Addio Russia, avanti Azerbaijan: da chi compra il gas adesso l’Europa (Wired 08.04.24)

Addio, Russia. Nel 2023 le importazioni di gas russo in Europa sono crollate: dal 42% del totale nel 2021 al 14% due anni più tardi. In Italia, si è passati da più di 30 miliardi di metri cubi di gas naturale l’anno a meno del 3 miliardi di metri cubi nel 2023, il valore più basso dal 1975. Non solo: l’Europa si avvicina alla fine della stagione del riscaldamento con un record storico delle riserve di gas stoccate. I depositi sono pieni al 59%. Queste condizioni, dicono diversi analisti potrebbero far scendere il prezzo in primavera. Insomma, per il secondo anno di guerra consecutivo in Ucraina gli europei non moriranno di freddo.

Stappiamo uno champagne? Non proprio. Bisogna fare un salto indietro nel tempo, al 2010, e vedere Al Bano Carrisi intonare Felicità nella città di Vank, allora parte della repubblica caucasica de facto autonoma di Artsakh, per capire a chi ci siamo vincolati come europei per sostituire Mosca. Il cantante si esibisce su un palco modesto, che aveva come sfondo le targhe di auto abbandonate. Sono dalla popolazione azera, sfollata durante la prima guerra del Nagorno-Karabakh (1992-1994) quando l’esercito armeno aveva occupato l’enclave all’interno dell’Azerbaijan tradizionalmente abitato dagli armeni.

Oggi la repubblica di Artsakh, detta anche territorio del Nagorno Karabakh, non esiste più, soppressa nel settembre scorso dall’Azerbaijan, in un’operazione di pulizia etnica in piena regola che ha portato all’espulsione di oltre 100mila armeni, proprio mentre le personalità più rilevanti della Commissione europea elevavano lo status dell’Azerbaijan a quello di “partner affidabile”. Baku invia armi all’Ucraina ed è diventata una fonte energetica cruciale per la diplomazia di Bruxelles, impegnata in un percorso di transizione verso fonti rinnovabili che sta portando in piazza i trattori reazionari, ma resta un regime oppressivo senza libertà d’espressione, tanto quanto la Russia del presidente Vladimir Putin.

Un alleato imbarazzante

Il bisogno di diversificazione dal gas russo e la ricerca frenetica di nuovi partner per l’import hanno reso il gas azero uno strumento diplomatico di enorme valore, scrive Francesco Sassi, ricercatore dell’Ispi (Istituto per gli studi di esperto in questioni energetiche e geopolitiche. Per l’Azerbaigian, il congelamento nei prossimi decenni del gas russo è un vera fortuna, che gli ha permesso di investire in notevoli attività di lobbying culturale anche in Italia, dove non mancano intellettuali ed editori disponibili a elogiare il riformismo dell’autoritario presidente azero Ilham Aliyev.

In questo contesto, Baku ha stabilito un rapporto sempre più intrecciato non solo con l’Italia, principale partner commerciale dell’Azerbaijan, ma anche con alcuni Paesi dell’Europa orientale, tra cui Bulgaria, Romania e Ungheria, nell’ottica di diversificazione degli approvvigionamenti russi.

Ma l’Azerbaijan resta una dittatura brutale dove numerosi gruppi politici e artistici hanno sospeso tutte le attività in seguito alle pressioni subite, come riportano gli studi di Cesare Figari Barberis, esperto di Azerbaijan e Georgia al Graduate Institute di Ginevra. L’obiettivo di Baku entro il 2027 è quello di raddoppiare le forniture all’Europa, aumentando i flussi del Southern Gas Corridor, e sostituendo al gas russo avvelenato quello azero, reso presentabile dalla postura geopolitica del suo presidente. Grazie a questa dinamicità diplomatica dell’Azerbaijan, la Cop29, la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico dell’anno prossimo, si terrà a Baku, scelta dopo mesi di battibecchi e veti, in particolare dalla Russia. L’impasse è stata risolta grazie a un accordo tra Azerbaijan e Armenia, che fino a poco tempo fa erano rivali a causa del conflitto nel Nagorno Karabakh.

Il fronte euro-atlantico non sembra turbato né dall fatto che l’Azerbaijan sia un esportatore incallito di combustibili fossili (che costituiscono il 90% dell’export) né che abbia gravissime restrizioni sulla libertà d’espressione, come dimostrato dall’arresto di un ricercatore critico nei confronti dell’industria petrolifera locale. Vedere il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che ha deriso la quinta vittoria alle presidenziali di Vladimir Putin a metà marzo, avere una cordiale conversazione telefonica con il presidente Ilham Aliyev per la sua ennesima vittoria in elezioni-farsa (certificate da quelli che delle ong hanno definito “fake observers”) e leggere il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, congratularsi con Aliyev nella stessa occasione, sono tutti duri colpi alla retorica sull'”ordine liberale“.

A preoccupare gli osservatori c’è piuttosto la minaccia, da parte di Baku, di complicare il processo di pace con l’Armenia e addirittura di impossessarsi di ulteriori porzioni di territorio armeno dove risiedono degli azeri. La logica vorrebbe che l’Azerbaijan non scherzi troppo col fuoco, considerato il buon momento del suo rapporto con l’Unione europea, che ha preso a cuore l’Armenia in chiave anti-russa. Tuttavia, l’appoggio a Baku della Turchia e il ruolo di mediatore della Russia, interessata a spingere il Caucaso lontano dall’Occidente, potrebbero rendere in futuro la posizione di Aliyev sempre più imprevedibile. Una forza regionale capace di ricattare l’Europa come una Turchia in miniatura?

