Le tensioni a Erevan viste da Mosca (Asianews 28.06.24)

Mosca (AsiaNews) – Le relazioni tra Russia e Armenia hanno raggiunto negli ultimi tempi un livello di tensione mai sperimentato prima, considerata la storica riconoscenza di Erevan all’impero che salvò almeno una parte degli armeni dal genocidio, e che permise una convivenza piuttosto tranquilla anche ai tempi sovietici, quando la repubblica armena rimaneva una delle più impermeabili alla russificazione socialista. Un noto politologo russo, il professor Dmitrij Trenin, membro del Consiglio russo per gli affari internazionali del Cremlino, ha commentato l’evoluzione di questa situazione su Novosti-Armenia.

In diverse interviste, l’esperto ha sostenuto che l’Occidente non è in grado di compensare le dimensioni del sistema di sicurezza dell’Armenia, che sono sempre state assicurate dalla Russia. Gli armeni peraltro ritengono che proprio la Russia abbia fatto crollare tale sistema negli ultimi anni, non proteggendo l’Armenia dall’Azerbaigian durante gli scontri per il Nagorno Karabakh, venendo meno ai suoi impegni di alleato, mentre i russi temono che gli ondeggiamenti del governo di Erevan possano portare contingenti della Nato sul territorio armeno, dando inizio a un’altra gravissima crisi.

Trenin ricorda che la vittoria dell’Armenia nella prima guerra del Karabakh nel 1994, a condizioni molto favorevoli, fu resa possibile proprio dal sostegno della Russia. Nei quasi trent’anni successivi, prima della nuova guerra degli azeri, i russi hanno fatto tutto il possibile per risolvere ogni motivo di conflitto per via diplomatica, e sembrava che le parti fossero vicine a un accordo, ma “non è colpa della Russia se poi questo è saltato”. A suo parere, gli armeni hanno rifiutato di sfruttare le tante possibilità che grazie a Mosca le erano state offerte prima del 2020.

Attualmente, senza voler rivangare il passato, “i pericoli potenziali per l’Armenia vengono dall’Azerbaigian e dalla Turchia”, e secondo il politologo “se dovessero occuparsi di questo gli Stati Uniti, certamente non ci sarebbero colonne di carri armati turchi ai confini, ma l’Armenia sarebbe comunque costretta a piegarsi agli interessi della Turchia”. Tutto questo verrebbe presentato come “un rafforzamento della pace e della stabilità nella regione”, e gli americani si farebbero garanti di questa situazione affermando di “voler aiutare il progresso economico dell’Armenia”.

D’altra parte bisogna tenere conto dell’instabilità politica interna dell’Armenia, come la nascita di un nuovo movimento popolare di opposizione, il “Tavowš in nome della Patria” guidato dall’arcivescovo Bagrat Galstanyan, in cui molti reagiscono contro i continui cedimenti nei confronti dei Paesi vicini. Ci potrebbe essere quindi un cambiamento ai vertici del Paese, “o attraverso le elezioni, o con una sollevazione popolare”, e allora l’Armenia non troverebbe più alleati a Occidente; gli Usa si farebbero da parte, e l’Azerbaigian e la Turchia sarebbero liberi di fare i conti da soli con un governo armeno rivoltoso. Secondo il politologo “probabilmente non si andrebbe a un conflitto di grande portata, ma ci sarebbero nuove pressioni e azioni militari in varie zone dell’Armenia e dei suoi confini”.

Nell’intervista si avverte che “ci sarebbero anche coloro che si aspettano l’aiuto dell’Iran”, che non sopporterebbe la crescita dell’influenza turca sulla regione, che è già notevole. Finora Teheran mantiene un atteggiamento non ostile ad Ankara, ma anche questo equilibrio potrebbe rompersi, per l’allergia iraniana a ogni forma di alleanza con gli americani (tramite la Turchia) e con Israele (tramite l’Azerbaigian), anche se “l’Iran ha problemi ben più grossi da risolvere, che non lo status dell’Armenia”. Trenin non ritiene che “l’unica alternativa sia fare dell’Armenia un vassallo della Russia”, sia perché sarebbe impossibile, sia perché nessuno in Russia vuole veramente questo; l’importante per Mosca è che “non si formi un altro fronte non amichevole, lasciando che gli avversari geopolitici possano inghiottire l’Armenia”.

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Sulle tracce del patrono. Pellegrinaggio in Armenia, terra di San Mercuriale (Il Resto del Carlino 27.06.24)

Il vescovo Corazza è tornato dal viaggio al quale hanno partecipato 50 forlivesi, visitata anche la Georgia. “Il battesimo ci unisce: siamo un popolo solo”.

