventismo smaccato di Aliyev è risultato particolarmente notevole, al punto che negli scorsi giorni un gruppo di importanti esperti di questioni climatiche – tra cui l’ex segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon e l’ex presidente dell’Irlanda Mary Robinson – ha reso pubblico un appello per chiedere che le prossime COP siano tenute in paesi che sostengono davvero la necessità della transizione ambientale.

Nel discorso d’apertura dell’evento, Aliyev ha detto per esempio che le ampie riserve di petrolio e gas naturale dell’Azerbaijan sono un «dono di Dio». Più del 90 per cento delle esportazioni dell’Azerbaijan e circa il 50 per cento del budget dello stato dipendono dagli idrocarburi. Ma al contrario di altri petrostati come i paesi del Golfo, la maggior parte della popolazione azera non gode della ricchezza generata da gas e petrolio e un quarto della popolazione è in stato di povertà, secondo dati della Banca Mondiale.

Nel corso della Conferenza, inoltre, Aliyev ha spesso adottato posizioni estremamente aggressive nei confronti dei paesi che percepisce come avversari, anche usando pretesti che hanno poco a che vedere con le politiche climatiche: ha accusato la Francia e i Paesi Bassi di colonialismo, con toni molto duri per il leader del paese che ospita la COP. Tradizionalmente il ruolo dei paesi ospitanti è quello di cercare di appianare le differenze e cercare accordi e compromessi, anche perché le decisioni alla COP si prendono di fatto all’unanimità.

Aliyev, tra le altre cose, ha una lunga storia di attacchi politici soprattutto nei confronti della Francia, che considera troppo vicina a un paese rivale, l’Armenia.

Nel 2020 l’Azerbaijan cominciò e vinse una breve guerra contro l’Armenia per il controllo del Nagorno Karabakh, una regione formalmente azera ma abitata da una popolazione per la maggioranza armena: dopo la guerra, negli anni successivi l’Azerbaijan ha rafforzato il proprio controllo sul Karabakh e cacciato quasi tutti gli abitanti armeni, al punto che varie associazioni indipendenti hanno accusato il regime di pulizia etnica.

La COP29 ha anche contribuito a mettere in luce le gravi violazioni dei diritti umani compiute dal regime di Aliyev, che arresta, perseguita e tortura oppositori e attivisti.

I prigionieri politici, secondo ong locali, sono più di 300, e il regime negli scorsi mesi ha fatto arrestare anche numerosi attivisti e ricercatori per l’ambiente. Uno dei casi più noti è stato quello di Gubad Ibadoghlu, un professore azero della London School of Economics autore di ricerche piuttosto critiche sulle politiche ambientali ed economiche del governo. Ibadoghlu è stato arrestato nell’estate del 2023 durante una visita in Azerbaijan con accuse di truffa ritenute pretestuose, ed è tuttora agli arresti domiciliari.

L’Azerbaijan ha però rapporti economici strettissimi soprattutto con l’Europa, che si sono intensificati dopo che i paesi europei sono stati costretti a eliminare le importazioni di gas naturale russo dopo l’invasione dell’Ucraina. Per l’Italia, per esempio, l’Azerbaijan è uno dei primi fornitori di petrolio (15 per cento del totale importato) e il secondo fornitore di gas naturale (16 per cento delle importazioni), secondo le stime del think tank italiano Ecco.

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Escluse le voci del dissenso dalla Cop29, la storia dell’attivista armeno Arshak Makichyan (Economia Circolare 23.11.24)

Ad Arshak Makichyan, attivista per il clima armeno, è stato vietato l’ingresso in Azerbaijan nonostante avesse l’accredito per la Cop29. A EconomiaCircolare.com racconta il suo impegno per denunciare la pulizia etnica degli armeni e la sua vita da apolide a Berlino

Alessandro Coltré

Alessandro Coltré

Giornalista pubblicista, si occupa principalmente di questioni ambientali in Italia, negli ultimi anni ha approfondito le emergenze del Lazio, come la situazione romana della gestione rifiuti e la bonifica della Valle del Sacco. Dal 2019 coordina lo Scaffale ambientalista, una biblioteca e centro di documentazione con base a Colleferro, in provincia di Roma. Nell’area metropolitana della Capitale, Alessandro ha lavorato a diversi progetti culturali che hanno avuto al centro la rivalutazione e la riconsiderazione dei piccoli Comuni e dei territori considerati di solito ai margini delle grandi città.

