La presenza militare russa in Armenia e Tagikistan è sul filo del rasoio. Ecco perché (Formiche 03.05.24)

 dissidi tra Mosca e Yerevan potrebbero portare alla chiusura della storica base russa in territorio armeno, che assesterebbe un duro colpo all’influenza del Cremlino nel Caucaso. Con il rischio concreto di un effetto domino

L’allontanamento tra Armenia e Russia si fa sempre più evidente. Quando nel settembre del 2023 l’Azerbaigian ha ripreso l’offensiva nel Nagorno Karabakh, il contingente di Mosca schierato in loco con funzioni di peacekeeping non è intervenuto a difesa degli Armeni, mentre il Presidente del Consiglio di sicurezza della Russia Dmitry Medvedev rilasciava una dichiarazione dove tra le linee suggeriva che la Russia non avrebbe aiutato il Paese caucasico guidato dal primo ministro Nikol Pashinyan, a causa del suo spostamento di traiettoria in politica estera e del suo avvicinamento all’Occidente. Tutto questo nonostante l’Armenia facesse parte dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, l’alleanza militare costituita tra diversi Paesi dello spazio post-sovietico all’indomani della caduta dell’Urss. E Yerevan ha reagito di conseguenza decidendo di sospendere la propria partecipazione al Csto nel febbraio di quest’anno, con il Primo Ministro Pashinyan che ha giustificato la decisione affermando che la Russia “non ha adempiuto ai suoi obblighi di sicurezza nei confronti dell’Armenia”. In tutta risposta, il Cremlino ha ordinato poche settimane fa il totale ritiro del contingente di peacekeeping schierato in Nagorno Karabakh secondo quanto previsto dagli accordi del cessate il fuoco stipulati nel 2020.

Una mossa a cui l’Armenia sembra intenzionata a rispondere in modo significativo: secondo alcune fonti, il governo di Pashinyan starebbe valutando la richiesta di chiudere la base militare russa di Gyumri, simbolo della cooperazione militare tra i due Paesi. Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il nuovo stato armeno indipendente ha offerto alla Federazione Russa l’utilizzo della base militare in questione, sita in una posizione strategica trovandosi a meno di dieci chilometri dal confine con lo storico nemico turco (ma anche vicino al confine con la Repubblica islamica dell’Iran). Proprio la paura che Ankara potesse sfruttare gli smottamenti geopolitici allora in corso aveva spinto Yerevan a guardare verso Mosca, sua storica protettrice. Quasi trentacinque anni dopo, la base da cui la Russia “non se ne andrà mai”, secondo quanto detto dallo stesso presidente russo Vladimir Putin, sembra destinata ad essere smantellata, così come la presenza militare russa in Armenia.

Uno sviluppo che potrebbe avere conseguenze anche al di fuori dei confini del Paese, spingendo altri Stati ex-sovietici a riconsiderare la presenza di forze russe sul loro territorio. In un intervento sul sito della Jamestown FoundationPaul Goble riporta l’opinione di alcuni analisti russi secondo cui il governo del Tagikistan, già indignato per il trattamento riservato da Mosca ai lavoratori migranti tagiki in seguito all’attacco terroristico al Crocus City Hall, sia stato “contagiato” da questo pensiero armeno e potrebbe chiedere a Mosca di chiudere la sua base militare in Tagikistan. Per i suddetti esperti un simile sviluppo rappresenterebbe il crollo totale dell’influenza russa nello spazio post-sovietico, e sarebbe il risultato diretto dell’attenzione ossessiva di Mosca per l’Ucraina, che l’ha portata a trascurare il “Near Abroad”.

Tuttavia, nelle ultime settimane la leadership armena ha in più occasioni dichiarato di voler mantenere relazioni politico-economiche di stampo positivo con Mosca. L’ultima dichiarazione di questo genere è stata quella del ministro degli Esteri armeno Tigran Balayan, secondo cui “la Russia non ha nulla da temere dall’Unione Europea nel Caucaso meridionale”, dato che la posizione dell’Armenia significa che “storicamente e praticamente ha così tanti legami con la Russia” e che chiunque pensi che l’Armenia possa rompere tutti questi legami vive in un mondo fantastico. Ma l’atteggiamento di Mosca non sembra essere predisposto alla cooperazione.

Alcuni organi di stampa russi riferiscono che la considerazione di Dushanbe di chiudere la base russa sul proprio territorio utilizza esattamente lo stesso linguaggio che i funzionari armeni stanno usando nei confronti di Gyumri. È probabile che tali notizie spingano Mosca a utilizzare le risorse di cui dispone per aumentare la pressione non solo sull’Armenia, ma anche sul Tagikistan, rischiando così di avviare essa stessa un processo di autoespulsione dalla sua sfera d’influenza.

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CAUCASO: LA POLVERIERA ARMENIA & AZERBAIGIAN CHE FA STORIA (E NON SOLO)

Azerbaigian e Armenia negozieranno la pace con il ritorno simbolico alla capitale kazaka Almaty (Colornews 03.05.24)

I ministri degli Esteri dell’Azerbaigian e dell’Armenia hanno in programma di incontrarsi ad Almaty, suscitando nuove speranze per un trattato di pace tra i due avversari e un ripristino delle relazioni con l’Unione Europea.

