Come siamo arrivati alla frattura fra Armenia e Russia e cosa potrebbe succedere (Valigiablu 21.06.24)

Ha destato stupore nella stampa internazionale la recente dichiarazione del Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan secondo cui l’Armenia lascerà l’Organizzazione per il Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). L’Armenia è stata sempre considerata una roccaforte filorussa in Caucaso, e ora svolta verso l’occidente. Ma secondo il suo Primo Ministro, è stata la CSTO a lasciare l’Armenia prima che lo decidesse il paese, c’est-à-dire, è stata la Russia a lasciare l’Armenia prima che fosse la piccola repubblica ad avvertire il bisogno, sempre più esistenziale, di trovare nuovi partner e garanti di sicurezza.

È una frattura, quella armeno-russa, che si è acuita negli anni. È partita con la rivoluzione di velluto in Armenia nel 2018 che ha portato Pashinyan al potere. Per due anni il neoeletto Primo Ministro, allora eroe di una piazza che si era rivoltata contro stagnazione e corruzione, ha fatto di tutto per convincere lo storico alleato moscovita che nulla era cambiato né sarebbe cambiato nella politica estera del paese. Non era una rivoluzione di natura geo-politica, era una manifestazione di un profondo dissenso verso un regime che relegava il paese alla stagnazione politica ed economica, con povertà diffusa e una oligarchia predatoria e intoccabile. Poi sono seguiti due anni estremamente burrascosi, con una riforma dello Stato che stentava a partire, una elite interna legata a Mosca che chiaramente non aveva intenzione di essere messa da parte e ancor meno di finire in carcere, e Mosca stessa non certo soddisfatta di non aver potuto garantire la continuità di potere della classe dirigente di cui si fidava assai di più. Poi la pandemia e, nel 2020, la seconda guerra del Karabakh.

In 44 giorni l’Armenia ha perso buona parte del territorio conquistato con la prima guerra del Karabakh, e ha preso consapevolezza che gli accordi militari con la Russia non avrebbero salvato il Karabakh. Anzi, con sempre più certezza a Yerevan si dice che la luce verde alla seconda guerra Baku l’ha ricevuto da Mosca la quale in Armenia, come in Georgia nel 2008, come in Ucraina nel 2014 e nel 2022 avrebbe cercato di rovesciare un governo non considerato affidabile (o ostile) attraverso una sconfitta militare. Il 2020 ha dimostrato che non solo il Karabakh, ma la stessa Armenia non sarebbero state protette, né dalla Russia né dal CSTO. Durante il conflitto Pashinyan aveva segnalato attraverso una lettera inviata personalmente al presidente russo Vladimir Putin che la guerra aveva sconfinato nell’Armenia propria. L’intervento che ne sarebbe dovuto conseguire non si è mai materializzato.

A guerra ri-congelata, con un nuovo cessate il fuoco negoziato da Mosca – non già come alleata armena ma come terzo ed equidistante segnatario – il mancato intervento russo si è fatto ancora più evidente. Sono cominciati gli affondi territoriali di forze dell’Azerbaijan prima nel maggio del 2021 e dopo scontri sanguinari nel settembre 2022.

Dal dicembre del 2022 quanto rimaneva del Karabakh è entrato in un blocco protratto: la strada di Lachin, in base al cessate il fuoco negoziato dalla Russia sotto il controllo dei suoi peacekeepers, è stata bloccata dagli azeri che di fatto vi hanno ristabilito la propria sovranità. La strada è sempre stata il cordone ombelicale fra Armenia metropolitana e armeni del Karabakh, e l’inattività nell’esercitare il proprio mandato è stato il prologo della caduta del Karabakh e della scomparsa – nel giro di pochi giorni – della comunità armena dalla regione.

2023-2024, un biennio insanabile 

Il 2023 è stato l’anno in cui questa frattura è divenuta per Yerevan insanabile. Mentre la situazione di sicurezza armena si faceva sempre più critica fra presidi militari azeri nel territorio armeno e il blocco del Karabakh, le armi acquistate non arrivavano. È stato molto chiaro in merito Pashinyan: c’è lo sforzo bellico in Ucraina, ma l’Armenia aveva pagato delle armi russe, per il 90% delle importazioni militari arrivavano dalla Russia, il paese rischiava una nuova guerra, e non arrivava quanto pattuito.

Della questione ha parlato anche molto recentemente la portavoce del ministero degli Affari Esteri russo che, alla richiesta di commentare la possibile sospensione della cooperazione militare russo-armena nella situazione attuale, ha candidamente detto: “Le forniture di prodotti militari a paesi stranieri vengono effettuate tenendo conto delle esigenze dell’operazione militare speciale, come più volte affermato dalla leadership della Federazione Russa. Le attuali restrizioni su alcuni tipi di armi ed equipaggiamenti militari hanno un impatto sulla cooperazione tecnico-militare, non solo con l’Armenia, ma anche con gli altri nostri partner”.

La riconquista del Karabakh non ha messo fine al processo di poderoso riarmo in corso in Azerbaijan, e l’Armenia si è trovata in condizione di estrema vulnerabilità. Di fatto nulla di quanto pattuito è stato erogato: né in armi, né in sostegno diplomatico, né in rispetto degli accordi. Un bilancio disastroso della scelta di relegare all’alleanza con la Russia la sicurezza nazionale.

