Caos Caucasico: Fake News o triste realtà? (Difesaonline 14.08.20)

(di Andrea Gaspardo)
14/08/20

Nelle ultime settimane, a causa di un improvviso riacutizzarsi delle tensioni ai confini tra la Repubblica di Armenia e la Repubblica dell’Azerbaigian, abbiamo cercato di portare l’attenzione dei lettori di Difesa Online su questa spinosa questione geopolitica mediante la pubblicazione di due report analitici, il primo intitolato Caos Caucasico che esplorava il problema del conflitto tra Armenia ed Azerbaigian (e l’ingombrante ruolo della Turchia nell’area) seguito dal più tecnico “Games of Dones” nel Caucaso meridionale avente invece come focus l’ampio utilizzo di UAV e UCAV registrato negli ultimi anni da parte dei contendenti.

Sebbene entrambe le analisi abbiano ottenuto un ottimo riscontro da parte del pubblico, la Redazione di Difesa Online ha anche registrato una manifestazione di dissenso proveniente da un lettore (non è dato sapere se occasionale o regolare) proveniente dall’ambito accademico. Avendo egli scritto una lettera alla Redazione e chiamato in causa espressamente la mia persona accusandomi tra le altre cose “di spargere fake news” ho ritenuto necessario, a beneficio della comunità dei lettori e per rimarcare l’assoluta indipendenza ed integrità morale e professionale di tutti autori di Difesa Online, di ritornare sull’argomento pubblicando sia le obiezioni del lettore che per espandere la visione sullo scontro tra Armenia ed Azerbaigian in modo da informare ulteriormente il pubblico cosicché possa rielaborare in modo indipendente la tematica e decidere in piena coscienza e libertà quale campana ascoltare.

Allegata alla mail vi era quella che, nelle intenzioni dell’autore doveva costituire il suo punto di vista alternativo in relazione al conflitto tra Armenia ed Azerbaigian e che vi proponiamo integralmente qui sotto:

“L’articolo di Andrea Gaspardo, Caos caucasico, apparso su difesaonline del 20 luglio è zeppo di imprecisioni, omissioni e vere e proprie fake news. Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian, che purtroppo è tornato in questo luglio a una fase di scontro diretto, appare come una questione complessa che non può essere trattata in maniera rozza e soprattutto prendendo acriticamente le parti di uno dei contendenti contro l’altro.

Proviamo, con lo spirito del debunking, a mettere in evidenza i piu’ macroscopici errori fattuali che a nostro parere appaiono nello scritto di Gaspardo:

1) l’autore afferma che l’occupazione armena del Nagorno Karabakh sia un “mito da sfatare” e che tale territorio sia una sorta di culla ancestrale della nazione armena. Niente di più sbagliato. Sull’occupazione tornerò nel punto successivo ma per quanto riguarda la supposta esclusività del Nagorno Karabakh per gli armeni è questa una considerazione mitologica. Questo territorio sin dal nome, costituito da parole turche e russe, rivela la sua natura multiculturale e multietnica in cui, storicamente. il framework occidentale dello stato nazionale monoetnico non ha senso. Il Karabakh non è stata alcuna sede ancestrale armena ma uno spazio geografico di compresenza di popolazioni armene, turco-azerbaigiane, caucasiche (i famosi Albàni) cristiane e musulmane. Popolazioni che hanno convissuto pacificamente per secoli. Per i dettagli rimando al volume di Thomas De Waal Black Garden che è accessibile anche al lettore non specialista dell’area. Se proprio vogliamo puntualizzare nell’unica fase della sua storia in cui il Karabakh è stato un’entità statuale si è chiamato Kanhato del Karabakh, una sorta di principato locale musulmano turco-azerbaigiano. Fu proprio il khanato azerbaigiano del Karabakh, nel 1805, a siglare un trattato con la Russia Zarista aprendo la strada al dominio di San Pietroburgo. Nel corso del XIX secolo gli equilibri demografici della regione cambiarono. Essa divenne una sorta di laboratorio di ingegneria sociale del dominio imperiale russo che favorì l’immigrazione degli armeni in tutto il Caucaso meridionale alterando i precedenti equilibri demografici. Nel 1918 quando Armenia, Georgia e Azerbaigian proclamarono la propria indipendenza l’Azerbaigian – in attesa di una decisione definitiva della conferenza di pace – vide riconosciuta da parte delle potenze dell’Intesa la sovranità sul Karabakh. Quindi quando nel 1923 venne istituita la regione autonoma all’interno dell’Azerbaigian oramai sovietizzato, si puo’ dire che il Karabakh non venne “assegnato all’Azerbaigian” ma semmai mantenuto all’interno dei confini azerbaigiani.

