24 Aprile, le Comunità armene in Italia ricordano il genocidio inziato nel 1915: parla lo storico romano Aliprandi (Vivereroma 23.04.21)

Il 24 aprile, l’ Armenia e le varie Comunità armene nel mondo ricorderanno l’anniversario del “Medz Yegern”, il “grande male” del massacro di almeno un milione e mezzo di armeni perpetrato, nel “1915 e dintorni”, dal Governo ottomano con le deportazioni, soprattutto in Siria, e le uccisioni di massa (spesso motivate, tra l’altro, con l’accusa di spionaggio a favore di Francia e Inghilterra, nemiche della Turchia in quegli anni della Prima guerra mondiale).

Anche le comunità armene in Italia, specie quelle, piu’ numerose, di Venezia, Roma e Napoli, celebreranno l’anniversario con una serie di iniziative.

A Roma, in particolare, sabato 24 alle 11 si terrà una Messa al Pontificio collegio armeno in Salita di S. Nicola da Tolentino 17, officiata da Mons. Raphael Minassian, arcivescovo di Armenia, Russia, Georgia, Ucraina ed Europa Orientale; e Domenica 25 pomeriggio, alle 18,30, una celebrazione ecumenica in memoria dei martiri armeni alla Basilica di S.Bartolomeo all’ Isola, con S.E. il cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani.

Tutto questo mentre la Turchia da sempre, invece, non vuol sentir parlare di genocidio, o comunque di massacro pianificato, e contesta fortemente sia le modalità che le cifre del “Medz Yeghern”.

Di queste cose parliamo col Prof. Emanuele Aliprandi, romano, storico che si occupa da anni dell’area del Caucaso e di tematiche legate al genocidio armeno. Come reagì l’Italia, negli anni della Prima guerra mondiale, alle notizie dal Vicino Oriente? Nel 2009, Aliprandi ha pubblicato l’ampio saggio “1915: cronaca di un genocidio” (Mybook ed.), sullo sterminio degli armeni visto dai quotidiani dell’epoca.

Fabrizio Federici: Quali quotidiani italiani, nel 1915 e in seguito, si occuparono, piu’ diffusamente e obbiettivamente, del genocidio armeno?

Prof. Emanuele Aliprandi: Posso dire che la questione fu trattata da quasi tutti i giornali italiani dell’epoca: ma al riguardo, vanno precisate alcune questioni. In primo luogo, i quotidiani (che in tempo di guerra normalmente non superavano le quattro pagine, otto per quelli più importanti) erano l’unico strumento di diffusione delle notizie. Non esistevano la radio, la televisione, men che meno internet. Oggigiorno abbiamo una copertura globale degli eventi in tutto il mondo e in tempo reale, allora le informazioni viaggiavano via telegrafo. In quel periodo poi esisteva la censura militare, che rallentava ancor più il processo comunicativo.

Credo che valga la pena, allora, sottolineare come l’informazione (e la libertà di informazione) rappresentino una pietra fondamentale nei processi sociali, di allora come oggi. Al netto delle informazioni propagandistiche o false (oggi le chiameremmo “Fake news”) sulla stampa si legge la Storia così come si sviluppa. A quell’epoca era cronaca, una drammatica cronaca sotto gli occhi di milioni di lettori; poi quelle notizie sono finite inevitabilmente sui manuali e saggi storici.

Con riferimento al genocidio del popolo armeno (iniziato “ufficialmente” il 24 aprile 1915, con la retata dei vertici politici e culturali della comunità a Costantinopoli), tutto quel che in effetti abbiamo letto sui libri fu riportato dai quotidiani, anche italiani, con dovizia di particolari.

Da quel che lei ha potuto verificare, l’informazione italiana su questo tema fu migliore di quella francese, inglese, e americana?

L’informazione, all’epoca, era veicolata soprattutto dalle agenzie di stampa, cui si riagganciavano le principali testate. Spesso, poi, i quotidiani rilanciavano la notizia riprendendola da altri giornali (anche stranieri). In Italia, l’agenzia Stefani (che poi dopo il 1945 si trasformerà in Ansa) era fonte importante di notizie, in collegamento anche con altre agenzie internazionali.