L’ex capitale kazaka rappresenta un punto d’incontro simbolico. È qui che nel dicembre 1991 fu firmato lo storico Protocollo di Alma-Ata. Il documento dichiarava la dissoluzione dell’Unione Sovietica e gettava le basi per lo sviluppo della Comunità di Stati Indipendenti (CSI).

Anche se la data dell’incontro non è stata ancora resa nota, funzionari di entrambe le parti avrebbero confermato la loro partecipazione.

Accogliendo con favore l’accordo per far avanzare i colloqui sul trattato di pace ad Almaty, il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev ha affermato che ciò contribuirà all’instaurazione di una pace duratura nel Caucaso meridionale.

Il presidente ha effettuato una visita ufficiale a Yerevan nel mese di aprile, durante la quale ha espresso la disponibilità a facilitare i negoziati di pace sul suolo kazako. Insieme al primo ministro armeno Nikol Pashinyan hanno firmato 10 documenti con l’obiettivo di rafforzare i legami bilaterali.

Rispetto dell’integrità territoriale

Accogliendo con favore l’annuncio, l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha espresso l’impegno del blocco a sostenere un futuro stabile e pacifico per il Caucaso meridionale.

Borrell ha detto che l’Unione europea è impegnata a facilitare la normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian, ha invitato Baku ad impegnarsi in colloqui di pace sostenibili e a rispettare l’integrità territoriale dell’Armenia se non vuole mettere in pericolo le relazioni con l’Unione.

Borrell ha ricordato all’Armenia la sovvenzione di 270 milioni di euro offerta attraverso il Piano di crescita per il periodo 2024-2027, al fine di sostenere la resilienza del Paese mentre le parti lavorano insieme su una nuova agenda di partenariato, volta a rafforzare la cooperazione in tutti i settori.

L’ambasciatore dell’Unione Europea in Azerbaigian, Peter Michalko, ha ribadito il sostegno del blocco per un accordo di pace. “Spetta ad entrambe le parti cercare soluzioni e percorsi di progresso”, ha detto ai giornalisti nella capitale azera.

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Armellino in fiore. Artur Zakiyan in concerto per commemorare il genocidio armeno (Oggitreviso 02.05.24)

Armellino in fiore.

Artur Zakiyan in concerto per commemorare il genocidio armeno

quando 04/05/2024
orario Dalle 21:00 alle 23:00
dove Treviso
Auditorium Santa Caterina, Piazzetta Mario Botter 1 – Treviso
prezzo Euro 15,00
info 3274610693
organizzazione nusica.org

Armellino in fiore è il titolo dell’evento che vuole commemorare il dramma del genocidio armeno 24 aprile 1915.

Il 4 maggio 2024, alle ore 21 presso l’Auditorium Santa Caterina (Piazzetta Mario Botter 1, Treviso), Artur Zakiyan si esibirà intrecciando l’essenza ipnotica della musica etnica armena al fascino immortale della musica classica contemporanea, con cadenze rilassanti d’influenza new age.

L’esibizione si inserisce in un programma che include anche la presentazione libro Il genocidio degli armeni di Sandra Fabbro Canzian, prevista il 24 aprile alle ore 17 presso il Museo civico di Treviso “Luigi Bailo”, in Sala Vittorio Zanini e la mostra dell’artista Ararat Sarkissian, che sarà inaugurata alle 17 e aperta al pubblico dal 19 aprile al 12 maggio presso lo stesso Museo, nelle sale espositive temporanee al pianterreno. Entrambi gli eventi sono a ingresso libero.

A portare in città gli appuntamenti è il Comune di Treviso insieme all’Unione Armeni d’Italia.
Il concerto è organizzato dall’associazione nusica.org attiva dal 2012 nella realizzazione di eventi a carattere culturale e in particolare di concerti di musica jazz, con il patrocinio del Consolato Onorario della Repubblica di Armenia in Venezia in collaborazione con Gayane SahakyanFondazione “Feder Piazza” e Galleria Antikyan.
L’evento è supportato inoltre da Jane Demirchian, mecenate armena.

Nel solco di un percorso musicale iniziato sotto la guida del nonno Christopher, rinomato percussionista e fondatore della prestigiosa scuola di strumenti a percussione in Armenia, e dopo un lungo perfezionamento negli USA, Zakiyan si abbevera alla fonte della migliore tradizione musicale classica, coniugando innovazione e modelli antichi, in un viaggio sensoriale che celebra il patrimonio culturale del suo Paese.

Ad aprire il concerto sarà Baykar Sivazliyan, Presidente dell’Unione degli Armeni d’Italia, politico, turcologo e armenista, dirigente politico della Diaspora armena, che terrà un discorso in commemorazione del genocidio.

