Una buona mancata notizia. Quell’incontro tra il Papa e il Catholicos degli Armeni. Spes contra spem (Korazym 12.10.25)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 12.10.2025 – Renato Farina] – Ammollo i piedi nel mio lago, mi dà qualche brivido la sua acqua amica ma oggi dolente, nera. Del resto lago Sevan vuol dire lago Nero, e presto – se sopravvivo – ve ne racconterò il perché. È scura come il cielo quest’acqua, e come il firmamento anch’essa è punteggiato di scintille, un milione e mezzo, forse due milioni di lucette.

Vibrano su nella volta celeste, e scendono giù ad accarezzare il lago: sono segno del milione e mezzo, due milioni (ripeto, ripeterò sempre) di martiri proclamati tali dalla Chiesa Apostolica Armena, che non ha fatto differenze tra vescovi e ignoti, i senza nome sono la grandissima maggioranza, ma Dio conosce i loro nomi, li chiama – proprio io?, sì tu –, stringe tutti a sé, i buoni figli e quelli cattivi, le ragazze pure e i ragazzi impuri, gli ubriaconi e i morigerati, i delinquenti e gli innocenti, le zitelle rancide e i chiacchieroni, persino qualche magistrato e giornalista, todos todos todos, perché assassinati in odio a Cristo, senz’altra colpa né altro merito che il marchio del battesimo di cui nell’istante totale, proprio quell’istante ne tempo, non si vergognarono, e perciò furono immolati su un altare che gronda Grazie.

Su di me, ora? Lo so, con la mente dico okay. Ma non mi dice nulla questa verità oggi, adesso, mentre i miei fratelli piagati dell’Artsakh mendicano di essere almeno citati, che si sappia di loro. Non riesco a perdonare che adesso, non nel 1915, si stia perpetrando un altro genocidio armeno, meno colossale, ma più penoso come ogni recidiva.

La pace fake

A tormentarmi è la notizia della falsa pace festeggiata universalmente come fosse vera, e che invece cementa per l’eternità l’amputazione dell’utero dal corpo dell’Armenia. E cioè l’Artsakh, nostro grembo fecondo, rubatoci dagli Azero-Turchi con il consenso della nostra autorità politica, e il plauso di tutti i Paesi, anche dell’Italia, destra e sinistra e centro, nessun dubbio, e in apparenza anche dal Vaticano…

L’ottusità della mia anima molokana oggi non recepisce il tepore di questo amore dei martiri. Tutto congiura dentro di me a chiudere i pori del cuore.  Ecco però le piccole trote argentate, principesse adolescenti, creature baciate dalla Santa Vergine Madre di Dio, non si danno pace, non accettano la mia chiusura ermetica nella disperanza, che per me è più della disperazione, perché si oppone direttamente alla speranza, la disperazione in fondo è un allungare il brodo, è un modo per cercare la rima con consolazione. Ma questa sera le trote sono allegre come se ballassero al suono della musica di Schubert a loro dedicata, Die Forelle.

  • Che buone notizie mi portate?
  • Prima parla tu, confessati Molokano.
  • Comincio.

Ci sono le fake news, poi ci sono le mezze fake news. Esse consistono nello scrivere quasi tutto. Le quasi verità sono peggio delle menzogne, perché sono insospettabili, in fondo grondano buona fede, sono depistaggi ben temperati. Se lo fai notare, la risposta è ovvia: non si può essere esaurienti, la memoria per forza è selettiva, e il 95 per cento è un’eccellente misura per passare come fenomeni di imparzialità… Tecnicamente si chiamano fake truth, false verità. Sono il lievito dei farisei, che fa marcire il pane. Il Molokano è un bastardo, quel pane rancido lo vomita. Avvelenerebbe anche voi, trotelle mie. Per questo mi sono ribellato davanti al coretto elogiativo delle due pagine fatte passare per dichiarazione di pace e firmate davanti a Trump l’8 agosto 2025 dal Presidente di Azerbajgian, Ilham Aliyev, e dal Primo Ministro di Armenia, Nikol Pashinyan [*].