Per entrare alla Cop29 di Baku – ancora in corso dopo che è stata aggiunta una giornata supplementare, quella del 23 novembre, per cercare di raggiungere l’intesa – non è basta avere un accredito: lo sa bene Arshak Makichyan, l’attivista ecologista armeno a cui è stato vietato l’ingresso in Azerbaijan durante i giorni del summit. In questa decisione Arshak ci vede solo coerenza: rendere inutilizzabile il suo badge è stata un’azione necessaria per mostrare al mondo un Paese pacificato e capace di guidare i negoziati sul clima.

Uno spazio bonificato da qualsiasi voce critica, questo voleva il presidente Ilham Aliyev. Arshak sarebbe stato un intralcio perché da mesi, sui social e nei meeting internazionali, denuncia l’operazione di greenwashing statale messa in piedi dell’autorità azere.  A farlo non è un attivista occidentale o un membro di un’organizzazione non governativa, ma un ragazzo russo-armeno, da due anni privato della cittadinanza russa e costretto a vivere in esilio a Berlino dopo aver protestato contro la guerra in Ucraina.

La Cop è solo greenwashing?

Nella blue zone della Cop29 avrebbe spezzato il silenzio così: “Ogni anno si parla della necessità di costruire negoziati più efficaci nella lotta al cambiamento climatico, e invece siamo finiti al tavolo del regime azero, che sta usando la conferenza sul clima per coprire di verde il genocidio contro gli armeni indigeni dell’Artsakh. Le voci armene devono essere ascoltate alle Cop29, altrimenti questa conferenza non ha alcuna legittimità, è solo greenwashing. Non potrà esserci nessun accordo vantaggioso, nessun documento che farà la storia. Di concreto ci sono le case distrutte e la pulizia etnica delle popolazioni indigene”.

Troncata dalle fondamenta la scenografia del summit, tutti sarebbero rimasti a fare i conti con le ipocrisie della comunità internazionale, complice di aver dimenticato in fretta l’operazione militare del governo azero in Nagorno Karabakh, regione a maggioranza armena, ora definitivamente sotto il controllo di Baku dopo i continui attacchi ai civili e dopo aver generato un esodo di 120mila persone.

“Nel 2022 l’Unione Europea ha firmato nuovi accordi per ricevere forniture di gas azero. In pratica, mentre io protestavo per chiedere l’embargo del gas russo, l’Europa faceva affari con un regime che impediva agli armeni di ricevere medicine e cibo. A volte mi pare tutto surreale, mi sembra di vivere un film brutto con una trama orribile. Invece oggi sono tutti lì, convinti di poter firmare un accordo per salvare il pianeta dalla crisi climatica in uno stato che l’anno scorso ha eseguito una pulizia etnica”.

Arshak non riesce a lanciare l’allarme per il mondo in fiamme senza alzare la voce contro il genocidio del suo popolo. Per questo fa riferimento al blocco del corridoio di Lachin – la via di fuga che collega il Nagorno Karabakh con l’Armenia – avvenuto a partire dal dicembre del 2022 con manifestazioni di attivisti azeri vicini al governo. Quell’anno segna un prima e un dopo nella vita di Arshak.

