Alishan, grande poeta armeno sempre vissuto a San Lazzaro (Ilgazzettino.it 15.04.19)

È tutt’ora considerato il maggior poeta armeno del periodo romantico, eppure in Armenia non trascorse un solo giorno della sua vita. Fu uno storico e un conoscitore profondo della sua patria, per la quale disegnò anche la prima bandiera, senza avervi mai messo piede. Questo perchè, nato a Costantinopoli nel 1820, Ghevont Alishan morì a Venezia 81 anni più tardi dopo aver trascorso la sua intera esistenza sull’isola di San Lazzaro degli Armeni, essendo divenuto monaco della congregazione Mechitarista nel 1838.

Il suo lavoro di ricerca e scrittura di diverse opere sulla geografia, la storia, la religione antica e il cristianesimo dell’Armenia contribuì in maniera determinante alla rinascita culturale del suo paese, in osservanza coi dettami del padre fondatore dell’ordine, Mechitar, che riteneva indispensabile recuperare profondamente ogni possibile conoscenza di riscoperta delle radici, attorno al senso di appartenenza del suo popolo.

Poeta e teologo, letterato e poligrafo, Alishan è probabilmente l’esponente più noto della congregazione mechitarista nei suoi tre secoli di storia: insegnò a lungo nei collegi veneziani della congregazione e diresse per un biennio (tra il 1859 e il 1861) quello di Parigi. Tra le opere di carattere storico, archeologico e geografico per le quali è conosciuto si distingue la cospicua “Sisouan, ou l’Arméno-Cilicie”, del 1885.

Grazie ai suoi studi conosceva con una tale precisione ogni palmo delle terre dell’Anatolia (soprattutto quelle armene storiche e la Cilicia) che su tale sapere circola un aneddoto del secolo scorso: si era sul finire dell’Ottocento, e padre Alishan era oggetto di una grande venerazione; John Ruskin, l’inglese celebre autore de “Le pietre di Venezia” che l’aveva frequentato per molti anni, spiegò di averlo sempre considerato “una specie di santo”.

Ebbene, in quei giorni arrivò in visita un giovanotto dal Caucaso e secondo l’abitudine si prostrò a terra per baciargli i piedi, tanto era il rispetto che ne avevano i suoi contemporanei mentre ancora viveva! Alishan lo sollevò, e quando ne capì la provenienza, gli disse: “Dalle vostre parti, lungo il fiume Orotan, deve esserci un ponte romano. Puoi dirmi in che stato si trova?”. Il giovane rispose: “Padre, io conosco come la mia mano le nostre terre, ma – che Dio mi sia testimone – non c’è nessun ponte romano da quelle parti”. “No – disse Alishan – deve esserci! Tu ancora non conosci bene la tua terra. Quando tornerai, vai a verificare: vedrai che c’è. Appena lo troverai, mi farai sapere”. Il giovane tornò, prese un bel numero di compagni coraggiosi e si inoltrò nella stretta valle che porta verso le sorgenti del fiume. Alla fine, dopo un lungo andare, perso tra i cespugli apparve il ponte romano. Questo raccontava quel giovane, ormai divenuto anziano, negli anni Sessanta del Novecento a un padre mechitarista che era in visita nella Repubblica Armena, facente allora parte dell’Unione Sovietica.

Una fama di studioso che gli meritò anche diversi riconoscimenti: insignito della Legione d’Onore dall’Accademia di Francia nel 1866, Ghevont Alishan fu anche membro onorario della Società italiana di Studi Asiatici, delle Società Archeologiche di Mosca e San Pietroburgo, dell’Accademia di Venezia. Nel suo percorso di sostenitore della rinascita culturale armena si dedicò anche alla poesia, divenendo il massimo esponente del romanticismo: “Vergini degli Armeni, nuovo giglio / vedete nel campo di Sciavarscian. / Splendida immagine di vergini, / degli Armeni ghirlande di gloria”, recita un brevissimo brano di uno dei suoi componimenti.

Nel 1885 creò la prima bandiera dell’Armenia moderna: un tricolore orizzontale rosso, verde e bianco (oggi è rosso, blu e arancione, dopo la separazione dell’Armenia dall’Unione Sovietica avvenuta nel 1991). Qualche anno più tardi Alishan creò una seconda bandiera, rossa verde e blu a bande verticali (immaginando i colori che Noè dovette vedere una volta uscito dall’Arca, sul monte Ararat), che è conosciuta come lo stendardo della Diaspora armena. A San Lazzaro degli Armeni i padri Mechitaristi conservano ancora la sua stanza con tutti i libri, i cimeli e i gli oggetti personali.

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