Sulle tracce del patrono. Pellegrinaggio in Armenia, terra di San Mercuriale

Sulle tracce del patrono. Pellegrinaggio in Armenia, terra di San Mercuriale

Il vescovo, mons. Livio Corazza, è tornato dal pellegrinaggio diocesano che ha guidato in Armenia e Georgia dal 14 al 21 giugno. Al viaggio, organizzato dall’Ufficio diocesano per i pellegrinaggi di cui è responsabile Mariella Leoni, hanno partecipato 50 forlivesi, tra cui don Enrico Casadio, parroco di Meldola, e don Nino Nicotra, parroco di San Mercuriale, intitolata al primo vescovo di Forlì, originario proprio dell’Armenia. “Siamo partiti sulle orme di San Mercuriale – afferma mons. Corazza – e siamo tornati portando nel cuore l’amore per i popoli armeno e georgiano e l’impegno di non dimenticarli, nel nome del Santo Patrono di Forlì. Il popolo armeno, la prima nazione che ha scelto di farsi battezzare, ha pagato con il sangue la sua fede e la sua unità. Il momento più drammatico del nostro pellegrinaggio è stata la preghiera silenziosa al memoriale del genocidio del 1915 che provocò un milione e mezzo di morti”. Tra le tappe del viaggio, Yerevan, il sito archeologico di Zvartnots con i resti della cattedrale di San Gregorio l’Illuminatore, Echmiadzin, cuore religioso della nazione e sede del Katolicos, la più alta autorità religiosa del Paese. In Georgia sono stati visitati il monastero di Jvari a Mtskheta, la cattedrale di Svetitskhoveli e Tblisi, dove nella chiesa cattolica è stata celebrata la messa presieduta dal mons. Giuseppe Pasotto, amministratore apostolico del Caucaso dei Latini, originario di Verona. “Mi ha colpito una sua frase: noi cattolici abbiamo il compito di ricordare a tutti i cristiani che apparteniamo ad una sola Chiesa, attraverso il battesimo che ci unisce tutti: siamo un popolo solo. Dopo 1800 anni siamo tornati per ringraziare gli armeni di averci donato la fede in Gesù Cristo attraverso San Mercuriale, vogliamo stare vicino ai suoi connazionali, ricordandoci che siamo tutti fratelli”.

Papa: dalla Terra Santa al Karabakh, ‘Chiese martiriali’ più forti della guerra (Asianews 27.06.24)

Il pontefice ha ricevuto questa mattina i partecipanti alla plenaria della Roaco, elencando le aree dilaniante da conflitti e violenze in Medio Oriente e nell’Europa dell’est. L’appello per le aree che si stanno spopolando dei cristiani e la preoccupazione pastorale per i territori della diaspora. La guerra una “avventura insensata e inconcludente”. “Urgente cessate il fuoco, con la guerra nessuno sarà vincitore”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Le Chiese orientali “vanno amate” perché custodiscono “tradizioni spirituali e sapienziali uniche” che hanno molto da dire “sulla vita cristiana, sulla sinodalità e sulla liturgia” come insegnano i padri antichi, i Concili, il monachesimo. Tuttavia, questa è una “bellezza ferita” perché sono “schiacciate da una croce pesante” che le ha trasformate in “Chiese martiriali” in particolare in Terra Santa dove la situazione è “drammatica”. È quanto ha sottolineato papa Francesco questa mattina, ricevendo in Vaticano i partecipanti alla 97ma Assemblea plenaria della “Riunione delle Opere per l’Aiuto alle Chiese Orientali” (Roaco), che si è svolta a Roma dal 24 al 27 giugno. Dove “tutto è iniziato” ha proseguito il pontefice riferendosi alla guerra di Israele contro Hamas a Gaza, “dove gli Apostoli hanno ricevuto il mandato di andare nel mondo ad annunciare il Vangelo oggi i fedeli di tutto il mondo sono chiamati a far sentire la loro vicinanza”.

Nella riflessione il papa si rivolge ai cristiani nel mondo, esortandoli a “incoraggiare” i confratelli in Terra Santa e Medio oriente “ad essere più forti della tentazione di abbandonare le loro terre, dilaniate dai conflitti”. Riferendosi allo spopolamento laddove è nato il cristianesimo parla di “situazione brutta”, di “dolore” provocato dalla guerra che è “ancora più stridente e assurda nei luoghi dove è stato promulgato il Vangelo della pace”. Rivolgendosi a chi “alimenta” i conflitti traendone “ricavi e vantaggi” Francesco lancia un appello: “Fermatevi!”. “È urgente cessare il fuoco, incontrarsi e dialogare – afferma – per consentire la convivenza di popoli diversi […] per un futuro stabile” perché con la guerra “insensata e inconcludente” tutti sono “sconfitti”.

Dopo aver salutato il card. Claudio Gugerotti, i superiori del Dicastero e i membri delle Agenzie che compongono l’assemblea, il papa allarga il discorso ad altre aree di tensione e conflitto: fra queste la Siria, il Libano (ma è “l’intero” Medio oriente in fiamme), e ancora il Caucaso, il Tigray e l’Ucraina “per la quale – ricorda – prego e non mi stanco di invitare a pregare”. “Proprio lì, dove vivono buona parte dei cattolici orientali, le barbarie della guerra – osserva – imperversano in modo efferato”. “E noi, fratelli e sorelle, non possiamo – ha proseguito il pontefice – restare indifferenti. L’Apostolo Paolo ha messo nero su bianco la raccomandazione, ricevuta dagli altri Apostoli, di ricordarsi dei più bisognosi tra i cristiani […] È Parola ispirata da Dio e voi della Roaco siete le mani che danno carne a questa Parola: mani che portano aiuto, risollevando” o alleviando “le sofferenze dei nostri fratelli e sorelle orientali”.