Le ambizioni di Baku

L’Azerbaijan si sta godendo per ora il suo ruolo di alleato-chiave, approfittando di quella realpolitik che porta l’Unione europea a rivolgersi a chiunque le possa servire a riscaldarsi. Non va dimenticato come una quota rilevante di transito del gas russo verso l’Europa dell’est e centrale passi ancora attraverso l’Ucraina, a un ritmo di 35-40 milioni di metri cubi al giorno, anche se i volumi sono stati ridotti a circa un terzo dei livelli prebellici. Il mero fatto che questi flussi di transito persistano durante la guerra, e possano essere tagliati da Mosca come vendetta per gli attacchi ucraini alle raffinerie russe, costringe i leader europei a non dormire sugli allori.

Intanto gli introiti accresciuti regalano a Baku anche il lusso presentarsi come un Paese con ambizioni green: ha ratificato l’Accordo di Parigi nel 2016, impegnandosi a ridurre le emissioni del 30% entro il 2030, e sta investendo significativamente nelle energie rinnovabili, inclusi parchi eolici nel Caspio e idrogeno verde. Nel lungo termine, l’Azerbaijan ambisce a diventare un hub cruciale sia per le forniture di elettricità e gas naturale verso l’Unione europea, con progetti come la costruzione di un cavo sottomarino nel Mar Nero, supportato anche dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Se tutto questo sia compatibile con gli slogan su diritti umani e stato di diritto di cui si è riempita la bocca l’Europa negli ultimi due anni, sembra al momento secondario.

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Gli Armeni e la Calabria, Marco Rovinello: «Una presenza che dice tanto sui processi e sui meccanismi migratori» (Avvenire di Calabria 07.04.24)

Abbiamo avuto necessità di chiedere aiuto agli studiosi di Storia per comprendere nel modo più corretto possibile e più vicino alla realtà le vicende che riguardano il popolo armeno, a pochi giorni dal prossimo convegno dell’8 maggio 2024, che avrà luogo presso l’UNICAL su iniziativa della Delegazione regionale della Calabria del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale, del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università della Calabria e dell’Ambasciata della Repubblica armena in Italia.

Il Professore Marco Rovinello, docente di Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Unical, ci condurrà in questo iniziale percorso di preziose scoperte.

Professore, l’Università della Calabria e il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali hanno organizzato per il prossimo 8 maggio, in collaborazione con il MEIC e l’Ambasciata armena in Italia, una giornata di studi dal titolo Gli Armeni. Storia, Cultura, Testimonianze. Ci può presentare l’iniziativa e spiegarne le ragioni?

Sì, certo. L’iniziativa nasce dalla volontà dell’Università e del DISPeS di rispondere al desiderio espresso dal MEIC di approfondire un tema importante della storia e della contemporaneità come quello relativo agli Armeni, e di farlo con gli strumenti propri del mondo scientifico e accademico. È per questo che si è scelto di organizzare un momento di riflessione e di studio su alcuni degli aspetti e dei momenti più importanti del passato e del presente del popolo armeno e delle aree più interessate dalle sue vicende. E, considerata la complessità delle questioni, si è deciso di adottare una prospettiva pluridisciplinare e di invitare a relazionare alcuni dei massimi esperti italiani del tema, facendo sì che questa giornata di studi diventasse anche una preziosa occasione di incontro e confronto fra la comunità scientifica e studentesca dell’Unical e studiosi noti come il prof. Flores dell’Università di Siena, che parlerà del genocidio; i proff. Ferrari e Ruffilli dell’Università di Venezia, che parleranno di Nagorno-Karabakh e dell’esodo degli Armeni dell’Artsakh; il prof. Strano, che analizzerà la presenza armena nell’Italia meridionale. Il rigore scientifico, che vuole essere il tratto distintivo dell’iniziativa, avrà poi un elemento complementare e altrettanto rilevante nella parte pomeridiana della giornata, dedicata alle testimonianze di Boris Ghazarian e di Tehmina Arshakyan, dell’Associazione Armeni di Calabria. Insomma, un esempio credo virtuoso di come l’università possa proficuamente aprirsi alla domanda di cultura del territorio e moltiplicare le occasioni di apprendimento per i suoi studenti, affrontando anche temi delicati in maniera il più possibile interdisciplinare, sempre rigorosamente scientifica e, spero, interessante e coinvolgente anche per i più giovani.

Professore, quando si parla di Armenia il pensiero corre subito a quello che definiamo il loro genocidio. Ci aiuta a comprenderne la nascita e le conseguenze di questa terribile pagina di storia?

