«Case, chiese, santuari, a Shusha gli azeri stanno distruggendo tutto» (Tempi.it 14.01.21)

«Shusha è ancora nelle mani degli azeri. Secondo i nostri corrispondenti, la situazione sta peggiorando ogni giorno. In particolare, mi è stato detto che stanno distruggendo case, santuari armeni e il nostro patrimonio culturale. Se la situazione continua così, non rimarranno tracce di armeni lì. Troveranno qualcosa da distruggere ogni giorno». Come decine di migliaia di famiglie anche il padre Andreas Taadyan rettore della cattedrale di Cristo San Salvatore, nella “città sacra” di Shusha, ha vissuto il Natale ortodosso da rifugiato a Stepanakert, capitale della Repubblica dell’Artsakh, aiutando gli sfollati, celebrando le messe e cercando di ricostruire le comunità disperse dal 9 novembre, quando l’Armenia è stata costretta a riconoscere la sconfitta contro gli azeri e cedere numerosi territori all’Azerbaigian. «Non credo che conserveranno o ristruttureranno i monumenti cristiani, come abbiamo fatto quando abbiamo rinnovato la moschea della città. Se decidessero di distruggere la nazione armena, distruggerebbero i monumenti per sempre».

SALVO SOLO MONSTERO DI DADIVANK, CUSTODITO DAI RUSSI

È una drammatica intervista quella rilasciata al National Catholic Register da padre Taadyan: l’unico monumento che al momento si è salvato dalla furia degli azeri, che nei villaggi conquistati hanno seminato morte e decapitazioni, è il monastero di Dadivank, custodito dalle forze di pace russe grazie ai negoziati condotti dal Catholicos Karekin II, patriarca della Chiesa Apostolica Armena, «pochi giorni fa, l’abbiamo visitato a bordo di veicoli blindati, poiché il luogo è circondato dagli azeri. Ma temo che, purtroppo, i terroristi prima o poi punteranno a distruggere tutti monumenti su quel territorio, come la chiesa di Tsitsernavank o quella della provincia di Hadrut». Le chiese, spiega il rettore, hanno i giorni contati: a Shusha, San Giovanni Battista è stata fatta esplodere e presto anche la storica cattedrale di Cristo San Salvatore, simbolo della cristianità armena sin dal XIX secolo, potrebbe finire in cenere: non c’erano postazioni militari o strategiche intorno all’edificio, già danneggiato durante il pogrom antiarmeno del 1920, la guerra del Nagorno Karabach del 1988 e i bombardamenti dell’aviazione azera nel 1992, eppure è lì che combattenti e mercenari di Erdogan, giunti in Azerbaigian per sostenere la «crociata contro i cristiani» hanno puntato i razzi l’8 ottobre scorso.

LA CATTEDRALE SVENTRATA DELLA GERUSALEMME DELL’ARTSAKH

«C’erano molte chiese a Shusha», racconta padre Taadyan della “Gerusalemme del Nagorno-Karabakh”, città dalla vivace vita culturale e religiosa: dodici i giornali fondati e tre o quattro sacerdoti a capo di ogni comunità parrocchiale che dopo il massacro del 1920 riedificarono gli edifici sacri suonando le campane per tutte le città vicine. L’ultima immagine che religiosi e abitanti si sono portati via scappando con i loro soli vestiti a Stepanakert è quella della cattedrale sventrata, una grande voragine nel tetto crollato su altare e navata, le icone intatte alle pareti a vegliare su un enorme ammasso di macerie. Senza tetto, come la maggior parte della popolazione sfollata che terrorizzata dalla guerra prova a dirigersi verso l’antica Yerevan, capitale armena: nessuno si sente al sicuro «perché non c’è pace nelle città e nei villaggi di confine. Le persone sono in pericolo permanente; gli azeri entrano spesso nei villaggi di confine, cercando di rubare animali per terrorizzare le persone».

RITORNARE A CASA, IMPAURITI E SENZA I BAMBINI

Tempi vi ha già raccontato delle atrocità commesse dai conquistatori, documentate nei video diffusi su internet e confermate da un’inchiesta indipendente del Guardian: «Ecco come ci vendichiamo: tagliando teste», grida in uno dei filmati una voce fuori campo mentre un membro dell’esercito azero davanti a una telecamera sgozza e decapita con un coltello un uomo armeno, per poi porre la testa mozzata su un animale morto. «Il nostro governo e il nostro esercito devono proteggere questi luoghi in modo che la nostra gente possa essere veramente al sicuro». In questi giorni, spiega a Ncr padre Taadyan, sono molte le famiglie che hanno deciso di tornare a casa «nonostante il pericolo, ma molte di queste non vogliono portare con sé i propri figli perché il posto non è ancora sicuro».

«SIAMO CIRCONDATI DAGLI AZERI, TUTTO È NELLE MANI DI DIO»

A Stepanakert i religiosi stanno cercando di tenere unito il popolo armeno, lavorando con le amministrazioni per registrare chiunque non abbia casa, cercando di aiutare le famiglie con tanti bambini e i compatrioti fuggiti a Yerevan e hanno perso abitazione e lavoro, «sperando sempre in giorni migliori. In questo momento siamo circondati dagli azeri, che rappresentano un pericolo concreto per ciascuno di noi, ma tutto è nelle mani di Dio». Nel silenzio dell’Occidente un barlume di speranza è stato acceso dalla Repubblica francese, «poiché il Parlamento ha recentemente approvato una risoluzione per il riconoscimento (del Nagorno Karabakh, ndr). Almeno, non abbiamo perso la speranza che un giorno l’Artsakh venga liberato. Saremmo molto grati al mondo».

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