Bari, alla scoperta dei tesori nascosti: un angolo di Armenia per le vie della città (Ilquotidianoitaliano.it 20.03.18)

I documenti sembrano non lasciare troppi dubbi: la presenza armena in terra pugliese fu stabile già a partire dal 1087, quando Corcucio l’armeno risultò essere tra gli organizzatori della traslazione dei resti di San Nicola da Myra, in Turchia, a Bari ed è forse proprio per questo motivo, e per la storia passata e sconosciuta, che i Turchi oggi vogliono tornarne in possesso.

Questo popolo, anticamente sorto all’ombra del monte Ararat, ha una storia sia affascinante che tragica: una storia fatta di leggende, tradizioni e strazi. Alcuni studiosi nel 1984, seguendo un metodo statistico sull’evoluzione della specie umana e della lingua, arrivarono ad individuare l’origine delle popolazioni proto-indo-europee proprio nelle alture dell’Armenia. La vicinanza al biblico monte Ararat che in lingua armena significa luogo creato da Dio, dove Noè di incagliò con l’Arca, rende gli armeni “genitori putativi” di tutta l’umanità.

(adsbygoogle = window.adsbygoogle || []).push({}); In Puglia la prima comunità stabile nacque nel 1824 in via Amendola. Prima di questa data le disavventure subite da questi uomini furono paurose. Presi di mira ed invasi nel loro territorio oppure trucidati. L’episodio più pesante è stato il genocidio del 1915, ancora oggi negato dai turchi che furono i carnefici di 1.500.000 di anime. Volendo sdrammatizzare, cercando a tutti i costi un aspetto positivo in queste disavventure, non possiamo dimenticare che se oggi sulle nostre tavole abbiamo le albicocche (prunus armeniaca) lo dobbiamo proprio alle campagne romane del 72 d.C. L’Armenia oggi è un fazzoletto di terra, ma anticamente la sua estensione era sconvolgente e stuzzicava le ambizioni degli altri regni.

La diaspora armena in Italia è composta da circa 6mila persone. Li troviamo a Milano, a Venezia, a Roma, sede del Collegio Pontificio e della comunità di riferimento per tutta Italia, ed appunto Bari dove è forte la loro presenza. Passeggiando per la città non è difficile trovare qualche traccia nascosta della presenza passata. Come il “khatchkar”, la croce di pietra simbolo tipico dell’Armenia, opera dell’architetto Ashot Gregorian scolpita nel 2001 su commissione della Regione Puglia che fino a qualche anno fa era dimenticata davanti alla Basilica di San Nicola, mentre oggi è in bella mostra sul lungomare, davanti alla Capitaneria di Porto. La stessa Basilica sembra essere sorta dove era fu edificata dall’armeno Mosese nella Corte del Catapano intorno all’XI secolo la chiesa di San Giorgio degli Armeni.

Dal sito www.paginebianche.it proviamo a contare quanti cognomi di origine armena ci sono a Bari e provincia, il risultato è sorprendente: Amoruso, i cambiavalori in armeno (354 utenti), Armenise (278 utenti), Armenti (9 utenti), Caccuri (4 utenti), Pascali (20 utenti), Susca (28 utenti), Trevisani (1 utente), Zaccaria (36 utenti); non teniamo logicamente conto che questi sono solo gli utenti che hanno un’utenza telefonica fissa o che siano capifamiglia e non mogli e che quindi non possono trasferire il proprio cognome ai figli.

“Se Parigi avesse il mare, sarebbe una piccola Bari” sentiamo spesso dire in giro, allora proviamo a creare un nuovo proverbio che potrebbe essere “se Bari avesse l’Ararat, sarebbe una piccola Armenia”.

Era il 13 Settembre 1922 e le truppe turche, comandate da Mustafà Kemal, incendiavano il quartiere greco e armeno di Smirne, la città marittima sul mar Egeo. Per gli armeni un’ulteriore ferita alla loro dignità di uomini ed alla loro storia, successiva al genocidio del 1915 da parte degli stessi turchi.