(Biglietti: ingresso € 15,00, in vendita su OOH.EVENTS e in loco, previa disponibilità. Per info: +39 3274610693, staff@nusica.org)

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Armenia, un Paese alla ricerca della pace – 2 maggio 2024 (Vaticannews 02.05.24)

A Radio Vaticana Con Voi Robert Attarian, responsabile del programma in lingua armena di Radio Vaticana – Vatican News, e Marine Galstyan, attrice e regista teatrale armena: con loro presentiamo alcune iniziative culturali che si svolgeranno nei prossimi giorni a Roma, tra le quali un evento dedicato al grande Charles Aznavour.

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Il regalo dell’Italia a Putin: così il Tap porterà 7 miliardi nelle casse di Mosca (Europatoday 02.05.24)

Era il luglio 2022, la guerra in Ucraina era scoppiata da qualche mese e l’Europa era alla ricerca di forniture di gas alternative a quelle russe. Fu con questa missione in testa che la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen si recò in Azerbaigian per stringere la mano a Ilham Aliyev, il leader autoritario dell’ex Repubblica sovietica. Quella stretta si tradusse in aumento immediato delle esportazioni di gas dai giacimenti azeri all’Italia (e alla Grecia) attraverso il Tap: da 8 miliardi di metri cubi si è passati a 11,6 nel 2023, con l’obiettivo di arrivare a 20 miliardi nei prossimi anni. Peccato che in questo affare, a guadagnarci (e tanto) potrebbe essere anche Vladimir Putin: il colosso energetico russo Lukoil, infatti, prevede di incassare 7 miliardi di dollari da qui ai prossimi dieci anni.

È quanto ha calcolato la ong Global witness. Tutto ruota intorno al maxi giacimento di Shah Deniz, il bacino da cui l’Azerbaigian pompa gas verso l’Europa. A gestire il giacimento è la britannica Bp, ma nell’operazione sono entrate anche altre aziende europee, come Shell, Uniper, Engie e l’italiana Enel. Nel novero delle società interessate, però, va inserita anche Lukoil, dal momento che il gigante russo detiene una quota significativa del 19,99% nel giacimento.

Nulla che si sapesse già nel 2022, quando von der Leyen siglò l’accordo con l’Azerbaigian. Già all’epoca Lukoil era il terzo più grande produttore di gas in Azerbaigian. La società finora è sfuggita alle misure restrittive dell’Ue, nonostante le sue operazioni commerciali diffuse nel continente. Inoltre, il suo ruolo come importante contribuente alle entrate statali russe negli ultimi anni solleva domande su come i suoi profitti possano essere stati impiegati, specialmente in un periodo in cui la Russia è coinvolta in un conflitto armato in Ucraina. Secondo ResourceProjects.org, che fornisce dati finanziari pubblicati da Lukoil, dal 2015 al 2020 l’azienda ha versato 63,8 miliardi di dollari nei conti del governo russo.

Lukoil ha dichiarato che è “una società internazionale privata” e che quindi “non partecipa a nessun processo politico in nessun Paese in cui è presente”. Ma la reazione dell’opinione pubblica e degli attivisti non si è fatta attendere, tra cui quella di Global witness: “Acquistare acquistare gas azero da Lukoil rafforza uno dei più grandi giganti dei combustibili fossili della Russia e riempie le tasche della dittatura azera”, si legge in una nota. “Più gas l’Ue compra, più queste minacce alla pace e alla sicurezza globale si diffonderanno”, conclude Global Witness.

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Accordo Italia-Armenia sull’autotrasporto internazionale di passeggeri e di merci (Polnews 02.05.24)

ulla Gazzetta Ufficiale n. 99 del 29 aprile 2024, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha comunicato che si è perfezionata la procedura prevista per l’entrata in vigore del protocollo emendativo dell’accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Armenia sull’autotrasporto internazionale di passeggeri e di merci, fatto a Jerevan, il 7 agosto 1999, fatto a Jerevan, il 31 luglio 2018.
La ratifica e’ stata autorizzata con legge n. 78 dell’8 giugno 2023, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale n. 149 del 28 giugno 2023.

In conformità a quanto previsto dal suo articolo 4, il protocollo è entrato in vigore il 21 febbraio 2024.

Shoghakat Vardanyan • Regista di 1489 (Cineuropa 02.05.24)

Questo articolo è disponibile in inglese.

We sat down to speak with Shoghakat Vardanyan, who, in her independent and shoestring-budget debut, 1489 [+], documents the heartbreaking journey of her family as they search for her brother, who went missing during the 44-day Nagorno Karabakh War in 2020. After winning both IDFA’s Best Film and FIPRESCI Awards last November, the film also received the jury’s Special Mention at the goEast – Festival of Central and Eastern European Film (24-30 April), which has just wrapped in Wiesbaden (see the news).

Cineuropa: You are a pianist, but you chose the camera as your tool to express the feelings around a very difficult personal period. Why cinema?
Shoghakat Vardanyan:
 Because words and music were not coming out of me. I was kind of stuck and silent. And then, suddenly, film found me. At that time, I was enrolled in a school for investigative journalism, and my teacher in the mobile journalism class, Inna Mkhitaryan, who was aware of what I was going through, suggested that I start making a video blog, where I follow the process of searching for my brother, so as to keep myself concentrated on something. But already on the third day of this exercise, I filmed something else. Every day, I came to understand more and more about how and what to film. I felt a sudden urgency to capture our life without my brother’s return, recognising the importance of filming, even though I hoped he would come back. I felt its significance not just for me, but also for every person in the world who is going through war.

