Armeni e azeri ricordano vittime delle reciproche stragi (Asianews 01.03.23)

Mosca (AsiaNews) – Il premier armeno Nikol Pašinyan, insieme al presidente Vaagn Khačaturyan e ad altri esponenti delle autorità di Erevan, ha visitato il Memoriale della collina di Tzitzernakaberd nella capitale. È dedicato alle vittime del genocidio turco, per ricordare il 35° anniversario del pogrom di Sumgait, città azera dove vi sono state 26 vittime armene, inizio del conflitto nella regione che ha portato alla guerra nel Nagorno-Karabakh nei primi anni ’90, riaccesasi negli ultimi anni.

Secondo Pašinyan, “dopo 35 anni gli armeni dell’Artsakh [Karabakh] sono di nuovo davanti alla necessità di difendere il proprio diritto a vivere nella propria casa, nella propria patria”. Anche Khačaturyan ha ribadito le accuse all’Azerbaigian, che dalla fine del periodo sovietico cerca di “deportare a forza gli armeni per saccheggiare le loro terre e i loro beni”. Per i dirigenti armeni, la mancanza di misure punitive per gli eventi del febbraio 1988, ancora nell’epoca sovietica sotto Gorbačëv, ha portato poi al ripetersi di tali tragedie anche a Baku, Gandzak e in altre località dell’Azerbaigian, a danno delle minoranze armene locali.

I toni acuti delle dichiarazioni riflettono anche la situazione dopo 80 giorni di blocco del corridoio di Lačin, un’azione “che ha lo scopo di sfrattare dal territorio i 120mila armeni rimasti”, afferma Pašinyan. A detta del premier armeno, il blocco “continua ignorando perfino le decisioni delle più elevate istanze giudiziarie internazionali, proseguendo nella devastazione e nella profanazione dei monumenti storico-culturali e dei santuari religiosi armeni”.

La repubblica armena, secondo i suoi dirigenti, “esprime la sua coerente adesione alle prospettive di pace e stabilità, ritenendo un imperativo condiviso il raggiungimento di una pace a lungo termine, che comprenda tutte le condizioni necessarie”. Le ambasciate di Usa e Ue a Erevan hanno espresso la loro vicinanza nella commemorazione dei caduti di Sumgait.

Allo stesso tempo in Azerbaigian si ricordano le vittime del massacro di Khodžali. Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio del 1992 un battaglione di armeni di stanza a Stepanakert, insieme a una divisione di russi, ha assalito la cittadina azera, dopo vari avvertimenti, facendo una strage tra la popolazione civile. Da Khodžali gli azeri avevano ripetutamente attaccato la capitale armena del Nagorno-Karabakh.

Si tratta dell’episodio più tragico della guerra del Karabakh, che si è protratta dal 1992 fino al 1994, e che derivava dalle tensioni degli ultimi anni sovietici. Si tratta di un conflitto che risaliva agli inizi del XX secolo, con due fasi sanguinose tra il 1905-1907 e il 1918-1920, seguite alla disgregazione dell’impero russo e alle svolte convulse del periodo rivoluzionario.

Nel 1994 le due parti hanno firmato il Protocollo di Biškek sulla sospensione delle ostilità, con la mediazione del Kirghizistan e della Russia. L’accordo ha “congelato” la guerra senza risolvere alcun problema territoriale, e il Nagorno-Karabakh è rimasto di fatto una repubblica armena indipendente fino alla guerra dei 44 giorni del 2020, con l’aggressione dell’Azerbaigian e le nuove stragi di militari e civili da ambo le parti.

Le commemorazioni di eventi passati non aiutano certo a rasserenare la situazione, fornendo ulteriori motivazioni alla reciproca aggressione, che potrebbe presto trasformarsi in nuovi episodi tragici. Le mediazioni di russi ed europei non hanno finora ottenuto alcun risultato concreto, rischiando anche di complicare la situazione.

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