«Il popolo armeno dell’Artsakh è stato abbandonato» (Tempi 20.09.25)

A due anni dalla conquista del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian, i 120 mila armeni cacciati dalla loro terra non hanno ancora potuto fare ritorno. «Non ci può essere pace senza giustizia». Intervista ad Artak Beglaryan, ex ministro di Stato dell’Artsakh
Un armeno commemora il secondo anniversario della guerra del Nagorno-Karabakh
Un armeno commemora il secondo anniversario della guerra del Nagorno-Karabakh (foto Ansa)

«Se gli armeni dell’Artsakh non potranno fare ritorno nella loro terra e se l’Azerbaigian non porrà fine alla sua politica di odio contro di noi, non ci sarà mai pace». Dichiara così a Tempi.it Artak Beglaryan, fondatore e presidente dell’Ong Artsakh Union. Il 20 settembre di due anni fa l’esercito azero, dopo aver affamato per quasi un anno i 120 mila armeni che vivevano nel Nagorno-Karabakh attraverso la chiusura del Corridoio di Lachin, conquistava con un’invasione armata la Repubblica dell’Artsakh, cacciando la sua popolazione e dissolvendo le istituzioni della repubblica armena non riconosciuta a livello internazionale.

Beglaryan, che dell’Artsakh è stato ministro di Stato per un anno dal 2021 al 2022, è tra i tanti armeni che non può fare ritorno nella propria terra a causa delle politiche dittatoriale del presidente azero Ilham Aliyev. «Soprattutto in un giorno come oggi provo dolore e un forte senso di ingiustizia», afferma. «Ma sono determinato a continuare a combattere per i diritti di tutti gli armeni».

Beglaryan, ci sono ancora degli armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh occupato dagli azeri?
Meno di dieci armeni sono rimasti e vivono costantemente controllati e umiliati dagli azeri. Si tratta per lo più di anziani o persone con problemi psichiatrici, lasciati completamente da sole.

Che cosa sappiamo degli armeni che sono stati arrestati durante l’invasione?
Ufficialmente, sono 23 gli armeni detenuti nelle prigioni azere dopo essere stati rapiti. Ma sono almeno 80 le persone sparite, catturate dall’Azerbaigian e delle quali non sappiamo più nulla. I 23 detenuti confermati sono stati soggetti a torture e a processi farsa. Nessuna organizzazione internazionale monitora i loro processi e il loro stato di salute. Neanche la Croce Rossa ha potuto visitarli e il suo ufficio è stato chiuso dalle autorità azere.

Una bandiera della Repubblica dell'Artsakh viene issata in Armenia
Una bandiera della Repubblica dell’Artsakh viene issata in Armenia (foto Ansa)

L’Azerbaigian impedisce l’ingresso nel territorio del Nagorno-Karabakh a giornalisti indipendenti, ma dalle immagini satellitari è possibile vedere che molte chiese armene e altri siti cristiani sono stati distrutti. Qual è la situazione?
Il regime di Aliyev continua nella sua politica di distruzione del patrimonio armeno-cristiano con l’obiettivo di falsificare la storia. Diverse chiese sono state completamente rase al suole, altre decine sono state vandalizzate e centinaia di khachkars (croci di pietra – ndr) e altri monumenti sono stati demoliti. Interi villaggi e aree residenziali non esistono più.

Dove e come vivono i 120 mila armeni cacciati dall’Artsakh? Quali sono le loro necessità?
Gli armeni che sono stati costretti a fuggire ora vivono principalmente in Armenia, sparpagliati in diverse comunità. Più di 30 mila persone, circa il 20% del totale, hanno però lasciato l’Armenia a causa delle difficoltà sociali e umanitarie per cercare altrove condizioni di vita migliori e più degne e un futuro sostenibile. Per quanto riguarda coloro che vivono in Armenia, hanno bisogno soprattutto di una casa, di entrate finanziarie stabili e di cure psicologiche.

Gli armeni hanno rinunciato a rientrare nelle loro case nel Nagorno-Karabakh?
No, più dell’80% del nostro popolo desidera fare ritorno in Artsakh e chiede alla comunità internazionale di garantire la sicurezza e adeguate condizioni di vita perché ciò possa accadere.

Leggi anche

Poche settimane fa, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il dittatore azero Ilham Aliyev hanno firmato alla Casa Bianca alla presenza di Donald Trump un accordo per stabilire per sempre la pace tra i due paesi. Che cosa ne pensa?
L’accordo è sbilanciato: tiene in considerazione quasi tutte le richieste dell’Azerbaigian, mentre l’Armenia ha dovuto fare tutte le concessioni. Che cosa ha guadagnato l’Armenia da questo accordo? Niente, mentre l’Azerbaigian ha raggiunto quasi tutti i suoi obiettivi. In cambio, ha in qualche modo lasciato cadere le sue minacce illegali di attaccare di nuovo l’Armenia.

La Russia doveva proteggere l’Armenia, ma non l’ha fatto. Pashinyan spera probabilmente che il coinvolgimento degli Stati Uniti possa garantire la sicurezza degli armeni. Se Baku dovesse attaccare di nuovo Erevan, Trump interverrebbe?
Non penso che esista un leader o uno Stato che invierebbe il proprio esercito per difendere l’Armenia in caso di aggressione. È vero però che l’influenza politica degli Stati Uniti è tale da costituire un deterrente e fermare un’eventuale aggressione azera. La geopolitica del Caucaso meridionale, però, è estremamente complessa, ci sono altre potenze regionali e globali che cercano stabilità e pace e potrebbero prevenire un nuovo attacco da parte dell’Azerbaigian. Uno Stato armeno forte e una giustizia internazionale che punisca i crimini contro gli armeni rappresentano comunque le migliori garanzie.

L'ex ministro di Stato dell'Artsakh, Artak Beglaryan
L’ex ministro di Stato dell’Artsakh, Artak Beglaryan

Pashinyan sta cercando in ogni modo di raggiungere un accordo di pace con l’Azerbaigian. Ma ci si può fidare di Aliyev?
Sarebbe come chiedere se ci si poteva fidare di Hitler dopo che gli fu concesso il Sudetenland. Aliyev è un criminale internazionale, non ci si può fidare di lui. Va fermato il prima possibile e deve pagare per i crimini compiuti, non solo contro il popolo armeno ma anche contro i suoi cittadini e tutta l’umanità.

L’accordo tra Pashinyan e Aliyev non fa alcun accenno al diritto degli armeni di tornare nel Nagorno-Karabakh. Che cosa ne pensa?
Un simile accordo non porterà né pace, né stabilità nella regione, perché non è inclusivo, né completo e neanche giusto. È un’intesa che ignora le cause profonde del conflitto e ignora completamente le principali vittime della guerra, cioè il popolo dell’Artsakh.

Vai al sito