2) L’autore parla distrattamente dell’occupazione armena delle “zone di sicurezza” aggiuntive rispetto al Karabakh. In realtà viene omesso che si tratta di sette regioni occupate tra il 1993 e il 1994 equivalenti a circa il 20% del territorio nazionale; aree da cui sono stati espulsi circa 700.000 cittadini azerbaigiani che uniti a quelli sradicati dal Karabakh e ai rifugiati dall’Armenia portano a circa 1 milione di persone le vittime di displacement del conflitto con l’Armenia. Altro che “zone di sicurezza”, si tratta di una vera e propria tragedia umanitaria che perdura da oltre un quarto di secolo.

3) l’argomentazione che il governo azerbaigiano userebbe o sarebbe alleato di milizie riconducibili all’Isis è semplicemente ridicola e sa di fake news, neanche tra le piu’ sofisticate. Lo Stato azerbaigiano è fortemente laico, secolare con una rigida separazione tra le istituzioni civili e quelle religiose. Esso va fiero della propria natura secolare e della dimensione multiconfessionale della società azerbaigiana nonché delle normative e delle istituzioni che le garantiscono. Viene talvolta rivolta l’accusa di essere eccessivamente laico e di usare un atteggiamento severo quando sospetta di un’invasione della sfera politica da parte della religione. Pensare che l’organizzazione terroristica di ispirazione religiosa più fanatica del mondo – per giunta sunnita – si allei con un governo che rappresenta il suo esatto contrario – per giunta di un Paese a maggioranza sciita – è semplicemente fantascientifico. D’altronde le fonti citate da Gaspardo sono quantomeno di parte: addirittura i servizi segreti militari armeni! Forse servirebbero fonti un poco meno “coinvolte” quando si lancia un’accusa come questa.

Chi scrive, in conclusione, ritiene che questo conflitto debba risolversi nel quadro del diritto internazionale a partire dalle quattro risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 1993-1994 che riconoscono l’inviolabilità dei confini riconosciuti internazionalmente e l’integrità territoriale dell’Azerbaigian. A partire da questo semplice concetto vanno cercati spazi di autodeterminazione democratica della minoranza armena all’interno dello Stato azerbaigiano in un quadro di garanzie internazionali. Ipotesi militari, secessioniste e sovraniste servono solo ad esacerbare il conflitto.

Daniel Pommier Vincelli – Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale – Sapienza università di Roma

Avendo dato l’opportunità al professor Daniel Pommier Vincelli di esprimere le sue tesi, le confuterò ora una alla volta aggiungendo allo stesso tempo ulteriori elementi.