Il colpo di mano di Pashinyan

Quella era una quasi pace, cioè una pace falsa. Il cui contenuto preminente era quello che non c’era, una assenza: in quel testo si prevede il Corridoio di 32 km per congiungere di fatto l’Azerbajgian alla Turchia, invadendo l’Armenia. Va be’, questo si può accettare. Ma non al prezzo di tacere sull’Artsakh, e i suoi 120mila Cristiani Armeni sbattuti via. In quelle pagine non sono mai nominati. Con ciò hanno avuto una sorte peggio della morte, perché i morti si piangono. La non-esistenza non la piange nessuno. È la certificazione della riuscita di un genocidio nella sua forma post-moderna. È toccato a me allora suonare il corno di Tempi e raggiungere magari, se Dio vuole, il grande Leone XIV perché apprendesse dell’infamia patita dagli Armeni dell’Artsakh, cacciati come cani dalla loro terra e dalle tombe dei loro cari dagli invasori Azero-Turchi, e poi anche privati non solo del diritto ma anche del loro pianto di esuli.

Riccardo Ruggeri ha annotato sul suo blog Zafferano queste parole del giornalista argentino Horacio Verbitsky, che scrisse: “Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda”.

E allora io ci provo e riprovo. In Italia nessuno aveva raccontato dell’incredibile golpe del Primo Ministro armeno Pashinyan per estromettere il Catholikos della Chiesa Apostolica Armena Karekin II (per capirci, il Papa armeno). Il popolo armeno si è stretto intorno alla Santa Sede di Echmiadzin, dove si conservano le reliquie degli apostoli Bartolomeo e Taddeo, e ha spezzato le pretese di creare l’anti-papa da parte di Pashinyan e della moglie. Sostenevano costoro, per decretarne la deposizione, che Karekin II avesse avuto una figlia. La verità è che questa diceria ha il rango di fake truth.  Come se un Teodosio avesse preteso la scomunica di Agostino, Vescovo di Ippona, perché padre di un bambino. O – mi perdoni il Santo africano-brianteo per il paragone – il rovesciamento dalla cattedra di Pietro di Alessandro VI Borgia da parte del Re di Francia Carlo VIII per analoghe ragioni. Il potere temporale non ha questo potere sacro. In realtà, era il modo per togliersi dai piedi (con il sostegno pubblico di Macron) la voce che gli ripeteva ogni giorno, ogni ora, come Giovanni Battista a Erode: che ne hai fatto dell’Artsakh e dei nostri fratelli? Davvero li hai venduti al Turcomanno come i figli di Giacobbe fecero con Giuseppe?

 

Sorpresa a Castel Gandolfo

Le trote mi sussurrano ridendo. Qualcuno lassù ha ascoltato il grido dei figli dell’Artsakh e forse anche il tuo (non montarti la testa, sciocco). Sappi che nel silenzio assoluto dei TG e dei grandi quotidiani europei, Papa Leone XIV ha ricevuto il 16 settembre a Castelgandolfo, in udienza fraterna, Karekin II, il quale lo ha ringraziato del gesto e ha pronunciato pubblicamente la parola “esuli dell’Artsakh” e ha dichiarato il loro diritto al ritorno. Spes contra spem. Da dire a tempo e controtempo. Il petto mi sobbalza, ma perché la TV di Stato e la CNN non hanno detto nulla? Quasi verità, l’omissione è peggio della menzogna.

  • Molokano di poca o nulla fede, non sei tu che salvi il mondo, in Cielo i santi martiri dicono parole all’orecchio di Cristo e del suo Vicario in terra.

Pochi giorni prima – continuano le trote – dal Vaticano era squillata un’altra tromba. Appoggiano sulla riva, tirandolo con le boccucce e salvandolo dalle acque, una pagina de L’Osservatore Romano.  Un pullman di pellegrini dall’Italia, alla ricerca dei Molokani che Vasilij Grossman e poi Tempi hanno reso famosi, si era fermato proprio oggi sui bordi del lago. Avevano lanciato pezzi di pane e, guardando le acque sorvolate dai gabbiani – c’è una specie autoctona di queste acque, il gabbiano molokano che c’è solo qui – anche un foglio appallottolato. Eccolo. Le trotelle predicano pazienza: non avere fretta, non sbrindellarlo, leggilo al mattino, alla luce dell’alba, asciutto.

