Quegli armeni ostaggi in Azerbaigian e dimenticati da tutti (Tempi 08.11.25)

Da quasi un anno, il regime dittatoriale di Baku inscena un processo farsa contro i leader dell’Artsakh e altri sette cittadini armeni. Lunedì scorso, il pubblico ministero del tribunale militare dell’Azerbaigian ha dichiarato che gli imputati sono responsabili di crimini commessi tra il 1988 e il 20 settembre 2023, dal movimento di liberazione del Karabakh fino all’attacco azero e alla pulizia etnica degli armeni dell’Artsakh.
Tentativi di suicidio in carcere
I 23 prigionieri armeni sono stati messi in isolamento completo dopo la chiusura della sede del Comitato internazionale della Croce Rossa a Baku. I familiari non riescono a ottenere alcuna informazione indipendente sulle loro condizioni. Dalle foto disponibili sembra che il loro stato di salute non sia ottimale e ci sono stati persino tentativi di suicidio, come riportato da Siranush Sahakyan, avvocata dei detenuti presso la Corte Europea.
I parenti sottolineano che, in un regime così autoritario, è purtroppo naturale che qualunque accusa possa essere inventata contro persone indifese. Nonostante siano imputati di decine di gravi reati, i detenuti mantengono la speranza di tornare presto in patria, confidando di trascorrere il prossimo Capodanno non in carcere a Baku, ma accanto ai propri cari.
In Azerbaigian la giustizia non esiste
Il movimento per l’autodeterminazione dell’Artsakh nacque come risposta legittima alle violenze e discriminazioni sistematiche subite dagli armeni del Nagorno-Karabakh. Le stragi di Sumgait, Kirovabad e Baku, tra il 1988 e il 1990, segnarono l’inizio di una politica di pulizia etnica che oggi raggiunge la sua forma più brutale: la deportazione, già avvenuta nel 2023, e l’annientamento sistematico delle tracce storiche e culturali del popolo autoctono dell’Artsakh.
Il regime dittatoriale di Baku, fondato su un’ideologia di odio etnico e dotato di una magistratura completamente asservita al potere, usa i tribunali come strumenti di propaganda e repressione. Appare evidente che ogni “documento” o “testimonianza” prodotti in tali processi è privo di legittimità e valore giuridico.
Il silenzio internazionale
Inaccettabile è inoltre il silenzio delle grandi potenze — Stati Uniti, Francia e Russia — che per trent’anni hanno riconosciuto i leader della repubblica autoproclamata dell’Artsakh come interlocutori legittimi nei negoziati dell’Osce. E ancora più grave è l’indifferenza delle autorità armene, che assistono senza reagire al destino dei propri compatrioti incarcerati.
Questi prigionieri non sono imputati, ma ostaggi di un sistema barbarico. E ogni giorno di silenzio della comunità internazionale è un giorno in più di complicità con la dittatura e con i suoi crimini contro la verità e la giustizia.
L’attuale governo dell’Armenia dovrebbe rendersi conto dell’illusione di poter costruire la pace senza giustizia, senza che la controparte riduca la propria retorica anti-armena quotidiana che alimenta l’espansionismo e la pressione costante sul popolo armeno.
