Viaggio in Armenia (Mangialibri 13.09.25)
Da un po’ di tempo le cose non si mettono per nulla bene: Osip Mandel’štam fatica a trovare un editore, se non per qualche traduzione. Ma delle sue poesie, nessuno ne vuole sapere, nessun giornale si arrischia a pubblicarle. Del resto è pericoloso avere a che fare con un “poeta” che scrive testi sconvenienti per il partito. Probabilmente è arrivato il momento di cambiare aria, di lasciare le grandi città di Mosca e Leningrado per approdare in un posto più tranquillo: per questo, con l’aiuto di Nikolaj Bucharin in persona, nel 1930 riesce a partire per l’Armenia, accompagnato dalla moglie Nadežda Jakovlevna. Nel paese delle “pietre urlanti”, Osip Mandel’štam recupera una sua condizione primordiale, di curiosità, ricerca e studio, che da tanto gli mancava: in particolare il soggiorno sulla piccola isola di Sevan è uno dei momenti più formativi e ricchi di quel periodo. L’isola si trova molto vicino alla costa dell’omonimo lago, nascosta da una natura rigogliosa, ospita pescatori, bambini rumorosi, qualche grotta di eremita e qualche rustico monastero. Ma è anche il ritrovo di professori, linguisti, biologi, antropologi, con i quali Mandel’štam ama trascorrere il suo tempo, discutendo dell’origine delle lingue caucasiche e dell’origine dell’uomo che, stando alla Bibbia, ha iniziato proprio sul monte Ararat, in bella vista anche dal lago, il suo nuovo cammino. Proprio qui conosce Boris Kuzin, un biologo, con cui condivide lunghe conversazioni e alcune riflessioni sui costumi e sulle usanze di un posto che sembra essere fuori del tempo, forse addirittura precede il tempo e lo spazio a cui è tradizionalmente abituato…

Viaggio in Armenia è il frutto di un primo esilio, fra il 1930 ed il 1932, che il prosatore e poeta Osip Mandel’štam ha dovuto affrontare per sfuggire alla censura stalinista: di lì a qualche anno, dopo l’ Epigramma di Stalin (1933), sarà più volte arrestato, condannato e infine spedito in Siberia, dove probabilmente morì nel 1938. Gran parte della sua opera ci è nota perché la moglie, Nadežda Jakovlevna, ne ha conservato i manoscritti, permettendone la stampa e la diffusione postuma. L’edizione Adelphi arricchisce, grazie alle cure di Serena Vitale, il testo dei diari poetici di Osip con la presentazione di scritti preparatori e frammenti che non hanno trovato spazio nell’edizione in vita del poeta, del 1933: si tratta di brogliacci, di studi gemmati dal diario (Intorno ai naturalisti), che permettono di apprezzare l’eclettismo di quello che Josif Brodskij ha definito “il più grande poeta russo del novecento”. In quelle pagine si spazia da Darwin all’etimologia di parole armene e russe, dalla natura che diventa poesia, ai tormenti di un prigioniero in esilio forzato. Sono spesso schegge impazzite, sprazzi di vita, che vivono poi di luce propria, di una propria compiutezza, tessere di un puzzle che trova piano piano forma in un pensiero più lungo, un pensiero che in Armenia fa soltanto una prima e fondamentale tappa, un pensiero che fatica a trovare un’unica etichetta che possa comprenderlo. Adesso si concentra su una parola per recuperarne senso e storia, quindi si sofferma sulla consistenza delle pietre e della neve che incorniciano l’orizzonte e la sua nostalgia; adesso è il ricordo di un amico, quindi diventa un pretesto per trasformarsi in uno sprazzo lirico. Viaggio in Armenia è un universo cromatico, triste e ironico, denso di umanità, quell’umanità aspra ed indurita come le pietre dell’Armenia, ma che, come quelle pietre, non perde mai il gusto per l’estetica della vita.
