Il grande gioco del Caucaso e gli interessi economici europei (IARI 13.11.25)

L’accordo preliminare Armenia-Azerbaijan dell’agosto 2025 apre prospettive per la stabilizzazione dei corridoi energetici caucasici, cruciali per la diversificazione europea dal gas russo.

La mediazione statunitense e il controllo del corridoio TRIPP rivelano un paradosso geoeconomico: l’Unione Europea, principale cliente del gas azerbaigiano, si trova priva di leverage negoziale. La dipendenza energetica post-2022 e i vincoli normativi sui diritti umani impediscono a Bruxelles di tradurre il potere economico in influenza strategica. Gli Stati Uniti, liberi da tali costrizioni, mediano la pace e controllano i corridoi commerciali, relegando l’Europa a ruolo di importatore pagante.

L’8 agosto 2025 è stato siglato dalla Repubblica Armena e da quella dell’Azerbaijan un testo preliminare in previsione di una pace che metterebbe fine al susseguirsi di scontri e violenze risalenti ad almeno l’inizio del XX secolo, connesse e legate alla complessa storia del Caucaso e delle sue popolazioni autoctone. I due paesi del Caucaso meridionale si sono scontrarti più volte nel corso della storia, ragion per cui le loro popolazioni sono permeate da narrazioni storiche reciprocamente opposte, e le tensioni per la regione del Nagorno-Karabakh si sono progressivamente intensificate fino a degenerare in violenze e guerre, ciò sin dagli anni ’80 del Novecento, quando le repubbliche erano ancora sotto il controllo dell’Unione Sovietica. Dopo tre guerre (1988-1994, 2016, 2020), nel 2023 l’Azerbaigian ha preso il controllo della regione contesa del Nagorno-Karabakh, costringendo più di 100.000 persone di etnia armena alla fuga.

La prospettiva di pace, da un punto di vista di relazioni internazionali, prospetterebbe quindi la normalizzazione di una regione estremamente importante, anche  in termini di scambi di materie prime, quali petrolio e gas. Nello specifico, la Repubblica dell’Azerbaijan, data la sua posizione geografica e la sue capacità estrattive, potrebbe diventare un nuovo hub centrale di approvvigionamento. Da segnalare infatti che la centralità del Caucaso nella mappa geografica rende la regione un corridoio di incontro tra il mondo europeo e quello asiatico in termini non solo fisici, ma anche economici e culturali. La stabilità dell’area implicherebbe dunque maggiore sicurezza energetica per i paesi importatori, che guarderebbero all’Azerbaijan come a un’alternativa alle rotte del gas russo.

L’accordo di pace, concordato presso la Casa Bianca il 13 marzo 2025 in un draft agreement prevede 17 punti di cui si segnalano i seguenti:

  • Il riconoscimento reciproco della sovranità, indipendenza politica, integrità territoriale e relativa inviolabilità dei confini (i quali però non sono ancora del tutto definiti);
  • Impegno a non avanzare rivendicazioni territoriali in futuro;
  • Impegno al principio di non usare la forza;
  • Apertura verso cooperazione economica, transito, cooperazione culturale.

Inoltre l’Azerbaijan richiede che l’Armenia modifichi la propria Costituzione affinché venga rimossa qualsiasi rivendicazione verso la sovranità o integrità territoriale dell’Azerbaijan, e che venga dismesso il Gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) – ufficialmente sciolto il 1 settembre 2025.

Congiuntamente all’accordo preliminare di pace, è stato approvato un piano per un nuovo collegamento stradale e ferroviario  il quale sarà denominato Trump Route for International Peace and Prosperity(TRIPP – Percorso Trump per la pace e la prosperità internazionale) – che unirà l’Azerbaigian al Nakhichevanexclave azera confinante con Armenia, Iran e Turchia. L’Armenia ha concesso di sviluppare questo corridoio di trasporto, lungo circa 43 chilometri, che attraversa il suo territorio a un consorzio disocietà private americane, il quale avrà la gestione dello stesso per 99 anni. Nello specifico, è previsto che l’Armenia manterrà il controllo sovrano del passaggio e all’Azerbaigian sarà concesso “libero accesso” da e verso il Nakhichevan. Il piano TRIPP sostituisce un accordo del 2020 tra Aliyev, Pashinyan e Putin che avrebbe concesso alla Russia il controllo della rotta.

In questo panorama si colloca anche l’Unione europea (UE), che ha stretto nel 2022 con l’Azerbajan un memorandum di intesa volto al potenziamento dell’approvvigionamento di gas nell’ambito della strategia di diversificazione energetica promossa dalla Commissione europea (CE) a seguito dell’aggressione russa in Ucraina e del piano di eliminazione delle importazioni di gas naturale dalla Russia entro il 2027. L’accordo siglato ad agosto 2025 apre dunque nuove opportunità per i corridoi energetici, ma la mancata ratifica finale crea incertezza per gli investimenti europei. Il coinvolgimento di nuovi attori, quali gli USA, pone dubbi sul futuro della presenza europea nella regione.

