Sull’Armenia incombono fantasmi identitari (Il Manifesto 1.09.15)

Nel calei­do­sco­pio di cul­ture e di reli­gioni dell’Impero Otto­mano ve ne era una carat­te­riz­zata dalla sua anti­chis­sima radice cri­stiana: quella armena. Era un popolo di con­ta­dini stretto intorno ai suoi vescovi e di una élite cit­ta­dina abi­tante nelle pro­vince orien­tali dell’impero. Alla fine dell’800 con­tava circa tre milioni di abi­tanti. Ma pro­prio allora la crisi dell’Impero si rivelò con carat­teri che misero in peri­colo l’esistenza stessa degli armeni tutti. Tra il 1894 e il 1896, rea­gendo alle pro­te­ste con­tro la pres­sione fiscale, una bru­tale azione mili­tare portò a stragi spa­ven­tose: si parla di circa due­cen­to­mila morti.

Ci fu chi intra­vide fin da allora una stra­te­gia die­tro tanta vio­lenza: si vole­vano libe­rare in un modo o nell’altro le terre orien­tali dell’Anatolia dalla pre­senza armena per fare posto ai tur­chi cac­ciati dai ter­ri­tori otto­mani resisi via via indi­pen­denti. Di fatto, il dise­gno di una bru­tale sem­pli­fi­ca­zione e moder­niz­za­zione for­zata in senso occi­den­tale – uno Stato, una reli­gione, un popolo – si dispiegò nel 1915 gra­zie al con­te­sto della guerra mon­diale. Fu una vera «solu­zione finale» del pro­blema armeno, pro­get­tata e man­data a effetto da una volontà cen­trale unita a forme di tale sel­vag­gia fero­cia col­let­tiva da fis­sarsi come il modello sto­rico dell’eliminazione vio­lenta di un intero gruppo umano – quello che fu poi chia­mato «genocidio».

(leggi tutto)