Invitando a “continuare a sostenere le Chiese orientali cattoliche” e a essere “di stimolo” per il clero e i religiosi, papa Francesco vuole ringraziare “perché rispondete a chi distrugge ricostruendo; a chi priva di dignità restituendo speranza; alle lacrime dei bambini con il sorriso di chi ama; alla logica maligna del potere con quella cristiana del servizio. I semi che voi piantate – afferma. nei terreni inquinati dall’odio e dalla guerra germoglieranno, ne sono sicuro. E saranno profezia di un mondo diverso, che non crede alla legge del più forte, ma alla forza di una pace non armata”.

Il papa ha poi affrontato la questione degli sfollati e la situazione umanitaria della regione del Karabakh, per la quale ha ringraziato mons. Gevork Saroyan, della Chiesa apostolica armena, per la sua presenza in questi giorni. “Oggi tanti cristiani d’Oriente, forse come mai prima, sono in fuga da conflitto o migrano in cerca di lavoro e di condizioni di vita migliori: moltissimi, perciò, vivono in diaspora” sottolinea papa Francesco toccando un’ulteriore questione aperta che la Chiesa deve oggi affrontare. Il riferimento è alla “cura pastorale” di quanti “risiedono fuori dal loro territorio proprio” e che, in alcuni casi “a causa delle massicce migrazioni degli ultimi decenni, annoverano la maggior parte dei fedeli fuori dal loro territorio tradizionale”. Essi devono affrontare scarsità di sacerdoti e luoghi di culto, e rischiano di essere privanti anche della stessa “identità religiosa”. “Sono grato alle diocesi latine che accolgono fedeli orientali e rispettano le loro tradizioni; invito a prendersi cura di loro, perché questi fratelli e sorelle – conclude il papa – possano mantenere vivi e saldi i loro riti. E incoraggio il Dicastero a lavorare su questo aspetto, anche definendo principi e norme che aiutino i Pastori latini a sostenere gli orientali cattolici della diaspora”.

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Il Papa: in Ucraina si liberino i prigionieri e si rimpatrino i bambini E ricorda crisi nel Karabakh (Askanews)


Il Papa: urgente cessate il fuoco, fermatevi! Con la guerra nessuno sarà vincitore (Vaticannews.va)

Esce in Italia una raccolta di 101 poesie di poeti armeni riscoperti dopo il crollo dell’Urss (Il Messaggero 26.06.24)

Centouno poesie capaci di allargare l’orizzonte e gettare ponti tra visioni immaginarie e prospettive reali, in una ricerca continua di sè, priva di qualsiasi indulgenza, capaci di cogliere e cesellare le sfumature dell’amore, della vita, del desiderio, della sconfitta, della disperazione, della felicità. C’è tutta la malinconica tenacia della cultura armena, sopravvissuta al genocidio ottomano e alle costrizioni sovietiche, dentro la raccolta poetica intitolata “Rinascita” curata e tradotta da Mariam Eremian e pubblicata da Fuorilinea (158 pagine, 16 euro). Hovannes Tumanian, Vahan Terian, Razmik Davogan, Parvyr Sevak solo per citare alcuni dei principali esponenti della poetica armena vissuti dalla fine dell’Ottocento fino al 1989, l’anno del crollo dell’impero sovietico che per tanti di loro mise fine ad un oblio imposto dal regime.

Morto Aznavour, un grande della Francia e un padre per l’Armenia

Metakse Poghosian, scomparsa nel 2014, nell’anno in cui crollava il Muro di Berlino componeva “Perchè non capiscano”, una poesia carica di fede e speranza. «E’ notte verde tra le braccia dell’abete/ si accendono le luci come stelle/ noi ci guardiamo, sorridiamo latenti/ parliamo con sguardi perchè non capiscano/ neppure ci accorgiamo di come, in silenzio/ si sfiorano in noi Anno Vecchio e Nuovo/ come bambini ci rallegriamo/ con fede raggiante accogliamo quello Nuovo/ E’ notte verde tra le braccia dell’abete/si accendono le luci come stelle/ E’ arrivata la primavera con ali d’inverno/ parliamo con stelle perchè non capiscano!»

INDIFFERENZA

Parvyr Sevak difendeva, invece, la capacità dei poeti di rivendicare la complessità della vita contro il mainstream ormai proiettato verso una dicotomia sempre più rigida, al punto da spaventare.

In un mondo diviso in bianco e nero in cui contano solo due poli soltanto e dove le parole importanti sembrano essere solo si e no” l’artista opta per l’astensione ma non si tratta di indifferenza ma di chi si oppone al conformismo e coglie le sfumature delle situazioni sociali, politiche, umane e senza trascendere dalle circostanze.  «Dell’indifferenza sono il nemico/ l’irrequieto intrasigente maniacale rivale/ ma quando migliaia di capi del mondo/ contano solo due poli soltanto/ quando di migliaia di colori del mondo/ funzionano il nero e il bianco soltanto (…) E’ l’astensione che preferisco».