Nel settembre 2023, in meno di 24 ore il Karabakh è caduto senza che i peacekeepers prendessero la benché minima iniziativa. E da allora altrettanto in caduta libera sono relazioni russo-armene, con Yerevan che sta progressivamente introducendo misure che a Mosca vengono percepite come chiaramente anti-russe.

L’Armenia è divenuta segnataria dello Statuto di Roma. La scelta di divenire membro non è stata dettata dalla presa di distanza da Mosca, ma dalla volontà di trovare tutela dalle violazioni durante le recenti guerre. Di fatto questo implica un possibile arresto di Putin qualora visitasse il paese. Il ministero degli Esteri russo ha protestato in più occasioni con Yerevan perché si astenesse dal procedere.

Inoltre, nel gennaio del 2023 l’Armenia ha rifiutato di ospitare le esercitazioni del CSTO sul proprio territorio, mentre a settembre ha ospitato quelle con gli Stati Uniti chiamate “Eagle Partner “. L’ambasciatore armeno a Mosca è stato convocato e gli è stata presentata una protesta piuttosto veemente rispetto a questa scelta.

Sempre nel 2023, Anna  Hakobyan, moglie del Primo Ministro, si è presentata all’incontro delle first lady e gentleman a Kyiv e ha portato, per la prima volta dall’inizio del conflitto, degli aiuti umanitari direttamente alla leadership ucraina. Un fatto che non è certo passato inosservato, poiché fino ad allora l’Armenia aveva mantenuto un profilo estremamente basso per quanto riguarda la guerra in Ucraina. Ma i rapporti fra i due paesi sono cambiati radicalmente negli ultimi due anni, e recentemente una delegazione armena ha visitato Bucha. Questo mese, infine, l’Armenia era alla Conferenza di Berlino per l’Ukraine Recovery nonché al Summit per la Pace in Svizzera. Nei incontri a latere delle conferenze Yerevan e Kyiv hanno concordato un rilancio dei rapporti bilaterali.

Ma non solo l’Ucraina: sempre a giugno per la prima volta da quando è stata introdotta dopo la guerra russo-georgiana del 2008, l’Armenia ha votato a favore del rientro degli sfollati di guerra georgiani di Abkhazia e Ossezia del Sud. Il voto non è certo passato inosservato perché sono un pugno di paesi che votano contro, e cioè gli alleati di ferro di Mosca, che questo anno sono stati Bielorussia, Burundi, Cuba, Mali, Nicaragua, Corea del Nord, Siria e Zimbabwe.

Poi c’è la lotta alla propaganda russa: a Margarita Simonyan e a un blogger di origini armene ma residente in Russia è stato impedito di entrare in Armenia. Le trasmissioni in lingua russa sono diminuite nel paese e la questione dello status del russo come lingua internazionale, protetta e preservata nei paesi ex sovietici, è un tasto molto sensibile per Mosca.

Pashinyan evita piuttosto chiaramente i rapporti con il Cremlino ed è chiaro che il protagonismo russo nel processo di pace con l’Azerbaijan non è ben accolto. Yerevan ha sbugiardato apertamente Mosca sulla sua importanza come detentrice delle mappe originali necessarie per definire e demarcare i confini armeno-azeri.

La Russia è progressivamente respinta dal Caucaso orientale e centrale. L’Azerbaijan – che vanta a questo punto un rapporto decisamente migliore che l’Armenia con Mosca – ha però rispedito al mittente la forza dei peacekeepers, senza nemmeno aspettare la scadenza di mandato del 2025.  Mosca ha perso un presidio di circa duemila uomini in Caucaso. A questi vanno aggiunte le guardie di frontiera russe che l’Armenia ha deciso di rimuovere dall’aeroporto di Yerevan, Zvarnots. Questa mossa, già ufficializzata alle autorità russe competenti, ha suscitato irritazione immediata da parte di Mosca. La presenza delle guardie di frontiera russe a Zvarnots è datata 1992, ma non regolata da una specifica delega di competenze da parte del governo armeno.

C’è poi il capitolo Armenia-Unione Europea che crea uno scenario completamente nuovo: nessuno aveva mai osato ipotizzare che un membro dell’Unione Euroasiatica potesse incamminarsi verso l’integrazione nell’Unione Europea. Da Mosca già si precisa che sono due partecipazioni incompatibili.

In un contesto già estremamente teso, è arrivata una delle consuete esternazioni del dittatore bielorusso Alexander Lukashenka che, in visita a Baku, non ha fatto segreto di essere stato al corrente delle intenzioni bellicose dell’Azerbaijan contro quello che avrebbe dovuto essere un partner del CSTO, e si è complimentato per l’esito della guerra.

Si è aperto il vaso di Pandora: sono emerse una enorme quantità di informazioni e prove che la Bielorussia ha armato l’Azerbaijan e che la disfatta armena è frutto anche di una trappola militare, fra armi non consegnate ma fornite al nemico in generose quantità da parte dei propri alleati. Un quadro che ha portato alla dichiarazione di cui sopra: l’Armenia abbandonerà il CSTO. E mentre Pashinyan tuona contro Lukashenka e dichiara che non metterà più piede in Bielorussia finché c’è lui (di fatto preannunciando di non partecipare a futuri incontri del CSI e dell’Unione Euroasiatica qualora si tenessero a Minsk) – nemmeno troppo a denti stretti – si constata che Minsk non avrebbe agito senza l’ok da Mosca.