What about the form? Did you have a firm concept in mind?
I followed my intuition. I remember that feeling of my brain burning or of sinking at certain moments. During the filming process, I constantly needed to make swift decisions and to rehearse mentally. There are parallels to my experience with playing piano, where mental practice was essential in order to master it. I recognised that while filming allowed for improvisation, it also required anticipating various scenarios and considering angles, an activity that my brain naturally engaged in, even when not actively filming.

How did you persuade your parents to participate?
Perhaps the closest thing to a true explanation for me is that when you really want to film people, sooner or later, they let you film them.

Acclaimed documentarian Marina Razbezhkina was the creative producer of 1489. What influence did she have on your work?
I met her at a very important moment, when I had my rough cut and had started editing two final scenes. I waited so long to meet somebody I could trust as a professional to talk to about my film. And then someone told me there was a workshop being given by Marina Razbezhkina. I didn’t even know who she was, but she had heard about my project already and invited me to her workshop. Eventually, she became my filmmaking “godmother”. We were thinking about the film separately, and then talking; she would ask important questions and give me advice when I needed it. Another person who was near me was Davit Stepanyan, an Armenian cultural critic and filmmaker.

And you made it without a production company behind you. That must have been very difficult.
I couldn’t just leave the story aside and go after funding. I also chose to listen to the material and to let it tell me things – from how to edit it to how to distribute it. I quickly understood the “normal way” of filmmaking, but this work required more than that.

1489 is personal and political at the same time. How do you think it could influence the international perception of the complex situation in Armenia?
It’s my family’s story, but it’s also a universal and necessary film. I grapple with the silence surrounding the recent ethnic cleansing in Artsakh (Nagorno-Karabakh), feeling the weight of its absence from global discourse, despite its significance. When presenting my film abroad, I’m often confronted with the politicised nature of international attention and feel marginalised in discussions of global conflict. In other words, the powerful countries, including European ones, have things to gain from Azerbaijan, regardless of the lives of Armenians. Bearing in mind that Armenians were, and still are, suffering genocide physically and culturally, we are not only being left alone, but the world is on the side of evil. It’s just a business. This is what happened to Artsakh (Nagorno-Karabakh) and what I’m afraid will happen in Armenia soon if nothing is done. It is the continuation of the Armenian Genocide of 1915. If the world weren’t to remain silent and had actually pushed Turkey to recognise it, we wouldn’t have suffered from wars and ethnic cleansing up to the present day.

It is not easy to talk when the world isn’t on your side. I can see that international laws are also a kind of business. But the world is wrong – in the end, evil also turns on those who passively participate in it.

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“L’Azerbaigian riconosce il diritto di tutte le popolazioni sfollate al ritorno volontario alle proprie case”, assicura l’ambasciatore azero in Vaticano (Faro di Roma 01.05.24)

Papa Francesco ha espresso più volte la sua preoccupazione per la “grave” situazione umanitaria degli sfollati dall’ex Nagorno Karabakh e per la necessaria protezione dei Monasteri e dei luoghi di culto della regione, auspicando “una pace duratura” nell’area. Il Sir ha chiesto all’ambasciatore Elchin Amirbayov, rappresentante presidenziale con incarichi speciali e primo ambasciatore dell’Azerbaigian presso la Santa Sede (2005 – 2017), in visita in questi giorni in Vaticano, di rispondere alle parole del Papa.

Il Papa chiede che i colloqui possano favorire “un accordo duraturo” che possa soprattutto porre fine alla crisi umanitaria. A che punto è il dialogo tra l’Azerbaigian e l’Armenia? Quali passi necessari da compiere?
In primo luogo, apprezziamo molto l’attenzione prestata da Sua Santità Papa Francesco al raggiungimento della pace tra Armenia e Azerbaigian. Il dialogo tra Baku e Yerevan prosegue sotto varie forme e in uno spirito positivo. Bisogna ricordare che è stato l’Azerbaigian ad avviare quasi due anni fa i negoziati di pace e il progetto di accordo di pace, e da allora sono stati compiuti progressi importanti. Gli ultimi sviluppi positivi sono stati possibili dopo che lo scorso settembre, l’Azerbaigian ha ripristinato pienamente la sua sovranità e integrità riconquistando il controllo effettivo sulla sua regione del Garabagh. Siamo fiduciosi oggi di poter raggiungere, insieme all’Armenia, tutti i nostri obiettivi rimanenti attraverso mezzi politici e in un periodo di tempo relativamente breve. Due settimane fa, l’Armenia ha accettato di ritirare le sue forze dai restanti quattro villaggi azerbaigiani occupati nella regione nord-occidentale di Gazakh e subito dopo abbiamo avviato il processo bilaterale di delimitazione e demarcazione di quello che diventerà il confine di Stato tra i nostri due paesi. Parallelamente, l’Azerbaigian continua con determinazione i suoi sforzi su larga scala per la ricostruzione e la riabilitazione di tutti i suoi territori che sono stati devastati da un conflitto e da un’occupazione illegali durati tre decenni.