Parvyr Sevak, scomparso nel 1974 e uno dei più rilevanti poeti del XX secolo, scriveva che «prima di essere un genio bisogna essere innanzitutto un uomo, così come prima di essere universale, bisogna essere innanzitutto umano».

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Gli impegni dell’ambasciatore Di Riso in Armenia (Aise 26.06.24)

EREVAN\ aise\ – Impegni di stampo culturale, ma anche politico per l’ambasciatore d’Italia a Jerevan, Alfonso Di Riso, che il 17 giugno scorso ha partecipato al pranzo con i capi delle Missioni Diplomatiche dell’Unione Europea in Armenia, offerto dal ministro degli Affari Esteri armeno, Ararat Mirzoyan.
Precedentemente, il 13 e 14 giugno, Di Riso aveva partecipato al convegno intitolato “L’Armenia e gli Armeni nel Medioevo Globale: Testi e Manoscritti”, che si è tenuto presso l’Istituto di Manoscritti Antichi “Matenadaran” di Jerevan. Organizzato in collaborazione con il progetto ArmEn (Armenia Entangled: Connectivity and Cultural Encounters in Medieval Eurasia 9th – 14th Centuries) del Consiglio Europeo della Ricerca (ERC), il convego è stato inaugurato dal discorso di apertura dell’ambasciatore Di Riso.
Sabato 15 giugno, poi, l’ambasciatore Di Riso si è recato in visita presso lo scavo archeologico di Aruch, svolto da ISMEO e dall’Istituto di Archelogia ed Etnografia dell’Accademia Nazionale delle Scienze della Repubblica di Armenia. A ricevere l’ambasciatore è stato il Direttore della Missione Archeologica italo-armena, Sergio Ferdinandi. (aise)

Buchheit, “L’Azerbaigian può essere considerato partner affidabile Ue?” (Sardegnagol 25.06.24)

Nel luglio 2022, durante l’incontro sul memorandum d’intesa sull’energia a Baku con il Presidente İlham Əliyev, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen aveva salutato il massimo vertice azero indicandolo come un “partner affidabile” dell’Ue.

Uno speech poco in linea con le narrazioni sui diritti e valori tanto pompata dalla Commissione Ue, come ricordato dall’esponente di Identità e Democrazia, Markus Buchheit: “Considerando che 100.000 armeni cristiani sono stati brutalmente sfollati dal Nagorno-Karabakh nell’autunno del 2023 e alla luce delle rinnovate minacce di guerra dell’Azerbaigian, può la Commissione far sapere se il Presidente considera ancora İlham Əliyev un partner affidabile?”.

Per l’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell, si tratterebbe di un “non problema” essendo il memorandum d’intesa sull’energia firmato il 18 luglio 2022 con l’Azerbaigian coerente con gli sforzi dell’UE fatti per diversificare le proprie fonti energetiche, ridurre la dipendenza dalla Russia e accelerare la diffusione della produzione di energia rinnovabile. Insomma, pecunia non olet dalle parti dell’Esecutivo von der Leyen.

LEGGI ANCHE:  Violenza contro le donne, Corte Conti europea: “Scarso impatto azione UE”.

“La cooperazione nel campo dell’energia non pregiudica la posizione dell’UE nel processo di normalizzazione tra Armenia e Azerbaigian – ha ricordato Borrell – e non avviene a scapito del dialogo con l’Azerbaigian sui diritti umani e la democrazia, che rimane una priorità. L’UE continua a dialogare con l’Azerbaigian nell’ambito del dialogo regolare sui diritti umani e nei contatti bilaterali. L’UE continua a chiedere all’Azerbaigian di garantire i diritti degli armeni del Karabakh, compreso il diritto di tornare alle proprie case senza intimidazioni e discriminazioni“.

Dichiarazioni che suggeriscono una certa polivalenza di giudizio dell’Ue verso i cosiddetti regimi nei Paesi terzi. Mentre da oltre due anni, infatti, si continua a promuovere una narrazione della Federazione Russa quale “Stato canaglia”, nel frattempo si utilizza un altro metro di valutazione che, come facilmente rinscontrabile, a ben poco a che vedere con i cosiddetti valori europei.

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foto Eric VIDAL Copyright: © European Union 2022 – Source : EP

Armenia, la seconda rivoluzione di Pashinyan: ora vuole cacciare i soldati russi e sogna l’ingresso nell’Ue (La Repubblica 23.06.24)

TBILISI – Via dalla Csto, l’organizzazione militare a guida russa. Accordi di pace con l’Azerbaijan costi quel che costi e normalizzazione dei rapporti con la Turchia. Relazioni più salde con le strutture di difesa ed economiche occidentali, fino a ipotizzare persino una richiesta di candidatura all’ingresso nell’Ue. Fuori i soldati russi dal Paese. Acquisti diversificati di armamenti. Questi gli elementi della seconda rivoluzione del premier armeno Nikol Pashinyan, dopo la prima, quella “di velluto”, che l’ha portato alla guida dello Stato del Caucaso meridionale nel 2018.

Un tentativo di trasformazione radicale dall’esito incerto, che punta a sottrarre Erevan dall’attrazione geopolitica gravitazionale della Russia, di cui fino a poco tempo fa, e per decenni, è stata l’alleato di ferro. O meglio: un fratello minore posto in tutto e per tutto sotto l’ombrello protettivo del Cremlino, ricompensato da Erevan con cieca fedeltà.

