BARI – Spazio Murat – Venerdì 15 novembre in scena Giorgia Ohanesian Nardin in «Premonition» (Puglialive 14.11.24)

L’artista di discendenza armena Giorgia Ohanesian Nardin porta in scena «Premonition», progetto artistico coreutico che oscilla tra parola, movimento e panorama sonoro.

Venerdì 15 novembre, ore 21

Spazio Murat – Bari

Venerdì 15 novembre, alle 21, in Spazio Murat a Bari, prosegue il BIG – Bari International Gender Festival. In scena la performance di danza «Premonition» di e con Giorgia Ohanesian Nardin, artista italiana di discendenza armena che pratica nei contesti della danza e della performance dal vivo.

Biglietti su dice.fm e al botteghino in sede, info su bigff.it.

Premonition è un adattamento di «Anahit» (altro solo coreutico della stessa artista) per spazi all’aperto o non teatrali. «Anahit» – la relazione tra sedimenti e detriti, geografie inscritte nel corpo – guarda alla vibrazione come metodo. Legando la ricerca iniziata con «gisher» al lavoro di ri-narrazione delle geografie somatiche, che conduce da anni nel contesto di «Pleasure Body», Giorgia Ohanesian Nardin disegna con «Anahit» un solo per il proprio corpo, una costellazione, un formato ad appunti che oscilla tra parola, movimento e panorama sonoro. «Anahit» è la divinità armena che sta a protezione dell’acqua e di tutte le creature fluide.

 

Dal 2018 Giorgia Ohanesian Nardin tiene regolarmente Pleasure Body, spazio di facilitazione a pratiche e conversazioni legate al piacere e al riposo, mettendo in discussione il linguaggio attorno al lavoro di cura. Da anni mantiene una pratica di pensiero e scrittura con l’artista Jamila Johnson-Small, con cui ha curato una serie di eventi di riflessione e critica sulla relazione tra soggettività subalterne e istituzioni culturali. Il lavoro di Giorgia è prodotto e sostenuto, tra gli altri, da: Associazione Culturale VAN, VIERNULVIER, Centrale Fies Art Work Space, AtelierSi, BASE Milano, .ّةيطّسوتملا وناليم Lavanderia a Vapore, Milano Mediterranea.

CREDITI

 

BIG | Bari International Gender Festival è promosso e organizzato dalla Cooperativa sociale AL.I.C.E. (Area Arti Espressive), sostenuto dal FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo), Regione Puglia, PACT Puglia Culture a valere sul Fondo Speciale Cultura e Patrimonio Culturale L.R. 40/2016 art. 15 comma 3, Puglia Culture, Comune di Bari, dall’Ufficio Tecnico – Tavolo Tecnico LGBTQI del Comune di Bari, Ambasciata di Norvegia, il Performing Art Hub Norway e il patrocinio dell’Ambasciata del Portogallo. Il festival è realizzato in collaborazione con Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’ – Dipartimento ForPsiCOm, Archivio di Genere, Università LUM, Città Metropolitana di Bari – Biblioteca De Gemmis, Teatri Di Bari e Teatro Kismet, Fondazione Museo Pino Pascali, insieme a Articolo 12, ResExtensa, Toi Toi, Officina degli Esordi, Imago, Palazzo Fizzarotti, Fondazione H.E.A.R.T.H, Armata Brancaleone, Fondazione Dioguardi, Cantiere Evento, Octopost, Coordinamento Festival Lgbtq, Anticorpi XL – Network Giovane Danza D’autore, Spine Bookstore, AiSG, LoStabile, Fondazione H.E.A.R.T, Aendor Studio, Dittongo, Experience Room, Frulez, Buò.

Media partner Salgemma Project, Radio Uniba, Uzak.

 

Il Focus Arte contemporanea è realizzato in coproduzione con Spazio Murat.

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L’artista Giorgia Ohanesian Nardin porta in scena a Bari ‘Premonition’ 15 novembre 2024
https://www.baritoday.it/eventi/giorgia-ohanesian-nardin-spazio-murat-bari-15-novembre-2024.html
© BariToday

Cop29, le ragioni di Greta Thunberg: “Non partecipo a Cop29 per l’estrema ipocrisia dell’Azerbaijan” (Repubblica 14.11.24)

Greta Thunberg torna a puntare il dito contro lo svolgimento del vertice sul clima Cop29 in Azerbaijan, un paese che, a suo avviso, “esercita repressione e vuole aumentare la produzione di combustibili fossili”. Durante un’intervista a Yerevan, la capitale armena, l’attivista svedese che nel 2018 parlò alla platea della Cop24, a soli 15 anni, definisce oggi inaccettabile “l’estrema ipocrisia del petro-Stato responsabile di pulizia etnica”, mentre i “paesi (che partecipano a Cop29, ndr) continuano ad acquistare risorse naturali dall’Azerbaijan”, ha sottolineato. In questi giorni Greta sta sviluppando un’agenda parallela alla Cop in Armenia e nella vicina Georgia, entrambe confinanti con l’Azerbaijan.