Charlie Kirk contro il Sultano

Leggo. 23 agosto 2025. Il Papa: «Nessun popolo può essere costretto all’esilio forzato». «La rinnovata prospettiva del vostro ritorno nel vostro arcipelago natale è un segno incoraggiante e ha forza simbolica sulla scena internazionale: tutti i popoli, anche i più piccoli e i più deboli, devono essere rispettati dai potenti nella loro identità e nei loro diritti, in particolare il diritto di vivere nelle proprie terre; e nessuno può costringerli a un esilio forzato». Lo dice Papa Leone XIV ricevendo in udienza la Delegazione del Chagos Refugees Group di Port Louis delle Isola Mauritius.

«Credo valga anche per i Cristiani del Nagorno-Karabakh», scrivo in un telegramma a un’Eminenza mia protettrice in Vaticano, «se ritiene e può lo dica al Santo Padre. Nell’accordo di pace firmato davanti a Trump tra Aliyev e Pashinyan sono stati ignorati. Così come i prigionieri di guerra che sono a Baku come ostaggi. Il Molokano».

Il cardinale risponde. «Certamente vale anche per i Cristiani del Nagorno Karabakh, Signor Molokano. Si potrà dire appena capiterà l’occasione.  Card. …».

Un’ultima cosa, poi taccio. Hanno detto un sacco di ragioni a destra e a sinistra cercando di spiegare le ragioni per cui Charlie Kirk è stato ucciso all’Utah Valley University il 10 settembre. Nessuno, causa una universale coda di paglia, ne ha detto quella che ha ripetuto sempre negli anni. È scandaloso che non si riconosca da parte turca il genocidio armeno, e in America lo conoscano in pochissimo, e la Turchia (con gli Azeri) usi le nostre armi contro un popolo Cristiano. Erdoğan è un uomo davvero cattivo, e la Turchia va eliminata dalla NATO.

Il Molokano

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di ottobre 2025 di Tempi.

 

[*] Armenia-Azerbaigian, una pace col trucco
di Renato Farina
Il Federalista, 13 settembre 2025

Per il momento, è l’unica pace di cui Donald Trump possa intestarsi il merito. Sottoscritta l’8 agosto alla Casa Bianca dal Presidente azero Ilham Aliyev e dal Primo ministro armeno Nikol Pashinyan, l’intesa dovrebbe porre fine al conflitto che da quasi 40 anni oppone i due Paesi per il possesso del Nagorno-Karabakh. Ma Renato Farina, studioso dell’Armenia, della sua cultura e della sua drammatica storia, ha scritto in proposito: “Sembra tanto un contratto leonino: la gazzella armena bacia il leone turcomanno, davanti all’elefante Trump che vuole sì far la pace, ma deve imparare a non lasciarsi ingannare dai turchi”. Quali gli argomenti che sostanziano il pessimismo dello scrittore e giornalista italiano? Scopriamoli attraverso la sua prosa colta e briosa.

La capitolazione di Erevan

Non fidatevi di me, preferite la speranza di Leone XIV alla mia miscredenza. Ha detto il Papa rallegrandosi: «Mi congratulo con l’Armenia e l’Azerbajgian che hanno raggiunto (l’8 agosto a Washington) la firma della dichiarazione congiunta di pace». Dunque come si può non essere plaudenti, davanti a una promessa? Le mani si sono strette, la guerra trentennale è dichiarata chiusa davanti a un Trump garante del patto. Ed è un fatto. Ma poi? Il saggio Vescovo di Roma ha aggiunto una frase che nel latino di Sant’Agostino si scriverebbe “Utinam+congiuntivo”: «Che questo evento possa contribuire a una pace stabile e duratura nel Caucaso meridionale». (All’Angelus del 10 agosto 2025).