La risposta a questa domanda richiederebbe le competenze specialistiche del prof. Flores, oltre a tempo e spazio che una breve intervista non può ovviamente concedere. Per almeno inquadrare la questione del genocidio armeno si deve però senz’altro sottolinearne alcuni aspetti che spesso sfuggono nelle vulgate che circolano in gran numero nel discorso pubblico e, ahimè, non di rado anche nelle ricostruzioni ipersemplicistiche e storiograficamente poco aggiornate proposte da buona parte della manualistica scolastica. Intanto, il genocidio armeno affonda le sue radici ben prima della Grande guerra, in concomitanza della quale si tende invece a parlarne. Tralasciando i pogrom anti-armeni avvenuti in altri paesi, per esempio nell’Impero russo durante la Guerra russo-giapponese del 1905, sin dal tardo Ottocento il governo dell’Impero ottomano avvia infatti politiche riconducibili a logiche di “chirurgia demografica”, che hanno lo scopo precipuo di turchizzare l’Anatolia a scapito delle popolazioni non turche presenti sul territorio. Si tratta di un piano che, nell’idea del sultano, deve anche servire a risolvere il problema di ricollocare i sudditi di nazionalità turca espulsi dalle aree d’Europa perdute dall’Impero a seguito della Guerra russo-turca del 1877-1878 e delle indipendenze conquistate da diversi stati balcanici. Ma è non di meno un atteggiamento coerente con la progressiva tendenza delle classi dirigenti ottomane a perseguire un modello di Stato-nazione d’impronta occidentale, che lascia sempre meno spazio a quel pluralismo etnolinguistico e religioso a lungo caratteristica fondamentale e punto di forza degli assetti socio-economici e politici dell’Impero. E tanto più questa linea si rafforza con la rivoluzione dei Giovani turchi fra il 1908 e il 1913, altro momento in cui gli Armeni sono oggetto di violenze come ad Adana nel 1909. Il primo conflitto mondiale non fa dunque che portare all’estremo questa tensione verso la costruzione e l’affermazione della nazione turca a discapito degli altri popoli da secoli parte del mondo ottomano. Del resto, questo nazionalismo intriso di sospetto e intolleranza nei confronti delle minoranze e dei cittadini di nazionalità nemica si registra anche in tanti altri paesi belligeranti, e si traduce in forme di concentramento forzato, espropriazioni, denaturalizzazioni e altre forme di repressione e discriminazione.

Perché, professore, di questo massacro se ne ha memoria, fino a parlare di “genocidio dell’Armenia” e di altri massacri non più?

Beh, alcuni altri massacri, peraltro non solo novecenteschi, sono ormai pagine di storia ampiamente conosciti, dallo sterminio nazista e dall’Holodomor in Ucraina, fino alle violenze del regime maoista e a quelle connesse all’imperialismo. E, a dirla tutta, il genocidio armeno è, per assurdo, più misconosciuto di altri. Eppure quanto accade agli Armeni durante la Grande guerra non ha eguali nell’Europa di quegli anni, con i massicci arresti dell’élite armena a partire dall’aprile del 1915 e poi la deportazione e l’uccisione di almeno un milione di persone: un massacro che ha prodotto la scomparsa di circa il 90% della comunità armena in Anatolia e che costituisce un tassello importante di quella che è stata chiamata “L’epoca del genocidio”. Un’opera sistematica di distruzione di quel gruppo religioso e culturale la cui storia è peraltro a sua volta, da decenni ormai, oggetto di una battaglia di memorie tutt’ora in corso e dalle pesanti conseguenze non solo sulle vicende nazionali di diversi paesi dell’area ma anche sulle relazioni internazionali (si pensi solo al suo peso nella mancata adesione della Turchia all’Unione Europea).

Qual è il ruolo del Nagorno-Karabakh nella storia di questo Paese?

Anche qui, la questione è tutt’altro che semplice. Con riferimento all’età contemporanea, da non specialista credo si possa comunque affermare senza tema di smentita che la vicenda del Nagorno-Karabakh rappresenta, se non altro, un esempio paradigmatico di alcuni fenomeni di grande rilievo che hanno segnato il Novecento. È infatti la rivoluzione bolscevica dell’ottobre 1917 e la sua affermazione attraverso le guerre civili degli anni successivi, a porre in termini in parte nuovi il problema dell’integrazione dell’Armenia e dell’Azerbaigian nella nascente Unione Sovietica, e quindi della gestione dei rispettivi sentimenti nazionali e confini territoriali. Benché abitata in larghissima parte da armeni, la piccola regione interna del Nagorno-Karabakh viene infine posta sotto il controllo della Repubblica Socialista Sovietica Azera, forse come strumento per meglio gestire le tensioni nella complicata regione del Caucaso, forse per mantenere buoni rapporti con la repubblica turca nata dopo la Grande guerra. Tuttavia, essa non cessa di costituire oggetto delle rivendicazioni armene, dimostrando in maniera evidente quanto sentimenti e movimenti nazionalisti costituiscano un problema costante e centrale nella costruzione e nella gestione dell’identità sovranazionale e dello Stato sovietici. E non è un caso che proprio la mai sopita questione del Nagorno-Karabakh riemerga con forza non appena si va profilando il collasso dell’URSS a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta.

Professore, si può parlare senza tema di smentite di una forte natura verso l’autonomia insita nel popolo armeno?

Probabilmente non piu di quanto non si possa fare con riferimento a diversi altri popoli, confluiti nell’Unione sovietica (si pensi solo agli ucraini). Tuttavia, nella seconda metà degli anni Ottanta quello armeno è fra i movimenti di matrice nazionalista che rivendicano maggiore autonomia per le repubbliche sovietiche periferiche e contestano a Mosca il suo sempre più asfissiante accentramento russificante. E, da subito, questa richiesta si fonde con quella di ottenere la regione da tempo ambita, portando nel 1987 a scontri interetnici fra azeri e armeni. Già a inizio 1988 queste tensioni si trasformano in quella che si usa chiamare la Prima guerra del Nagorno-Karabach: un conflitto segnato da violenti pogrom come quello anti-armeno di Sumgait, in Azerbaigian, e da scontri armati che provocano l’esodo di circa 200.000 armeni e oltre 800.000 azeri. Il che aiuta a comprendere meglio alcune delle dinamiche e delle tensioni alla base della dissoluzione dell’URSS, mostrandone una faccia e delle conseguenze spesso poco note a chi guarda al crollo blocco sovietico e dell’URSS da Occidente, con in mente piuttosto le festose immagini del crollo del Muro di Berlino o quelle più solenni e dimesse del “Discorso di Natale” di Gorbačëv.