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Giorgia Meloni pragmatica a Baku con il sorriso (Korazym 13.11.24)

Nell’articolo Azerbajgian – Paese fossile e autocratico che disprezza l’azione per il clima e per i diritti umani – ospita la COP29 sui cambiamenti climatici dell’8 novembre 2024 [QUI] abbiamo scritto: «Non possiamo rimanere in silenzio. L’Azerbajgian, il Paese fossile e autocratico, che mostra disprezzo per l’azione per il clima e campione della violazione dei diritti umani, ospiterà a Baku dall’11 al 22 novembre 2024 la 29ª Conferenza quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP29) [QUI]». Ieri sera, nella sezione Rassegna Internazionale della Rassegna Stampa Il mondo visto dagli altri su Il Punto, la newsletter del Corriere della Sera, è stato pubblicato un commento dell’editorialista Luca Angelini in riferimento alla 29° Conferenza degli Stati parte alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (COP29) a Baku.

Il commento di Angelini è introdotto con un corsivo dal titolo I crimini dell’Azerbajgian: «Coerenza zero Che l’Azerbajgian, Paese che basa quasi tutto il suo export su gas e petrolio, non fosse il luogo più indicato per ospitare la COP29 sul clima, l’hanno notato in molti. Poche ore fa, la Corte internazionale di giustizia ONU si è incaricata di ricordare anche un’altra macchia: la «pulizia etnica» ai danni degli armeni portata a termine, poco più di un anno fa, dal Presidente azero Ilham Aliyev in Nagorno-Karabakh. Dove ora vorrebbe realizzare una grande Green energy zone per darsi una mano di «verde». Luca spiega perché è molto improbabile che, a Baku, l’Europa e l’Italia si diano la pena di far notare al governo azero che c’è molto che non quadra. A riprova che il diritto internazionale spesso vale solo quando serve».

 

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni ha partecipato alla sessione plenaria della 29° Conferenza ONU sui cambiamenti climatici. È stato una missione lampo a Baku – arrivo nella notte e volo di rientro in Italia, dopo un intervento di pochi minuti, nel quale ha concentrato l’impegno e l’indirizzo del governo italiano, con un messaggio diretto: “Serve un approccio pragmatico e non ideologico”, ribadito dall’inizio alla fine del suo discorso, quando chiude con un richiamo a William James, psicologo e ‘padre’ del pragmatismo in filosofia: “Agisci come se tu potessi fare la differenza, perché la fa”. E un richiamo, tutt’altro che velato al “nucleare”, perché “attualmente non c’è una singola alternativa ai combustibili fossili, dobbiamo avere una visione realistica globale”.

La COP29 azera e le ipocrisie europee (e italiane) sul Nagorno-Karabakh «ripulito»
di Luca Angelini
Il Punto, 12 novembre 2024

Non sono stati in pochi a storcere il naso vedendo la COP29 sul clima ospitata a Baku da un Paese che vive di gas e petrolio (del resto era già avvenuto l’anno scorso, con la COP28 negli Emirati Arabi Uniti e l’anno prima con la COP27 in Egitto). La ribalta internazionale sembra però aver fatto dimenticare anche che l’Azerbajgian del Presidente Ilham Aliyev, poco più di un anno fa, ha portato a termine un’operazione di vera e propria «pulizia etnica» in Nagorno-Karabakh, l’enclave a (ex) maggioranza armena. Come ha scritto, all’epoca, Sabato Angieri su Aspenia [QUI], «il Nagorno-Karabakh armeno non esiste più. È bastata una sola settimana per porre fine a trent’anni di indipendenza di fatto dell’enclave separatista denominata Repubblica dell’Artsakh tra le montagne dell’Azerbajgian sud-occidentale. Oltre 100 mila sfollati hanno oltrepassato la frontiera armena a Kornidzor, un villaggio trasformato in centro d’identificazione e prima accoglienza, e ormai non resta che una piccola parte dei 120 mila residenti Armeni che abitavano la Repubblica dell’Artsakh prima dell’operazione fulminea di Baku di mercoledì 20 settembre».