L’uscita dal CSTO, preannunciata anche se senza una data, è de facto già in corso. L’Armenia si è autosospesa, e ha sospeso anche i pagamenti all’organizzazione. Il CSTO minimizza e sostiene che ritardi di pagamenti sono già avvenute in passato, e che nulla è ancora deciso. Intanto Yerevan ha ri-orientato il proprio mercato bellico. Gli acquisti dalla Russia sono scesi dal 90% al 10%, con India e Francia nuovi fornitori di armi al paese che, da un lato, negozia la pace, dall’altro, non esclude di essere oggetto di una nuova guerra e di una nuova mutilazione territoriale.

Yerevan non ha più illusioni, e Pashinyan stesso sa che prima ancora del suo paese, è lui stesso a rischiare. All’interno dell’Armenia forze spalleggiate da Mosca, le stesse che dal 2018 spingono per una restaurazione dell’Ancient Régime pre-rivoluzionario, cercano volti nuovi perché l’impopolarità della classe politica precedente riesce comunque a essere maggiore di quella, crescente, di Pashinyan. Il primo ministro, dopo la pandemia, due guerre perse e una transizione in corso estremamente difficile, non è certo più l’eroe della rivoluzione.

La crisi armeno-russa ha, quindi, importanti ripercussioni sui confini del paese, dove l’Azerbaijan preme, forte delle spalle protette tanto dalla Russia e dalla Turchia, e all’interno, dove un leader ormai impopolare si trova a dover fronteggiare un dissenso che è sia reale, sia fomentato e legittimato da Mosca. La piazza di Yerevan che manifesta contro Pashinyan e che viene repressa, trova sponda nelle dichiarazioni del Ministero degli esteri russo, che più volte ha definito il governo Pashinyan come “corrente”, come fosse una parentesi temporanea la cui rimozione riporterebbe l’armonia nei rapporti armeno-russi.

Saranno mesi molto difficili quelli che ancora attendono l’Armenia che, nel giro di poco tempo, si è trovata a saldare il conto di errori di valutazione e illusioni coltivate unilateralmente. La dipendenza economica dall’ex alleato rimane elevatissima, le alternative militari richiedono molta audacia da parte dei paesi partner, poiché i tre poteri regionali del Caucaso – Turchia, Russia e Iran – possono essere divisi su molto, ma non sul patto d’acciaio di tenere fuori dalla regione poteri terzi. In ultimo, il travaso di russi in fuga dalla mobilitazione ha creato un ulteriore presidio economico russo nel paese.

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Il conflitto sempre più duro tra la Chiesa e il governo in Armenia (Asianews 21.06.24)

L’arcivescovo Galstanyan non si limita ad arringare le folle, ma le spinge all’assalto dei palazzi del potere. Secondo molti dietro all’escalation ci sarebbe lo stesso patriarca Karekin II che denuncia la “continua politica di cedimento unilaterale” nei rappoerti con l’Azerbaigian. Mentre il premier Pašinyan definisce i vescovi “agenti provocatori” che vogliono condurre alla guerra “come ai tempi di Bisanzio”.

Erevan (AsiaNews) – La Chiesa Apostolica Armena ha assunto ormai una posizione politica esplicita di confronto con il governo di Erevan, con il rischio di una radicalizzazione sempre più violenta delle proteste di piazza, guidate dall’arcivescovo di Tavowš, Bagrat Galstanyan, che continua a ripetere che “non lasceremo le strade fino alla vittoria”, cioè fino alle dimissioni del primo ministro Nikol Pašinyan.

Galstanyan non si limita ad arringare le folle, ma le spinge all’assalto dei palazzi del potere, com’è successo nei giorni scorsi, cercando di rinchiudere il premier e i deputati in quello dell’Assemblea nazionale per costringerli poi a presentarsi davanti al “tribunale popolare” da lui stesso presieduto. La polizia ha cominciato a usare le maniere forti per disperdere i dimostranti, anche se finora l’arcivescovo rivoluzionario non è stato toccato. Pašinyan e i sostenitori della maggioranza di governo stanno però utilizzando argomenti sempre più infuocati contro gli oppositori ecclesiastici.

Secondo molte dichiarazioni dei membri del partito dell’Accordo Civile, dietro al vescovo e all’escalation delle manifestazioni starebbe lo stesso patriarca della Chiesa armena, il katholikos Karekin II, insieme a tutta la dirigenza ecclesiastica del “Sacro Ečmjadzin”, la storica sede patriarcale in periferia di Erevan. Proprio in questo centro religioso-amministrativo si riunisce quasi in seduta permanente il Consiglio spirituale superiore, l’organo sinodale del katholikos, che ha diffuso una dichiarazione dei vescovi in cui si esprime un esplicito appoggio alle “opposizioni popolari”, prendendo peraltro le distanze dalle azioni più violente dei giorni scorsi, a cui non avrebbero partecipato membri del clero.