Diverse le incognite: innanzitutto la perdurante dipendenza strutturale da Mosca, che giustifica la cautela di Pashinyan nel compiere passi realmente decisivi. Come l’abbandono della Csto, l’organizzazione militare a guida russa di cui l’Armenia è membro con altre cinque repubbliche post-sovietiche. Nel settembre 2022, dopo aver ripreso il controllo, due anni prima, di parte del Nagorno-Karabakh e dei sette distretti azeri occupati da Erevan dagli anni ’90, Baku effettua incursioni militari all’interno dei confini dell’Armenia. Se la posizione neutrale della CSTO nella guerra del 2020 era stata giustificata con l’assenza di obblighi di intervento in quello che internazionalmente è riconosciuto come territorio dell’Azerbaijan, il bombardamento di postazioni armene avrebbe dovuto far scattare l’articolo 4 del Trattato di sicurezza collettiva, che prevede mutua assistenza in caso di attacco. Erevan lo invoca, la CSTO non si muove. Da quel momento, Pashinyan inizia la sua crociata: dal gennaio del 2023, l’Armenia diserta le esercitazioni militari congiunte, poi smette di presenziare ai vertici, infine a febbraio di quest’anno annuncia il “congelamento” della membership: espressione priva di significato legale ma che dà un nome a una situazione di fatto. Eppure, non se ne va.

Rispondendo a un parlamentare dell’opposizione, che chiedeva conto di questa contraddizione, il 12 giugno Pashinyan ha detto: “Andremo via, decideremo quando. Cosa pensi? Qual è il prossimo passo? Pensi che torneremo indietro? No, non c’è altra soluzione”. E mentre le agenzie di stampa internazionali battevano la notizia di quello che pareva un annuncio, il ministro degli Esteri Ararat Mirzoyan si affrettava a correggere il tiro: “Se qualcuno sostiene che il primo ministro armeno abbia affermato che l’Armenia sta lasciando la CSTO, si sbaglia”. Quando la decisione verrà presa, ha chiarito, “non torneremo indietro”. Un tentativo di gettare acqua sul fuoco che esemplifica la posizione delicata di Erevan.

Per quanto manchevole, se non ostile, la “mini-Nato” russa rappresenta al momento la sua sola garanzia di sicurezza. Non solo: soldati di Mosca sono schierati sui confini armeni con Iran, Turchia e, dalla guerra del 2020, in alcune province al confine con l’Azerbaijan. Su richiesta armena, la Russia negli scorsi mesi si è ritirata dall’aeroporto della capitale e da alcune postazioni sulla frontiera azera interessate da accordi tra Erevan e Baku. Ma finché non sarà siglato un accordo di pace con l’Azerbaijan, condizione ineludibile per qualsiasi normalizzazione dei rapporti con Ankara, difficilmente l’Armenia si spingerà fino a chiedere il ritiro integrale delle forze armate russe o la chiusura della base militare di Gyumri. E la buona fede dell’Azerbaijan rappresenta la seconda incognita per Pashinyan, che nelle trattative con lo storico nemico, condotte da una posizione di estrema debolezza, si sta giocando il suo capitale politico. Dopo aver individuato una sponda nell’Occidente e non più nella Russia, il primo ministro armeno appare vicino alla firma di un epocale trattato con Baku, che porterebbe alla completa demarcazione del confine tra i due Paesi e al riconoscimento della reciproca integrità territoriale.

Eppure, la retorica bellicosa e revanscista dell’Azerbaijan, nonché i dubbi sulla capacità degli Stati Uniti e dell’Europa (acquirente di gas azero) di rappresentare un argine efficace a potenziali iniziative aggressive di Baku, stanno portando un numero crescente di armeni a nutrire dubbi sul percorso intrapreso da Pashinyan.

La tenuta della società rappresenta la terza incognita per il premier, che da settimane si trova a fare i conti con manifestazioni di piazza che ne chiedono le dimissioni. La scintilla che ha convogliato il malcontento è stata un accordo con Baku sulla delimitazione di una sezione del confine tra Armenia e Azerbaijan nella regione di Tavush, che ha portato la restituzione di quattro villaggi disabitati azeri controllati da Erevan dagli anni ‘90. A provocare diffuso malessere è stata la natura unilaterale dell’intesa: Baku occupa circa 200 km di territorio armeno, ma non è stata prevista una contropartita. Se non ci ritiriamo, aveva affermato Pashinyan, “ci sarà un’altra guerra”. Proprio da Tavush, un gruppo di residenti capitanati dall’arcivescovo locale, Bagrat Galstanyan, ha marciato in protesta verso la capitale, arrivando a Erevan il 9 maggio. Quel giorno sono scese in strada, secondo diverse stime, tra le 20 e le 35mila persone. Un numero consistente, ma che impallidisce di fronte ai 250mila manifestanti in piazza al culmine della rivoluzione del 2018. Un mese dopo, il numero dei dimostranti si era dimezzato.

