A giugno in Armenia e a settembre in Georgia e Azrebaigian. La missione di pace del Papa (Farodiroma 09.04.16)

Accogliendo gli inviti di Karekin II, Supremo Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni, delle Autorità civili e della Chiesa Cattolica, Papa Francesco dal 24 al 26 giugno prossimi sarà in Armenia. Allo stesso tempo, accogliendo gli inviti di Sua Santità e Beatitudine Ilia II, Catholicos Patriarca di tutta la Georgia, e delle Autorità civili e religiose della Georgia e dell’Azerbaigian, Bergoglio a seguito della stagione estiva si recherà nuovamente nel Caucaso, visitando questi due Paesi dal 30 settembre al 2 ottobre 2016. Lo ha comunicato il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi.

Siamo ormai a una settimana di scontri in Nagorno Karabakh lungo la frontiera fra la repubblica de facto occupata dagli armeni e l’Azerbaijan. Dopo molti anni i colpi della guerra tornano a suonare nel Caucaso e Papa Francesco volge lo sguardo a quelle popolazioni costrette ad abbandonare le proprie terre per non soccombere. Mai prima d’ora, negli ultimi vent’anni – dopo la fine della guerra per il Nagorno-Karabakh nel 1994 – ci sono stati tanti morti e feriti in questo conflitto, che per anni ci si è ostinati a definire “congelato”. Cadono nel vuoto, uno dopo l’altro, gli appelli della comunità internazionale che invitano le due parti al rispetto del cessate il fuoco. La tregua unilaterale dichiarata il 3 aprile scorso dall’Azerbaijan, inoltre, non è mai entrata in vigore.

“Basta con la guerra in nome di Dio! Basta con la profanazione del suo nome santo! Sono venuto in Azerbaigian come ambasciatore di pace. Fino a quando avrò fiato io griderò: “Pace, nel nome di Dio!”. Se parola si unirà a parola, nascerà un coro, una sinfonia, che contagerà gli animi, estinguerà l’odio, disarmerà i cuori”. Così parlò al mondo Giovanni Paolo II dall’Azerbaigian, il 22 maggio del 2002, incontrando – nel palazzo del presidente Heidar Aliev – i rappresentanti delle religioni, della politica, della cultura e dell’arte.

Esattamente quattordici anni fa Papa Giovanni Paolo II arrivava in Azerbaijan per poi recarsi anche in Bulgaria. Si trattava del 96° viaggio che il Pontefice polacco realizzava fuori l’Italia e malgrado i segni della malattia rallentassero sempre più i suoi ritmi, Wojtyla volle visitare il Paese che aveva guadagnato la sua indipendenza da appena un decennio. L’Azerbaijan è stato l’ottavo paese (dopo Lituania, Lettonia, Estonia, Georgia, Ucraina, Kazakistan, Armenia) visitato da Giovanni Paolo II tra quelli sorti dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, ed è il 24° paese a maggioranza musulmana tra i 131 che l’hanno ospitato.

“Fino a quando avrò fiato, io griderò: pace!”, disse arrivando a Baku, la capitale, il 22 maggio, quasi a riassumere in quel saluto il messaggio che avrebbe lasciato al popolo azero. La visita del Papa faceva parte dell’ampio cammino di formazione della democrazia di tutti quei Paesi dell’Est che come la sua patria, la Polonia, erano rimasti schiacciati per troppi anni sotto l’autoritarismo del gigante sovietico.
È di tutta evidenza l’attenzione profusa da Giovanni Paolo II a favore dei questi Stati europei che a partire dalla fine del 1989 si sono aperti alla democrazia. Un anno di rinascita, quello dell’avvio per l’Europa di una nuova era: “un processo di democratizzazione nelle sue regioni  centrali  e  orientali,  forme  di  dialogo  e  di concertazione  a  livello  continentale  ed  una nuova  coscienza  delle  radici spirituali fanno germinare l’idea di un comune destino”, disse il Pontefice ai cardinali e alla Curia romana in occasione degli auguri del Natale, il 22 dicembre 1989.
La ragione che spinse pertanto Wojtyla a visitare Azerbaijan e Bulgaria fu quella della solidarietà con comunità cattoliche lungamente emarginate e perseguitate. Nessun dubbio che tali siano apparsi agli occhi del Papa i 120 cattolici dell’Azerbaigian, lasciati soli in terra islamica, aiutati dagli ortodossi, che permise loro di sopravvivere durante la stagione staliniana, quando l’unico prete cattolico fu deportato in Siberia e l’unica chiesa completamente rasa al suolo.

Anche gli 80.000 cattolici della Bulgaria avevano subito una drammatica sorte sotto il regime comunista dagli 80.000 cattolici della Bulgaria (appena l’1% su quasi otto milioni di abitanti).
L’eparchia ortodossa dell’Azerbaigian, creata nel 1998, è direttamente soggetta al Patriarcato di Mosca: “i gesti di ospitalità reciproca compiuti dall’eparca e dal papa”, scriveva nel maggio 2002 il vaticanista Luigi Accattoli, “sono dunque da vedere come un segno provvidenziale di buon vicinato tra Roma e una componente del patriarcato, in un momento di sorda incomprensione”.

Arrivando a Baku il 22 maggio, Giovanni Paolo II si disse grato verso la Chiesa ortodossa per aver “dato accoglienza ai figli della Chiesa cattolica”, quando Stalin li privò di ogni assistenza. Nel corso della sua visita, il Papa ricordò più volte le difficoltà che il Paese aveva attraversato nel corso del periodo comunista e ringraziò gli ortodossi (“Il Signore ricompensi la loro generosità”) per aver accolto tra le loro fila i cattolici allora restati senza prete.
Proseguendo il suo viaggio che sin da subito venne letto per il suo spiccato e rivoluzionario spirito ecumenico, Papa Wojtyla abbracciò nella preghiera i fratelli musulmani per la loro tolleranza: “Lode a voi, uomini dell’islam, per esservi aperti all’ospitalità, valore così caro alla vostra religione e al vostro popolo, e aver accettato i credenti delle altre religioni come vostri fratelli”.

Alessandro Notarnicola

Vai al sito