La Calabria ospitò gli Armeni. Quando? Restano tracce?

Su questo davvero non posso che rimandare ai lavori e all’intervento del prof. Strano, che peraltro affronta la questione a partire da epoche remote e consente dunque di ragionare sul lungo periodo di una presenza che senza dubbio è risalente. Quello che posso dire io, che in passato mi sono occupato di storia delle migrazioni nel Mezzogiorno ottocentesco, è che storie come quella della presenza armena in Calabria possono probabilmente dirci tanto su processi e meccanismi migratori di epoche per troppo tempo ritenute da certa storiografia come caratterizzate da una sorta di paradigma omeostatico. E forse ancor di più possono insegnarci sui fattori e sulle dinamiche che intervengono nei processi di costruzione identitaria collettiva, di integrazione o, al contrario, di alterizzazione, che segnano la presenza di gruppi di persone alloglotte e di diversa religione/confessione sul territorio della penisola italiana. Chi resta, è percepito e si percepisce straniero, e perché? Chi riesce invece a integrarsi e stempera la sua originaria alterità, magari mediante matrimoni esogamici e interconfessionali oppure attraverso la costruzione di reti di relazioni di carattere prevalentemente professionale? Quali transfer e forme di ibridazione si registrano fra le diverse comunità etno-nazionali e linguistico-religiose residenti in quelle stesse zone, ivi comprese quelle indigene? Attraverso quali canali queste culture comunicano e come esse si appropriano e risignificano i patrimoni culturali e i lasciti altrui? In che modo il carattere strutturalmente transnazionale dei gruppi diasporici s’interseca con questi processi e influisce sulla capacità degli altri di inserirsi a loro volta in processi/dinamiche inter e transnazioali? Come tutto ciò cambia nel tempo, in funzione di fattori, solo per fare qualche esempio, di carattere politico-istituzionale (regimi al potere, statualità, relazioni internazionali, conflitti, etc.), socio-economico (periodi di prosperità, crisi, etc.), tecnologico (disponibilità di mezzi di trasporto e comunicazione migliori, etc.), culturale (livello di alfabetizzazione, diffusione della poliglossia, etc.) o normativo (legislazioni confessionali, discriminatorie, etc.). Ecco, ricostruire la presenza armena in Calabria nel passato e guardare a quella di oggi significa confrontarsi con tutte queste grandi questioni. E forse, più in generale, a far riflettere su cosa significhino anche oggi termini spesso semplicisticamente utilizzati nel discorso pubblico come “migrare”, “ospitare”, “straniero” e così via.

* Presidente del Meic di Crotone ed incaricata dalla delegazione regionale del Meic Calabria per i rapporti con la stampa

In foto: Noraduz, uno dei posti più famosi e tipici dell’ Armenia per la grande presenza di khachkar (Scatto di Giorgio Arconte)

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Iran, Armenia e Azerbiagian: un difficile equilibrio di potere nel Caucaso (Scenari Economici 07.04.24)

L’Iran, estremamente attivo nel settore mediorientale, deve adattarsi a una diversa realtà nel quadrante caucasico, dove la situazione è in rapida evoluzione.

Due importanti sviluppi degli ultimi anni – la riconquista del Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaigian e l’invasione immotivata dell’Ucraina da parte della Russia – hanno creato nuove aperture diplomatiche per l’Iran. Il mutato ambiente geopolitico ha permesso all’Iran e all’Azerbaigian di appianare quella che per gran parte del periodo post-sovietico era stata una relazione spinosa. Allo stesso tempo, i legami tradizionalmente stretti dell’Iran con l’Armenia sono sempre più tesi. Ma le cose sono sempre in evoluzione.

A marzo, i ministri degli Esteri dell’Iran e dell’Azerbaigian, Hossein Amir-Abdollahian e Jeyhun Bayramov, si sono incontrati a margine della riunione dell’Organizzazione della Conferenza Islamica in Arabia Saudita, concordando il ritorno del personale diplomatico azero a Teheran. Baku aveva ritirato i suoi diplomatici dopo un attacco armato all’ambasciata all’inizio del 2023, che aveva causato la morte di un cittadino azero.

Il riavvio diplomatico si è verificato non molto tempo dopo che Baku e Teheran avevano risolto un’altra tensione, firmando lo scorso autunno un accordo per la costruzione di un collegamento ferroviario noto come corridoio di Aras. Il percorso collegherà l’Azerbaigian continentale alla sua exclave di Nakhchivan attraverso il territorio iraniano. In precedenza, l’Azerbaigian aveva cercato di costruire un percorso più diretto, noto come corridoio Zangezur, ottenendo diritti extraterritoriali dall’Armenia. L’Iran si era opposto a Zangezur perché temeva che avrebbe creato una barriera al commercio iraniano-armeno.

Il corridoio di Aras che collega Azerbaigian e Nackhvan evitando il territorio armeno

Problemi con l’Armenia

Mentre le relazioni tra Iran e Azerbaigian stanno migliorando, quelle tra Iran e Armenia hanno avuto dei problemi.