E, come ha denunciato di recente Tigran Balayan, Ambasciatore armeno presso l’Unione Europea in un’intervista a Leone Grotti del mensile d’ispirazione cattolica Tempi [QUI], il furore anti armeno nell’enclave è continuato anche dopo che gli Armeni sono scappati. «Nonostante i negoziati di pace che proseguono, l’Azerbajgian continua con la sua ostilità armenofoba. L’ultimo esempio è il discorso aggressivo e pieno di minacce di Ilham Aliyev davanti al Parlamento azero, dopo un altro dubbio “processo elettorale” (quello del febbraio scorso, boicottato dalle opposizioni e definito privo di una vera competizione democratica anche dall’OCSE: il presidente in carica ha vinto con il 92,12% dei voti, ndr). La distruzione dell’eredità religiosa e culturale armena è stata una delle principali componenti della politica anti-armena dell’Azerbajgian, che ha conosciuto un’escalation a partire dal conflitto del 2020 ma che c’è sempre stata. Avviene su scala industriale e sfortunatamente la comunità internazionale non ha preso iniziative pratiche sufficienti a prevenire questo fenomeno o a proteggere ciò che resta». E, ancora, «l’armenofobia del governo azero e l’assenza di impegni chiari in questo senso, come anche le notizie sulle torture e le umiliazioni inflitte dagli Azeri agli Armeni, compresi bambini e anziani, ci fanno concludere che è molto difficile immaginare un ritorno sicuro e la permanenza degli Armeni in Nagorno-Karabakh».

Non che quel che sta succedendo in Nagorno-Karabakh sia sconosciuto alla comunità internazionale (QUI il sito di Caucasus Heritage Watch, che documenta le distruzioni di chiese, croci, cimiteri e altri siti armeni). «Nel dicembre 2021 — ricorda Balayan, peraltro proprio nativo dell’enclave — la Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato all’Azerbajgian di prendere misure adeguate a prevenire i vandalismi e la profanazione dell’eredità armena. Allo stesso modo, nel marzo 2022, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione condannando la distruzione e la cancellazione della cultura armena. Ha anche riconosciuto l’ampia componente armenofoba dell’Azerbajgian a livello statale e il revisionismo storico promosso da Baku. Organizzazioni come UNESCO o Europa Nostra devono però prevenire la distruzione sistematica dell’eredità armena in modo più attivo e far sì che i responsabili paghino. L’Unione Europea è a conoscenza del problema, i funzionari UE continuano a rassicurarci sul fatto che solleveranno questo problema nei loro colloqui con Baku. Fino ad ora, però, la distruzione sta andando avanti ed è anche peggiorata rispetto a prima» (QUI un recente approfondimento di Aldo Ferrari su Avvenire).

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Pregare per la pace in Armenia (NEV 12.11.24)

Roma (NEV), 12 novembre 2024 – Il Consiglio ecumenico delle chiese e la Conferenza delle chiese europee hanno fatto propria l’iniziativa di una Giornata di preghiera mondiale per la pace in Armenia per domenica 10 novembre. La giornata cade alla vigilia dell’apertura della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP29) nel vicino Azerbaigian, ed è stata indetta dal Catholicos Karekin II, capo della Chiesa apostolica armena, una chiesa ortodossa orientale fondata all’inizio del IV secolo.

L’intento della giornata, subito prima dell’importante appuntamento mondiale sul clima, è quello di attirare l’attenzione su un conflitto dimenticato: la situazione dell’enclave armena del Nagorno-Karabakh, regione che gli armeni chiamano Artsakh, con 120.000 persone che hanno dovuto abbandonare le loro case, 23 ostaggi armeni detenuti dagli azeri, il blocco prolungato del corridoio di Lachin che collega l’enclave all’Armenia.

La proposta di Karekin II è quella di una giornata ecumenica di preghiera per la pace nella regione, per il sostegno ai rifugiati e la liberazione degli ostaggi di guerra, nella speranza, ha detto, che “questo sforzo spirituale accresca a livello globale la consapevolezza della crisi umanitaria in corso e promuova una soluzione che porti a una pace fondata sulla verità e la giustizia”.

L’Armenia ha bisogno delle nostre preghiere, ha affermato il moderatore del Consiglio ecumenico delle chiese, il vescovo luterano tedesco Heinrich Bedford-Strohm, sottolineando che “la fede cristiana ha accompagnato il popolo armeno sin dagli inizi della Chiesa apostolica armena nel 301 dopo Cristo. Il futuro è incerto”. Il Consiglio ecumenico promuove un incontro di preghiera per oggi pomeriggio a Ginevra, nella cattedrale protestante di Saint-Pierre, in collaborazione con la locale Chiesa armena. Analoghi incontri si svolgeranno in varie città del mondo, Roma inclusa.

“Dio di misericordia – si legge in una preghiera proposta dal sito del Consiglio ecumenico delle chiese – noi oggi mettiamo davanti a te il popolo dell’Armenia. Ti lodiamo per i doni con cui li hai benedetti: la forza della loro fede, la bellezza delle loro chiese, l’ispirazione delle loro liturgie, i talenti straordinari espressi nell’arte e nella cultura, la resilienza con cui hanno superato le sfide della loro storia. Portiamo davanti a te ciò che oscura le loro vite in questi giorni: le lacrime di chi ha perso i suoi cari, vittime di aggressione militare, l’incertezza di chi ha dovuto fuggire dalle proprie case e teme per il futuro, la distruzione di preziose chiese durante la guerra. Tu sei la luce del mondo: invia la tua luce nei cuori di tutti coloro che sono colpiti e ispirali ancora con il tuo spirito di fede, amore e speranza”.