Ma non era facile descrivere sul campo cosa stesse accadendo nell’Impero ottomano a danno degli armeni, in un territorio lontano, non facilmente raggiungibile e interessato dal conflitto. Le notizie spesso arrivavano da viaggiatori occasionali o diplomatici, ma sin da maggio 1915 si cominciò a delineare la tragedia che si stava consumando: le informazioni di stragi e deportazioni giungono sempre più spesso a Costantinopoli, e da lì inoltrate nel resto del mondo dai corrispondenti internazionali.

Riguardo ai giornali italiani, accanto ai lanci di agenzia o alla ripresa di notizie fornite da altre testate, val la pena sottolineare alcuni pregevoli e commoventi articoli di approfondimento sul dramma armeno: che, nonostante la guerra che infuria in Europa (in tutto il 1915 solo un giorno le testate nazionali non aprirono con le cronache belliche, in occasione del devastante terremoto di Avezzano a gennaio), riescono a trovare spazio nelle poche pagine a disposizione. Pezzi di alto giornalismo, anzi di letteratura, sia pur redatti a volte con un tono aulico in voga nel tempo: che riescono a trasmettere al lettore il dramma della tragedia armena.

L’Italia, nel 1915- ’18, fu in guerra con Austria e Germania, ma non con l’Impero ottomano. Risulta allora che, come Paese non belligerante con la Turchia, prese qualche iniziativa, sul piano diplomatico internazionale, per fermare il genocidio armeno?

L’Impero ottomano faceva comunque parte dell’altro schieramento, quello contro il quale combattevamo. I turchi erano alleati della Germania e circa diecimila soldati e ufficiali del Reich erano sul territorio, impegnati soprattutto sul fronte della linea ferroviaria per Baghdad. Possiamo dire che hanno anche curato la parte logistica delle deportazioni, tragica anteprima di cosa avverrà trenta anni dopo con la Shoah.

Leggendo i pezzi della stampa italiana sui massacri che i Giovani turchi stavano portando avanti ai danni degli armeni, qualcuno potrebbe obiettare che l’informazione era distorta proprio dal fatto della differente scelta di campo bellico. Obiezione da rispedire al mittente: sul nostro “nemico principale” di allora, l’Austria, non si leggevano quelle terrificanti notizie che provenivano invece dall’Asia minore. Non vi fu nessuna alterazione dell’informazione, anzi a ben vedere l’unico aspetto negativo fu che non ci fu, per le ragioni già indicate, una copertura più capillare di quanto stava accadendo.

In ultimo, secondo Lei, Professore, il “Medz Yeghern” ha influito poi su Shoah e gli altri massacri perpetrati dai nazisti (il nesso, del resto, fu ammesso in parte dallo stesso Hitler, in un celebre discorso al Reichstag)?

“Chi si ricorda ora del massacro degli armeni?”. Questa celebre frase è attribuita a Hitler, al quale taluni suoi ufficiali avevano espresso dubbi sulla prevedibile ricaduta mediatica della deportazione ebraica. In poche parole, se dopo trent’ anni nessuno si ricorda più degli armeni, non si corre alcun pericolo a pianificare un’altra strage.

Il termine “Genocidio” fu coniato nel 1944 dal giurista polacco ebreo Raphael Lemkin, che aveva studiato da vicino la storia degli armeni e vedeva nella Shoah il ripetersi di quanto era già accaduto. Anche un altro Giusto per gli Armeni, l’ufficiale tedesco Armin Wegner, testimone oculare delle deportazioni e uccisioni nel 1915 (a lui si devono le poche foto d’epoca disponibili), provò con una lettera aperta a convincere Hitler dal desistere nelle persecuzioni contro gli ebrei: ma, ovviamente, senza alcun risultato se non quello di essere arrestato a sua volta.

La storia ci insegna che l’oblio è il miglior viatico per nuove azioni criminali; una strage, una pulizia etnica, un massacro dimenticato o non condannato, o addirittura negato (come avviene in Turchia oggi), rappresentano l’anticamera per nuovi crimini contro l’umanità. La lezione del genocidio del popolo armeno è proprio questa.

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