110 anni di silenzio: Il genocidio Armeno e la ferita ancora aperta (Sciscianonotizie 01.05.25)

Dal Metz Yeghern al Nagorno Karabakh: un Popolo sotto assedio

Napoli, 1 Maggio – A centodieci anni dal genocidio armeno, la memoria torna a farsi voce nei luoghi della storia e nelle parole delle istituzioni. Un milione e mezzo di vittime – secondo le stime ufficiali – cadute sotto la furia nazionalista del governo dei Giovani Turchi durante la Prima guerra mondiale. Un massacro sistematico, negato ancora oggi dalla Turchia, che segnò l’inizio del XX secolo con un crimine divenuto archetipo di quelli successivi.

Nella capitale, al Giardino degli Armeni, i rappresentanti della Chiesa armena in Italia e gli ambasciatori presso il Quirinale e la Santa Sede hanno commemorato le vittime, rilanciando l’appello al riconoscimento formale da parte della Turchia. Parole dure quelle dell’ambasciatore armeno in Italia, Vladimir Karapetyan: “La negazione dei fatti storici implica il ripetersi dei crimini”. Un monito che si fa urgente alla luce delle recenti violenze nel Nagorno Karabakh, dove nel 2023 circa 120 mila armeni sono stati assediati, affamati e infine cacciati da una terra abitata da millenni.

“La ferita inferta continua a sanguinare”, ha dichiarato un esponente della Comunità Armena. “Senza memoria, senza giustizia, il genocidio non è finito”. In una nota ufficiale, la Comunità ha rinnovato il proprio impegno verso un futuro europeo, chiedendo il sostegno dell’Italia contro le minacce dei regimi autocratici di Erdogan e Aliyev.

Il genocidio armeno, definito da papa Francesco “il primo genocidio del XX secolo”, fu il risultato di un piano ideologico e politico. Concepito nel cuore dell’Impero Ottomano da un triumvirato di militari – Talaat, Enver e Djemal – il progetto mirava all’omogeneizzazione etnica dell’Anatolia. Deportazioni, marce della morte verso il deserto siriano di Deir el-Zor, massacri sistematici e confisca dei beni segnarono la fine di una presenza plurimillenaria.

La storiografia turca continua a negare l’intenzionalità dello sterminio, relegandolo a tragica conseguenza della guerra. Ma i documenti storici e le testimonianze raccontano altro: un’operazione pianificata, sostenuta da un apparato statale e paramilitare, l’Organizzazione Speciale, sotto la supervisione dei ministeri dell’Interno e della Guerra.

Oggi, il popolo armeno guarda al futuro dalla piccola repubblica emersa nel 1992 dal crollo sovietico. Ma lo sguardo è ancora rivolto verso il Monte Ararat, simbolo di una patria perduta. A Yerevan, il Memoriale del Metz Yeghern sulla Collina delle Rondini resta testimone silenzioso del Grande Male. In un tempo in cui i conflitti su base etnica riemergono in nuove forme, la memoria del genocidio armeno è un monito: il silenzio, l’indifferenza e la negazione sono i primi complici dell’orrore.

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