Leggi anche: Il protagonismo di Italgas alla Cop29 e la scarsa performance dell’Italia

Dalle proteste per l’ambiente in Russia all’esilio in Germania

Da ottobre del 2022 Arshak Makichyan è apolide. Le autorità del Cremlino gli hanno ritirato la cittadinanza russa. La motivazione? Nel 2004 Makichyan dichiarò informazioni false durante la richiesta di cittadinanza. Nel 2004, quando Arshak aveva dieci anni, e la sua unica nazionalità era quella russa. Un processo farsa che serve da esempio per chi non vuole chiamare “operazione speciale” l’aggressione russa all’Ucraina. Su di lui è precipitata una sentenza che colpisce la Russia multietnica, quella che intreccia origini diverse, centinaia di lingue e culture che popolano un Paese oggi in guerra anche contro se stesso. Niente più spazio per quelli come Arshak, russo e armeno, ecologista e convinto pacifista.

“La Russia è passata da un regime autoritario a una dittatura nel giro di due anni. Continuare a protestare pacificamente in Russia ora è quasi impossibile, sicuro non è efficace. Vivo in Germania, e da qui cerco di continuare a fare attivismo contro la guerra. Collaboro alla costruzione di azioni di pressione per denunciare il genocidio degli armeni e i crimini coloniali di un regime che sta distruggendo l’identità armena in ogni sua forma”.

I suoi nonni sono fuggiti dal Nagorno Karabakh, la sua famiglia ha conosciuto la ferocia della pulizia etnica, e oggi da Berlino Mackichan cerca di tenere alta l’attenzione su tutte le pratiche coloniali che soffocano il pianeta e le persone.

Lo fa con manifestazioni, conferenze e picchetti, collaborando con chi si oppone alle dittature fossili. Fa impressione accostare la biografia di un trentenne apolide in lotta per la giustizia climatica e per i diritti del suo popolo agli accordi siglati tra Unione Europea e Azerbaijan per aumentare le importazioni di gas azero. Eppure in pochi mesi del 2022 è accaduto proprio questo: un ragazzo ha perso i suoi documenti, colpevole di aver sfidato i venti di guerra, mentre un gasdotto sporco di sangue è libero di espandersi e di ottenere ogni tipo di cittadinanza.

Ma forse è un esercizio utile: permette di stracciare quella patina che avvolge le ultime ore del negoziato; allontana tutte le possibili costruzioni di un finale edificante. La storia di Arshak ci ricorda che non abbiamo bisogno di alcuna positività tossica. “Cosa dovrei aspettarmi da questo negoziato?” Si chiede ironicamente l’attivista. “La comunità internazionale ha accettato di iniziare la Cop29 lasciando in galera gli oppositori politici, tanti giornalisti e membri di ong”. Durante questi giorni di conferenza sul clima, Berlino è stata attraversata da cortei e da iniziative per diffondere le voci delle vittime del regime azero. “Non è facile ricominciare tutto da zero in un altro Paese, qui a Berlino organizziamo proteste anche per continuare a essere una comunità, è l’unico modo per continuare a fare attivismo contro la guerra”.

attivista armeno Cop29 proteste Berlino
Proteste a Berlino | Foto di Lukas Statmann

Leggi anche: Perché l’industria fossile non deve avere voce nei negoziati per il clima

Una guerra contro la natura

Protestare da solo ha senso soltanto se è un innesco, se genera qualcosa, proprio com’è accaduto nel 2019  a Mosca. Ogni venerdì Arshak ha sfidato da solo il potere putiniano restando per ore sotto la statua di Pushkin – padre della letteratura russa – tenendo un cartello con scritto Climate Strike. Lo sciopero in solitaria è stato ripreso in tante altre città raggiungendo anche le regioni più remote del Paese. Così sono nati i Fridays for future Russia, da un ragazzo russo-armeno che non ha potuto neanche raccontare la sua storia alla Cop29.

