In rotta con Mosca, l’Azerbaigian ora minaccia di armare Kiev (Il Manifesto 16.08.25)

Con l’Ucraina al centro dell’incontro di venerdì sera tra Donald Trump e Vladimir Putin chissà se i due leader avranno discusso questioni più “laterali”, quali gli ultimi sviluppi nei negoziati di pace azero-armeni.

Leggendo il vertice in Alaska come una novecentesca spartizione di sfere d’influenza, l’intesa firmata l’8 agosto da Azerbaijan e Armenia a Washington (e con la mediazione statunitense) può essere interpretata come un’interferenza in quella che è una tradizionale zona di dominio del Cremlino.

A maggior ragione se, come sembra suggerire la felpa con la scritta “Urss” sfoggiata dal ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, ancora aleggiano sogni di “restaurazione imperiale”. L’egemonia della Federazione nel Caucaso del sud è però da tempo in discussione e le relazioni bilaterali di Mosca tanto con Erevan quanto, soprattutto, con Baku, sono ai minimi storici.

A fare scalpore in questo senso a inizio settimana, una presunta dichiarazione del presidente azero Ilham Aliyev che starebbe prendendo in considerazione la revoca del veto sull’assistenza militare a Kiev, oltre a quella umanitaria già in corso: lo ha riferito il canale filo-governativo Caliber, citando fonti «ben informate sui fatti».

SI TRATTEREBBE di un cambiamento a 360 gradi della politica della repubblica caucasica in merito al conflitto in Ucraina: dalla rigorosa neutralità delle fasi iniziali, nelle quali anzi veniva firmato un trattato di cooperazione con Mosca, a un sostegno sempre più pieno al paese aggredito. D’altronde a fine luglio Baku e Kiev siglavano il loro primo accordo per le forniture di gas, che dai pozzi del Caspio vengono ora pompati verso la pianura sarmatica grazie al condotto TransBalkan.

Ecco che circa una settimana dopo, il 6 agosto, droni russi su Odessa sono andati a colpire un impianto di compressione legato alla compagnia di stato azera Socar. Per alcuni analisti non si sarebbe trattato di una semplice “vittima collaterale” della campagna di bombardamenti sulle infrastrutture che il Cremlino continua a portare avanti in Ucraina, dal momento che diversi ordigni sarebbero andati a mirare proprio quell’impianto.

A ogni modo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e Aliyev hanno colto “il danno al balzo” e domenica scorsa hanno condannato pubblicamente l’accaduto puntando il dito contro Mosca. Da lì l’annuncio da parte di Baku dell’approvazione di 2 milioni di dollari di aiuti umanitari per il paese aggredito (ne sono stati mandati circa 40 milioni dall’inizio dell’invasione) e poi le voci su possibili forniture d’arma.

LA CONTROPARTE RUSSA non è rimasta in silenzio. Sulla televisione di stato, il conduttore Vladimir Solovyov (mai parco di annunci roboanti) ha paventato la possibilità che il Cremlino venga costretto a condurre una “operazione militare speciale” anche sulle rive del Caspio, oltre a quella in corso in Ucraina. Una minaccia reiterata attraverso i social pure dall’ex-militare e deputato di Russia Unita Andrey Gurulyov, che in più ha suggerito la necessità di imporre un embargo commerciale sui prodotti provenienti da Baku e di intensificare la repressione nei confronti dei cittadini azeri presenti sul territorio della Federazione.

Dietro la spaccatura tra Azerbaijan e Russia (e la conseguente convergenza azero-ucraina) c’è indubbiamente l’interesse di Baku di rafforzarsi nel ruolo di fornitore di energia per l’Unione Europea. Non manca però anche l’aspetto personalistico. In un’intervista concessa a Fox News questa settimana, Aliyev ha dato l’idea di non aver mai perdonato Putin per le mancate scuse dopo l’incidente dello scorso dicembre di un aereo della compagnia di bandiera azera causato dalla contraerea di Mosca. In modo non poi così diverso, si può leggere l’attivismo di Trump nel Caucaso in chiave anti-russa o anti-iraniana (o entrambe le cose, visto che dalla regione passano le vie di comunicazione terrestri tra i due paesi).

AL CONTEMPO, tuttavia, i vertici del Cremlino vengono accolti col tappeto rosso sulla questione ucraina e non va dimenticato che, al netto delle tensioni retoriche e non, la Federazione mantiene ancora una discreta presenza militare ed economica sia in Azerbaijan che in Armenia. Più che una spartizione, allora, sembra più quasi un disegno di “coabitazione imperiale” in cui Putin subappalta a Trump il ruolo di paciere e stabilizzatore regionale per disimpegnarsi, ma solo fino a dove conviene.

Va da sé però che l’“attivismo negoziale” a stelle e strisce rimane molto di facciata ed è più che probabile che gli apparenti successi (celebrati dalla Casa Bianca come passi verso il Nobel) andranno a scontrarsi coi nodi critici lasciati irrisolti e con gli interessi dei diversi attori su vari dossier (energia, infrastrutture, sicurezza…), storicamente difficili da conciliare.