Sarò cattivo, ma lasciatemi fare la mia parte in commedia: ribellarmi. La dichiarazione di pace (non ancora un trattato, per fortuna!) somiglia alquanto a un contratto leonino: la gazzella armena si bacia con il leone turcomanno, davanti all’elefante Trump che vuole sì la pace, ma dovrebbe imparare a non lasciarsi ingannare dai Turchi.

A Famagosta, Isola di Cipro, promisero nel 1571 al generale veneziano Marcantonio Bragadin onore e salvezza in cambio della resa: fu scuoiato vivo, i suoi soldati assassinati, le donne schiavizzate, i bambini islamizzati. Ne seguì la battaglia di Lepanto, vittoriosa per le forze Cristiane radunate dal Papa San Pio V; ma oggi sarebbe la fine del mondo ripeterla. Trump cercherebbe ancora di saturare le ferite, di più non si potrebbe. Ma come si fa a cascarci ancora?

E dire che altre truffe si ripeterono. I capi e gli intellettuali Armeni cittadini dell’Impero Ottomano, dopo i pogrom al tempo del Sultano Hamid II (1894-96, duecentomila vittime Cristiane), si accordarono con il Partito rivoluzionario dei Giovani Turchi, che nel 1908 presero di fatto il potere: non mantennero le promesse di emancipazione e pluralismo, i Cristiani protestarono. Risultato?

In Anatolia, nella provincia di Adana nel 1909, una strage per dare un esempio: uomini impiccati, squartati, fucilati, donne violentate e sgozzate dopo aver visto schiacciare i loro piccini, trentamila morti.

Nel 1913 i Giovani Turchi, con i “Tre Pascià” Mehmed Talat, Ismail Enver e Ahmed Djemal, presero stavolta il potere ufficialmente con un colpo di stato. Si ripeté la pantomima. Le alte classi armene credettero ai modi raffinati ed europei del triumvirato. E fu il genocidio del 1915, un milione e mezzo di morti trascinati nel deserto a crepare.

Questo olocausto di Cristiani orientali fece scuola. Hitler si ispirò – e lo disse – a quel genocidio per attuare nel silenzio del mondo la Shoa. Ora, sinistramente, il metodo per la caduta dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) nelle mani degli Azeri il 20 settembre 2023, si ripete a Gaza.

Stephan Pechdimaldji, analista Armeno-Americano, ha dichiarato al Washington Post che c’è una continuità strategica tra quanto fatto da Aliyev per ripulire etnicamente il Nagorno-Karabakh dagli Armeni, e la tecnica di Netanyahu per strappare i Palestinesi dalla Striscia: “Entrambi i Paesi considerano il cibo uno strumento per raggiungere i propri obiettivi. Gran parte del mondo è rimasta in silenzio quando l’Azerbajgian ha fatto morire di fame gli Armeni in pieno giorno. Lo stesso vale oggi per Gaza” (Una differenza c’è. L’Armenia poteva fare ben poco per impedire l’espulsione degli Armeni. Invece, Hamas avrebbe potuto evitare il trasferimento forzato rilasciando gli ostaggi e lasciando Gaza).

Non capisco perché, ma il modo di uccidere gli Armeni eccita sempre nei persecutori nuove idee malvage, presto imitate.

L’Altissimo provvederà all’ultimo giorno a far sì che – come dice il salmo – la giustizia si accordi con la pace? Un po’ tardi, mi pare. Sto bestemmiando, lo so. Non ho la fede di Papa Leone XIV, non riesco a sperare come lui.

Che Dio salvi non solo il corpo, ma anche l’anima dell’Armenia, la memoria del suo battesimo, che Pashinyan pare voler sacrificare. Lo sa che quando si vuol soffocare l’anima di un popolo, due sono le possibili evenienze: o l’insurrezione o l’astenia mortale.