Nel testo si denuncia la “continua politica di cedimento unilaterale di territori nazionali, giustificati da accordi di demarcazione” che ha suscitato un’ondata di indignazione e preoccupazione “sia in patria, sia nella diaspora, generando la sfiducia che porta oggi a chiedere le dimissioni del primo ministro”. A queste accuse Pašinyan risponde scagliandosi contro “tutti coloro che stanno usando i profughi dell’Artsakh per i propri interessi mercantili”, provocando i disordini di piazza. A Galstanyan che lo sfidava a scendere in piazza, il premier ha replicato con un intervento molto emotivo in parlamento: “Certo che ci incontriamo, credete che il primo ministro dell’Armenia abbia problemi a parlare con chiunque? Se avessi ritenuto utile incontrare il vescovo, lo avrei già fatto caricare su un furgone della polizia”.

Il primo ministro ha accusato direttamente Karekin II di avere “benedetto” le sommosse e gli scontri con la polizia, ciò che ha provocato le sdegnate risposte dei vescovi, “condanniamo i tentativi degli uomini al potere di scaricare sulla Chiesa la responsabilità per le proteste popolari… essi cercano invece di giustificare il proprio comportamento anticlericale, come avvenuto di recente in più occasioni”. Il riferimento è al caso del memoriale “Sardaparat” del 28 maggio scorso, quando la polizia ha tentato di escludere il katholikos dalle cerimonie ufficiali per ricordare la battaglia del 1918 degli armeni contro i turchi.

La Chiesa armena aveva esortato lo scorso anno il governo a condurre fino in fondo la battaglia contro gli azeri per il Nagorno Karabakh, da cui l’esercito fu ritirato per evitare una guerra totale tra Armenia e Azerbaigian. Ora Pašinyan chiama i vescovi “agenti provocatori” che vogliono condurre nuovamente alla guerra, ma afferma che “risolveremo questo problema tra due o tre mesi”. Ricordando eventi del lontano passato nei confronti dei bizantini, in cui la Chiesa ricopriva un ruolo cruciale nelle operazioni militari, sostiene che “oggi tutto questo non si ripeterà”, con i russi che fomentano il conflitto usando la Chiesa, come facevano da Bisanzio i patriarchi e gli imperatori.

La rilettura della storia è una caratteristica delle guerre del terzo millennio; se Putin in Russia cerca di ristabilire le glorie del passato, Pašinyan insiste nel proporre un’Armenia nuova, che non sia un’imitazione di quella antica o medievale, e le dimensioni religiose diventano decisive nel valutare queste prospettive. Come afferma il premier armeno, citando brani delle lettere di San Paolo, “voglio fare una dichiarazione solenne: se le relazioni della Chiesa con il governo sono cattive, allora saranno cattive anche le relazioni della Chiesa con Dio”.

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Hrand Nazariantz, come il melograno (Quotidianodibari 21.06.24)

Nato a Scutari (Turchia) nel 1880, Hrand Nazariantz fu scrittore, giornalista, intellettuale e massimo esponente della poesia simbolista in lingua armena. , Nazariantz. Per effetto della politica anti-armena che caratterizzò gli ultimi anni dell’Impero ottomano prima del genocidio di quel popolo si rifugiò in Puglia. In Italia intensificò i rapporti sia con esponenti della diaspora armena che con protagonisti della cultura italiana, francese ed inglese. Stabilitosi nella nostra città, dove gli fu assegnata la cattedra di  lingua francese e inglese presso l’Istituto Nautico, Nazariantz diede vita alla periferia della città al villaggio di Nor Arax, popolato da altri esuli armeni, impiegati nell’annessa fabbrica di tappeti orientali. Nel 1953 arrivò ad un passo dal Nobel per la letteratura, poi assegnato a Winston Churchill. Si spense a Bari nel 1962… Difficile asciugare in poche parole la complessa e fertile parabola umana di quest’uomo al quale Bari, Casamassima e Conversano (le città in egli cui visse) hanno dedicato strade e lapidi. Su Naziariantz sono stati scritti saggi imponenti. Intorno alla stessa figura altri autori hanno dato vita a storie di fantasia. E’ il caso di Piero Fabris, autore di ‘La compagnia del melograno’, un romanzo edito da Radici Future. Nella storia, i genitori di una brillante giornalista ricevono un plico di documenti relativi a Hrand Nazariantz. Da ciò prende vita un vivace percorso di scoperta della dimensione cosmogonica della poesia di Nazariantz, percorso che qui viene messo in parallelo a quello che il ricercatore di Verità intraprende intorno al mistero della melagrana, questo frutto tanto caro agli antichi e ai mistici e che rappresenta l’energia vitale, la fecondità e la coesione. Ciò non meravigli, essendo il campo dei simboli l’habitat di ispirazione in cui si muove questo autore, che ama pure indagare nel mito e nella tradizione popolare, oltre che occuparsi di poesia, di teatro e di pittura (in quest’ultima veste ha esposto sia in Italia che all’estero). ‘La compagnia del melograno’ verrà presentato da Concetta Antonelli, sabato 22 giugno alle 18:00 negli spazi di Masseria Dirupo (nel territorio di Noci) nell’ambito di ‘Le pietre che parlano’, rassegna a cura della stessa Antonelli e di Michele Agostinelli ; interverrà il Prof. Kegham Jamil Boloyan. Ingresso libero. Con la presentazione del lavoro di Fabris cala il sipario su questa prima edizione di ‘Le pietre che parlano’. Bilancio più che lusinghiero per una rassegna che si è distinta per la varietà dei temi in discussione, la presenza di personalità di spicco e la felice sintonia instauratasi tra le motivazioni di partenza, ispirate al più profondo rispetto del territorio, e il calore della cornice agreste che le ha accolte.