La Giornata mondiale di preghiera per la pace in Armenia è stata celebrata anche a Roma, domenica 10 novembre, con una celebrazione ecumenica organizzata dal Pontificio Collegio armeno presso la chiesa di san Nicola da Tolentino. La cerimonia è stata presieduta dall’arcivescovo Khajag Barsamian, l’omelia è stata tenuta dal l’arcivescovo Ian Ernst, direttore del Centro anglicano di Roma. Tra i presenti, la pastora Tara Curlewis dell’Ufficio ecumenico riformato a Roma, e il pastore Luca Baratto, segretario esecutivo della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).

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Inizio della missione del nunzio apostolico in Armenia (Osservatore Romano 12.11.24)

L’arcivescovo Ante Jozić, giunto in auto a Yerevan il 25 settembre scorso, è stato accolto dal signor Samvel Mkrtchyan, direttore del dipartimento europeo del ministero degli Affari esteri, e dalla signora Victoria Poghosyan, officiale della Sezione bilaterale del medesimo dipartimento.

Lo stesso giorno il rappresentante pontificio ha consegnato copia delle lettere credenziali al signor Paruyr Hovhannisyan, vice-ministro degli Affari esteri, accompagnato dal signor Davit Asoyan, officiale della Sezione bilaterale del dipartimento d’Europa, e dalla signora Poghosyan.

Il 26 settembre il nunzio apostolico ha assistito a Gyumri al rito di intronizzazione del nuovo ordinario armeno cattolico, l’arcivescovo Kevork Noradounguian. Alla cerimonia, presieduta da Sua Beatitudine Raphaël Bedros xxi Minassian, patriarca di Cilicia degli Armeni, il rappresentante pontificio ha avuto l’occasione di conoscere da vicino la comunità cattolica, armena e latina, del Paese.

Il giorno seguente l’arcivescovo Jozić si è recato presso la Sede Madre della Santa Etchmiadzin dove, alla presenza dell’arcivescovo Nathan Hovhannisyan, capo del dipartimento per gli Affari esteri del Catolicossato, dell’arcivescovo Khajag Barsamian, rappresentante del Catholicos presso la Santa Sede, e del reverendo Garegin Hambardzumyan, direttore del dipartimento per le Relazioni inter-ecclesiali, è stato ricevuto da Sua Santità Karekin ii, Supremo Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni, con il quale si è intrattenuto in un cordiale colloquio.

Il 2 ottobre il rappresentante pontificio si è recato, accompagnato dal capo del Protocollo del ministero degli Affari esteri e dal direttore del dipartimento europeo, al Palazzo presidenziale, dove ha presentato le lettere credenziali al presidente della Repubblica di Armenia, il signor Vahagn Khachaturyan. Alla cerimonia hanno preso parte, tra gli altri, anche i signori Paruyr Hovhannisyan, vice-ministro degli Affari esteri, e Tigran Samvelian, direttore del dipartimento per gli Affari esteri della Presidenza. Nel colloquio che ha seguito la consegna delle lettere credenziali, il nunzio apostolico ha trasmesso al presidente gli auguri del Santo Padre e ha promesso di lavorare per la pace e lo sviluppo dei rapporti bilaterali tra i due Paesi.

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Le strade interrotte dell’Armenia. Viaggio tra confini ostili e nuove rotte commerciali (Altreconomia 12.11.24)

Le tensioni geopolitiche continuano a pesare sulla quotidianità dei cittadini armeni. La vita scorre faticosamente sui confini di guerra con l’Azerbaigian, chiusi da oltre trent’anni, mentre il futuro del Paese ruota intorno a una striscia di terra nel Sud, punto strategico dell’asse Iran-Armenia-Georgia, che collega il Golfo Persico al Mar Nero. Tra avamposti militari e pesanti bilici che si arrampicano su tornanti innevati

Anahit è una signora composta e gentile di 61 anni che abita nel villaggio armeno di Yeraskh, 70 chilometri a Sud della capitale Yerevan. Troppo anziana per trovare lavoro e troppo giovane per la pensione, prepara il caffè riempiendo il tavolino del salotto con mele, formaggio, dolci fatti a mano e frutta secca di ogni tipo. “Fino a quando c’era il soviet convivevamo in pace, addirittura la maestra della scuola elementare era azera”, dice, e intanto copre con un lenzuolo la torre di lavash, il pane tipico armeno, sottile e grande come un tavolo, cucinato poco prima. “Poi iniziarono ad esserci i morti e quello fu il punto di non ritorno, la convivenza non era più un’opzione. Allora ci mettemmo d’accordo per organizzare lo scambio di case, ognuno doveva tornare da dove era venuto”.