Perché sono così pessimista? L’accordo di pace è l’accettazione di una capitolazione dell’Armenia, con conseguenze devastanti per la sua sovranità, sicurezza e stabilità interna. Lungi dall’essere un passo verso la pace, questo accordo lascia Erevan in una posizione di estrema vulnerabilità geopolitica. Uno dei punti centrali dell’intesa è la creazione del corridoio di Zangezur, una giga-strada di 43 chilometri che collegherà l’Azerbajgian alla sua exclave di Nakhchivan attraverso la regione armena di Syunik. Questo corridoio taglierà in due l’Armenia, privandola di una parte cruciale del suo territorio e della sua sovranità. L’Azerbajgian ha insistito affinché il corridoio fosse extraterritoriale, privo di controllo armeno, una condizione che Erevan ha accettato sotto pressione internazionale.

Per l’Armenia, questa arteria a dominio alieno rappresenta una minaccia esistenziale. Non solo compromette la sua integrità territoriale, ma rafforza l’asse turco-azero, un progetto panturco che mira a collegare il Mar Caspio al Mediterraneo. Questo corridoio, formalmente e servilmente “Trump Path to International Peace and Prosperity”, è stato affidato a una società privata americana per 100 anni, un chiaro segnale della perdita di controllo armeno su una parte del suo territorio.

Certo, presenta alcuni vantaggi nel breve periodo. Il corridoio di Zangezur, se gestito correttamente, potrebbe favorire investimenti infrastrutturali e migliorare le connessioni regionali, rendendo l’Armenia un punto di transito strategico. Ma qual è il prezzo?

La dimenticanza dei 120mila Armeni strappati da case, memorie, luoghi sacri, tombe dei propri cari in Artsakh (Nagorno-Karabakh). Non si accenna neppure con una parola al loro assassinio spirituale, al loro sacrificio umano – nel testo sottoscritto a Washington. Il silenzio è la riaffermazione orrenda di un diritto al genocidio. Qualcuno griderà qui da noi? La Realpolitik deve avere il suo limite nella perdita della nostra umanità.

Il destino dell’Armenia. Cosa spera di ottenere Pashinyan consegnandosi a Erdoğan? di Renato Farina – Il Molokano, 7 agosto 2025.

Foto di copertina: Sua Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di Tutti gli Armeni, è stato ricevuto da Papa Leone XIV la mattina del 16 settembre 2025, a Villa Barberini, la residenza papale a Castel Gandolfo, dove il Papa si era recato dalla sera precedente. Era il primo incontro di Karekin II con Leone XIV, il quarto con un Pontefice sin dalla sua elezione avvenuta venticinque anni fa. L’udienza si è svolta in “un clima fraterno e cordiale, durante il quale sono state discusse diverse questioni ecclesiali, e Karekin II ha posto l’accento sulla sorte degli Armeni dell’Artsakh”, come ha spiegato in un colloquio telefonico con la redazione armena di Radio Vaticana-Vatican News l’Arcivescovo Khajag Barsamian, Legato patriarcale dell’Europa Occidentale e Rappresentante della Chiesa Apostolica Armena presso la Santa Sede. Il Papa e il Catholicos hanno ribadito la necessità della pace, ha spiegato Barsamian. Una pace basata sulla giustizia, come ha sottolineato Karekin II.
La prima visita di Karekin II a Roma risale al 9 e 10 novembre 2000, quando l’allora neo eletto Catholicos di Tutti gli Armeni fu ospite di San Giovanni Paolo II in occasione del Grande Giubileo dell’Anno 2000. Durante quella visita, sulla scia della dichiarazione firmata da San Paolo VI e Sua Santità Vasken I il 12 maggio 1970, fu siglata una Dichiarazione Congiunta: un passo del cammino, ancora in corso, per ristabilire la piena comunione tra le due Chiese.
In occasione dell’incontro con Papa Francesco nel settembre 2020, Karekin II presentò a Papa Francesco la situazione creatasi a seguito dell’occupazione dell’Artsakh dall’Azerbajgian e l’esodo forzato di tutta la popolazione armena Cristiana dall’Artsakh (Foto di Vatican Media).

Vai al sito