Lo stesso giorno di marzo in cui i ministri degli Esteri dell’Azerbaigian e dell’Iran hanno ripristinato le piene relazioni diplomatiche, il ministro della Difesa dell’Armenia, Suren Papikyan, si è recato a Teheran per un incontro con gli alti funzionari iraniani, i quali hanno lanciato un fermo monito affinché Yerevan non si avvicini troppo a “partiti extra-regionali”. La frase era un chiaro riferimento alla recente coltivazione di legami di sicurezza di Yerevan con le potenze occidentali, tra cui Francia e Stati Uniti. Il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan ha riconosciuto le tensioni con Teheran.

Altri fattori geopolitici stanno spingendo Teheran e Yerevan in direzioni divergenti. In primo luogo, le tensioni in Medio Oriente legate al conflitto tra Israele e Hamas hanno sollevato la possibilità di un allargamento della guerra per coinvolgere gli alleati iraniani e forse anche l’Iran stesso. Ciò ha spinto Teheran a coprire i rischi adottando misure per garantire la calma al suo confine settentrionale. Ricordiamo che, comunque, Baku e Washington hanno buoni rapoorti e che nel nord dell’Iran vi è una forte minoranza azera che potrebbe diventare obiettivo di una mobilitazione filo occidentale.

L’Armenia ha anche sperimentato un rapido deterioramento delle relazioni con la Russia, a causa della percezione diffusa tra gli armeni che Mosca non sia stata all’altezza dei suoi impegni di sicurezza con Yerevan durante la fase più recente del conflitto del Karabakh. Di conseguenza, l’Armenia sta cercando di diversificare i suoi partner stranieri, in particolare le potenze occidentali.

L’intenzione recentemente espressa dall’Armenia di richiedere l’adesione all’Unione Europea potrebbe essere un’irritazione duratura nei legami di Yerevan con Teheran, per quanto questa richiesta, in questa fase, appaia irrealistica. Il processo di adesione richiederebbe all’Armenia di apportare importanti cambiamenti per allineare la sua politica estera a Bruxelles. Tra questi requisiti vi sarebbe l’abolizione del regime di esenzione dal visto dell’Armenia con l’Iran e il riorientamento del commercio di Yerevan lontano dall’Unione Economica Eurasiatica guidata da Mosca, con la quale l’Iran ha firmato un accordo di libero scambio.

L’inasprimento delle relazioni armeno-russe contrasta fortemente con il rafforzamento dei legami di Teheran con Mosca, una tendenza guidata in parte dallo sviluppo della rotta commerciale Nord-Sud, che aiuta la Russia a mitigare l’impatto delle sanzioni occidentali. L’espansione di questo tipo di commercio incoraggia una più stretta collaborazione tra Iran e Azerbaigian per facilitare il transito delle merci destinate alla Russia.

Essendo due Paesi pesantemente sanzionati, l’Iran e la Russia sono uniti da un senso di “solidarietà inter-paria”. L’Iran ha fornito alla Russia i droni che quest’ultima ha impiegato contro l’Ucraina. In cambio, l’Iran si aspetta che la Russia svolga un ruolo fondamentale nell’aggiornamento dei suoi sistemi di difesa aerea. Nel 2023, la Russia ha superato la Cina come principale investitore straniero in Iran, anche perché comunque Mosca ha un notevole know-how nel settore energetico. Al contrario, le prospettive di impegno dell’Iran con l’Occidente sono diminuite.

Teheran cerca di bilanciarsi

Nonostante il miglioramento dei legami con Baku e il colpo di mano diplomatico di Yerevan, sarebbe prematuro supporre che Teheran sia intenzionata a modificare la sua politica del Caucaso per schierarsi fermamente con l’Azerbaigian a spese dell’Armenia. L’Iran non considera la geopolitica del Caucaso come un gioco a somma zero. I funzionari iraniani, ad esempio, continuano a sostenere costantemente la sovranità e l’integrità territoriale dell’Armenia. Anche se Teheran persegue la normalizzazione con Baku, i funzionari iraniani sono determinati a fare tutto il possibile per mantenere aperta e fluida la rotta commerciale del Paese verso l’Armenia.

Nonostante l’accordo sul corridoio di transito Aras con l’Azerbaigian, l’Iran vuole diversificare la sua rete commerciale, sperando di sviluppare un’altra rotta ferroviaria attraverso l’Armenia e la Georgia verso il Mar Nero. L’ambasciatore iraniano in Armenia, Mehdi Sobhani, ha recentemente ribadito questi punti, con l’irritazione dei media filogovernativi di Baku.

Per Teheran, le forti relazioni strategiche dell’Azerbaigian con Israele sono  un fattore in grado di scuotere rapidamente le relazioni irano-azere. La volatilità in Medio Oriente, sottolineata dal recente attacco missilistico israeliano contro un consolato iraniano in Siria che ha ucciso due generali iraniani, può portare l’Iran in conflitto diretto con Israele, sconvolgendo la capacità dell’Azerbaigian di essere amico di due nemici.

In questo contesto, anche se l’Iran potrebbe non essere entusiasta della crescente presenza occidentale, in particolare francese, in Armenia, tale presenza aiuta in qualche modo a bilanciare l’influenza azera nel Caucaso. In effetti, il sostegno alla sovranità dell’Armenia è una delle poche cose su cui l’Occidente e l’Iran sembrano essere d’accordo oggi.

