Artsakh – Gli armeni denunciano un genocidio culturale (Assadakah 08.02.22)

Letizia Leonardi (Assadakah News Roma) Artsakh – Nei territori passati sotto il controllo dell’Arzerbaijan, a seguito della guerra lampo del 2020, le chiese armene continuano ad essere vandalizzate e rase al suolo. Un’evidente e annunciata operazione di pulizia etnica culturale, senza che né l’UNESCO né qualsiasi altra istituzione culturale o politica internazionale stia intervenendo per salvare questo importante e prezioso patrimonio storico. Già, subito dopo la firma del cessate il fuoco lo splendido monastero armeno di Dadivank, vicinissimo al confine controllato dai militari di Baku, era stato subito spacciato per chiesa azera.

Appare ormai chiaro l’intento dell’Azerbaijan di “dearmenizzare” le chiese armene attribuendogli un’origine albana. E ciò che non è stato distrutto completamente dalle bombe, ma solo danneggiato, è stato restaurato facendo sparire tutto ciò che che poteva essere ricondotto agli armeni del Nagorno Karabakh. L’Azerbaijan ha raso al suolo chiese storiche armene a Sushi e a Mekhavan. La cattedrale Ghazanchetsots di Shushi è stata danneggiata, evidentemente di proposito, durante la guerra per giustificare un’opera di eliminazione di tutte le testimonianze armene. Il Ministero della Cultura azero, e lo stesso Presidente Aliyev, hanno dichiarato pubblicamente che da ogni monumento civile o religioso nei territori, ora sotto controllo azero, andava rimossa qualsiasi iscrizione o riferimento armeno e che tutti i monumenti dovranno essere restaurati sulla base di documenti storici e materiali d’archivio, nel rispetto del suo aspetto artistico ed estetico originario. Ferite che colpiscono ancora di più gli armeni dell’autoproclamata repubblica d’Artsakh. È stato rimosso tutto ciò che poteva essere ricondotto a una identità armena. Alla cattedrale di Shushi è stata tolta la cupola e tutte le iscrizioni armene.

La giustificazione a questa azione di “dearmenizzazione” si basa sulla teoria dello storico Azerbajjano Ziya Buniyatov che definiva le chiese armene una eredità dell’Albania caucasica, un antico regno in quello che adesso è territorio dell’Azerbaijan e accolta dall’attuale governo di Baku.

Teoria che gli armeni respingono al mittente con delle valide argomentazioni. In primo luogo, dicono, come mai, se gli azeri si considerano discendenti degli Albani caucasici cristiani hanno utilizzato miliziani jihadisti che, durante la guerra del 2020, hanno vandalizzato siti cristiani e sgozzato soldati e civili armeni che definivano infedeli? E inoltre, se le chiese armene sarebbero albani perché per decenni gli Azeri le hanno distrutte e hanno fatto la medesima cosa alle croci medievali di pietra (katchkar) di Julfa? Come può inoltre rivendicare un’eredità culturale e religiosa di un patrimonio antico di secoli uno Stato che esiste dal 1918?

il Ministro della Cultura azero, Anar Karimov, in questi giorni, ha affermato, che sarà istituito un gruppo di lavoro per identificare ciò che ha definito “falsificazione armena” nelle chiese e il governo di Baku ha annunciato ufficialmente che intende cancellare le iscrizioni e tracce armene sui siti religiosi presenti sul territorio.

A condannare tale progetto è stata l’Associazione Armenia-Grecia dell’Amicizia (AGFA) ma la comunità internazionale sta, come al solito, a guardare. Non solo: tutti stringono accordi con l’Arzerbaijan per le forniture di gas. Addirittura l’Unione Europa stanzia 2 miliardi di Euro per il governo di Baku da destinare per investimenti economici. Purtroppo, con la crisi economica ed energetica, difficilmente potrà arrivare un appoggio concreto e un intervento dall’UE e soprattutto dall’Italia che, anzi a tratti lancia appelli, tramite politici o giornalisti disinformati o pagati, per fare da cassa di risonanza del dittatore azero Aliyev sui media nazionali.

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