Nel suo villaggio quella che fu l’autostrada principale che conduceva in Iran, attraverso l’exclave azera del Nakchivan, è ora sbarrata da un terrapieno alto diversi metri e decorato da un’enorme croce di pietre bianche. Oltre il muro di terra c’è una collina dove due avamposti avversari si fronteggiano a pochi metri uno dall’altro, difesi ciascuno dalla propria bandiera e da qualche giovane recluta.

A causa della guerra tra Armenia e Azerbaigian, scoppiata nel 1992 dopo il crollo dell’Urss, le frontiere fra i due Paesi sono state chiuse, portando allo smantellamento della rete di infrastrutture che li collegava con Teheran. La rotta commerciale che si sviluppa sull’asse Iran-Armenia-Georgia ha un’importanza strategica in quanto collega il Golfo Persico al Mar Nero, permettendo alle merci provenienti da India e Cina di raggiungere i mercati europei

La casa di Anahit è separata dal terrapieno solamente da una sbilenca strada sterrata, lungo la quale sfilano camion carichi di soldati e gruppi di operaie in camice bianco disposte in fila indiana per far passare i mezzi, mentre cercano di non infangarsi le ciabatte. Sono le lavoratrici dell’unica attività rimasta nel villaggio, uno stabilimento che produce vino, cognac e vodka e che fa lavorare quasi tutte le famiglie di Yeraskh, anche se a intermittenza.

La signora Anahit di fronte alla pila di lavash appena sfornato © Kevork Hayrabedian

Avere un buon lavoro in questa zona è difficile, per questo il figlio di Anahit è emigrato a Mosca per mantenere la moglie e le due figlie piccole che vivono in casa con la nonna. Hermine, la madre delle bambine, racconta che cerca sempre di accompagnare le figlie quando vanno e tornano da scuola anche se è consapevole che non può sempre proteggerle. “Da qualche parte devono pur poter giocare- spiega- quindi le lascio andare sulla strada che corre di fronte al terrapieno, ma rimango sempre allerta”. Sa che sono costantemente sotto lo sguardo dei soldati nemici.
Nonostante la tensione, negli ultimi mesi la situazione è relativamente calma. L’incidente più recente è del luglio 2023, quando l’esercito azero ha sparato sul villaggio in direzione dell’acciaieria in costruzione a Yeraskh, ferendo due lavoratori e colpendo l’ambulanza che li aveva soccorsi. Dopo quei fatti il progetto dello stabilimento è stato spostato in un altro distretto, più lontano dal confine, impoverendo ulteriormente le prospettive degli abitanti.

Dal 1992 i due Paesi non sono mai giunti ad un equilibrio di non belligeranza. Le frontiere rimangono quindi chiuse e l’Armenia è stata obbligata a individuare altre vie di comunicazione per raggiungere il confine con l’Iran. Ad oggi tutto il traffico tra Armenia e Iran, oltre ad essere esclusivamente su gomma, si snoda lungo strade di montagna, spesso molto strette e inadatte ai bilici che transitano ogni giorno.

Gli autotrasportatori armeni, georgiani e iraniani si avventurano lungo boschi, montagne e passi innevati, spesso su mezzi precari e antiquati. Per fare questo lavoro serve pazienza, soprattutto nel periodo invernale, quando le bufere di neve rendono inagibili alcuni tratti, costringendoli a fermarsi anche per diversi giorni in attesa che il tempo migliori e le strade vengano rese nuovamente accessibili.

Arthur non ha neanche trent’anni ma ha tre figli che lo aspettano a Yerevan. Per ritornare a casa deve condurre un bilico dal confine con l’Iran alla capitale. “È il primo anno che faccio questo lavoro, prima guidavo trattori”, racconta mentre guarda l’asfalto spaventato dalle condizioni del tempo. Il peso del mezzo è importante e le sue mani tremano quando la strada costeggia uno strapiombo; proseguiamo quindi a velocità estremamente ridotta, quasi snervante, per la maggior parte del tragitto.

Si ferma in mezzo a greggi di pecore condotti da pastori bambini, superando poi carcasse di camion abbandonati e attraversando villaggi sfiorando le finestre delle case. Arthur nei punti critici ferma il mezzo più volte per scendere a controllare quanto sia ghiacciata la strada, la giornata sta finendo e il buio incombe, bisogna cercare un posto adatto dove passare la notte. Una serie infinita di tornanti conduce nel letto di una vallata dove decine di camion si fermano a bordo strada per la notte. Finalmente può riposare e concedersi due sorsi di vodka fatta in casa per digerire l’adrenalina. La mattina successiva, a causa del guasto di un mezzo, l’intera colonna resta bloccata per ore, paralizzando il traffico in entrambi i sensi.

Un autotrasportatore armeno su un vecchio scuolabus riadattato al trasporto merci © Sebastiano Teani

La strategica importanza di questo collegamento ha spinto l’Armenia, insieme all’Unione europea e all’Eurasian development bank, a finanziare il cosiddetto “corridoio Nord-Sud”, un progetto che prevede la realizzazione di infrastrutture che percorreranno l’Armenia, dal confine con la Georgia a quello con l’Iran.

