Aleppo. «Serve un miracolo. Aiutiamo i cristiani a rimanere in Siria» (Tempi 12.02.23)

Tony El Alabi non ha neanche avuto il tempo di avere paura. Dopo la prima devastante scossa del terremoto che ha squassato le fondamenta di Aleppo, come tutto il nord della Siria, dove sono morte almeno 3.192 persone, è corso con il cuore pesante alla scuola che gestisce, l’istituto dei padri mechitaristi di Aleppo, per vedere se era rimasta in piedi. Ma il sollievo generato dalla scoperta che la struttura era solo parzialmente danneggiata è stato subito spazzato via da un’emergenza ancora più grave: centinaia di famiglie terrorizzate, duemila persone in tutto, senza cibo, vestiti e coperte assiepate nel cortile della scuola, al gelo e sotto la pioggia battente, in cerca di riparo e consolazione.

«Serve un miracolo»

«Non ho soldi per dare da mangiare a tutta questa gente», è stato il suo primo pensiero. Seguito immediatamente da un secondo: «Se anche li avessi non saprei che farmene». Ad Aleppo non ci sono più negozi dove comprare cibo: «È tutto crollato». L’unica possibilità era moltiplicare quel poco che c’era a disposizione, «fare come Gesù insomma: un miracolo».

È quello che gli ha consigliato dal Libano, tra il serio e il faceto, padre Leo Jenanian, vicesuperiore della congregazione armena mechitarista del Medio Oriente, cui appartiene la scuola, e che ha subito messo insieme un carico di aiuti da inviare ad Aleppo.

«Ad Aleppo manca tutto»

Con l’appoggio di Aid to the Church in Need, Caritas e Sos Chrétiens d’Orient, la scuola di Aleppo è stata trasformata in un campo per sfollati: molte famiglie sono ospitate nelle classi, chi può ha portato la propria auto nel grande cortile dell’istituto per dormire nell’abitacolo. «C’è chi ha la casa completamente distrutta, chi danneggiata e chi non lo sa, ma non vuole farvi ritorno per paura che crolli in una delle tante scosse di assestamento che ancora si susseguono in Siria», racconta a Tempi padre Jenanian.

I cristiani armeni dal Libano hanno subito messo insieme un primo tir di aiuti per inviare ad Aleppo pannolini e latte in polvere, innanzitutto. E poi acqua, coperte, cibo in scatola e legname. «Questa gente non ha nulla», spiega. «Ad Aleppo non ci sono né acqua né cibo, mancano riscaldamento ed elettricità. Stiamo inviando anche legname perché possano almeno accendere un fuoco in cortile per scaldarsi». Tutti gli aiuti vengono reperiti in Libano, così da facilitarne l’invio nonostante le sanzioni unilaterali dell’Occidente.

Il piano di aiuti per affrontare l’emergenza

I mechitaristi hanno stilato un piano di aiuti distinto in tre fasi: «La prima cosa è garantire cibo e riparo agli sfollati. Poi bisogna inviare squadre di ingegneri per controllare le case e valutarne l’agibilità. Infine, bisogna riparare quelle danneggiate o distrutte. Tutto ciò costerà moltissimo».

Solo per coprire la prima fase d’emergenza «ci servono 30 mila dollari e stiamo cercando di raccoglierli con i nostri partner internazionali». Non lasciare soli gli abitanti di Aleppo è vitale: «Già prima del terremoto la gente viveva nella miseria per colpa della guerra e delle sanzioni», prosegue Jenanian. «Ora la situazione è peggiorata e non possiamo permetterci un nuovo esodo: Aleppo è una delle ultime città del Medio Oriente dove i cristiani possono vivere liberamente. Se i cristiani, non solo gli armeni, saranno costretti ad andarsene sarà un disastro per la Siria e l’intero Medio Oriente».

@LeoneGrotti

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Causale: Sos Aleppo Centro Accoglienza Scuola Mechitarista