ARMENIA: Il Partito Repubblicano si conferma alla guida del paese (East Journal 03.04.17)

Le elezioni parlamentari di domenica 2 aprile in Armenia hanno sancito l’apertura del periodo di transizione da un ordinamento semi-presidenziale al parlamentarismo puro. Vincitore, come da previsioni, ne è uscito il Partito Repubblicano del presidente Sargsyan.

I risultati

Il Partito Repubblicano Armeno si è riconfermato prima forza politica del paese, con il 49,21% delle preferenze. I repubblicani del primo ministro uscente Karen Karapetyan, che detengono la maggioranza in parlamento dal 1999, hanno però chiuso appena al di sotto della soglia necessaria (50%) a ricevere il premio di maggioranza studiato per garantire la governabilità.

Le urne – più di 2000 seggi in tutta l’Armenia – hanno aperto alle 8 del mattino. Già nel pomeriggio gli exit poll hanno iniziato a evidenziare un netto vantaggio per il Partito Repubblicano: fin dai primi risultati parziali il portavoce dei repubblicani Eduard Sharmazanov si è infatti detto ottimista riguardo la possibilità di formare un nuovo governo.

La coalizione guidata da Gagik Tsarukian e da Armenia Prospera, principale forza dell’opposizione, non è invece riuscita ad andare oltre al 27,38% dei consensi, nonostante le proiezioni di marzo la indicassero come un’insidiosa rivale, deludendo parte delle aspettative.

Nel nuovo parlamento vi saranno anche rappresentanti della coalizione “Via d’uscita”, guidata da Edmon Marukyan, leader del partito Armenia Luminosa, che ha conquistato il 7,72% dei voti (la soglia di sbarramento per le coalizioni era del 7%), e la Federazione Rivoluzionaria Armena (Dashnaktsutyun), che invece ha ottenuto il 6,59% (la soglia per i partiti era del 5%).

Rimangono fuori dal parlamento invece il partito Rinascimento Armeno (3,72%), la coalizione Ohanyan-Raffi-Oskanyan, guidata dal partito dell’Eredità (2,08%), la coalizione guidata dal Congresso Nazionale Armeno dell’ex presidente Levon Ter-Petrosyan (1,62%), i Democratici Liberi (0,93%) e il Partito Comunista (0,74%). L’affluenza alle urne è stata del 60,86%, confermando la media del paese.

Prospettive post-elettorali

È proprio dal Partito Repubblicano che proviene Serzh Sargsyan, presidente armeno in carica dal 2008 nonché segretario del partito stesso. Diversi attivisti e membri della società civile hanno ipotizzato che il passaggio al parlamentarismo puro sia stata una mossa studiata a tavolino proprio dal presidente Sargsyan per continuare a mantenere il controllo del paese anche dopo la scadenza del suo secondo mandato quinquennale, nel 2018, magari reinventandosi in futuro nell’ormai più prestigioso ruolo di primo ministro.

Secondo alcuni analisti, essendo arrivati appena al di sotto della soglia necessaria a ottenere il premio di maggioranza, i repubblicani rinnoveranno l’attuale alleanza con la Federazione Rivoluzionaria Armena: sarebbero così questi due partiti a nominare il primo ministro. Chiaramente, con il passaggio dal semi-presidenzialismo al parlamentarismo puro, la nomina del premier diverrà un atto politico strategico, mentre la carica di capo di Stato assumerà una connotazione più simbolica.

Nell’eventualità di una rinnovata alleanza tra i repubblicani e il Dashnaktsutyun, si renderebbe probabile la riconferma dell’attuale premier Karen Karapetyan, esponente del Partito Repubblicano che gode di diversi consensi tra la popolazione armena.

Corruzione e malcontento

Mentre ancora gli armeni si recavano alle urne, sono iniziate le segnalazioni di decine di violazioni connesse al problema della segretezza del voto, ai diritti dell’elettorato e degli scrutatori, oltre che a problemi tecnici dovuti alle nuove tecnologie impiegate nel corso delle elezioni. Stando a quanto dichiarato dal colonnello Meruzhan Hakobyan e dagli osservatori del Citizen Observer Initiative, molte segnalazioni riguarderebbero attività di indirizzamento e influenza sugli elettori, violazioni del segreto dell’urna elettorale e scambi di identità.