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Continua la tensione tra Armenia ed Azerbaigian (Renovatio21 07.04.24)

Armenia e Azerbaigian si sono scambiati accuse su diversi recenti casi di scaramucce nelle regioni di confine, con Yerevan che ha criticato Baku per quello che ha definito un tentativo di attirarla in una risposta militare sproporzionata.

In una dichiarazione di sabato, il ministero della Difesa armeno ha affermato che l’esercito azerbaigiano ha aperto più volte il fuoco durante la notte in direzione delle forze di Yerevan in un paio di zone di confine.

Funzionari armeni, tuttavia, hanno notato che la maggior parte degli spari erano «non mirati e irregolari», aggiungendo che venerdì sera Yerevan ha osservato un ridispiegamento di veicoli militari azeri.

Il ministero ha suggerito che tali azioni avevano cercato di indurre l’Armenia a rispondere in modo tale da portare alla realtà quella che Yerevan ha definito «disinformazione azerbaigiana» sulla questione.

«La macchina di propaganda azera ha diffuso false informazioni… cercando di dipingere la consueta rotazione delle unità delle forze armate armene come un presunto raggruppamento in prima linea», ha detto il ministero.

Poiché le forze armene si sono astenute dall’escalation delle tensioni, la situazione si è presto stabilizzata, si legge nella dichiarazione.

Apparentemente il ministero si riferiva a filmati condivisi dai media azeri che pretendevano di mostrare una colonna di truppe armene non lontano dalla regione azera di Zangezur orientale, scrive RT. L’Azerbaijan ritiene che l’intera area di Zangezur sia cruciale per il suo sforzo di stabilire una via di trasporto sostenibile attraverso il territorio armeno fino alla sua exclave senza sbocco sul mare di Nakhchivan.

Il ministero della Difesa dell’Azerbaigian, tuttavia, ha offerto una versione diversa degli eventi. Ha affermato che sono stati i militari di Yerevan ad aprire il fuoco sui soldati azeri, aggiungendo che nelle ultime 24 ore sono stati registrati più di 30 casi di spari.

Le attuali tensioni tra Armenia e Azerbaigian risalgono ai giorni del tramonto dell’Unione Sovietica, quando scoppiò una disputa sulla regione del Nagorno-Karabakh.

Negli ultimi decenni i due Paesi sono stati impegnati in una serie di sanguinosi conflitti per l’autoproclamata repubblica. Nel 2023, Baku è riuscita a riprendere il controllo del Nagorno-Karabakh, innescando un esodo di massa degli armeni che costituivano la maggioranza etnica della zona.

Come riportato da Renovatio 21, l’esodo degli armeni dell’Artsakh (così chiamano l’area) arriverebbe a contare 100 mila persone, in una zona dove la popolazione armena ha un numero di poco superiore. Le immagini del corridoio di Lachin intasato da vetture di famiglie che fuggono sono a dir poco impressionanti.

Il disastro era arrivato in un momento dove la frattura tra il governo armeno e il Cremlino, che finora aveva agito proteggendo Yerevan, è divenuta molto visibile.

Il primo ministro Pashinyan, cedendo alle lusinghe dell’Ovest, ha irritato giocoforza la Russia, che è l’unico Paese che si era impegnato davvero per la pace nell’area. Mosca non può aver preso bene né le esercitazioni congiunte con i militari americani (specie considerando che Yerevan aderisce al CSTO, il «Patto di Varsavia» dei Paesi ex sovietici) né l’adesione dell’Armenia alla Corte Penale Internazionale, che vuole processare Putin.

Bisogna aggiungere anche i rapporti dell’Occidente con Baku, considerato un fornitore energetico affidabile e ora piuttosto necessario all’Europa privata del gas russo. L’Azerbaigian è una delle ex repubbliche sovietiche ritenute più strategicamente vicine all’Occidente: si consideri inoltre le frizioni con l’Iran e quindi il ruolo nel contenimento degli Ayatollah.

Nella capitale armena si sono tenute nei giorni dell’esodo manifestazioni di protesta con masse inferocite che hanno gridato a Pashinyan di essere un traditore. Parimenti, si dice sia grande la delusione degli azeri nei confronti della Russia, che li avrebbe lasciati soli nonostante le promesse fatte in questi anni.

Da segnalare la visita concomitante del presidente turco Erdogan, aperto sostenitore di Baku e la sua guerra anti-armena con ampie forniture di armi ed altro, presentatosi subito in Nagorno-Karabakh. «Si è aperta una finestra di opportunità per risolvere la situazione nella regione», aveva detto Erdogan. «Questa opportunità non deve essere persa». Era stato accompagnato nel suo viaggio dal capo dell’Agenzia turca per l’industria della difesa, Haluk Gorgun.

Come riportato da Renovatio 21, il clan Erdogan farebbe affari milionari in Nagorno-Karabakh e la Turchia, come noto, è già stata accusata di genocidio per il massacro degli armeni ad inizio Novecento.