Al momento i lavori sono stati realizzati solo nel Nord del Paese, nonostante gli espropri siano già avvenuti anche nell’estremo Sud, conferma Monte, giovane di Meghri, la cui casa di famiglia è stata rilevata dalla società che porta avanti il cantiere. Gli abitanti sperano in collegamenti migliori con le altre città, dove spesso devono recarsi per usufruire di servizi fondamentali. “Per poter accedere a visite mediche specialistiche, uffici pubblici, studi legali e addirittura l’obitorio dobbiamo andare a Kapan, a due ore di macchina da qui”. Monte sospira, “sempre che la strada sia agibile”.

Al progetto di collegamento tra Iran e Armenia si contrappongono gli interessi degli altri attori strategici del Caucaso, Turchia e Azerbaigian. Ad oggi, infatti, i due Paesi sono separati solamente da venti chilometri di territorio armeno, il cosiddetto “corridoio di Zangezur”.  Questa sottile striscia di terra rappresenta l’unico ostacolo alla realizzazione del “sogno panturco”, quello cioè di collegare direttamente tutti i popoli turcofoni, da Istanbul agli Uiguri della Cina.

In questa cornice, risultano preoccupanti le recenti dichiarazioni belligeranti del presidente azero İlham Aliyev, il quale ha minacciato direttamente l’integrità territoriale dell’Armenia alludendo alla possibilità di annettere il “corridoio di Zangezur”.

La tensione tra i due opposti interessi si riversa sull’Armenia meridionale che da un lato percepisce la morsa azero-turca, mentre dall’altro riceve l’appoggio di Iran, India e Unione europea, interessati a mantenere aperta la rotta commerciale.

Dagli ultimi sviluppi, tuttavia, sembra che Armenia e Azerbaigian stiano cercando di risolvere le dispute territoriali attraverso la diplomazia, concentrandosi in particolare sul processo bilaterale di demarcazione dei confini. Ciononostante, la questione del “corridoio di Zangezur” mantiene alta la tensione, alimentando ulteriormente il disprezzo e il risentimento reciproco che anima i due popoli, esasperati da oltre trent’anni di guerra.

Il rancore resta vivo anche in Anahit ma non sfocia mai nell’odio. “Se si tratta di bambini darei da mangiare anche a quelli che vivono oltre il confine, senza distinzione -dice salutandoci-. Bisogna iniziare a spezzare questa spirale”.

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XVII Tournee internazionale Giovani Talenti il 15 novembre 2024 (Padova Oggi

Prende il via dal 15 novembre il tradizionale appuntamento con i “giovani talenti di musica classica”, provenienti da vari Paesi, quest’anno dedicato alla cultura e alla musica armena. Dopo il periodo negli anni scorsi con i giovani talenti russi, interrottosi con la invasione dell’Ucraina; dopo l’ultima fase dedicata ai musicisti europei, quest’anno avremo ospiti due giovani musicisti provenienti dall’Armenia, Armen Puchinyan, 21 anni, pianista, proveniente dal Conservatorio Komitas di Erevan, Ernest Alaverdian, 23 anni, clarinetto, armeno, una giovane violinista francese, Charlotte Dupille, 23 anni, Olzhas Nurlanov, 24 anni, fisarmonica a bottoni.

Il repertorio musicale si articolerà in una prima parte con brani degli autori internazionali classici, da Rachmaninoff a Bizet, da Ravel a Monti, da Verdi a Vivaldi, da Manuel De Falla a Bela Kovacs, e una seconda parte dedicata ad compositori armeni, da Komitas a Babajanian, da Aram Khachiaturian a Karen Khachiaturian.

La tournèe quest’anno si avvale della collaborazione dell’Associazione Italiarmenia e vedrà la presenza al concerto di Padova della prof.ssa Antonia Arslan, autrice, col prof. Aldo Ferrari., del recente volume “Un genocidio culturale dei nostri giorni”.

https://www.padovanet.it/evento/xvii-tourn%C3%A9e-internazionale-giovani-talenti
XVII Tournee internazionale Giovani Talenti il 15 novembre 2024
https://www.padovaoggi.it/eventi/concerto-tournee-internazionale-giovani-talenti-15-novembre-2024.html
© PadovaOggi

 

Conferito ad Agop Manoukian il Premio Internazionale Empedocle (CiaoComo 11.11.24)