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Il presidente Erdogan riceve gli auguri per l’Eid al-Adha dal premier dell’Armenia Pashinyan (Trt 21.06.24)

Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha avuto una conversazione telefonica con il primo ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan.

Durante la conversazione, il primo ministro Pashinyan ha espresso le sue felicitazioni al presidente Erdogan per l’Eid al-Adha.

A sua volta, il presidente Erdogan ha espresso i suoi auguri al primo ministro Pashinyan per l’imminente Vardavar – Festa della Trasfigurazione di Gesù Cristo.

Erdogan ha espresso le sue condoglianze a Pashinyan per le vittime delle recenti inondazioni nelle regioni a nord dell’Armenia.

Durante la conversazione telefonica, entrambi i leader hanno sottolineato la loro volontà politica di normalizzare pienamente le relazioni tra Turkiye e Armenia senza precondizioni.

Erdogan e Pashinyan, sottolineando l’importanza del proseguimento dei colloqui tra i rappresentanti speciali dei due Paesi, hanno confermato i punti concordati finora.

Inoltre, i leader hanno evidenziando con soddisfazione il dialogo in corso tra gli alti funzionari di Turkiye e Armenia, hanno discusso degli ultimi sviluppi nella regione e dell’agenda internazionale.

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L’Armenia riconosce lo Stato palestinese (Ansa e altri 21.06.24)

L’Armenia ha riconosciuto lo Stato palestinese.

Israele convoca l’ambasciatore armeno per un ‘severo rimprovero’. Abu Mazen ‘Decisione coraggiosa e importante’

Appena si è diffusa la notizia da Erevan, il ministero degli Esteri a Gerusalemme ha convocato l’ambasciatore armeno in Israele “per un severo rimprovero”. Lo ha fatto sapere il portavoce del ministero.

Da parte sua, il presidente dell’Anp Abu Mazen ha commentato  – in una nota da Ramallah trasmessa dall’agenzia Wafa che “questo riconoscimento contribuisce positivamente a preservare la Soluzione dei due Stati, che affronta sfide sistematiche e promuove la sicurezza, la pace e la stabilità per tutte le parti coinvolte”. l”Una decisione – ha aggiunto la presidenza di Abu Mazen – coraggiosa e importante”.


Israele convoca amb. Armenia dopo mossa su Palestina (Informazione.it)


L’ARMENIA HA RICONOSCIUTO LO STATO DI PALESTINA  (Metropolitanamagazine)


PALESTINA. ARRIVA ANCHE IL RICONOSCIMENTO DELL’ARMENIA (Notizigeopolitiche)


L’Armenia ha riconosciuto lo Stato di Palestina  (Il Post)


Israele convoca amb. Armenia dopo mossa su Palestina (Ansa)


Medio Oriente: Israele attacca il Libano. Polemiche armeni e armi Usa (Tv2000)


 

Cittadinanza armena։ un passaporto che aiuta a vivere (Osservatorio Balcani e Caucaso 20.06.24)

Decine di migliaia di persone sono fuggite l’anno scorso in Armenia dal Nagorno Karabakh, riconquistato con le armi dall’Azerbaijan: in molti chiedono oggi la cittadinanza armena, per poter ricominciare a ricostruirsi una vita

20/06/2024 –  Armine Avetisyan Yerevan

Circa un anno fa, oltre 100.000 persone sono state costrette a lasciare il Nagorno Karabakh per l’Armenia. Da allora hanno attraversato diverse fasi di adattamento, hanno trovato un alloggio e un lavoro temporanei e ora possono richiedere la cittadinanza armena.

“Per diversi giorni ho cercato un’auto che mi aiutasse a trasportare i miei oggetti personali in Armenia, non sono riuscito a trovarne una, ero disperato”, ricorda Karen, 40 anni, una delle ultime persone a lasciare Stepanakert, la capitale del Nagorno Karabakh.

Karen è arrivato a Yerevan alla fine di settembre con i suoi genitori. Ha potuto portare con sé solo alcuni oggetti essenziali e vestiti pesanti. Poco dopo si sono stabiliti in una delle regioni di confine. Dice di essere scappato dai rumori della capitale, per poter riordinare i pensieri e immaginare il futuro.

Aveva pochissimi risparmi con sé: la sua famiglia ha ricevuto sussidi statali. “All’inizio è stato difficile, ma ora mi sono ripreso, non sono più depresso, qui mi hanno aiutato molto”.

Karen è un avvocato. All’inizio ha lavorato in un’azienda privata, ma in seguito ha trovato un lavoro più interessante presso un’istituzione statale. Per poter lavorare lì doveva ottenere la cittadinanza armena: il certificato di residenza temporanea non era sufficiente.