Per quanto riguarda il PUNTO NUMERO 1: la ricostruzione fatta dal professor Vincelli è assolutamente lacunosa. Secondo le cronache tradizionali citate dal venerabile Mosè di Corene, la parabola storica degli Armeni ha origine con la leggenda di Hayk che uccise il gigante Bel, costruttore della torre di Babele e tiranno di Babilonia, e condusse il suo popolo lontano dalla schiavitù delle terre mesopotamiche. Secondo l’erudito armeno, Hayk sarebbe vissuto attorno al 2492 a.C., usando come ancoraggio cronologico i paralleli eventi narrati nella Bibbia. Se noi guardiamo invece ai ritrovamenti archeologici, vediamo che le prime tracce della cultura armena risalgono addirittura al 6500 a.C., in un’area che va dalle propaggini orientali del Tauro Anatolico fino alle propaggini meridionali del Caucaso ed avente come uno dei propri punti focali proprio l’area compresa tra gli odierni territori del Naxçıvan, la provincia armena di Syunik ed il territorio del Nagorno-Karabakh (Artsakh). La persistenza di una cultura coerente trasmessa prima in forma orale e poi in forma scritta e il rifiuto quasi ossessivo di assimilazione etnica nei confronti dei popoli e paesi finitimi per un periodo di oltre 8500 fanno degli Armeni (in lingua armena “Hayer”, che si può tradurre letteralmente come: “i figli di Hayk”) uno dei popoli più antichi del mondo ed il secondo più longevo dell’area mediorientale e caucasica superato solamente dai Georgiani. Nel coso di questo lunghissimo arco temporale, gli Armeni hanno abitato una vastissima area del Medio Oriente e del Caucaso rappresentata nella “figura 1” allargando o restringendo il loro territorio di stanziamento a seconda delle possibilità e degli eventi che hanno caratterizzato tutte le ere storiche delle quali sono stati testimoni. È altresì ovvio che, durante tutto il periodo storico della loro esistenza e in tutto il loro vasto territorio di stanziamento, gli Armeni hanno condiviso lo spazio fisico con una miriade di altri popoli di tutti i tipi, ma senza mai perdere la loro identità e specificità culturale. All’interno di questa vasta area di stanziamento, il territorio del Nagorno-Karabakh (Artsakh) merita una particolare menzione perché esso è l’unico territorio di questo areale che presenta una continuità ininterrotta della presenza armena dalle origini fino ai giorni nostri, come dimostrato dall’archeologia oltre qualsiasi dubbio. Se davvero il legame tra gli Armeni ed il Nagorno-Karabkh (Artsakh) non fosse antico e fosse invece solamente il frutto di una “mitologia moderna”, come afferma il docente, allora qualcuno mi dovrebbe spiegare perché nel territorio del Nagorno-Karabakh (Artsakh) si trovino oltre 4000 monumenti storici di origine armena e solamente 10 di origine islamica (araba o persiana safavide a seconda delle epoche) e che tra il locale patrimonio archeologico armeno vadano menzionati addirittura i resti della città di Tigranocerta dell’Arstakh, una delle varie città tutte chiamate con lo stesso nome fondate dal Gran Re armeno Tigrane II il Grande, rinvenuti sul territorio della provincia di Askeran della Repubblica dell’Artsakh da un team di archeologi internazionali guidati proprio da un nostro connazionale, il professore e storico Giusto Traina? Proseguendo con il ragionamento del docente, esistono diverse interpretazioni sull’origine del termine “Karabakh” e quella che ha sinora riscosso il maggior successo vede tale termine come derivato del composto turco-persiano “kara” e “bagh” che possiamo tradurre come “Giardino Nero” per via delle sue impenetrabili foreste montane, così diverse dal resto dell’Altopiano Armeno che in prevalenza è spoglio e riarso dal sole, tuttavia questo nulla ci dice rispetto alla composizione etnica tradizionale delle popolazioni locali. Per trovare una risposta bisogna andare a scavare nella Storia e nella demografia, scienza quest’ultima che ha sempre costituito il pilastro centrale di ogni mia analisi. Per prima cosa è necessario delimitare lo “spazio fisico” che noi andiamo a considerare.