 

Bagrat Gastanyan
Bagrat Gastanyan (afp)

Fino al 12 giugno, quando a fronte di un tentativo di irruzione in Parlamento da parte dei manifestanti, le forze dell’ordine hanno lanciato granate stordenti sulla folla, provocando un centinaio di feriti. Il movimento “Tavush for the Homeland”, che anche per oggi ha annunciato un corteo di protesta, non sembra in grado di incanalare tutto il malcontento presente nella società armena, non da ultimo per l’affiliazione con il detestato sistema di potere che ha preceduto l’attuale governo. E la narrativa nazionalista-patriottica di cui l’arcivescovo Galstanyan è portatore appare disconnessa dalla realtà. Eppure, si tratta della prima opposizione organizzata dell’era Pashinyan, la cui popolarità è in forte declino. Nei due anni che separano il Paese dalle elezioni, una reale alternativa potrebbe prendere forma.

L’ultima incognita è costituita dal conflitto in Ucraina. Il protrarsi di una guerra d’attrito continuerebbe a drenare le energie di Mosca e permetterebbe a Erevan di proseguire nel suo graduale ma costante processo di emancipazione. Al contrario, un consolidamento delle conquiste russe, a maggior ragione se accompagnato da accordi di cessate il fuoco, darebbe nuovamente al Cremlino mano libera per dedicarsi al Caucaso meridionale, regione che considera di importanza vitale.

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Visita alla Fiera del Levante dell’Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia Tsovinar Hambardzumyan (Corrierepl 22.06.24)

Future collaborazioni tra la Nuova Fiera del Levante e l’Armenia

Il presidente della Nuova Fiera del Levante Gaetano Frulli ha incontrato stamane alla Fiera del Levante l’Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia Tsovinar Hambardzumyan.

Dopo il saluto di benvenuto il cordiale colloquio si è incentrato sulle future collaborazioni che si svilupperanno all’insegna delle secolari relazioni istituzionali, culturali ed economiche tra la città di Bari e la Repubblica d’Armenia anche in vista della prossima Campionaria (28 settembre – 6 ottobre 2024).

L’incontro si è concluso con il tradizionale scambio di doni. Il presidente Frulli ha donato una targa che rappresenta la Caravella simbolo della Fiera del Levante.

 

La visita dell’Ambasciatrice è stata l’occasione per partecipare insieme al presidente Frulli alla Tavola Rotonda “Armenia e Terra di Bari”. L’incontro, promosso dalla Fondazione Nikolaos, ha avuto come obiettivo il confronto sui rapporti Puglia-Armenia e su quelle che saranno le prospettive di sviluppo future volto ad implementare i settori dell’agroalimentare, del turismo, del tessile-manifatturiero e delle industrie ad alta tecnologia.

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L’ambasciatrice Armena incontra il presidente della Fiera del Levante (Pugliapress)

Visto per l’Armenia: regole e cosa sapere prima di richiederlo (siviaggia 22.06.24)

L’Armenia è una terra ricca di paesaggi mozzafiato e dalla cultura millenaria, ogni anno sono sempre di più i turisti che la scelgono come destinazione e sono costantemente in aumento anche i viaggiatori d’affari. Se state pianificando un viaggio, che sia per studio, per lavoro o per vacanza in questo Paese così affascinante, scoprirete come sia fondamentale conoscere le regole, le modalità e la validità del Visto per l’Armenia in una guida che fornirà dettagliatamente tutto ciò che vi serve sapere.

Requisiti per ottenere il Visto verso l’Armenia

La necessità di ottenere un visto per entrare in Armenia che sia per lavoro, studio o vacanza dipende dalla vostra nazionalità; in alcuni Paesi di residenza si può entrare in Armenia senza Visto per soggiorni brevi mentre in altri Paesi serve richiederlo con anticipo, vi segnaliamo una panoramica delle principali categorie. I cittadini di alcuni Paesi tra cui molti stati dell’ex Unione Sovietica, l’Unione Europea, gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia possono entrare in Armenia senza Visto fino ad un massimo di 180 giorni in un periodo entro i 365 giorni. I cittadini di altri Paesi inclusi quelli in Africa, in Asia e in alcune parti del Medio Oriente devono ottenere un Visto prima dell’arrivo, anche richiedendolo on line attraverso il sistema eVisa dell’Armenia.

Tipologie di Visto per entrare in Armenia

L’Armenia offre diverse tipologie di Visto a seconda della tipologia di viaggio, che voi siate turisti e vogliate scoprire il Paese per un brevissimo tempo, o che siate studenti e vi serva per studio o ancora per coloro che si recano nel Paese per motivi di lavoro e affari oppure che scegliate di visitare l’Armenia per rivedere amici e/o famiglia. Il Visto turistico sarà utile a quanti sceglieranno di visitare il Paese per  un brevissimo lasso di tempo, il Visto d’affari è utile per coloro che si recano in Armenia per affari e/o lavoro, il Visto per studio è indispensabile per gli studenti che scelgono di proseguire gli studi in una istituzione armena e il Visto per visita privata tornerà indispensabile per quanti necessitano di visitare amici o famiglia in Armenia.