Nell’incendio morirono circa 40mila persone; bruciati vivi, a seguito delle ustioni oppure affogati in mare nel tentativo di salvarsi. La marina italiana, comandata dall’ammiraglio Alberto Viscardi, andò in aiuto di quanti potevano essere sopravvissuti ma, la tecnologia e la meccanica di allora, rappresentarono un problema. Ed è lì in seguito di questo incendio che a Bari si rifugiarono 60 armeni, divenendo il seme di una comunità ben integrata.

All’inizio furono ospitati in alloggi di fortuna fino a quando il Comune decise di concedere loro uno spazio in Via Amendola al numero 154. Fu chiamato “Non Arax” il nuovo Arax, in omaggio al fiume che scorre per 1072 km alle pendici del monte Ararat e che segna il confine tra Turchia, Armenia, Iran e Azerbaijan.

Quando fu realizzato nel 1924 era un piccolo villaggio di 6 baracche di legno dove trovarono rifugio alcuni degli armeni approdati nel porto di Bari dalla Grecia dove si erano rifugiati per sfuggire alle stragi di Smirne del 1922, epilogo del già citato genocidio, detto anche “Medz Yeghern”, il Grande Male.

Il villaggio fu fondato ed organizzato anche grazie al poeta armeno Hrand Nazarianz. Il nome lo conosciamo solamente perché la via che porta al cimitero ed agli uffici giudiziari è intitolata a lui che a pieno titolo poteva essere considerato un cittadino onorario di Bari, dopo che vi si era rifugiato nel 1913 per sfuggire in Turchia alla sua condanna a morte sposando la ballerina Maddalena De Cosmis di Casamassima.

Trovare quel che resta del villaggio è difficile. Suor Elisabetta Rosa della Clarisse di San Francesco e Santa Chiara mi accoglie e mi fa parcheggiare dentro il recinto della scuola per poi accompagnarmi a vedere i resti della piccola Chiesa dove gli armeni celebravano le loro festività e che oggi è stata trasformata in magazzino.

Nel 1924 la storia commosse l’opinione pubblica e gli enti si mossero per farli sentire a loro agio in questa nuova terra e fargli dimenticare, per quanto possibile, il loro dramma. L’Acquedotto Pugliese realizzò una fontana pubblica per rifornirli d’acqua potabile ed il Governo concesse loro dei padiglioni posti sul terreno acquistato dall’ANIMI (Associazione Nazionale degli Interessi del Mezzogiorno) dove poterono esercitare l’arte della tessitura di tappeti di cui erano maestri.

Pregiati manufatti che furono acquistati da diversi enti per essere posti negli edifici istituzionali. Anche l’Acquedotto Pugliese non seppe fare a meno di comprarne diversi che ancora oggi sono posti in bella mostra nell’edificio di via Cognetti.

La famiglia Timurian (ogni cognome che finisce per “ian” o “yan” è sicuramente armeno) ha continuato questa tradizione e nei punti vendita di via Putignani e via Napoli a Bari chiunque può entrare, parlare con Rupen e portarsi a casa un po’ di antica Armenia. Le case del villaggio armeno oggi sono abbandonate, forse per dimenticare il passato e guardare il futuro e magari, nel giorno della memoria, potrebbero essere fatte visitare agli studenti delle scuole che, oltre alla Shoa, non conoscono altri e sempre vergognosi genocidi, che hanno macchiato il nostro secolo.

Se qualcuno volesse conoscere di più di questo villaggio, potrebbe sempre sfogliare il libro di Emilia De Tommasi “Nor Arax. Storia deli villaggio armeno di Bari” edito da LB/Bari; oppure potrebbe andare a trovare Ruper Timurian nel suo negozio, membro onorario della comunità armena d’Italia: sicuramente avrà piacere a far rivivere la storia dei propri avi.

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