Sia il docente che tutti gli apologeti dell’Azerbaigian quando parlano di “Karabakh” intendono il territorio del cosiddetto “Khanato del Kharabakh”, un khanato turcofono semi-indipendente sottoposto al vassallaggio nei confronti della Persia safavide e durato formalmente dal 1748 al 1822 quando l’intero territorio passò sotto il controllo dell’Impero Russo. In termini territoriali, il “Khanato del Karabakh” comprendeva quelli che al giorno d’oggi sarebbero, andando da ovest ad est: i territori di Zangezur (oggi provincia armena di Syunik), il Nagorno-Karabakh (Artsakh) moderno e le pianure dell’Azerbaigian fino alla confluenza dei fiumi Aras e Kura come si può vedere in “figura 2”. Nel corso della “Guerra Russo-Persiana” del 1804-1813, l’intero territorio del khanato venne occupato dai Russi che vi condussero successivamente un censimento, pubblicato nel 1823. Il documento, lungo 260 pagine e ancora oggi consultabile (ovviamente in lingua russa), menziona uno per uno tutti i villaggi e le piccole città del territorio del khanato registrando le percentuali degli abitanti degli stessi secondo la diversa etnia ed afferma che “la popolazione totale dell’intero khanato è per l’8,4% di Armeni e per il restante da Tatari Caucasici (il nome dato allora a quelli che oggi vengono definiti Azeri, ndr) con minuscole aliquote di Cristiani Nestoriani (il nome dato allora agli Cristiani Assiri moderni, ndr) e di Zingari” tuttavia lo stesso censimento afferma anche che “la pressoché totalità della popolazione armena vive nella zona centrale del khanato in cinque distretti e lì le percentuali si invertono radicalmente, con gli Armeni che formano il 90,8% della popolazione locale”.

Ebbene, i cinque distretti dei quali parlano i documenti ufficiali del censimento russo altro non sono che i territori dei cosiddetti “Melikhati del Karabakh”, visibili in “figura 3”, ossia una confederazione di cinque principati feudali armeni (Gulistan, Jraberd, Khachen, Varanda e Dizak) retti da altrettante famiglie nobiliari tra il 1603 ed il 1822, a loro volta sorti sulle ceneri del grande “Principato di Khamsa” che aveva governato l’area tra il 1261 ed il 1603 il quale a sua volta era erede del cosiddetto “Regno di Artsakh” esistente nei suddetti territori tra l’anno 1000 ed il 1261. I lettori capisco che, mettendo assieme tutte queste date, si ottiene un periodo ininterrotto di oltre 800 anni di controllo politico armeno del territorio che contribuirono a rafforzare ulteriormente la specificità identitaria degli abitanti del luogo, i cosiddetti “Armeni Nagornini”, detti anche “Karabatsi”. Questo è un punto molto importante perché quando gli Armeni parlano di Nagorno-Karabakh (Artsakh) essi intendono solamente quella porzione del territorio che storicamente costituiva i cinque “Melikhati” e non tutto il territorio del “khanato” come vorrebbero far credere gli apologeti dell’Azerbaigian in malafede che prendono solamente quelle parti di Storia che servono a loro personale uso e consumo e lasciano perdere tutto il resto puntando le loro carte sull’ignoranza dei lettori che nella stragrande maggioranza dei casi non hanno mai letto un libro sulla Storia locale delle popolazioni caucasiche e fanno anche molta difficoltà ad orientarsi con le mappe sia storiche che geopolitiche. Quando poi l’Impero Russo crollò, nel corso della Prima Guerra Mondiale, le popolazioni caucasiche proclamarono l’indipendenza prima cercando di creare una Repubblica Federale Democratica Transcaucasica la quale si sgretolò ben presto nella Repubblica Democratica della Georgia, nella Repubblica Democratica di Azerbaigian, nella Prima Repubblica di Armenia e nella Repubblica dell’Armenia Montanara. Parlare però di confini, sovranità e riconoscimento internazionale in una situazione geopoliticamente e militarmente fluida come quella del 1918-1920 è un punto decisamente debole.