Nell’Angelus del 15 ottobre 2023, il Papa esprimeva l’auspicio che Autorità e abitanti di quella Regione potessero “essere rispettati e tutelati come parte della cultura locale, espressioni di fede e segno di una fraternità che rende capaci di vivere insieme nelle differenze”. Come favorire, a questo punto, questo processo di rientro nelle proprie case?
Vorrei iniziare chiarendo che la decisione di lasciare il territorio della regione del Garabagh dell’Azerbaigian verso l’Armenia è stata una decisione che hanno preso da soli tutti coloro che se ne sono andati, nonostante i numerosi appelli delle autorità azerbaigiane a restare. Nonostante la campagna di disinformazione lanciata dall’Armenia contro di noi subito dopo l’operazione antiterrorismo durata un giorno, l’Azerbaigian aveva suggerito alla popolazione civile locale di non andarsene e piuttosto di integrarsi pacificamente nella nostra società. Molti di coloro che se ne sono andati, sono stati in realtà “fortemente incoraggiati” a farlo dai leader dei separatisti illegali locali, che si opponevano alla coesistenza pacifica di armeni e azerbaigiani in quella regione dell’Azerbaigian. Come hanno più volte affermato in precedenti occasioni le autorità azerbaigiane, il diritto di tutte le popolazioni sfollate al ritorno volontario alle proprie case, indipendentemente dal fatto che siano di origine armena o azerbaigiana, dovrebbe essere rispettato su base di reciprocità. Non dimentichiamo che più di 250 mila civili azerbaigiani sono stati sottoposti a pulizia etnica in Armenia proprio all’inizio del conflitto alla fine degli anni ’80.

Nello stesso Angelus, il Papa rivolgeva anche “un particolare appello in favore della protezione dei Monasteri e dei luoghi di culto della regione”. Cosa sta facendo il suo governo per la protezione dei luoghi di culto cristiani in quella terra?
Tutti i luoghi di culto nel territorio dell’Azerbaigian, indipendentemente dalla loro origine religiosa, costituiscono parte del nostro ricco patrimonio culturale e religioso che riflette la natura multietnica e multiculturale della nostra società. E il nostro governo prende sul serio il dovere di proteggere ogni singolo sito religioso senza alcuna discriminazione. Dalla fine della seconda guerra del Garabagh nel novembre 2020, le autorità competenti dell’Azerbaigian hanno effettuato l’inventario di tutti i monumenti culturali e religiosi nei territori che erano sotto occupazione straniera illegale e sono stati colpiti dal conflitto. Quelli che sono sopravvissuti a due guerre e sono stati danneggiati, sono ora in fase di ricostruzione, ma purtroppo molti dei monumenti culturali e religiosi sono stati completamente distrutti dalle forze di occupazione. 65 delle 67 moschee del Garabagh e di altri territori precedentemente occupati sono state rase al suolo.

Papa Francesco, in un mondo fortemente attraversato da conflitti e crisi, è forse l’unico che tiene ancora viva l’attenzione su questa crisi. Cosa pensa della “parola” del Papa e soprattutto quale “ruolo” possono svolgere i cristiani in quelle terre? C’è spazio per loro?
Come accennato in precedenza, noi in Azerbaigian apprezziamo molto l’attenzione dedicata da Papa Francesco ma anche da molti altri dignitari di alto livello in tutto il mondo alla questione della pace e della normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian. L’Azerbaigian è un paese laico orgoglioso della sua diversità culturale e religiosa, dove da secoli musulmani, cristiani, ebrei e rappresentanti di altre fedi vivono in armonia e amicizia gli uni accanto agli altri. Crediamo fermamente che il trattato di pace che, si spera, possa essere concluso presto tra i nostri paesi, non solo porrà formalmente fine a uno dei conflitti etnici più lunghi e tragici del mondo, ma possa anche aiutare a costruire la fiducia tra armeni e azerbaigiani e consentire loro di vivere insieme come buoni vicini e, un giorno, si spera, come amici.

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Ambasciatore Amirbayov (Azerbaigian), “arrivi il giorno in cui armeni e azerbaigiani possano vivere insieme da buoni vicini” (Agensir 30.04.24)

Numerosi, nei giorni scorsi, sono stati gli appelli di Papa Francesco per l’avvento di una pace duratura nel Caucaso meridionale. Appelli con particolare riferimento alla “grave” situazione umanitaria degli sfollati dall’ex Nagorno Karabakh e alla protezione dei Monasteri e dei luoghi di culto della regione. Il Sir ne ha parlato con l’ambasciatore Elchin Amirbayov, rappresentante presidenziale con incarichi speciali e primo ambasciatore dell’Azerbaigian presso la Santa Sede (2005 – 2017), in visita in questi giorni in Vaticano.