“I movimenti ecologisti in Russia sono stati distrutti. La maggior parte delle organizzazioni sono state dichiarate indesiderate o agenti stranieri. Penso che il problema sia anche dovuto alla poca attenzione internazionale su ciò che sta accadendo all’ambiente in Russia. Non sappiamo molto di quello che accade in Asia Centrale, lì ci sono problemi di inquinamento completamente ignorati. Anche nel Caucaso e in altri luoghi si soffre di crisi climatica. Spesso cerco di diffondere i rischi di contaminazione del Lago Bajkal, dove si conserva il 20 per cento dell’acqua dolce superficiale presente sulla Terra. Il suo ecosistema è in pericolo. La Russia sta continuando la sua terribile guerra anche contro la natura“.

attivista armeno Cop29 proteste Russia
Protesta in Russia 2020 | Foto: Fridays For Future Russia

Il badge inutilizzato di Arshak è da “osservatore”, la stessa dicitura che hanno gli uomini della delegazione del governo dei talebani, che liberi di girare per i padiglioni del summit come dei veri diplomatici. Baku ha preferito altri sguardi, non avrebbe tollerato quello di Arshak.

“Invece di perdere tempo a casa di un regime dovremmo iniziare a pensare a cosa possiamo fare per resistere al numero crescente di crisi, tutte interconnesse alla crisi climatica, alle guerre, alla terribile ipocrisia dei Paesi occidentali. Parlare chiaro ci aiuterà a salvarci dal collasso”.

Tra poche ore il mondo volerà via da Baku, congedandosi da una conferenza segnata da grandi assenze, da corpi reclusi e da un popolo costretto all’esodo. Il gas azero continuerà a circolare in Europa e forse la diplomazia climatica dovrà iniziare a parlare di umiliazione. Intanto il badge di Arshak resta lì, senza aver mai conosciuto la fila per l’accredito. Il suo posto è stato preso da  1773 lobbisti del fossile, tutti entrati dalla porta principale.

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Atom Egoyan: non dimenticate il genocidio armeno (La Stampa 23.11.24)

Il cinema serve a risvegliare le coscienze, lo dico anche a nome del popolo armeno, vittima di un genocidio razziale trascurato dai media troppo occupati a coprire altri conflitti e dimenticato dal mondo. Ma il nostro trauma permane, dobbiamo ancora riprenderci». Il pluripremiato regista armeno naturalizzato canadese Atom Egoyan, ospite d’onore del Matera Film Festival insieme a sua moglie Arsinée Khanjian, ha presentato in anteprima nazionale il suo nuovo film “Seven Veils”. Trasposizione cinematografica dell’opera di Richard Strauss Salomè basata sul testo di Oscar Wilde che Egoyan aveva già portato in scena più volte, vede come protagonista assoluta l’attrice Amanda Seyfried, già diretta nel precedente Chloe.

Il trauma delle immagini

«Ho sentito l’esigenza di riattualizzare la storia, perché attuali sono i rapporti e le disfunzioni familiari che racconta. Attuale è anche la figura di donna al centro della storia, una regista alle prese con i suoi demoni e con la direzione dell’opera di quella Salomè che, secondo la versione di Wilde, sceglie da sola di compiere l’azione più brutale, decapitare la testa di Giovanni Battista e baciarla. Un gesto violento che crea uno shock al pubblico imponendo di guardare le cose con gli occhi della protagonista, vittima a sua volta di un desiderio non risolto». Riflette sul trauma delle immagini: «Da quando ho iniziato a fare film, una quarantina di anni fa, mi sono sempre occupato della memoria. Ma se nella metà degli anni Ottanta la tecnologia iniziava a entrare nelle nostre esistenze giusto per registrare i momenti clou della nostra vita, oggi possiamo riprendere qualsiasi cosa in ogni momento e la tecnologia finisce per filtrare tutte le nostre esperienze, che non viviamo più se non attraverso le immagini».