Inosservanze e violazioni, dunque, continuano a intaccare il processo elettorale in Armenia, nonostante la supervisione messa in atto dalla delegazione UE e le numerose iniziative volte a tutelare le libertà democratiche nel paese. Il tentativo di fermare il flusso della corruzione non è però del tutto fallito: le segnalazioni, più numerose rispetto ai casi passati, dimostrano l’accresciuta intolleranza dei cittadini nei confronti di violazioni dei diritti dell’elettorato.

Il malcontento, tuttavia, non è solo motivato da questioni di carattere politico. Nel 2016, infatti, il tasso di crescita è ulteriormente sceso: dal 3% del 2015 si è passati allo 0.2%. Tsarukyan, intervistato all’uscita dal seggio, ha definito “impossibile” la crescita economica del paese nella situazione presente. Intanto, cresce anche l’intolleranza nei confronti di una classe politica che negli anni passati ha acuito la recessione economica.

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Armenia: le elezioni parlamentari confermano la solida leadership dei repubblicani (Agenzia Nova 03.04.17)

Erevan, 03 apr 12:24 – (Agenzia Nova) – Una vittoria con ampio margine e che dovrebbe consentire al Partito repubblicano armeno (Arp) di formare senza particolari intoppi un nuovo governo: le elezioni parlamentari che si sono svolte in Armenia, come da pronostico, hanno confermato la vittoria dello schieramento guidato dal presidente della Repubblica, Serzh Sargsyan, al potere da oltre 20 anni. Secondo quanto riferito dalla Commissione elettorale centrale, anche se i dati non sono ancora definitivi, l’Arp si attesta addirittura oltre il 49,1 per cento, ben distaccato dal principale rivale, il blocco Tsarukian (dal nome del noto imprenditore locale Gagik Tsarukian che guida il movimento), che si è fermato al 27,3 per cento. Gli altri due partiti sicuri di accedere alla legislatura sono il blocco Yelk (Via d’uscita) e la Federazione rivoluzionaria armena (Rfa), tradizionale schieramento (è stato fondato nel 1890) dal forte senso patriottico e con un elettorato stabile.

Il voto di ieri è stato il primo dalle modifiche dopo gli emendamenti costituzionali, votati nel referendum del 6 dicembre 2015, che hanno trasformato la forma di governo da una repubblica semipresidenziale a una forma di governo parlamentare. Per la prima volta nella storia delle elezioni parlamentari in Armenia, quindi, il voto si è tenuto interamente sulla base di un sistema proporzionale con uno sbarramento del 5 per cento per i singoli partiti e del 7 per cento per le coalizioni. Il processo di revisione costituzionale si completerà nel 2018 quando, alla scadenza del mandato del presidente della Repubblica Serzh Sargsyan, il capo dello stato non sarà più eletto col voto popolare ma dal parlamento. Queste modifiche acuiscono quindi l’importanza delle consultazioni odierne. Nella modifica costituzionale non si specificano, come d’altronde anche prima degli emendamenti, un numero fisso di parlamentari ma viene indicato solo un numero minimo – che passa da 131 a 101 – e la necessità di avere una maggioranza stabile, pari al 54 per cento dei seggi.

Nel caso in cui dai risultati delle elezioni non emerga una maggioranza stabile, dopo 28 giorni dal voto (il 30 aprile) potrebbe tenersi un secondo turno cui parteciperanno i due partiti, o le due coalizioni, che hanno ricevuto il maggior numero di consensi. Il vincitore del ballottaggio otterrà dei seggi extra che gli consentiranno di formare la maggioranza stabile necessaria per convocare la legislatura. Tuttavia negli ambienti repubblicani circola ottimismo, come emerge dalle parole del portavoce della forza politica, Eduard Sharmazanov. “Secondo i primi risultati delle elezioni, il Partito Repubblicano ha tutte le possibilità di formare il nuovo governo”, ha detto Sharmazanov. Tuttavia, non mancano le rivendicazioni dell’opposizione, secondo cui vi sarebbero diversi casi di frode elettorale, che tuttavia le varie organizzazioni che hanno monitorato le consultazioni non hanno riscontrato.