Elchin Amirbayov, rappresentante presidenziale con incarichi speciali e primo ambasciatore dell’Azerbaigian presso la Santa Sede (foto Ambasciata)

Appelli per una pace duratura nel Caucaso meridionale, con un riferimento particolare alla “grave” situazione umanitaria degli sfollati dall’ex Nagorno Karabakh e alla protezione dei Monasteri e dei luoghi di culto della regione. A lanciarli in maniera costante e periodica è Papa Francesco. Il Sir ha chiesto all’ambasciatore Elchin Amirbayov, rappresentante presidenziale con incarichi speciali e primo ambasciatore dell’Azerbaigian presso la Santa Sede (2005 – 2017), in visita in questi giorni in Vaticano, di rispondere alle parole del Papa.

 Il Papa chiede che i colloqui possano favorire “un accordo duraturo” che possa soprattutto porre fine alla crisi umanitaria. A che punto è il dialogo tra l’Azerbaigian e l’Armenia? Quali passi necessari da compiere?
In primo luogo, apprezziamo molto l’attenzione prestata da Sua Santità Papa Francesco al raggiungimento della pace tra Armenia e Azerbaigian. Il dialogo tra Baku e Yerevan prosegue sotto varie forme e in uno spirito positivo. Bisogna ricordare che è stato l’Azerbaigian ad avviare quasi due anni fa i negoziati di pace e il progetto di accordo di pace, e da allora sono stati compiuti progressi importanti. Gli ultimi sviluppi positivi sono stati possibili dopo che lo scorso settembre, l’Azerbaigian ha ripristinato pienamente la sua sovranità e integrità riconquistando il controllo effettivo sulla sua regione del Garabagh. Siamo fiduciosi oggi di poter raggiungere, insieme all’Armenia, tutti i nostri obiettivi rimanenti attraverso mezzi politici e in un periodo di tempo relativamente breve. Due settimane fa, l’Armenia ha accettato di ritirare le sue forze dai restanti quattro villaggi azerbaigiani occupati nella regione nord-occidentale di Gazakh e subito dopo abbiamo avviato il processo bilaterale di delimitazione e demarcazione di quello che diventerà il confine di Stato tra i nostri due paesi. Parallelamente, l’Azerbaigian continua con determinazione i suoi sforzi su larga scala per la ricostruzione e la riabilitazione di tutti i suoi territori che sono stati devastati da un conflitto e da un’occupazione illegali durati tre decenni.

Nell’Angelus del 15 ottobre 2023, il Papa esprimeva l’auspicio che Autorità e abitanti di quella Regione potessero “essere rispettati e tutelati come parte della cultura locale, espressioni di fede e segno di una fraternità che rende capaci di vivere insieme nelle differenze”. Come favorire, a questo punto, questo processo di rientro nelle proprie case?
Vorrei iniziare chiarendo che la decisione di lasciare il territorio della regione del Garabagh dell’Azerbaigian verso l’Armenia è stata una decisione che hanno preso da soli tutti coloro che se ne sono andati, nonostante i numerosi appelli delle autorità azerbaigiane a restare. Nonostante la campagna di disinformazione lanciata dall’Armenia contro di noi subito dopo l’operazione antiterrorismo durata un giorno, l’Azerbaigian aveva suggerito alla popolazione civile locale di non andarsene e piuttosto di integrarsi pacificamente nella nostra società. Molti di coloro che se ne sono andati, sono stati in realtà “fortemente incoraggiati” a farlo dai leader dei separatisti illegali locali, che si opponevano alla coesistenza pacifica di armeni e azerbaigiani in quella regione dell’Azerbaigian. Come hanno più volte affermato in precedenti occasioni le autorità azerbaigiane, il diritto di tutte le popolazioni sfollate al ritorno volontario alle proprie case, indipendentemente dal fatto che siano di origine armena o azerbaigiana, dovrebbe essere rispettato su base di reciprocità. Non dimentichiamo che più di 250 mila civili azerbaigiani sono stati sottoposti a pulizia etnica in Armenia proprio all’inizio del conflitto alla fine degli anni ’80.

Nello stesso Angelus, il Papa rivolgeva anche “un particolare appello in favore della protezione dei Monasteri e dei luoghi di culto della regione”. Cosa sta facendo il suo governo per la protezione dei luoghi di culto cristiani in quella terra?
Tutti i luoghi di culto nel territorio dell’Azerbaigian, indipendentemente dalla loro origine religiosa, costituiscono parte del nostro ricco patrimonio culturale e religioso che riflette la natura multietnica e multiculturale della nostra società. E il nostro governo prende sul serio il dovere di proteggere ogni singolo sito religioso senza alcuna discriminazione. Dalla fine della seconda guerra del Garabagh nel novembre 2020, le autorità competenti dell’Azerbaigian hanno effettuato l’inventario di tutti i monumenti culturali e religiosi nei territori che erano sotto occupazione straniera illegale e sono stati colpiti dal conflitto. Quelli che sono sopravvissuti a due guerre e sono stati danneggiati, sono ora in fase di ricostruzione, ma purtroppo molti dei monumenti culturali e religiosi sono stati completamente distrutti dalle forze di occupazione. 65 delle 67 moschee del Garabagh e di altri territori precedentemente occupati sono state rase al suolo.