“Quando siamo arrivati in Armenia, come tutti gli altri, siamo stati registrati e abbiamo ricevuto un certificato di protezione temporanea, ma in realtà ho pensato di ottenere la cittadinanza dal primo giorno in cui sono arrivato. Non puoi vivere come un rifugiato per sempre, ti serve un passaporto. Sono armeno, non riesco a immaginarmi altrove, per questo ho chiesto la cittadinanza senza esitazione”, racconta, aggiungendo che i suoi genitori hanno fatto lo stesso.

In totale, hanno chiesto la cittadinanza 2.075 sfollati del Nagorno Karabakh. “Attualmente, 96.696 persone sfollate dal Nagorno Karabakh hanno ricevuto certificati di protezione temporanea, 83.942 persone si sono registrate, 2.075 persone hanno richiesto la cittadinanza e a 1.437 di loro è stata concessa. Le persone sfollate dal Nagorno Karabakh vengono servite in un regime di emergenza”, ha annunciato Arpine Sargsyan, viceministro degli Affari Interni della Repubblica di Armenia.

La cittadinanza garantisce il diritto di votare, di essere eletti, di ricoprire incarichi pubblici e, in definitiva, garantisce un collegamento più stabile con lo Stato. In casi di emergenza, la cittadinanza può essere concessa alle persone che hanno ricevuto protezione temporanea.

Per fare domanda serve il passaporto, il certificato di nascita, sei foto a colori e il questionario che verrà compilato sul posto. Il processo richiede da 90 giorni lavorativi a 4/5 mesi, ma le richieste dei rifugiati provenienti dal Nagorno Karabakh vengono esaminate entro 1-2 mesi.

Dopo aver ottenuto la cittadinanza, il passaporto viene rilasciato entro cinque giorni lavorativi; i cittadini maschi in età da servizio militare ricevono il passaporto dopo essere stati registrati nell’esercito.

“I cittadini uomini in età da servizio militare devono essere arruolati nell’esercito o, se sono militari, devono portare con sé le referenze pertinenti per ottenere il passaporto”, spiega Mariam Gevorgyan, vice capo del Servizio migrazione e cittadinanza del Ministero degli Affari Interni.

La cittadinanza è importante anche per ottenere un appartamento.

Lo staff del primo ministro ha recentemente emesso un comunicato stampa relativo al lancio del programma di alloggi per le famiglie sfollate con la forza dal Nagorno Karabakh dopo il 27 settembre 2020, a condizione che tutti i membri, compresi i minorenni, abbiano ottenuto la cittadinanza.

“È un bene che io abbia fatto domanda prima e abbia ottenuto la cittadinanza, ora che è necessaria per ottenere una casa ci sono molte domande. Temo che ci saranno code, ma è necessario, per vivere serve il passaporto”, dice Karen.

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Anche l’idea di un Concilio Vaticano III nell’incontro tra Aram I e Papa Francesco (AciStampa 19.06.24)

Anche l’idea di un Concilio Vaticano III con la partecipazione attiva delle Chiese non cattoliche è stata discussa nell’incontro tra il catholicos di Cilicia Aram I e Papa Francesco. Il catholicos della Chiesa Apostolica Armena, a Roma anche per dare una conferenza sul ruolo della diplomazia religiosa in Medio Oriente al Pontificio Istituto Orientale, ha discusso di questo e altri temi in una udienza privata con Papa Francesco lo scorso 12 giugno.

I temi dell’udienza sono stati rivelati dal sito internet del Catholicossato di Cilicia, che ha sede in Libano, ad Antilyas, dove è stata trasferito nel 1930 a seguito del genocidio armeno, ed è, insieme ad Etchmiadzin, una delle due grandi sedi della Chiesa Apostolica Armena.

La questione del Concilio Vaticano III è solo il terzo punto all’ordine del giorno, ma è di particolare importanza. Il primo punto riguarda la necessità di ampliare e trasformare le relazioni ecumeniche in una partnership, e il secondo riguarda la necessità di stabilire una data comune per la Pasqua – un tema, tra l’altro, in discussione con molte altre Chiese sorelle.

Ma Aram I ha guardato anche alla sfida del Libano, all’importanza di rafforzare le coesistenza cristiano – musulmana a Beirut e la soluzione della crisi istituzionale con l’elezione di un presidente.

Quindi, si è parlato anche della questione del Nagorno Karabakh, chiamato Artsakh nell’antico nome armeno. Dopo la guerra del 2021, che ha portato ad una pace dolorosa per l’Armenia, il controllo di vasti territori del Nagorno Karabakh è passato in mano azerbaijana. La parte armena ha denunciato più volte un “genocidio culturale” in atto in Artsakh dai tempi in cui il territorio fu dato dai sovietici alla giurisdizione azerbaijana, ma l’Azerbaijan lamenta anche la distruzione di varie moschee da quando il territorio ha dichiarato l’indipendenza negli anni Novanta, costituendo uno Stato che non è stato riconosciuto nel consesso internazionale, ma che era comunque una forma di legame con l’Armenia.

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Aram I ha sottolineato in particolare le condizioni dei prigionieri armeni che si trovano in Azerbaijan, descritti come “prigionieri politici”, e anche la necessità di restituire gli Armeni dell’Artsakh alla loro madre patria sotto la protezione internazionale.

