Caratteriliberi.eu – Genocidio armeno e negazionismo, una questione aperta. Parte quinta (19 mag 2015)

di Claudio Vercelli

Nelle memorie del suo segretario personale ad Abdul Hamid II è attribuita la volontà netta di perseguire una «politica di severità e di terrore contro gli armeni; in ragione di ciò decise di dare loro un colpo economico, impedendo che potessero commerciare e negoziare» (così secondo lo storico Vahakn Dadrian, nella sua monumentale «Storia del genocidio armeno»), con l’evidente fine di determinarne l’isolamento sociale, oltreché quello politico e civile. L’ondata di violenze preordinate colpì quindi in particolare modo i distretti di Bitlis, Diyabakir, Erzurum, Mamurel-ul-Aziz, Sivas, Trebisona e Van. In quei mesi migliaia di civili vennero assassinati, sia per mano dell’esercito ottomano che della cavalleria curda come anche per l’intervento predatorio di una parte della popolazione musulmana. Molti furono i morti nell’inverno tra il 1895 e il 1896.

I massacri proseguirono nel 1897, anno in cui il sultano dichiarò tuttavia la «questione armena» come definitivamente conclusa. Nella massa di morti che a quel punto si contavano, vi erano anche esponenti di rilievo delle organizzazioni politiche comunitarie locali, mentre altri erano fuggiti in Russia. Costantinopoli decretò la chiusura delle associazioni armene e impose un duro giro di vite nei confronti delle restanti organizzazioni politiche. Nel mentre si consumava questa mattanza collettiva anche altre minoranze anatoliche furono fatte bersaglio di violenze. I reparti di hamidié, infatti, si adoperarono contro gli assiri di Diyarbakir, Hasankeyf, di Sivas come di altre aree attigue. È impossibile determinare con certezza quanti morti procurò la prima ondata di massacri anti-armeni. Continua