Papa Francesco, in un mondo fortemente attraversato da conflitti e crisi, è forse l’unico che tiene ancora viva l’attenzione su questa crisi. Cosa pensa della “parola” del Papa e soprattutto quale “ruolo” possono svolgere i cristiani in quelle terre? C’è spazio per loro?
Come accennato in precedenza, noi in Azerbaigian apprezziamo molto l’attenzione dedicata da Papa Francesco ma anche da molti altri dignitari di alto livello in tutto il mondo alla questione della pace e della normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian. L’Azerbaigian è un paese laico orgoglioso della sua diversità culturale e religiosa, dove da secoli musulmani, cristiani, ebrei e rappresentanti di altre fedi vivono in armonia e amicizia gli uni accanto agli altri. Crediamo fermamente che il trattato di pace che, si spera, possa essere concluso presto tra i nostri paesi, non solo porrà formalmente fine a uno dei conflitti etnici più lunghi e tragici del mondo, ma possa anche aiutare a costruire la fiducia tra armeni e azerbaigiani  e consentire loro di vivere insieme come buoni vicini e, un giorno, si spera, come amici.

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Avetik Grigoryan ricorda Karen Asrian (1980-2008) (Unoscachista 29.04.24)

GM Avetik Grigoryan)
Karpov, Kasparov, Ivanchuk e Kramnik giocavano a soli dieci metri da me. La 32ª Olimpiade degli scacchi si stava svolgendo a Yerevan, in Armenia. Avevo sette anni e con mio padre, tutti i giorni, andavamo lì a vedere le partite.
Ne ricordo solo uno.

 

Chi vorresti essere da grande?” mi chiese mio padre indicandomi quelle leggende degli scacchi.
Cosa significa essere come qualcuno? Non capivo la domanda. Volevo essere me stesso. Quindi, dopo averci pensato un po’, ho dichiarato: “Nessuno. Sono me stesso e sarò me stesso”.

Passarono gli anni e nulla cambiò nella mia vita da quella prospettiva. Volevo essere me stesso. Fino al 2006. Fino a quando ho incontrato il GM Karen Asrian.

Karen Asrian a EuroChess nell’ottobre 2007 (wikimedia)

La prima volta che ho avuto l’opportunità di interagire con lui di persona è stato durante un campus di scacchi organizzato dalla Federazione Scacchistica Armena e dall’Accademia Armena di Scacchi guidata dal GM Smbat Lputyan (che al tempo non ho mai apprezzato… adesso me ne vergogno).

Il GM Asrian era lì come allenatore e, dato che ero nel gruppo di testa (ero già un IM), principalmente allenava noi.
Il suo punteggio era di sopra i 2600 e faceva parte della squadra armena che vinse la medaglia d’oro alle 37esime Olimpiadi degli scacchi, nel 2006.

L’Armenia vittoriosa a Torino 2007 (Foto Frederic Friedel/Chessbase)

Naturalmente era un giocatore di scacchi molto forte, ma ero comunque sorpreso dalla sua ampia conoscenza degli scacchi. Conosceva le sfumature delle aperture che non aveva mai giocato, conosceva a memoria partite che io non avevo mai visto e conosceva i finali teorici come un’enciclopedia.

Ma soprattutto mi colpiva il suo fascino. Non ero sicuro se la sua energia positiva derivasse dal sorridere sempre, o se sorridere sempre derivasse dalla sua energia positiva. Ora so che veniva dal suo cuore e dalla sua anima. Ma in quel momento ero confuso.

Era anche molto umile ed educato con noi.

Ricordo che una volta durante la lezione feci una domanda a cui aveva già dato risposta quella mattina (ero il primo nella classifica della memoria nel nostro gruppo, ma partendo dal basso!) e tutti risero (come spesso facevano quando la mia memoria faceva cilecca), ma Karen disse: “Lasciamelo spiegare da una prospettiva diversa. Forse è colpa mia se mi fai ancora quella domanda.

Quella fu una risposta che ha avuto un forte impatto sulla mia futura carriera da allenatore. Ogni volta che i miei studenti mi fanno una domanda su qualcosa che ho già spiegato, allora il problema sono io.

Karen Asrian (Fonte: armoblog.blogspot.com)

Ho imparato da Karen la bellezza dell’umiltà, della gentilezza e della meraviglia. Dal punto di vista scacchistico, non solo la sapienza, ma anche qualcosa sul carattere e sulla vittoria.

Ai Campionati del Mondo Giovanili giocavo nella categoria Under 18 e Karen mi preparava ogni giorno per le partite. Non sono sicuro che si fosse reso conto che non stava condividendo con me solo la sua conoscenza delle apertura, ma anche la sua energia combattiva. Ho imparato tutto.

Non era una sorpresa che fossi in testa al torneo con 4,5 su 5. Quando arrivarono gli accoppiamenti del 6° giro, vidi che il giorno dopo avrei giocato con il Nero contro il Grande Maestro Italiano (allora Maestro Internazionale) Daniele Vocaturo. La mentalità che vedo ha la maggior parte dei giocatori di scacchi in tali situazioni, e che avevo anch’io allora, è “Okay, sono in testa, quindi un pareggio con i pezzi neri va bene“.