Modalità di richiesta del Visto per entrare in Armenia

Il metodo più semplice per richiedere e ottenere un Visto per l’Armenia e la capitale Yerevan è tramite il sistema eVista, il processo per ottenerlo è intuitivo inoltre può essere completato totalmente on line. Questi i passaggi:

  • Accedere al sito ufficiale: servirà visitare il sito ufficiale del governo armeno per l’eVista.
  • Compilare il modulo: una volta eseguito l’accesso al sito ufficiale del governo armeno, basterà inserire i propri dati personali, i dettagli del passaporto e le informazioni sul perché del viaggio in Armenia.
  • Caricare i documenti: vi verrà richiesto di caricare una scansione del passaporto e una fotografia recente, siate preparati.
  • Pagare la tassa: arrivati a questo punto, dovrete pagare la tassa del Visto utilizzando una carta di credito o altro metodo di pagamento sempre elettronico.
  • Ricezione del Visto: effettuate tutte le richieste ed approvata la domanda del Visto, riceverete il Visto elettronico via mail, stampatene una copia da mostrare all’arrivo in Armenia.

Fonte: iStock

Documenti obbligatori per entrare in Armenia

Richiesta del Visto per entrare in Armenia attraverso l’Ambasciata

Per quanti preferiscono o necessitano del Visto tradizionale, è possibile farne richiesta presso l’Ambasciata o il Consolato Armeno del proprio Paese. Tenete presente che questa modalità di richiesta solitamente richiede più tempo rispetto all’eVista, inoltre comporta anche la presentazione di documenti cartacei, i passaggi includono:

  • Prenotare l’appuntamento: dovrete contattare l’Ambasciata o il Consolato e ottenere di fissare un appuntamento personale.
  • Compilazione di moduli: dovrete scaricare e compilare il modulo di richiesta Visto disponibile sul sito web dell’Ambasciata o del Consolato.
  • Raccolta documenti: preso appuntamento e scaricato e compilato il modulo, portate con voi il passaporto, una o più fotografie recenti, la prova di fondi economici sufficienti e ogni altro documento richiesto dal sito ufficiale.
  • Pagamento della tassa: come per l’eVista dovrete pagare una tassa, direttamente all’Ambasciata o al Consolato.
  • Presentare la domanda: effettuati tutti questi passaggi, presentate la vostra domanda con tutti i documenti in ordine e il pagamento effettuato all’Ambasciata o al Consolato.
  • Approvazione del Visto: ora non vi resta che attendere l’elaborazione e l’approvazione della vostra domanda, solitamente ci vogliono alcune settimane, tenetene conto se avete fretta.

Validità ed eventuale estensione del Visto per entrare in Armenia

Ora avete il vostro Visto per entrare in Armenia, che sia per studio, per lavoro o per vacanza non dimenticate che il Visto non è illimitato, la sua durata e l’eventuale estensione sono importanti. A seconda del tipo di Visto richiesto, sappiate che il Visto turistico permette un soggiorno fino a 120 giorni con la probabile estensione di ulteriori 60 giorni. Il Visto d’affari può consentire un soggiorno variabile solitamente di 120 giorni, non oltre i 180 giorni annui. il Visto per studi vede la sua durata dipendentemente dalla durata del corso di studi, con estensioni possibili sempre in base alle esigenze accademiche. Il Visto per la visita privata infine, è simile a quella per il Visto turistico, ma può variare in base alle circostanze della visita in caso ad esempio di malattie gravi.

Visto in Armenia cosa sapere

Fonte: iStock

Visto in Armenia quali regole e limiti ha

Estensione del Visto per entrare in Armenia

Se desiderate prolungare il vostro soggiorno in Armenia, dovrete obbligatoriamente richiedere l’estensione del vostro Visto; per farlo presentate richiesta presso il Dipartimento di passaporti e visite del Ministero dell’Interno Armeno. Ricordatevi che è importante richiederne l’estensione prima della scadenza del Visto originale, questi sono i documenti che vi serviranno:

  • Modulo di richiesta: dovrete compilarlo con i dettagli sul perché del soggiorno e la motivazione della richiesta di prolungamento.
  • Passaporto: insieme al modulo vi servirà ovviamente il passaporto che dovrà essere valido per tutta la durata del soggiorno.
  • Prova di fondi economici: dovrete dimostrare di avere risorse finanziarie sufficienti per coprire il periodo di soggiorno aggiuntivo. A seconda del motivo della richiesta potrebbero richiedervi altri documenti, siate preparati.

Attenzione alle regole e alle restrizioni per entrare in Armenia

Ora avete tutte le informazioni necessarie per fare richiesta del Visto per entrare in Armenia, ma ricordatevi sempre che per ogni Paese che si visita, che sia per lavoro, studio o altro, è importantissimo conoscere e rispettare le regole e le eventuali restrizioni per evitare problemi legali e garantirvi un soggiorno senza complicazioni: non superate le date del soggiorno se non per cause di forza maggiore senza aver ottenuto l’estensione, assicuratevi di svolgere solo le attività consentite dal Visto ottenuto, ovunque andiate, assicuratevi sempre di avere con voi i documenti di supporto come il passaporto e una copia del Visto.