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Il Duo Lacko-Khachatryan in concerto per la stagione della Dima (LaNazione 06.04.24)

Dopo il successo dei Concerti degli scorsi mesi, che ha visto protagonisti in Casa Petrarca i maltesi Pierre Louis Attard e Colin Attard al pianoforte, il Forte Trio, trio di Stato della Repubblica del Kazakistan e Trio InBreve dalla Francia, prosegue la stagione concertistica con il Duo Lacko-Khachatryan, violino e pianoforte. Appuntamento oggi sabato 6 aprile, alle ore 18 nella Sala Concerti Dima sede della Casa Petrarca, in via dell’Orto n. 30 ad Arezzo. Il duo, formato da musiciste dalla carriera internazionale, propone un programma ricco e variegato: Venti dell’Est. Musiche dall’Ungheria e dall’Armenia è un viaggio musicale nella cultura ungherese e quella armena con l’esecuzione di alcuni compositori che le rappresentano. In particolare Bartok (ungherese) e Komitas (armeno) si accomunano per il grande lavoro etnomusicologico svolto nella loro vita. Un lavoro di ricerca dei canti della tradizione popolare armena per Komitas e dell’Europa orientale per Bartok. Il programma prevede l’esecuzione delle famosissime Danze rumene di Bartok nella versione per violino e pianoforte e Tre Danze ungheresi di Leo Weiner. Dell’Armenia verranno eseguite due danze del balletto Gayaneh di Khachaturian e una serie di brani di Komitas nella versione per violino e pianoforte. Komitas, emblema della cultura armena, ma figura poco conosciuta al mondo occidentale, svolse un lavoro etnomusicologico importantissimo tramandando la musica popolare attraverso una serie di registrazioni e trascrizioni realizzate da lui stesso. Raccolse un patrimonio immenso che comprendeva canti legati alla coltivazione dei campi, canti patriottici, canti d’amore, canti rituali per nozze, danze e anche ninna nanne. Renata Lacko ha collaborato con diverse orchestre in Ungheria, Svizzera, Germania e Italia. Si è esibita in più di 20 paesi nelle sale più celebri del mondo.

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La scelta dell’Armenia. Una scossa europeista nel Caucaso che irrita russi e azeri, turchi e iraniani (Haffingtonpost 06.04.24)

L’Armenia stringe legami sempre più forti con l’Occidente, tanto che potremmo dire che si sta “ucrainizzando”. Ciò fa irritare non poco la Russia, l’Iran, l’Azerbaigian e la Turchia. L’incontro di alto livello che si è tenuto a Bruxelles venerdì 5 aprile tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, il segretario di Stato americano Antony Blinken e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e l’Alto Rappresentante per la politica estera europea Josep Borrell, è stato per certi versi storico. L’Unione europea diventa partner di fiducia dell’Armenia che prende sempre più le distanze da Mosca, mentre Washington rafforza la sua cooperazione anche militare con Yerevan.

Bruxelles vuole togliere dal cortile di casa della Russia il suo alleato della regione caucasica e dare inizio con Yerevan ad un partenariato molto stretto al quale potrebbe seguire la richiesta armena del riconoscimento di paese candidato. È pronta a stanziare 270 milioni di euro per un Piano di resilienza e crescita per Yerevan per il periodo 2024-27, secondo quanto annunciato dalla presidente Ursula von der Leyen al premier armeno durante il vertice trilaterale con gli Usa. Il Piano sosterrà l’economia e la società armena, le sue piccole e medie imprese e finanzierà progetti infrastrutturali e commerciali. L’Ue si è anche impegnata a soddisfare le esigenze dei centomila armeni costretti a fuggire dal Nagorno Karabakh dopo l’assalto azero del 19 settembre 2023. “Oggi manteniamo una promessa fatta all’Armenia lo scorso ottobre: stabilire una visione per il futuro del nostro partenariato economico”, ha detto Ursula von der Leyen durante la conferenza stampa congiunta.

L’obiettivo di Washington e di Bruxelles è di staccare l’Armenia dall’orbita della Russia e sostenere la sua economia di fronte alle crescenti tensioni nella regione. Per questo è necessario che l’economia e la società armena diventino più robuste e stabili di fronte agli shock energetici stanziando fondi per l’elettrificazione e nuovi progetti di energia rinnovabile. A sua volta Yerevan lavora per tagliare i legami con la Russia, che possiede gran parte della sua rete energetica e delle sue infrastrutture, ma che non è riuscita a garantire sicurezza agli armeni nelle dispute con il vicino Azerbaigian, diventato in quest’ultimi mesi sempre più minaccioso.

Armenia, Stati Uniti e Ue hanno rilasciato una dichiarazione congiunta ufficiale che riassume l’incontro di Bruxelles. Nel documento finale si riafferma il sostegno alla sovranità, alla democrazia, all’integrità territoriale e alla resilienza socioeconomica dell’Armenia. L’Ue e gli Usa sostengono un futuro stabile, pacifico, sicuro, democratico e prospero per l’Armenia e la regione. Inoltre, Bruxelles e Washington hanno riconosciuto i progressi sostanziali compiuti da Yerevan dal 2018 con le riforme democratiche del suo sistema giudiziario, sulla lotta alla corruzione e l’impegno preso dal governo Pashinyan teso a rafforzare ulteriormente la sua democrazia e lo Stato di diritto in linea con i princìpi e gli ordinamenti comunitari. L’Ue continuerà a sostenere l’Armenia nel suo percorso di riforma attraverso l’attuazione dell’accordo di partenariato globale e rafforzato (Cepa). L’amministrazione Biden prevede di fornire oltre 65 milioni di dollari a Yerevan. Infine, l’Ue e gli Usa hanno accolto con favore l’impegno dell’Armenia per una migliore connettività con il mondo esterno grazie all’iniziativa denominata “Crocevia della Pace”, un corridoio attraverso il quale promuovere la prosperità condivisa e la diversificazione economica e commerciale regionale.

L’incontro tra Pashinyan, Blinken e von der Leyen ha suscitato tensioni nel Caucaso meridionale.