Nel corso di quei due anni densi di avvenimenti sul campo, i suddetti stati caucasici si sono fatti la guerra tra di loro, hanno assistito ad una risorgenza turca ed infine sono stati investiti dall’offensiva della Russia Sovietica che li ha reincorporati nella nascente Unione Sovietica come “repubbliche costituenti” del nuovo “stato dei soviet”. È in questa occasione che è avvenuto il vero “esperimento di ingegneria sociale e geopolitica” quando Stalin decise di dividere quelle terre di confine nel modo seguente: all’Armenia sovietica venne assegnata l’area di Zangezur che divenne nota da quel momento in poi come “provincia di Syunik” e che tutt’oggi fa parte della nuova Repubblica d’Armenia, il territorio del Naxçıvan venne assegnato invece all’Azerbaigian sovietico diventandone a tutti gli effetti una exclave separata dal resto del territorio del paese (ruolo che riveste tutt’oggi), così come vennero assegnati all’Azerbaigian tutti i territori restanti del vecchio khanato con la postilla che, nell’area un tempo parte dei cinque “Melikhati” sopra descritti e dove la popolazione armena era più forte e radicata sul territorio, le autorità sovietiche ritagliarono una “Regione Autonoma del Nagorno-Karabakh”, visibile nella “figura 4”. Fu questa cervellotica spartizione territoriale a gettare le basi per decenni di instabilità a livello locale, premessa per la tragedia che stiamo vivendo dalla fine degli anni ’80 sino ad oggi dopo che la fine della forza opprimente del Comunismo ha liberato nuovamente lo spettro dei nazionalismi locali spinti. Questa è l’unica vera Storia, passo per passo, di come il territorio del Nagorno-Karabakh (Artsakh) divenne “parte dell’Azerbaigian”, se esso ne sia mai veramente stato parte da un punto di vista culturale ed identitario, beh, lo lascio decidere ai lettori.

PUNTO NUMERO 2: È ovvio che la “Guerra del Nagorno-Karabakh” del 1988-1994 ha creato un dramma umanitario di proporzioni enormi, tuttavia tale disastro umanitario è stato da ambo i lati e non a senso unico! I dati dell’UNHCR, i più affidabili di cui siamo in possesso, parlano nel complesso di 724.000 Azeri che vennero espulsi dai territori dell’Armenia, del Nagorno-Karabakh (Artsakh) e dalle zone circostanti ai quali fanno da contraltare 500.000 Armeni espulsi dal Naxçıvan e dal resto dei territori dell’Azerbaigian, soprattutto dalla capitale, Baku, che essi avevano letteralmente contribuito a costruire e far fiorire dal punto di vista culturale. Quando le tragedie umanitarie assumono proporzioni così grandi non ha semplicemente senso puntare il dito verso l’una piuttosto che l’altra parte, tuttavia c’è un discrimine importante che bisogna fare in questa situazione. Il Nagorno-Karabakh (Artsakh) e le aree circostanti furono il teatro di quella che, probabilmente, è stata la più brutale ed efferata tra tutte le guerre dello spazio ex-sovietico, combattuta letteralmente villaggio dopo villaggio, montagna dopo montagna e vallata dopo vallata, dove entrambi i contendenti fecero largo uso di pezzi d’artiglieria e carri armati in zone dalle quali, spesso e volentieri, risultava semplicemente impossibile evacuare la popolazione civile. È ovvio che, in un tale scenario da incubo, le perdite civili da entrambe le parti lievitarono enormemente e ci furono anche gravi episodi di violazioni dei diritti umani da parte dei combattenti armeni ai danni dei civili azeri, il più famoso dei quali fu il massacro di Khojaly. Tuttavia tale guerra fu caratterizzata anche da episodi spaventosi di pogrom commessi dai nazionalisti azeri contro civili armeni inermi che vivevano in zone interne dell’Azerbaigian lontanissime dalle aree di combattimento. Centinaia, forse migliaia, di civili di etnia armena furono uccisi spesse volte con furia e crudeltà medievale nel corso di massacri organizzati a Sumgait, Kirovabad e persino nella capitale Baku e le stesse folle di scalmanati azeri poi attaccarono anche Georgiani, Osseti, Ebrei, Russi e gente di altre etnie fermandosi solamente quando, dopo un colpevole ritardo durato sette giorni, le truppe sovietiche intervennero reprimendo nel sangue la rivolta (il cosiddetto “Gennaio nero” del 1990). Niente di tutti ciò è avvenuto in Armenia! I nazionalisti armeni nella Repubblica d’Armenia si resero sì responsabili dell’espulsione di circa 200.000 Azeri locali e anche lì ci furono numerosi episodi di violenza ma non si è tenuto alcun massacro organizzato di civili azeri nel territorio della Repubblica d’Armenia e i morti azeri in quei frangenti furono si e no una ventina, tutti a causa di atti di violenza isolati e non di massacri organizzati dall’alto come avvenne all’interno del territorio dell’Azerbaigian. Questa è una differenza critica e molto importante che, pur nella immoralità della guerra, non si può bellamente ignorare! E, sì, al termine della “Guerra del Nagorno-Karabakh”, le forze unificate armene si ritrovarono in possesso di un territorio pari al 20% della superficie dell’Azerbaigian comprendente la quasi totalità del territorio del Nagorno-Karabakh (Artsakh) e i distretti circostanti ma tale risultato è ascrivibile alla condotta delle operazioni militari e il mantenimento del possesso di tali territori si è rivelato necessario per garantire la sicurezza della popolazione civile del Nagorno-Karabakh (Artsakh) dai tentativi nemmeno tanto velati della leadership di Baku di commettere un genocidio. Punto. Ci sono decisamente troppi omissis nel punto 2 come è stato presentato dal docente.