L’Azerbaijan è a tutti gli effetti definibile come un rentier state, per cui la sua economia ruota intorno al commercio di gas naturale, che il paese estrae principalmente dal giacimento di Shah Deniz. Come mostrato dal grafico è necessario sottolineare come il Paese non è un “gigante” del gas – può vantare infatti riserve modeste – la sua importanza è infatti posizionale, non quantitativa.

Dati tratti da: Global Energy Monitor

Le principali pipeline che interessano il Paese in questione sono tre:

  • Verso l’Europa il corridoio meridionale (o Southern Gas Corridor) che a sua volta comprende il South Caucasus Pipeline (SCP) – noto anche come Baku-Tbilisi-Erzurum –, il Trans-Anatolian Pipeline (TANAP) e il Trans Adriatic Pipeline (TAP).
  • Verso l’Iran il Hajiqabul–Astara–Abadan pipeline;
  • E la nuova connessione Iğdır–Nakhchivan, inaugurata nel 2025 in cooperazione tra Turchia e Azerbaijan (BOTAŞ e SOCAR) e volta a garantire una fornitura stabile al Nakhchivan senza passare attraverso altre rotte complesse.

A queste rotte operative si aggiungo progetti futuri che coinvolgono, a occidente, i paesi dell’UE e del Mar nero (White Stream), ma anche la Turchia, la Georgia, il Turkmenistan, il Kazakistan, l’Uzbekistan e l’Iran. Di particolare rilevanza fra i progetti in discussione è il Trans-Caspian Gas Pipeline (TCP / TCGP), collegamento sottomarino che dovrebbe collegare Turkmenistan e Azerbaijan attraversando il fondale del Mar Caspio, per trasportare il gas turkmeno verso l’Europa tramite il Southern Gas Corridor.

Per quest’ultimo progetto, già discusso senza successo negli anni ’90, si sono moltiplicate le consultazioni tra Baku, Ashgabat, Bruxelles e Ankara nel 2024–2025 al fine di definire possibili schemi di cooperazione o mini-TCP (collegamenti più piccoli). L’intensificarsi del dialogo mostra quindi l’enorme interesse europeo per il Caucaso, che permetterebbe all’UE di raggiungere i mercati dell’Asia centrale. L’iniziativa renderebbe quindi Azerbaijan un hub di fondamentale importanza per l’Unione europea.

È in atto un “grande gioco” in cui i partner tradizionali del Paese faticano a mantenere la loro posizione e nuovi attori, prima nemici, reclamano un ruolo. Infatti, l’Azerbaijan, e più in generale il Caucaso, non è interesse solo europeo ma vede coinvolti altri attori, primo fra tutti la Federazione Russa, la cui presenza egemonica sulla regione si è ridotta drasticamente negli ultimi anni, soprattutto a seguito del conflitto in Ucraina. L’obiettivo russo è quello di cercare di rimanere rilevanti nell’area (intenzione dimostrata in occasione delle elezioni georgiane la cui regolarità è stata fortemente messa in dubbio).

Similmente anche l’Iran (culturalmente legato all’Azerbaijan per ragioni “etniche” e religiose) assiste a un progressivo ridimensionamento della propria influenza nel Paese come dimostrato dall’attacco all’ambasciata azera a Teheran del 2023. Infatti, con l’apertura delle nuove rotte energetiche l’Iran rischierebbe di perdere una leva geopolitica assai rilevante. Inoltre vivono in Iran circa 20 milioni di azeri etnici (circa il 25% della popolazione) che potrebbero mobilitarsi, ispirati da una spinta di Baku di matrice nazionalista, contro l’Iran.

Al contrario Turchia e Israele stanno stringendo rapporti sempre più stretti con l’Azerbaijan proprio grazie allo strumento energetico e ad accordi militari. Baku mantiene stretti legami sia con Turchia che con Israele, posizionandosi come mediatore tra i due paesi.

Infine il nuovo attore entrato in gioco sono proprio gli Stati Uniti di Trump i quali, in contrasto con la Sezione 907 della legge del 1992 che limita l’assistenza USA all’Azerbaijan (retaggio del conflitto del Nagorno-Karabakh), vedono il Paese come un perno fondamentale per il controllo della zona. Il controllo del Caucaso significherebbe per gli Stati Uniti avere un alleato alle porte dell’asia centrale capace di contenere la Russia, le potenze medio-orientali nonché la Cina e la sua Belt and Road Initiative (BRI). Questo interesse spiega il coinvolgimento americano nel conflitto. Il TRIPP si inserisce nel più ampio Middle Corridor, che collega la Cina all’Europa attraverso Asia Centrale e Caucaso, bypassando Russia e Iran. Questo posiziona l’Azerbaijan come snodo strategico non solo per l’energia, ma anche per i flussi commerciali terrestri, in diretta competizione con la Belt and Road Initiative cinese.

Migliori console per videogiochi

Si osserva dunque come i corridoi energetici siano l’arma diplomatica migliore per l’Azerbaijan per ritagliarsi un ruolo nell’area. L’UE, che ha investito politicamente e economicamente nell’area non solo potrebbe diventare un attore marginale, ma rischia di essere esclusa dalla zona perdendo il ruolo di mediatore politico che negli anni si era ritagliata.