La tecnologia

Un pericolo serio per le nuove generazioni: «Non voglio fare il moralista, né demonizzare la tecnologia – anzi sono curioso di vedere su quali territori sconosciuti ci porterà l’intelligenza artificiale – ma credo sia urgente risensibilizzare e ricentrare i sentimenti. Siamo tutti costantemente traumatizzati da foto e video estremi, i nostri ragazzi a differenza nostra ci sono cresciuti in questo bombardamento continuo di immagini di violenza, ferocia e ipersessualizzazione, dobbiamo fare qualcosa soprattutto per loro». Conclude ricordando come i maestri del cinema italiano lo abbiano da sempre ispirato: «Da Pasolini a Fellini, da Antonioni a Visconti, passando per Bellocchio, che mi sembra prosegua la vostra grande tradizione cinematografica».

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Olivier Giroud mette la sua maglia all’asta: “Aiutiamo i cristiani perseguitati in Armenia” (Sportface 22.11.24)

Olivier Giroud scende in campo al fianco dei cristiani perseguitati in Oriente, in particolare quelli dell’Armenia. L’attaccante francese ex Milan ha annunciato di aver messo all’asta la maglia dei Los Angeles con la quale ha vinto la US Open Cup per offrire un supporto ai “fratelli e alle sorelle” di fede cristiana. “Sono molto orgoglioso e onorato di mettere all’asta questa maglia speciale – ha confidato sui suoi social network prima della vendita avvenuta mercoledì scorso a beneficio di L’Œuvre d’Orient – Ho indossato questa maglia il 25 settembre durante la finale della Coppa degli Stati Uniti. Siamo diventati campioni e quindi questa maglia ha un valore speciale ai miei occhi. Spero che sarete generosi in favore dei nostri fratelli e sorelle cristiani perseguitati in Oriente, e più particolarmente in Armenia”.

I Los Angeles FC vinsero la finale contro lo Sporting Kansas City per 3-1 e l’ex milanista sbloccò il match, realizzando il gol dell’1-0. Giroud è un cristiano praticante, e ha più volte confessato di avere la Bibbia sul comodino come principale lettura. “Ho fede, credo in Dio – le sue parole -. So che nulla ci accade per caso, ma che Gesù ha dei progetti per ognuno di noi”.

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Trenta imprese dell’Armenia in visita nelle Marche (Cronache Marche 22.11.24)

Macerata- Dal 25 al 27 novembre una delegazione armena composta da 30 rappresentanti di imprese nei settori della moda e del fashion sarà nelle Marche per una missioneorganizzata dal Centro per la Cooperazione e lo Sviluppo tra l’Italia e l’Armenia (CCIAM) e
l’Armenian Business Association (ABA L’obiettivo è promuovere la cooperazione bilaterale, esplorare opportunità di mercato e condividere know-how tecnico.

Il programma include visite a realtà produttive locali, con un focus sulla prestigiosa “Shoes Valley”. Momento centrale sarà
la conferenza pubblica del 25 novembre a Macerata, con interventi di rappresentanti istituzionali e associativi italiani e armeni.

Durante l’incontro, interverranno Francesca Orlandi, presidente di LINEA – Azienda speciale della Camera di Commercio per la moda e calzature, sarà presente anche un diplomatico armeno delegato dell’Ambasciata Armena in Italia, e i rappresentanti delle associazioni Armenian Business Association (ABA) e Centro per la Cooperazione e lo Sviluppo tra l’Italia e l’Armenia (CCIAM) Narek Karapetyan e Gohar Ghumshyan.
Nel programma della visita anche un focus sull’acquisizione di materie prime, materiali semilavorati e condivisione di know-how tecnico da parte delle imprese armene.

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Libano: Minassian (patriarca armeno), “Paese può risorgere solo in uno spirito nazionale inclusivo, lontano da calcoli ristretti e interessi personali” (SIR 22.11.24)