PUNTO 3: Credo che qui sia necessario specificare molte cose. Nonostante la costituzione del paese sia improntata al “laicismo” e l’assoluta maggioranza della popolazione sia musulmana sciita (anche se in maniera decisamente tiepida, per non dire fredda), l’Azerbaigian, nella sua identità autentica, non è “uno stato laico”, e non è nemmeno “uno stato musulmano sciita”. L’Azerbaigian è prima di tutto un paese “post-sovietico”, con tutte le limitazioni che le parole “post-sovietico” comportano. Secondariamente, è uno stato che sta perdendo rapidamente i suoi connotati autonomi e sta sempre più scivolando nel vortice della Turchia con tutte le conseguenze che lascio immaginare ai lettori e sulle quali non mi soffermerò perché non sono oggetto della presente analisi. Per altro questo trend è assolutamente in linea con la Storia di quel territorio dato che nel corso degli ultimi secoli le élite del paese furono prima persianizzate, poi russifizzate ed ora turchizzate, testimoniando il fatto che, andando a grattare in profondità, l’Azarbaigian e gli Azeri in generale non abbiano una vera identità nazionale e sono sempre vissuti alla periferia di grandi imperi assorbendone cultura, costumi ed ideologia dominante, in questo differenziandosi nettamente dagli Armeni e dai Georgiani che invece hanno sviluppato culture nazionali coerenti e le hanno sempre difese con le unghie e con i denti anche quando sono stati inglobati nei territori di più grandi imperi stranieri. L’Azerbaigian è una dittatura familiare nella quale l’attuale presidente, Ilham Heydar oglu Aliyev governa da 17 anni (con la moglie Mehriban Arif qizi Aliyeva nominata alla carica di vice-presidente!) avendo ereditato il potere dal padre Heydar Alirza oglu Aliyev il quale nel corso della sua lunga vita è stato per 25 anni, tra il 1944 ed il 1969, ufficiale a vari livelli del KGB azero, Segretario del Partito Comunista dell’Azerbaigian, tra il il 1969 ed il 1982, membro del Politburo dell’Unione Sovietica dal 1982 al 1987 ed infine presidente dell’Azerbaigian indipendente dal 1993 al 2003 quando infine morì. Come è possibile che taccia con tale disinvoltura su questi fatti? In merito alle mie affermazioni che l’Azerbaigian abbia massicciamente impiegato milizie straniere nel corso delle sue interminabili guerre contro gli Armeni, dai primi anni ’90 fino ad oggi, incluse milizie facenti capo all’ISIS (e passando per i Lupi Grigi, gli islamisti ceceni, gli Afghani di Hezb-e-Islami, i jihadisti siriani, ecc…) ebbene io l’ho detto e ribadisco parola per parola quanto affermato nell’articolo “Caos Caucasico”. Esiste una vastissima letteratura in materia non ultimo da parte dello stesso ICT (Institute for Counter-Terrorism) quindi sta a chi di dovere dimostrate che io e una sequela di altri analisti geopolitici abbiamo torto, portando contro-prove. Comunque, prometto che tornerò ancora su questo argomento in altre analisi future dato che si tratta di una tematica di estremo interesse anche dal punto di vista della sicurezza internazionale. Ma non posso terminare questa analisi senza parlare al pubblico dei lettori di un aspetto molto importante che caratterizza l’ostilità dell’Azerbaigian nei confronti di “tutto ciò che è armeno”, e cioè la distruzione