Nello specifico, appare dunque che l’Europa non ha alcune leverage negoziale, specialmente dal 2022. Ciò è dovuto a due ragioni principali:

  1. L’insicurezza energetica fa si che l’UE sia costretta ad accettare condizioni subottimali e non gli permette di avere alcun potere negoziale.
  2. Dover dar conto all’opinione pubblica obbliga l’UE ha dover seguire strade non ottimali e molto più complesse. A titolo esemplificativo si segnala il report del 2024 di “freedom house che valuta l’Azerbaijan come un paese autoritario e non libero, caratteristiche assai lontane dal messaggio politico che l’UE tenta di trasmettere ai suoi cittadini.

Importazioni trimestrali dell’UE per fonte (ultimo aggiornamento 2/10/2025)

Fonte: Bruegel based on ENTSOG, GIE and Bloomberg

Di conseguenza, il memorandum europeo del 2022 pone l’UE nella condizione di dover assolutamente fare i conti con la crescente centralità dell’Azerbaijan, porta d’ingresso verso l’Oriente – sia persiano che cinese (infatti i paesi a Est del Mar Caspio ruotano sotto l’orbita di Pechino); ma l’ideale dei diritti umani, che è alla base non solo dei principi ma anche della legittimazione politica e giuridica stessa dell’UE, impone cautela nel dialogare con l’Azerbaijan. Gli Stati Uniti, al contrario, non sono affatto soggetti a tali vincoli e, dalla loro posizione di “isola” rispetto all’Eurasia riescono a muoversi molto più agilmente.

In altri termini, se per gli USA la pace fra Azerbaijan e Armenia è un traguardo politico, per l’UE risulta essere una condizione economica e il costo della stabilità diventa il prezzo della sicurezza energetica europea.

La grande quantità di attori in gioco nel contesto caucasico e l’imprevidibilità relativa alla concreata pace fra Azerbaijan e Armenia aprono a diversi scenari per la futura azione dell’UE.

Migliori console per videogiochi

Scenario USA: Il maggiore coinvolgimento Statunitense potrebbe essere funzionale al raggiungimento della Pace fra Armenia e Azerbaijan e la conseguente normalizzazione della regione. Inoltre, l’interesse geostrategico statunitense per il Caucaso e l’indebolimento degli attori principali dell’area (Russia e Iran) da una parte, dal punto di vista economico, garantirebbe all’UE un partenariato con un attore destinato a diventare sempre più centrale in ambito di sicurezza energetica; ma, dall’altra parte, implicherebbe anche una dipendenza politica e diplomatica nei confronti degli Stati Uniti.

Tale scenario quindi garantirebbe all’UE dei vantaggi in termini economici, ma richiederebbe anche uno sforzo di politica estera collettiva per poter ritagliare una posizione di rilievo nelle negoziazioni, aumentando il leverage negoziale e limitando la dipendenza da attori esterni.

Scenario russo: La Russia – sebbene ora sia impegnata nella guerra in Ucraina – attraverso interferenze e azioni ibride potrebbe riacquisire il controllo dell’area impedendo la pace tra i due paesi del Caucaso, probabilmente spingendo l’Armenia a non implementare le richiesti azere propedeutiche alla pace. In questo caso non solo la stabilizzazione della regione non avrebbe seguito, ma inoltre l’Europa si troverebbe senza un partner (e una rotta) importante in termini di approvvigionamento. Inoltre, qualora lo scenario si avverasse, gli investimenti finora stanziati dall’UE andrebbero perduti dal momento che i rapporti tra Europa e Russia risultano essere ridotti al minimo.

In questo scenario l’Europa si troverebbe in forte difficoltà, la strategia da adottare sarebbe dunque quella di cercare un nuovo hub di approvvigionamento che possa mettere in contatto l’Eurasia; tuttavia l’instabilità nell’area mediorientale e del Asia centrale renderebbero certamente molto ardua tale sfida.

Worst case scenario– orientalizzazione: In questo scenario si assisterebbe ad un “reindirizzamento” delle politiche estere dei paesi del Caucaso, nello specifico dell’Azerbaijan, verso i grandi mercati asiatici. Il consolidarsi della pace con l’Armenia — favorito da mediazioni extra-europee, principalmente statunitensi e turche — garantirebbe la stabilità necessaria per attrarre investimenti e infrastrutture orientate a Est, legate alla BRI e al corridoio transcaspico. Questo scenario renderebbe irrisoria ogni iniziativa europea nella zona e significherebbe l’effettiva perdita degli investimenti nonché degli approvvigionamenti. L’Europa, priva di un proprio spazio d’influenza autonoma, sarebbe quindi rilegata a diventare una “penisola dell’Eurasia”.

L’UE per poter reagire in questo scenario dovrebbe quindi potenziare la propria credibilità in termini di politica estera, implementare una diplomazia energetica proattiva e influire tramite un Soft power mirato, capace di combinare incentivi economici e sostegno alla modernizzazione politica dell’area.

Vai al sito