Oltre all’incontro con Papa Francesco, il catholicos Aram I ha avuto anche diversi incontri istituzionali. In Segreteria di Stato, assente il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, Aram I ha incontrato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, con il quale ha discusso della situazione in Libano, la questione dei prigionieri di guerra armeni detenuti in Azerbaijan e le elezioni presidenziali in Libano. Il Cardinale Parolin sarà in visita in Libano il prossimo 22-23 giugno.

Aram I ha anche incontrato il Cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Con lui, ha affrontato le attuali sfide del movimento ecumenico e il dialogo teologico tra le Chiese Cattoliche e le Chiese Ortodosse Orientali.

Con il Cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, il catholicos Aram I si è invece concentrato sulla cooperazione tra le Chiese Cattoliche e le Chiese Ortodosse e Protestanti nel Medio Oriente. Si è parlato anche del dialogo islamo cristiano, nonché del ritorno dei nativi armeni di Artsakh sotto protezione internazionale e anche qui del rilascio dei prigionieri armeni in Azerbaijan.

Importante anche l’incontro con il Cardinale Victor Manuel Fernandez, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, con il quale ha rivalutato l’importanza di rivalutare la teologia alla luce delle sfide contemporanee.

Di particolare importanza è stata la lecture che il catholicos Aram I ha tenuto al Pontificio Istituto Orientale l’11 giugno. La lezione era sul tema  “La religione nella geopolitica del Medio Oriente”, in un evento organizzato anche dalla Pontificia Università Gregoriana e l’ambasciata Libanese, alla presenza anche del patriarca armeno cattolico Raphaël Bedros XXI Minassian, che ha anche ospitato il catholicos Aram I durante i suoi giorni romani, e dell’arcivescovo Mesrob Sarkissian, prelatto degli Emirati Arabi Uniti e del Qatar, nonché di diversi ambasciatori accreditati presso la Santa Sede.

Il catholicos della sede di Cilicia della Chiesa Apostolica Armena ha sottolineato l’influenza della religione nella geopolitica, e ha notato che la religione ha un ruolo trasformativo nel rispodnere alle condizioni geopolitiche in evoluzione. In particolare, ha aggiunto, sono le religioni monoteistiche – l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam – ad aver avuto un ruolo cruciale nel definire gli scenari politici, culturali e sociali in Europa e Medio Oriente.

Aram I ha poi delineato le dinamiche dell’impatto della religione nella geopolitica mediorientale, ha affrontato i temi più importanti a partire dalla necessità di combinare fede e ragione, ha evidenziato la complessa relazione tra religione e politica e rimarcato l’imperativo di sviluppare una mutua fiducia e una pace fondata sulla giustizia.

Infine, il catholicos ha sottolineato il ruolo vitale della religione nel promuovere l’esistenza pacifica, risolvendo conflitti e sviluppando mutua fiducia nelle società Medio Orientali. In questo senso, ha proposto un incontro di leader religiosi a Gerusalemme, chiedendo uno sforzo congiunto per la pace e la riconciliazione tra le tre maggiori religioni.

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L’UE invita l’Azerbaigian a rispettare il giusto processo e i principi fondamentali per la protezione dei detenuti (Europarl 19.06.24)

L’UE continua a sostenere gli sforzi tesi alla normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian su tutte le questioni in sospeso. Per quanto riguarda la situazione dei detenuti del Nagorno-Karabakh, l’UE invita l’Azerbaigian a rispettare il giusto processo e i principi fondamentali per la protezione dei detenuti, oltre che a garantire la trasparenza. L’UE è fermamente convinta che le misure volte a rafforzare la fiducia, tra cui il rilascio e il rimpatrio dei detenuti armeni in Azerbaigian, possano apportare benefici al processo globale di pace e spianare la strada a una maggiore fiducia tra le parti. A tale riguardo, l’UE ha accolto con favore la dichiarazione congiunta dell’Armenia e dell’Azerbaigian del 7 dicembre 2023[1] sulle misure volte a rafforzare la fiducia, tra cui lo scambio di prigionieri, e continua a sollecitare ulteriori interventi.

L’UE continua a intrattenere rapporti con l’Azerbaigian nell’ambito del dialogo regolare sui diritti umani e nei contatti bilaterali. La delegazione dell’UE a Baku segue da vicino la situazione in loco ed è in stretto contatto con il Comitato internazionale della Croce Rossa, che può regolarmente visitare i detenuti armeni.

Inoltre l’UE continua a esortare l’Azerbaigian a garantire che i diritti degli armeni del Karabakh vengano rispettati, compreso il diritto di ritornare alle loro case senza intimidazioni e discriminazioni, e a fornire sostegno agli armeni del Karabakh sfollati nel settembre 2023 e in precedenza. Da allora ha stanziato oltre 33 milioni di EUR in aiuti umanitari diretti e sotto forma di sostegno di bilancio al governo armeno al fine di aiutarli a far fronte alle loro esigenze.

