La fragile promessa di pace tra Armenia e Azerbaigian (Tempi 17.08.25)
Più che accordo di pace, sarebbe più giusto chiamarla promessa di pace. Ma la stretta di mano tra il premier armeno Nikol Pashinyan e il dittatore azero Ilham Aliyev alla Casa Bianca è più di una photo opportunity e potrebbe davvero portare i due paesi alla risoluzione di un conflitto secolare con l’aiuto degli Stati Uniti.
L’ingiusta rinuncia dell’Armenia
C’è una premessa importante, che viene troppo poco sottolineata nei commenti all’incontro di venerdì a Washington: un eventuale accordo non ristabilirà in ogni caso la giustizia, violata con l’uso della forza da parte dell’Azerbaigian e dal suo alleato turco. Anzi, metterà nero su bianco un’ingiustizia, rendendola definitiva.
Il testo su cui hanno iniziato ad accordarsi Armenia e Azerbaigian prevede infatti all’articolo I che «i confini tra le Repubbliche socialiste sovietiche dell’Urss diventino i confini internazionali dei rispettivi Stati indipendenti» e che (articolo II) «le parti non hanno alcuna rivendicazione territoriale reciproca» e rinunciano a rivendicazioni future.
Questo significa che il territorio del Nagorno-Karabakh, da sempre appartenente all’Armenia e che solo per un accidente della storia è finito all’interno della giurisdizione dell’Azerbaigian durante l’epoca sovietica, conquistato definitivamente con la forza da Baku nel settembre 2023, complice l’inazione della comunità internazionale, sarà per sempre azero.
Un corridoio per la pace con gli azeri
È questa la concessione che il premier armeno Pashinyan è disposto a fare pur di evitare una guerra tra Armenia e Azerbaigian, che non ha mai abbandonato in questi anni la retorica bellicista e razzista verso la popolazione armena.
Venerdì a Washington un ulteriore passo verso la pace e, nelle speranze di Pashinyan, verso la sicurezza del popolo armeno è stato fatto. Erevan, infatti, ha ceduto a un’altra antica richiesta di Baku, la costruzione su territorio armeno di una strada che colleghi l’Azerbaigian all’exclave di Nakhicevan, al confine con l’Iran. Il corridoio comprenderà una ferrovia, gasdotti, oleodotti e cavi di fibra ottica.
L’Armenia spera in Trump e negli Usa
Il corridoio si chiamerà “Trump Route for International Peace and Prosperity” (Tripp) e sarà costruito e gestito dagli americani in base alla legge armena. Si spiega così la concessione di Pashinyan all’Azerbaigian senza ottenere nulla in cambio.
La contropartita è la speranza, vedremo quanto fondata, che gli americani, forti di un interesse economico e geopolitico nella regione, influenzata da Iran e Russia, si facciano garanti della pace. O meglio: tengano a bada gli appetiti del lupo azero.
Questa sarebbe la base anche per il ristabilirsi di rapporti commerciali tra Armenia e Turchia, che a Erevan servono come il pane.
Nessuno può credere all’Azerbaigian
Il dittatore Aliyev, infatti, è completamente inaffidabile e nulla di ciò che dice può essere creduto. L’Armenia non può permettersi questa leggerezza. Nel 2020, quando fu firmato un cessate il fuoco dopo che gli azeri erano riusciti durante una guerra durata sei settimane a conquistare un pezzo del Nagorno-Karabakh, il ruolo ora affidato agli americani spettava ai russi.
Ma Vladimir Putin, troppo distratto dalla guerra in Ucraina, ha barattato il Nagorno-Karabakh armeno per qualche vantaggio offerto da Aliyev ed Erdogan, e l’Armenia si è ritrovata sola e impossibilitata a difendersi contro le armi sofisticate che un paese Nato come la Turchia e uno avanzato come Israele, fornivano all’esercito azero per massacrare i civili armeni.

Nessuna giustizia per Stepanakert
L’accordo, che è stato fortemente criticato dall’Iran e solo tiepidamente accettato dalla Russia, prevede che le parti dimostrino buona volontà nel disegnare i confini internazionali e nel fornire informazioni sui prigionieri di guerra (l’Azerbaigian non l’ha mai fatto).
La parte più dolorosa per l’Armenia non è ciò che è contenuto nell’accordo, ma ciò che manca: non c’è alcun riferimento, infatti, al diritto dei 120 mila armeni di ritornare alle loro case nel Nagorno-Karabakh occupato militarmente.
Che cosa ne sarà delle loro proprietà e dei loro diritti? È fin troppo chiaro, dal momento che l’intesa sarebbe tombale.
Pashinyan abbandonato da tutti
Non c’è dubbio che il premier armeno verrà fortemente criticato per aver abbandonato una rivendicazione storica del suo popolo e rinunciato alla giustizia che gli spettava (che alla comunità internazionale interessa se riguarda l’Ucraina, meno quando si parla di Armenia).
Ma davanti al tradimento dei russi e in assenza di appoggio internazionale (quante terribili responsabilità ha l’Unione europea), che cosa poteva fare Pashinyan se non cedere qualcosa in cambio della protezione della prima superpotenza mondiale?
Restano i dubbi, ovviamente. Le concessioni ottenute placheranno la fame del lupo azero? E Trump farà davvero rispettare la pace facendo la voce grossa (anche militare)? Per il momento si tratta di domande senza risposta. Per questo, più che di accordo, bisogna parlare di promessa. Ma una promessa di pace è meglio di una certezza di guerra.
