Un ospedale per gli armeni con padre Mario Cuccarollo e l’aiuto di Antonia Arslan (Corriere della Sera 04.12.25)
Svetta in mezzo al nulla, a 2040 metri di altezza sui monti a nord dell’Armenia, al confine con la Georgia, l’ospedale Redemptoris Mater di Ashotsk nella provincia di Shirak, punto di riferimento di circa 13 mila persone. A gestire questo piccolo miracolo tra steppa e montagne, circondato solo da qualche villaggio di pastori, è padre Mario Cuccarollo, vicentino, religioso camilliano, da oltre 35 anni in Armenia. Fortemente voluto da papa Giovanni Paolo II nel 1988 dopo il terremoto che devastò l’Armenia, l’ospedale di Ashotsk è oggi l’unica struttura sanitaria per l’intera regione.
Quel gesto di solidarietà del Papa avrebbe avuto vita breve senza l’impegno di una persona che si trasferisse lì a occuparsi dell’ospedale. All’epoca le autorità sovietiche accettarono la donazione del Vaticano, a patto però che l’ospedale venisse costruito agli estremi confini dell’Armenia, in un territorio povero e isolato. La direzione fu affidata ai padri Camilliani, che mandarono a Ashotsk padre Mario Cuccarollo. Il vicentino Cuccarollo accettò subito. «Il mio superiore mi disse: dammi una risposta in dieci minuti, il telefono – racconta – costa. Dissi sì. E partii. Non sapevo nemmeno dove fosse l’Armenia… Quando arrivai non c’erano strade né acqua corrente. Solo neve e povertà».
Il baluardo
La forza della fede e l’aiuto di tante persone, oltre a Cei e Caritas che contribuiscono a finanziare le attività dell’ospedale, hanno trasformato il Redemptoris Mater di Ashotsk in una struttura pulita e accogliente di 5000 metri quadrati dove lavorano 140 persone, unico baluardo a fornire assistenza sanitaria in tutta la zona. Una presenza rassicurante resa possibile anche grazie all’aiuto dei fondi dell’8 per mille. Tra chi sostiene l’infaticabile padre Cuccarollo e l’ospedale della steppa c’è la scrittrice di origine armena Antonia Arslan, tra le voci più autorevoli nel denunciare il genocidio armeno. Il suo romanzo best-seller La masseria delle allodole (Rizzoli) ha venduto milioni di copie in tutto il mondo ed è arrivato anche al cinema, con l’omonimo film dei fratelli Taviani.
Antonia Arslan ogni anno organizza a Padova al centro culturale «La Casa di Cristallo» un mercatino armeno, il ricavato va tutto all’ospedale Redemptoris Mater di Ashotsk in Armenia. «Sostengo padre Cuccarollo dal 2006, sono capitata – fa sapere la scrittrice Arslan – quasi per caso in quel luogo sperduto tra le montagne, durante un viaggio in Armenia con i fratelli Taviani, per un sopralluogo prima di girare il film. Ci siamo trovati davanti un ospedale arroccato tra le montagne, unica speranza per i villaggi della regione, ma anche riferimento sociale e di aggregazione del territorio. Abbiamo passato lì una giornata, siamo stati testimoni dell’incredibile lavoro di padre Cuccarollo e dell’ospedale».
«Cerchiamo di prenderci cura delle persone. Chi viene qui – dice padre Cuccarollo, oggi ultraottantenne – trova una porta aperta, sempre. Il nostro è un lavoro silenzioso, ma costante. Il Vangelo si annuncia anche solo restando accanto a chi soffre».Negli anni si sono moltiplicati i servizi e l’ospedale attualmente ha anche una maternità attrezzata, il pronto soccorso, 24 ambulatori che raggiungono i villaggi con piccoli presidi medici. Una sfida e una conquista in questa zona poverissima, dove il lavoro nei pascoli permette appena la sussistenza. Cura medica e attenzione umana, gli obiettivi di padre Mario.
Sacrificio e fede
All’inizio i religiosi erano tre, ma nel tempo è rimasto da solo a portare avanti questa missione: impegno quotidiano, sacrificio e fede, in una realtà dura e isolata. Il paesaggio a Ashotsk per gran parte dell’anno resta coperto di ghiaccio e neve, la temperatura in inverno scende a meno quaranta gradi.
La casa dove vive il sacerdote è la stessa del primo giorno in cui è arrivato, 35 anni fa, uno dei container utilizzati dagli operai che si occuparono della costruzione dell’ospedale. Sulla sua storia e sull’attività dell’ospedale è stato girato un docufilm, «Padre Mario alle periferie dell’Armenia».
