Armenia-Russia: la politica delle Chiese (Settimananews 18.10.21)

L’Armenia ha necessità di contenere gli effetti gravi della guerra e la Russia di garantire la sua area di influenza. L’incontro dei massimi responsabili delle religioni dei paesi interessati (oltre a quelli indicati, anche l’Azerbaigian) a Mosca, il 13 ottobre, mostra l’azione coordinata delle rispettive Chiese e religioni rispetto alla politica e il loro apporto creativo.

Karekin II, Catholicos della Chiesa armena, Allahshukur Pashazadech, gran Mufti dei musulmani del Caucaso (con sede in Azerbaigian) e Cirillo, patriarca di Mosca, hanno rinnovato un dialogo, avviato nel 1988 e ripreso nel 1993, nel 2010, nel 2011 e nel 2017.

L’incontro

Nel saluto introduttivo Cirillo ha sottolineato: «Siamo chiamati a dare una risposta comune e inequivocabile ai tentativi di collegare la religione con la guerra. Le guerre di religione sono una pagina terribile e peccaminosa nella storia religiosa dell’umanità. In questo secolo dobbiamo fare di tutto perché i concetti di religione e guerra non si giustifichino reciprocamente».

Nella dichiarazione finale lo stesso patriarca indica i temi essenziali del confronto. «Oggi è particolarmente importante ripristinare la fiducia reciproca delle persone, imparare di nuovo a guardare al prossimo con rispetto e disponibilità all’aiuto reciproco. La chiave di volta di tale appello è il rispetto per gli edifici religiosi, i monumenti storici e i cimiteri, il rispetto per i sentimenti religiosi delle persone di fede diversa, il dovere di custodire la memoria dei defunti. I leader religiosi sono chiamati a spendere la loro autorità per creare e custodire il buon vicinato fra religioni e popoli. Vi esortiamo a chiarire il destino dei dispersi, a facilitare il rilascio dei prigionieri di guerra, a prevenire l’uso non autorizzato di armi che minacciano la vita dei civili. In futuro è necessario sforzarsi con tutti i mezzi per evitare il linguaggio dell’odio e per astenersi dagli appelli all’azione militare nella zona del conflitto».

Equilibri e mediazioni

Nel 2020 si è riacceso il conflitto fra Armenia e Azerbaigian per il territorio conteso del Nagorno-Karabakh, enclave armena dentro i confini dell’Azerbaigian. La vittoria militare del paese islamico, favorita dalla armi fornite dalla Turchia, ha lasciato dietro di sé 6.000 morti e 100.000 sfollati che chiedono di tornare nei loro territori.

All’attivismo del Catholicos si salda il rinnovato dialogo del governo con la Russia, punto di mediazione dell’area. All’inizio di ottobre, mentre il primo ministro armeno, Nikol Pašinyan era a Mosca per parlare con Putin circa l’attuazione degli accordi di pace, il presidente dell’Armenia, Armen Sarkisyan, era a Roma per chiedere a papa Francesco di favorire il processo di pacificazione e per aprire formalmente una nunziatura nel paese.

Pochi giorni dopo Pašinyan arrivava in Georgia per una mediazione con la Turchia e garantire un corridoio di comunicazione (sotto la responsabilità dell’ONU) fra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia (cf. Asianews, 13 ottobre).

Il ruolo di Mosca

L’incontro a Mosca dei leader religiosi conferma il riconoscimento del ruolo del dipartimento patriarcale dei rapporti con l’estero, presieduto da Hilarion Alfaev e della complicata partita per rafforzare il riferimento della Chiesa ortodossa russa come garanzia dell’egemonia culturale (il pensiero russo) su tutta l’area ex sovietica e, dall’altro, il conflitto sempre più acceso dentro i confini dell’Ortodossia con Costantinopoli.

Espressione dell’egemonia sono l’ottenimento di una diocesi russa in Armenia e il discorso di Cirillo ai rappresentanti dei russi all’estero. Parlando il 15 ottobre al Congresso mondiale dei russi all’estero, il patriarca Cirillo ha rivendicato le ragioni del potere russo sia nei confronti della verità storica (non accettare che la Russia possa avere responsabilità nella guerra mondiale in ragione del patto con la Germania nazista), sia nell’attuale tensione con l’Ucraina.

I caratteri del popolo russo (fede, valori evangelici, forza di volontà, perseveranza, ospitalità, grandezza d’animo ecc.) giustificano anche una parziale correzione della prima lettera di Paolo a Timoteo, in cui il versetto 5,8 («Se uno non si cura dei suoi cari» ) diventa per il patriarca: «Se uno non si cura del suo popolo». È necessario garantire la sicurezza dei russi all’estero e la possibilità del loro ritorno in patria (c’è un fenomeno migratorio dalle ex Repubbliche sovietiche asiatiche).

«Nell’era della globalizzazione, dobbiamo concentrarci sulla nostra identità, non vergognarci della nostra “differenza”, percorrere il nostro percorso storico e preservare i nostri valori ovunque ci troviamo».

La difesa dell’uso della lingua russa va preservata in tutti i paesi ex sovietici. Preoccupazione molto viva in particolare nel Kirghizistan.

Lo scisma ortodosso

Sullo scisma intra-ortodosso va segnalata la decisione di posticipare il previsto consiglio dei vescovi russi dal 15-18 novembre al 26-29 maggio 2022. P. Anderson interpreta la scelta, oltre che per l’esigenza pandemica, anche per andare incontro alle richieste della Chiesa di Antiochia di non compiere gesti troppo rapidi e radicali verso Costantinopoli.

Nella riunione era prevista la discussione sulla condanna di Bartolomeo. Nella stessa riunione si prevedeva anche il riconoscimento formale delle reliquie di Nicola II e della famiglia imperiale, previo alla proclamazione della santità della famiglia, trucidata dai bolscevichi nel 1917.

Sono usciti nel frattempo un paio di volumi del Comitato d’inchiesta statale sul riconoscimenti dei resti. Il risultato positivo viene considerato dalla Chiesa come subalterno e legittimabile solo con l’assenso ecclesiale.

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