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LANDSHAFT di Daniel Kötter Germania, Armenia, 2023 (Gariwo 22.06.24)

l cinema tedesco – come quello italiano d’altronde, in modo ancor più marcato – non vive la sua stagione migliore. Non mancano però capolavori capaci di coniugare, nella migliore tradizione tedesca, radicalità estetica e rigore morale. È il caso di Landshaft di Daniel Kötter, autore capace di muoversi con sicurezza fra diversi media, dalla videoarte al teatro sperimentale – si segnala a tal proposito la collaborazione con Rimini Protokoll, una delle realtà più interessanti del panorama odierno –, un documentario che, con la sola eccezione del genio di Artavazd Peleshyan, tocca i vertici della rappresentazione per quel che riguarda l’Armenia.

Lo dirò subito: se siete in cerca di un effluvio di retorica patriottarda o religiosa, lasciate perdere. Qui siamo ad altri livelli: un film del tutto privo di retorica e, proprio per questo, capace di arrivare a un grado di realismo e a un’onestà del tutto straordinari, per chi conosce l’Armenia, e in particolare la vita di chi vive al confine di una guerra che si trascina da oltre trent’anni. Un film che non è piaciuto ad alcuni nazionalisti, come testimonia il dibattito nato a margine del festival del cinema armeno Golden Apricot, dove pure ha raccolto notevoli consensi.

In un viaggio che ci accompagna fino al villaggio frontaliero di Sotk e alla sua miniera d’oro in larga parte occupata dall’Azerbaijan dopo il 2020, Kötter si muove sui passi di Peleshyan e di Osip Mandel’štam, che nel suo splendido Viaggio in Armenia, tradotto in italiano da Serena Vitale, ci ha lasciato pagine indimenticabili per profondità e poesia. E non sarà un caso che, al pari di questo capolavoro, il film parta direttamente dalle acque stesse del lago Sevan, così ritratte dal poeta russo, che sembra guardare all’origine della vita:

Ogni giorno, alle cinque in punto, il lago pullulante di trote si metteva a bollire come se vi avessero versato una grossa presa di soda. Era una vera e propria seduta mesmerica di cambiamento del tempo, come se un medium comunicasse alla tranquilla acqua di calce dapprima una giocosa increspatura, quindi un inquieto fremito di ali di uccelli, e infine la tempestosa frenesia del Ladoga.

Come in tanti altri villaggi armeni dal Tavush al Syunik, oltre ovviamente al Karabakh prima dell’ultima guerra, definita pulizia etnica da due risoluzioni del Parlamento europeo, ci troviamo di fronte a una vita frontaliera segnata da cecchini e incursioni militari, droni che solcano un cielo perduto, murales di giovani soldati morti e un silenzio feroce interrotto di continuo da colpi di artiglieria. Ma anche di memorie: quelle positive delle amicizie con gli azeri in epoca sovietica, che mi è capitato più volte di raccogliere, e insieme quelle tragiche delle violenze terribili che in pochi mesi, durante la dissoluzione dell’Urss, le hanno cancellate.

Al centro di tutto, della vita di donne e uomini non meno che degli animali, un precario confine che attraversa e divide la miniera che dà il pane al villaggio, sempre più spopolato e impoverito; film curatissimo nella sua attenzione tanto al linguaggio che al paesaggio armeno, altro elemento non scontato che denota la comprensione raggiunta da Kötter della realtà che ritrae. Come ricorda lo studioso Igor Dorfmann-Lazarev, autore di studi seminariali, la spiritualità armena è più determinata da un legame con i suoi paesaggi, disseminati non a caso di croci di pietra e monasteri che si integrano perfettamente con il territorio, che da un’appartenenza ecclesiastica o identitaria che stenta ad affermarsi qui, a differenza di altri contesti post-socialisti.

Ma il film, e ne è consapevole il regista, ha anche un valore politico, che pur non viene mai forzato. Come scrive l’analista politico Thomas de Waal, “la guerra dell’Azerbaijan del 2020 ha infranto un modello di sicurezza europea in cui si presumeva che tutti i conflitti irrisolti in Europa dovessero essere risolti pacificamente. L’Azerbaijan ha riscritto il manuale delle regole, ha usato la forza e, per quanto lo riguarda, l’ha fatta franca”. Il risultato, ce l’abbiamo di fronte in Ucraina, e non solo. Nel 2023, il numero dei civili morti in conflitti armati è aumentato del 72% secondo dati forniti da Volker Türk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Quanto – ad esempio nell’impiego di droni e nell’erodere il confine fra soldati e civili – la guerra del Karabakh anticipi l’Ucraina, è di tutta evidenza. Meno acclarato è il rischio, che è ora di iniziare a comprendere, che un simile scenario si trasformi in una prefigurazione dell’Europa che ci attende nei prossimi anni.

Premiato dalla critica tedesca come miglior documentario a Berlino, il film è stato proiettato anche in alcuni festival italiani, ricevendo anche qui riconoscimenti. Speriamo possa avere una circolazione ancor maggiore in futuro, perché senza dubbio lo merita. In un’epoca segnata da manipolazioni e identità sclerotizzate, il film di Kötter è un respiro dello spirito, un’immersione – quasi si dimentica ci sia una telecamera, nel film – in un angolo di mondo troppo spesso dimenticato e che, invece, ci riguarda più di quanto immaginiamo.

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