Qualche irregolarità, tuttavia, si è verificata, fra cui delle violazioni segreto elettorale e dei casi di voto multiplo. Un giornalista locale ha postato ieri sui social un video che mostra l’aggressione subita da lui e da una sua collega da parte di alcuni presunti attivisti filogovernativi. Secondo alcuni media locali, l’incidente si sarebbe verificato dopo che il giornalista aveva notato come queste persone avessero ricevuto dei soldi all’interno di una sede dell’Arp. Fra i principali problemi riscontrati dalle autorità, invece, delle mere questioni tecniche relative al sistema di identificazione degli elettori attraverso le loro impronte. Persino lo stesso Sargsyan ha avuto delle difficoltà nella procedura di riconoscimento elettronica.

Proprio quest’ultimo entra nel suo ultimo anno di mandato, che si concluderà nel 2018. In base alla legislazione armena Sargsyan non potrà essere eletto per una terza volta, ma recentemente ha dichiarato che non lascerà la vita politica. Il presidente aveva definito le elezioni di ieri come “una tappa importante sulla strada della democratizzazione” del paese “dopo la riforma costituzionale”. Proprio la questione relativa agli standard democratici è stata uno dei problemi principali dell’amministrazione Sargsyan, lo scorso anno scossa da diverse proteste pubbliche di massa con l’accusa, secondo un rapporto di Human Rights Watch, di “uso eccessivo e sproporzionato della forza contro dei manifestanti pacifici”, di avere aggredito giornalisti, e di avere favorito dei procedimenti penali ingiustificate contro i leader e i partecipanti alle proteste”.

In una fase di profonda sfiducia nei confronti dei partiti tradizionali – che ha consentito a un movimento nuovo con quello di Tsarukyan di ottenere comunque un elevato numero di consensi –, l’Rpa è riuscito tuttavia a mantenere un ampio margine di vantaggio, non tanto grazie al suo storico leader, quanto più al volto nuovo del partito, il premier Karen Karapetyan. Salito al governo lo scorso settembre nel corso di un rimpasto di governo, Karapetyan è diventato un membro effettivo dei repubblicani lo scorso novembre, ed è diventato rapidamente la personalità più popolare a livello istituzionale. Dal suo insediamento, il nuovo primo ministro ha lavorato per migliorare l’immagine del partito che stava perdendo sempre più consensi a causa del lavoro di alcuni suoi esponenti di spicco, come per esempio l’ex primo ministro Hovik Abrahamyan, la cui discutibile attività aveva appannato la reputazione dei repubblicani.

L’opposizione per la prima volta da tempo è riuscita a raccogliersi sotto l’egida di un unico schieramento, Armenia prospera, fondato e guidato da Gagik Tsarukyan. A metà gennaio Tsarukyan aveva annunciato che sarebbe tornato in politica. Meno di un mese dopo, è stato eletto presidente di Armenia prospera e ha riunito sotto la sua sfera alcuni schieramenti minori, formando il cosiddetto “blocco Tsarukyan”. Il successo in così poco tempo del blocco si deve soprattutto al forte sostegno fra le classi più disagiate derivante dal lavoro filantropico di Tsarukyan. Utilizzando una dialettica di vicinanza alla popolazione, durante la campagna, l’imprenditore ha promesso di tagliare le tariffe del gas naturale e dell’energia elettrica e di aumentare stipendi e pensioni del settore pubblico. Un messaggio che non ha lasciato indifferente l’elettorato ma che non è bastato a spodestare i repubblicani.

I due principali rivali alle elezioni hanno espresso nella loro campagna la necessità di mantenere stretti legami con la Russia, l’alleato chiave nel conflitto congelato sul Nagorno-Karabakh (l’area contesa con l’Azerbaigian). I legami fra i principali leader armeni e Mosca sono molteplici, dai contatti di lavoro ai rapporti personali. Per esempio Karapetyan è legato a diverse figure influenti a Mosca e, in qualità di ex dirigente del ramo armeno di Gazprom, vanta un consolidato rapporto con diversi quadri della società. Queste relazioni sono una risorsa per la Russia: a Mosca, infatti, sono consapevoli che il partito vincitore avrà un peso nella politica estera dell’Armenia e l’Rpa rappresenta una garanzia che i movimenti anti-russi resteranno fuori dalla maggioranza. Anche Tsarukyan nella sua attività imprenditoriale può contare sui solidi rapporti con la Russia, a conferma che l’unico che, a prescindere dai risultati finali, non perderà le elezioni sarà Mosca. (Res)