Il sociologo Agop Manoukian, presidente onorario dell’Unione degli Armeni d’Italia e autore di saggi tra storia e attualità sul suo popolo, il patriarca di Gerusalemme cardinale Pierbattista Pizzaballa, biblista e attraverso la preghiera e la diplomazia tessitore di pace in Terra Santa, la scienziata e filantropa Amalia Ercoli Finzi, personalità fra le più importanti al mondo nel campo delle scienze aerospaziali, consulente della NASA, dell’ASI e dell’ESA, sono i vincitori del “Premio Internazionale Empedocle per le scienze umane, in memoria di Paolo Borsellino”, giunto quest’anno alla trentesima edizione, promosso dall’Accademia di Studi Mediterranei di Agrigento – in collaborazione con l’Assessorato regionale ai Beni Culturali e Identità Siciliana e con il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi.
Ne hanno dato notizia attraverso una nota congiunta i componenti della giuria, specificando che le motivazioni dell’assegnazione saranno lette per il cardinale Pizzaballa dall’arcivescovo di Agrigento Alessandro Damianoper la scienziata Ercoli Finzi dal giornalista e scrittore Marco Roncalli; per l’intellettuale armeno Manoukian dal medico-saggista Pietro Kuciukian, che già lo scorso anno aveva letto quella per Antonio Montalto, console onorario dell’Italia in Armenia da tempo dedito a progetti umanitari e di cooperazione.
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APPELLO PRO DETENUTI ARMENI/ Hambardzumyan: accordo con Baku vicino, così l’Italia aiuta la pace (Il Sussidiario 10.11.24)

Quaranta parlamentari italiani di tutti i partiti firmano un appello per la liberazione di 23 detenuti armeni che sono nelle carceri azere. L’occasione per avanzare la richiesta alle autorità di Baku è la COP29, la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, che si svolgerà in Azerbaijan dall’11 al 22 novembre. Il documento, in realtà, è indirizzato al Governo Meloni perché faccia tesoro dei buoni rapporti maturati tra l’Italia e gli azeri, anche in virtù delle relazioni commerciali in campo energetico (l’Azerbaijan è uno dei nostri più importanti fornitori di gas), affinché venga disposta la scarcerazione dei reclusi, alcuni dei quali finiti dietro le sbarre in occasione dell’occupazione del Nagorno Karabakh.

Sullo sfondo, però, c’è anche l’auspicio che Armenia e Azerbaijan firmino un accordo di pace che sancisca i confini dei due Paesi, mettendo fine alle controversie che hanno deteriorato i rapporti fra loro in questi anni. Yerevan, tra l’altro, spiega Tsovinar .ambasciatrice dell’Armenia in Italia, sta lavorando per allacciare i rapporti anche con la Turchia, per aprire un confine che dalla sua indipendenza fino a oggi (33 anni) era sempre rimasto chiuso.

Da dove nasce l’appello bipartisan dei parlamentari italiani e chi sono gli azeri detenuti in Azerbaijan?

Una parte di queste persone rappresenta la leadership politica del Nagorno Karabakh, catturata durante l’esodo. Altri, invece, erano già detenuti in precedenza nelle carceri azere. Sono persone che si trovano nelle carceri dell’Azerbaijan con accuse fittizie. Complessivamente l’appello riguarda 23 persone. Speriamo che vengano liberate in occasione di COP29, sarebbe un segnale positivo per le relazioni tra i due Paesi. L’iniziativa è del gruppo parlamentare bilaterale Amicizia Italia-Armenia, che ha come presidente l’onorevole Giulio Centemero. Sono rimasta sorpresa che così tanti parlamentari di tutti i partiti abbiano aderito, lasciando da parte le controversie politiche, per sostenere unanimemente la causa dei diritti umani.

L’appello riguarda anche il possibile accordo tra Armenia e Azerbaijan che da tempo stanno trattando per definire i loro confini. A che punto è il negoziato?

Non siamo mai stati vicini a un accordo di pace come siamo oggi, possiamo dire che il trattato è quasi pronto. La nostra leadership politica, il primo ministro e gli altri componenti del governo, hanno dichiarato che l’Armenia non può deviare dall’agenda di pace. Speriamo che la regione alla fine si pacifichi. COP29 può essere un’occasione positiva anche per raggiungere questo scopo.

Cosa si conosce dell’accordo?

La cosa più importante è che nelle parti concordate del trattato di pace c’è già un riferimento alla dichiarazione di Alma-Ata del 1978, che prevede sicuramente il riconoscimento reciproco dell’integrità territoriale basato sulla dichiarazione di Almaty, in Kazakistan, del 1991, nella quale sono stati riconosciuti come frontiere dei nuovi Stati i confini amministrativi dell’Unione Sovietica.

Si è a lungo dibattuto sulla presenza di alcuni villaggi di frontiera popolati da armeni in Azerbaijan e da azeri in Armenia. Anche questa questione è in via di risoluzione?

C’è una commissione, in parte armena e in parte azera, che si occupa della delimitazione e demarcazione dei confini. Già è stato fatto un primo passo, delimitando una parte delle frontiere. È stato firmato un regolamento tra le parti che farà da base per definire i confini. Adesso stiamo lavorando sulla ratificazione del documento. La commissione si sta occupando di tutte le frontiere che devono essere delimitate (sulla mappa) e demarcate (sul terreno). È guidata dal vice primo ministro dell’Armenia Mher Grigoryan e dal vice primo ministro azero Shaihn Mustafayev. Tra le parti c’è un clima positivo, le trattative procedono.