del patrimonio culturale armeno da parte dell’Azerbaigian. Grazie ad interazioni di ogni tipo durate millenni, gli Armeni avevano lasciato importantissime tracce nella Storia archeologica e nell’architettura del vicino caucasico. Nella regione del Naxçıvan, come detto una delle culle del popolo armeno, i ricercatori Argam Aivazian (armeno nativo del luogo) e Steven Sim (scozzese) documentarono nel corso degli anni ’80 l’esistenza di un ricchissimo patrimonio culturale di origine armena mediante la pubblicazione di ben 80.000 fotografie e disegni rappresentanti tra gli altri un totale (a detta degli autori incompleto) di 218 tra chiese, monasteri e cappelle, 41 castelli, 26 ponti, 86 siti di città e villaggi, 23.000 lapidi e, soprattutto, 4500 croci di pietra, i leggendari “khachkar”, che rappresentano forse il marchio più importante della cultura armena in ogni epoca storica. In particolare nelle vicinanze della città di Julfa esisteva un cimitero unico al mondo costituito da una “foresta” di khachkar che si ergevano a migliaia (10.000 secondo il missionario francese Alexandre de Rhodes che nel 1648 visitò l’area) in uno spiazzo situato lungo il corso del fiume Aras. Ebbene, negli anni successivi all’indipendenza, dopo aver prima ripulito l’area dagli ultimi Armeni rimasti, ultimi eredi di una ininterrotta presenza plurimillenaria proprio come nel Nagorno-Karabakh (Artsakh), l’Azerbaigian ha sistematicamente distrutto tutte le tracce del patrimonio archeologico ed architettonico armeno presente sul proprio territorio operando un genocidio culturale persino peggiore di quello causato dall’ISIS in Siria ed Iraq. Tra il 1998 ed il 2002, i 3000 khachkar e le 5000 lapidi che ancora si trovavano nel cimitero di Julfa (tra le quali anche alcune rarissime e preziosissime lapidi recanti il motivo armeno dell’ariete risalente al periodo pre-cristiano, introvabili in nessun altro luogo sulla Terra) vennero metodicamente abbattute, spaccate e triturate dai soldati azeri fino a che non vennero ridotte letteralmente in polvere per venire poi scaricate nel letto del fiume Aras. Tali distruzioni si sono poi riverberate in tutti il territorio del paese (ad eccezione ovviamente del Nagorno-Karabakh!) tanto che oggi le uniche due chiese armene ancora in piedi in Azerbaijan sono la chiesa del villaggio di Kish (ma solamente perché nel corso della Storia essa è successivamente diventata prima una chiesa albano-caucasica e poi una chiesa georgiana, quindi è stata altro, oltre ad essere armena) e la chiesa di San Gregorio l’Illuminatore situata a Baku ma permanentemente chiusa ed oggi utilizzata come magazzino. Potrei andare avanti per ore, ma preferisco fermarmi qui.

In conclusione, l’autore della presente analisi ritiene di aver dato ai lettori, sia su “Caos Caucasico” che sull’analisi odierna una grande quantità di informazioni che essi stessi potranno ricercare e verificare in completa libertà e seguendo la loro curiosità intellettuale anche su fonti aperte in lingue diverse dall’italiano, confidando sempre e comunque nella bontà del mio lavoro e del mio metodo analitico e sapendo che la Verità, quella con la “V” maiuscola, non ha bisogno di traduzioni.

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