Anche Karen si avvicinò al tabellone degli accoppiamenti, lo guardò attentamente e disse: “Ah… Vocaturo… È un buon avversario per vincere“. La cosa fu molto sorprendente per me e stupidamente chiesi: “Karen, hai visto che giocherò con il nero?” Si rivolse a me con uno sguardo strano. “E quindi?

La mattina dopo, passò diverse ore insegnandomi varianti molto aggressive per il Nero, nel mio attacco preferito della Difesa Francese! Era un giocatore di Caro-Kann e quando ho visto le sue analisi della Francese ho capito un po’ di più sulla differenza tra un Maestro e un Grande Maestro. Di fatto, finii per vincere la partita con il Nero.

È un peccato che pur avendo Karen con me non sia riuscito a vincere il torneo. Non riuscii nemmeno ad entrare tra i primi 3. (finii quarto). Quella mentalità e quel carattere mi hanno portato però a costruire un repertorio di apertura molto aggressivo con i Neri. Avevo capito che è meglio finire all’ultimo posto otto volte e vincere due volte, piuttosto che finire tra i primi dieci in dieci tornei (sia emotivamente che finanziariamente).


Mi sono poi allenato quasi giornalmente con il mio trainer di allora, il GM Artur Chibukhchian e il suo contributo al mio titolo di Grande Maestro è stato il più consistente, ma anche il modo in cui Karen ha influenzato il mio carattere e la mia mentalità ha avuto sicuramente un ruolo enorme. Nei successivi 5 mesi, raggiunsi le mie 3 norme di Grande Maestro e superai i 2.500 punti Elo (la soglia da superare per ottenere il titolo).

Dopo essere diventato Grande Maestro, stavo pensando di trovare un modo per parlare con Karen e vedere se fosse interessato ad allenarsi insieme. Non mi sono mai avvicinato a lui e… ho continuato a rimandare, pensando che ci sarebbe sempre stato un “dopo”.

Il 9 giugno 2008, Karen morì di infarto mentre guidava.

Quel giorno molti persero qualcuno: un figlio, un fratello, un amico… Io ho perso il mio fratello maggiore e il mio insegnante.

Piansi tutto il giorno e non toccai gli scacchi per un po’. Non feci proprio nulla per un po’ …


Un anno dopo stavo giocando un torneo all’italiana e, come Nero, dovetti affrontare il forte Grande Maestro ungherese Ferenc Berkes, che aveva 2647 di Elo. Era un giocatore da 1.d4 e mi preparai tutta la mattina.

Mi sorprese con 1.e4. Ma come? Non aveva mai giocato 1.e4! Stavo pensando di sorprenderlo a mia volta con 1… c5, ma poi decisi di optare per la mia amata Francese e sorprenderlo più tardi. Dopo 1. e4 e6 2. d4 d5, Berkes giocò 3. Cd2.

Ahaaaa! Mi ricordai subito che nelle mie ultime dieci partite qui avevo giocato 3…,Cc6 senza eccezioni. Capii che era questa la variante per cui si era preparato, tanto da deviare dalla sua 1.d4 standard e giocare 1.e4.

Oltre a 3… Cc6 conoscevo anche tutte le altre mosse, incluse 3… c5, 3… Cf6, 3… Ae7,  e le conoscevo molto bene. Pensai a lungo a quale scegliere, farlo uscire dalla sua preparazione e rimpiangere la scelta di apertura. Ma alla fine ho comunque giocato 3… Cc6

Vinse lui. Dopo aver analizzato la partita, mentre stavamo per lasciare la scacchiera, ha gentilmente deciso di darmi un ultimo consiglio: “In queste situazioni è meglio contro-sorprendere l’avversario. Avresti dovuto giocare qualcosa di diverso da 3…Cc6“.

Lo ringraziai e me ne andai. Non gli dissi che era una mossa che mi aveva insegnato Karen.


Ho sempre pensato che se tutti ti amano, allora sei falso. Karen ha cambiato questo mio convincimento. Era amato da tutti. Ed era molto chiaro il motivo…

Karen Asrian nel 2006. (Courtesy di Vladimir Akopian per Avetik Grigoryan))

Ha cambiato le mie idee anche da un’altra prospettiva.
Ho visto e vedo ancora questo virus nella coscienza umana: l’atteggiamento secondo cui dovresti vincere ad ogni costo, sia in una partita a scacchi, in un gioco finanziario, in carriera o in qualunque partita tu giochi. Non l’ho mai sopportato, e la penso ancora così.
Allo stesso tempo, ho visto molte persone che sono molto gentili ma non hanno realizzato il loro potenziale nella vita. Posso accettarlo, ma non può piacermi.

Ho sempre pensato che fosse una scelta obbligata che ognuno deve fare. Con Karen ho imparato che è possibile avere successo e allo stesso tempo rimanere umile, gentile e fedele ai propri valori.
Sto cercando di essere così…

Ora non è con noi fisicamente. Ma ha lasciato dietro di sè una traccia. Ha avuto un grande impatto su molte vite.
Sono solo uno di loro.

Il 24 aprile è stato il compleanno di Karen. Oggi avrebbe 44 anni e mi manca.