L’intesa è davvero vicina?

L’Armenia è pronta a firmare l’accordo anche domani. Speriamo che la COP aiuti le parti a concludere le trattative e ad arrivare alla firma.

In questi ultimi tempi c’è stato un avvicinamento dell’Armenia agli USA e all’Occidente; i rapporti con la Russia, invece, come vanno?

Il nostro avvicinamento all’Unione Europea e all’America riguarda l’adozione dei valori occidentali: sviluppare una vera democrazia, il rispetto dei diritti umani, lo stato di diritto, la lotta contro la corruzione. Poi i nostri confini vengono osservati da EUMA, una missione civile (della UE) non esecutiva e non armata della Common Security and Defence Policy (PSDC). EUMA osserverà e riferirà sulla situazione della sicurezza lungo il lato armeno del confine internazionale con l’Azerbaijan. Ma questo non vuol dire che non dobbiamo intrattenere buoni rapporti con altri Paesi come la Russia, con la quale abbiamo un’amicizia secolare e stretti rapporti economici.

L’Armenia, quindi, è fiduciosa riguardo alla pacificazione dell’area?

Lo speriamo tanto e facciamo di tutto per raggiungere una pace definitiva. Abbiamo sofferto tanto. Abbiamo rapporti amichevoli anche con l’Iran e con la Turchia ci sono negoziati in corso per aprire il confine tra i due Paesi e per instaurare dei rapporti diplomatici.

Quest’ultimo accordo storicamente avrebbe un grandissimo significato.

Sì. In 33 anni di indipendenza dell’Armenia questo confine è sempre stato chiuso. Il nostro Paese in questo periodo non ha mai cambiato posizione, è sempre stato favorevole alla riapertura della frontiera: non ha mai messo, ad esempio, come precondizione il riconoscimento del genocidio degli armeni.

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COP29: l’urgenza del tema, i dubbi etici sulla sede (Cath.ch 10.11.24)

di Chiara Gerosa

Avrà inizio lunedì a Baku, la capitale dell’Azerbaigian, la Conferenza dell’ONU sul clima, la Cop29. In cima all’agenda del vertice un nuovo obiettivo di finanziamento globale per il clima. È evidente che la crisi climatica continui ad aggravarsi. I leader mondiali discuteranno quindi delle possibili misure da adottare per offrire protezione alle popolazioni che sono colpite direttamente dagli effetti dei cambiamenti climatici. Ma dentro questi sforzi, sta passando sotto silenzio un’altra, grande questione. Quella della pulizia etnica nel Nagorno Karabak. Sul tema c’è stato nei giorni scorsi il vibrante appello dei leader delle Chiese cristiane in Azerbaigian. Più di un anno fa, infatti, a fine settembre del 2023, circa 100’000 armeni sono stati espulsi dalla loro patria dopo un assedio durato quasi dieci mesi. Nel silenzio dei media occidentali, l’anno scorso lo Stato dell’Azerbaigian si è impossessato di questo territorio e ne ha scacciato tutta la popolazione armena. Da allora sta lavorando per distruggerne il patrimonio religioso e culturale. Storicamente, nel 1923 questa regione venne attribuita da Stalin all’Azerbaigian ma da millenni era abitata da armeni cristiani. Armeni che fino al crollo dell’Unione sovietica avevano ottenuto una propria autonomia. Ma nel 2022 e ancora nel 2023 gli Azeri hanno riconquistato il territorio e 100mila profughi hanno dovuto fuggire da un giorno all’altro in Armenia. E da allora questo conflitto è rimasto in ombra. Alla vigilia della Cop29, anche dalla Svizzera si stanno sollevando voci di protesta, che chiedono di non inviare delegati della Confederazione in Azerbaigian. O quantomeno di alzare la voce con uno Stato che, mentre si sta macchiando di tali crimini, grazie alla Conferenza intenderebbe rifarsi il trucco davanti alla comunità internazionale. Alle voci di alcuni deputati al Consiglio Nazionale, si aggiungono le petizioni di Christian Solidarity International, organizzazione umanitaria cristiana e del Consiglio ecumenico delle Chiese, che chiede di rilasciare immediatamente tutti gli ostaggi civili e i prigionieri di guerra armeni in conformità alle norme del diritto internazionale. Il Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni con il Consiglio ecumenico delle Chiese hanno chiesto di unirsi alla preghiera per gli ostaggi armeni proprio nella giornata di domani, 10 novembre. Ma basteranno le numerose proteste e richieste a far tornare gli armeni sulla loro terra e a fermare la distruzione del patrimonio culturale e religioso? Oppure prevarranno gli interessi economici ed il silenzio davanti a questa barbarie? Riguardo poi alla questione climatica ricordiamo che l’Azerbaigian è tra i massimi produttori di petrolio al mondo.

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