In occasione della Festa dell’Indipendenza libanese, che si celebra oggi 22 novembre in ricordo della liberazione nel 1943 dal mandato francese, il patriarca di Cilicia degli armeni, Raphaël Bedros XXI Minassian, ha inviato un messaggio in cui sottolinea che “il Libano può risorgere solo in uno spirito nazionale inclusivo, lontano da ristretti calcoli e interessi personali”. Rilanciato dal sito abouna.org, il messaggio ricorda che questa Giornata cade in un tempo in cui “la nostra patria è tormentata e ferita, ha sofferto e continua a soffrire per gli effetti delle guerre, che hanno distrutto la sua struttura e gravato sui suoi figli. Il sanguinamento dei conflitti continua a lasciare il segno nei nostri cuori e nelle nostre strade, così come lo sfollamento delle famiglie e dei martiri caduti. In questo momento, dobbiamo rinnovare la nostra determinazione e volontà di ricostruire questo Paese dalle macerie del dolore, e di tenere a mente il messaggio di pace e riconciliazione che ci condurrà verso il futuro. Luminoso”. L’indipendenza, per Minassian, “non può essere ripristinata nel suo senso profondo, se lo spettro della guerra e della divisione continua a incombere sui cieli della nostra storia recente”. Citando le parole del servo di Dio, card. Gregorio Pietro XV Agagianian, Minassian ribadisce “lo spirito di dialogo e di unità”, incarnato dal porporato, ed esorta ad “adottare questo approccio che è ciò di cui abbiamo bisogno oggi più che mai per ripristinare la coesione nazionale e intraprendere il cammino di un’autentica riconciliazione”. A riguardo “l’assenza di un presidente della Repubblica – rimarca Minassian – è una ferita aperta nel cuore del paese e un grave ostacolo alla nostra marcia verso la stabilità e la prosperità. L’elezione del presidente non è solo un diritto costituzionale, ma una responsabilità collettiva di tutti coloro che si rendono conto dell’importanza della ricostruzione delle istituzioni statali e della stabilizzazione. La vita costituzionale è la spina dorsale dello Stato, senza la quale ogni sforzo per riformare e rilanciare il paese vacilla”. Da qui l’appello a tutte le forze politiche di “mettere da parte le loro differenze e lavorare insieme per scegliere un presidente che sarà un simbolo per l’unità e il bene di tutti i libanesi. Il Libano ha bisogno di una leadership nazionale inclusiva che lavori per la pace e la comprensione interna, che rilanci le istituzioni statali e attivi il loro ruolo al servizio del popolo”. “Il Libano – conclude – può crescere solo con uno spirito nazionale lontano da calcoli ristretti e interessi personali. Abbiamo bisogno di amare la patria, non per guadagni immediati o benefici privati”.

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Dalla bagna cauda al vitello tonnato, in Armenia si gustano le eccellenze del Cuneese (Cuneocronaca 21.11.24)

CUNEO CRONACA – Yerevan ha ospitato le Giornate della Cucina Italiana, un evento dedicato alla promozione delle eccellenze gastronomiche italiane. Durante la serata principale, tenutasi presso l’Ambasciata d’Italia, è stato servito un menù che ha messo in risalto le specialità del territorio cuneese.

All’evento hanno partecipato l’Ambasciatore Alfonso Di Riso, il Consigliere Andrea Peduto, il Vice Capo Missione Alessandro Liberatori, Direttore dell’Ufficio ICE di Mosca, e Georges Mikhael, Amministratore Delegato dell’aeroporto di Levaldigi (Cuneo Airport), grande sostenitore dell’iniziativa. Tra gli ospiti d’onore anche numerose autorità armene, tra cui il Vice Primo Ministro.

A rappresentare l’Italia sono state due scuole piemontesi: l’IIS Grandis di Cuneo, con il professor Prato e l’allieva Elomri Omaima, e l’IIS Minervini di Caluso, con il professor Fausto Meli e gli studenti Lorenzo Monaco e Iman Echamouti. I loro piatti hanno conquistato anche i palati più esigenti.

Le Giornate della Cucina Italiana a Yerevan fanno parte della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, un’iniziativa internazionale realizzata grazie al supporto dell’Ambasciata d’Italia in Armenia, dell’Agenzia per il Commercio Estero (ITA), dell’Accademia Italiana della Cucina e di numerosi sponsor della Provincia di Cuneo.