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Consiglio d’Europa: Rapporto Ecri 2023 per contrastare razzismo e intolleranza “promuovere società diverse e inclusive” (Sir)

Armenia – Collaborazione dei medici italiani per operare soldati disabili (Assadakah 19.06.24)

Letizia Leonardi (Assadakah News) – A Yerevan, capitale della Repubblica d’Armenia, l’unione fa la forza e se ad essere coinvolto è il settore medico, la collaborazione ha ancora più valore. Il noto chirurgo italiano, primario del reparto di chirurgia maxillo-facciale dell’ospedale San Filippo Neri di Roma, professore dell’università La Sapienza e Tor Vergata di Roma, Domenico Scopelliti è tornato in Armenia, nella Casa del Soldato.

La ragione di questo gradito ritorno è una serie di interventi che, a partire dal prossimo autunno, specialisti armeni e italiani eseguiranno sui soldati disabili che hanno lesioni complesse alla mascella.

Questa collaborazione era già iniziata in Italia, con l’organizzazione benefica “Smile House”, grazie alla quale il chirurgo Domenico Scopelliti ha potuto operare tre militari armeni disabili.

Scopelliti ha fornito consulenze per malattie della mascella superiore, malformazioni congenite, tumori della mascella superiore e formazioni simil-tumorali presso l’Ospedale Universitario “Muratsan”.

Alla Casa del Soldato opereranno i dottori Domenico Scopelliti e Fabio Massimo Castaldo, specialisti in chirurgia facciale, insieme ai colleghi armeni.

Nel programma rientreranno i casi più complicati, le lesioni più complesse della regione facciale. Anche i chirurghi armeni hanno infatti una grande esperienza nel campo della chirurgia facciale e hanno eseguito molti interventi chirurgici eccezionalmente difficili. Si tratta di un’ottima opportunità di scambio di competenze ed esperienze, sia per gli specialisti armeni che per quelli italiani che avranno l’onorevole e importantissimo compito di risolvere nel modo migliore le problematiche di molti ragazzi armeni in modo da permettergli una qualità di vita migliore.

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SERJ TANKIAN CONTRO GLI IMAGINE DRAGONS: “ZERO RISPETTO PER LORO” (Radifreccia 18.06.24)

Il cantante dei System Of A Down ha attaccato la band di Dan Reynolds per la decisione di aver suonato a Baku, capitale dell’Azerbaijan

Serj Tankian è tornato ad attaccare gli Imagine Dragonsper la loro decisione di suonare in Azerbaijan.

La band di Las Vegas guidata da Dan Reynolds si era esibita a Baku a settembre dello scorso anno compiendo quello che, secondo il cantante dei System Of A Down, è stato un atto politico.

Tankian aveva già scritto una lettera agli Imagine Dragons per invitarli a cancellare la data e ora ha speso nuovamente poco lusinghiere, dichiarando di non aver alcun rispetto per Dan Reynolds e compagni.

Ma perché Serj Tankian ce l’ha così tanto con gli Imagine Dragons?

Secondo il cantante di origine armena, sempre molto impegnato e attento alle tematiche socio politiche, la decisione degli Imagine Dragons di suonare in Azerbaijan è paragonabile ad un endorsement a favore del Presidente Ilham Aliyev, da molti considerato un dittatore.

Intervistato da Metal Hammer, il cantante dei SOAD ha detto chiaramente di non rispettare la formazione di Las Vegas, pur sapendo che ognuno è libero di fare ciò che vuole.

“Non sono un giudice e non sarò io a dire ad una band dove suonare o non suonare e capisco che uno lo faccia per i soldi, che sono artisti, che sono degli entertainer e cose del genere”, ha spiegato Tankian. “Ma quando sei davanti ad un governo che fa della pulizia etnica, quando l’Azerbaijan stava affamando 120.000 armena del Nagorno-Karabakh senza che potessero accedere a cibo o medicine, sai, come artista se io lo scoprissi non suonerei in quel posto per nulla al mondo. Ma qualcuno lo fa e non saprei cosa dire di quegli artisti. Di sicuro non li rispetto come esseri umani e al diavolo la loro arte, per quanto mi riguarda non sono dei buoni esseri umani”.

La lettera di Tankian agli Imagine Dragons

La scorsa estate Tankian si era preso del tempo per scrivere agli Imagine Dragons e spiegargli il suo punto di vista sulla questione, illustrandogli la situazione socio politica dell’area, nella speranza di spingere la band a cancellare lo show, anche per evitare ricadute sul brand.

Dopo la mancata risposta al suo appello – al quale si erano uniti anche Brian Eno, Roger Waters e Thurstoon Moore – la voce dei System Of A Down si è poi lasciato andare ad un lungo post in cui ha chiesto agli Imagine Dragons di prendersi le proprio responsabilità, specialmente perché spesso loro stessi si sono esposti per diverse cause sociali.

Tankian ha poi condiviso una petizione per spingere la band a ritornare sui propri passi, lamentando di non aver ricevuto alcuna risposta.

Se sei così cieco di fronte alla giustizia da andare a fare uno show in un paese che sta riducendo alla fame un altro apese, illegalmente secondo la Corte Internazionale di Giustizia, secondo Amnesty Internationl e Human Rights Watch, beh non so cosa dire su di te come essere umano”, ha aggiunto Tankian a Metal Hammer. “A quel punto non mi interessa nemmeno della tua musica. Se sei un cattivo essere umano, non me ne frega un cazzo. A questo punto io non ho alcun rispetto per quei ragazzi”.

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