48 ore in Armenia, la Pasqua in una culla del Cristianesimo (La Stampa 21.03.24)

L’Armenia è una destinazione ideale per Pasqua perché in quest’isola di cultura europea nel Caucaso nel 303 fu fondata la prima Chiesa nazionale cristiana. L’Apostolica Armena, detta anche Gregoriana in onore del suo fondatore San Gregorio Illuminatore (240-332), una chiesa autonoma con riti cantati, croci scolpite nella pietra, occasionali sacrifici di animali sugli altari e simboli zoroastrici (antica fede persiana) nei templi. Sacerdoti armeni sono tra i custodi del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

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Bistrattata dalla storia, oggi è un piccolo Paese: grande come Piemonte e Liguria con meno di 3 milioni di abitanti. L’Armenia fu però una culla della civiltà occidentale. Nell’antichità andava dal Caspio al Mediterraneo su un territorio undici volte maggiore dell’attuale che comprendeva Caucaso, Anatolia orientale, Libano e Siria settentrionali. Il suo principale interlocutore era la Grecia classica.

Gli armeni condividono molti caratteri con i greci: dalla cucina all’avversione per i turchi, dal calore umano al cristianesimo in una regione dominata dall’islam. Atene fu la prima capitale a riconoscere l’Armenia indipendente nel 1991 (era una repubblica dell’Unione Sovietica). Povero ma dignitoso con forte carattere nazionale – ha lingua e alfabeto propri – il Paese è rinato dalla crisi seguita alla fine dell’Unione Sovietica, anche grazie alla diaspora armena che investì a Yerevan e creò un fondo per il recupero del patrimonio artistico. Tra Europa e Stati Uniti sono 7 milioni i cittadini di origine armena.

PRIMO GIORNO
Il fulcro di Yerevan è piazza della Repubblica, ellittica e circondata da monumentali edifici in tufo e basalto rosa in cui si mescolano gli stili architettonici armeno e Soviet Empire, il neoclassico staliniano. Qui c’è la Galleria Nazionale di Arte con molte tele che raffigurano Venezia. Nasi importanti su volti familiari, gli armeni erano mercanti sulla Via della Seta, trafficavano tra Venezia e India, tra Baltico e Africa orientale. Fabbricano ancora preziosi tappeti: li si acquista nei negozi di Abovyan, la via dello shopping. Il volto più orientale di Yerevan è lo Shuka, il mercato alimentare con banchi di miele, spezie e frutta secca: noci, albicocche, fichi, pere e pesche sono interpreti di colorate creazioni gastronomiche. Il fulcro dell’identità è il Museo del Genocidio, eretto nel 1967 per non dimenticare il primo olocausto del Novecento. L’Armenia venne annessa dagli Ottomani nel 1502. Ai desideri d’indipendenza, seguiti alla crisi dell’Impero, i nazionalisti turchi risposero nel 1909 con massacri in Cilicia. All’entrata in guerra della Turchia, nel 1915, un milione di uomini furono uccisi e mezzo milione di donne e bambini deportati a morire di stenti nel deserto siriano.

Il suo cuore antico è invece al Matenadaran, il Museo dei Manoscritti di Yerevan: custode di 17.500 opere autografe tra cui i primi Vangeli illustrati del V secolo. A 22 km dalla capitale si trova

Echmiadzin, il centro spirituale del Paese con frotte di seminaristi che sfilano davanti alla più antica cattedrale del mondo. Qui San Gregorio fondò la prima chiesa cristiana, motivo per il quale in Armenia cristianesimo fa rima con identità. A 20 km da Yerevan, a Garni, si trova invece un intatto tempio ellenistico del I secolo d.C.

CENA, VINI E LIQUORI
Il brandy Ararat, distillato dal 1887, era il liquore più pregiato nell’Unione Sovietica. Stalin lo offrì a Truman e Churchill al meeting di Yalta che segnò la fine della Seconda Guerra Mondiale. Da allora fu sempre presente nel bar del premier inglese. La distilleria Ararat di Yerevan (2 Isakov Poghots) è aperta al pubblico per la degustazione: si sorseggiano brandy a 42 gradi di 3 anni, 10 anni e 20 anni. Si produce anche vino rosso, ma di qualità inferiore ai nettari della vicina Georgia. Ben più infuocata la vodka (70 gradi), erede del lungo rapporto con i russi. A tavola, brandy e vodka innaffiano mezzé (stuzzichini) in stile mediorientale: foglie di vite farcite con riso, insalate, melanzane alla griglia, peperoni, olive, salse allo yogurt, sfoglie al formaggio. Segue una zuppa di verdura: la più comune è la vellutata di zucca. E carne – ovina, suina, bovina e pollame – allo spiedo con erbe aromatiche. I pasti terminano con frutta fresca, soprattutto i melograni.

Tra i migliori ristoranti di Yerevan. Ayas-Kilikia (Hanrapetutyan 78): cucina tradizionale innaffiata da vini locali e accompagnata da band di musica tipica. The Club in Tumanyan 40: cucina armena rivisitata in chiave moderna.

SECONDO GIORNO
La meraviglia dell’Armenia sono il centinaio di chiese romaniche in tufo sparse per il Paese. Viaggiando tra rilievi, laghi e altopiani del Caucaso, in un paesaggio corrugato, tra montagne brulle, su strade tortuose che attraversano valli e canyon si scoprono magnifici monasteri in pietra. Tatev dell’XI secolo affacciato sulla Gola del Vorotan: spettacolare la strada che lo raggiunge al confine con l’Iran. Geghard, il ‘monastero della lancia’ in riferimento all’arma che ferì Gesù sulla croce, con la cappella principale costruita nel 1215 nel luogo dove San Gregorio fondò nel IV secolo il monastero in una grotta con una sorgente sacra. Noravank del XIII secolo con la chiesa a due piani di Santa Astvatsatsin (Madonna in armeno), importante centro religioso fino al Cinquecento: si sale al secondo piano su una stretta scala di pietre sporgenti dalla facciata. Haghartsin, significa ‘danza delle aquile’, costruito nel XII secolo con due chiese: quella di San Gregorio ha meridiane sui muri e nel refettorio un incrocio di travi arcuate in pietra.

E soprattutto Khor Virap, legato alle vicende di San Gregorio: è ciò che resta di Artashad, capitale armena fino al II secolo d.C. Il campanile di Khor Virap si staglia contro i 5165 metri del monte Ararat: simbolo dell’Armenia ma in Turchia. Per la Bibbia sulla sua vetta s’incagliò l’arca di Noè, mentre ai suoi piedi sorgeva il Giardino dell’Eden. I vigneti sul versante armeno richiamano le sacre scritture e Noè che qui piantò le prime viti dopo il Diluvio universale.

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