L’Azerbaigian aveva accusato l’Armenia di ammassare truppe lungo il suo confine con l’exclave azera del Nakhchivan situata in territorio armeno, ma sia il governo armeno che la missione di monitoraggio dell’Ue, schierata lungo il confine tra Armenia e Azerbaigian dalla fine del 2022, hanno respinto questa notizia come infondata. Baku critica Bruxelles e Washington contestando l’organizzazione di questo vertice che a suo dire traccerebbe “linee di divisione geopolitica” nel Caucaso meridionale alimentando le dispute locali. Stati Uniti e Ue hanno risposto cercando di tranquillizzare il presidente azero İlham Aliyev precisando che l’incontro era incentrato su questioni economiche e che non avrebbe incluso le questioni relative al processo di pace in corso tra l’Armenia e l’Azerbaigian. Sia Blinken che von der Leyen, prima del vertice, hanno avuto su tale questione un colloquio telefonico con Aliyev. Anche la Turchia non ha salutato con favore questo incontro perché considerato una interferenza sul tentativo in corso di soluzione delle dispute tra i due vicini del Caucaso meridionale.

L’Armenia ha di fatto sospeso la sua adesione all’alleanza militare dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto) guidato dalla Russia e aveva invitato le truppe statunitensi ad addestrarsi nel suo paese, ha inviato aiuti militari all’Ucraina e ora sta manifestando l’intenzione di aderire all’Ue. L’Armenia, dalla rivoluzione di velluto del 2018, è una democrazia, certamente imperfetta, ancora incompiuta, ma della quale bisogna riconoscere gli enormi passi in avanti compiuti grazie a un leader filoccidentale come Pashinyan che Mosca vorrebbe rovesciare. In Armenia si svolgono libere elezioni, mentre in Azerbaigian vi è un’autocrazia feroce, sul modello moscovita, dove la dinastia Aliyev (padre e figlio) è al potere da un quarto di secolo, dove Aliyev vince le elezioni con oltre il 90%, dove i partiti d’opposizione in realtà non esistono, dove oppositori e giornalisti sono in galera, ecc. Pashinyan è uno scrittore, poeta e giornalista, oltre che il primo ministro dell’Armenia. Sta attuando una politica progressista e di anticorruzione e ha ottenuto grandi risultati negli ultimi anni. È un pacifista, convinto di dover e poter risolvere le dispute con il dialogo e la trattativa. L’attacco azero del settembre scorso nel Nagorno Karabakh, che ha costretto tutta la popolazione armena a fuggire da quella enclave, è visto a Yerevan con preoccupazione come un primo passo di Baku per altre rivendicazioni territoriali. Si teme infatti che, forte del supporto militare della Turchia, l’esercito azero possa occupare quell’area cuscinetto situata tra l’Azerbaigian e la sua exclave del Nakhchivan a maggioranza azera situata in territorio armeno.

Tra Armenia e Azerbaigian è in corso un processo di dialogo bilaterale che dovrebbe portare alla normalizzerebbe delle relazioni tra i due paesi dopo trent’anni di conflitto, ma c’è ancora la minaccia di violenza dentro e intorno all’Armenia meridionale, nella regione chiamata Syunik, storicamente nota come Zangezur, ancora teatro di scaramucce tra i due eserciti e dove agli osservatori della missione di frontiera dell’Ue (Euma) viene negato l’accesso da parte delle guardie di frontiera russe. Il 7 febbraio, il presidente İlham Aliyev si è fatto rieleggere in elezioni farsa per un quinto mandato forte della vittoria militare dello scorso settembre, quando le sue forze occuparono il Nagorno Karabakh con un’operazione lampo, nonostante un negoziato in corso con Ue e Stati Uniti che avrebbe risolto le dispute pacificamente e in maniera equa. Invece Aliyev ha voluto ribaltare la questione tutta a suo favore con la forza delle armi nonostante gli impegni presi con Bruxelles e Washington. L’esercito azero ha di fatto costretto l’intera popolazione armena alla fuga dal Nagorno Karabakh risolvendo così, con la violenza brutale, la disputa decennale riguardante l’enclave armena in territorio azero.  Baku ha ritenuto che quello fosse il momento giusto per tornare a mostrare i muscoli a Yerevan, anche perché la sua influenza sulla Russia era aumentata a causa della necessità di Mosca di assicurarsi l’apertura di rotte di transito verso l’Iran, cosa che poteva e che può avvenire solo attraverso l’Azerbaigian.  Inoltre, Baku si fa forte anche del fatto che pensa di essere diventata sempre più una fonte di gas naturale preziosa per l’Europa a causa del crollo dell’erogazione del gas russo nel continente.

L’atteggiamento di laissez-faire di Mosca nei confronti di Yerevan è legato a due fattori principali. Uno è l’ostilità viscerale del dittatore Putin nei confronti delle rivoluzioni colorate che in Armenia hanno determinato la vittoria del filoccidentale Nikol Pashinyan. L’altro fattore è l’attuale dipendenza di Mosca dall’Azerbaigian attraverso la quale la Russia venderebbe il suo petrolio all’Europa confezionato come azerbaigiano. Le relazioni dell’Armenia con il suo tradizionale benefattore, la Russia, si sono deteriorate dopo la rivoluzione democratica del 2018 che scosse l’oligarchia filorussa e portò al potere Pashinyan, l’attuale leader. Ora la Russia minaccia il leader armeno per la “direzione “occidentale verso cui sta indirizzando il suo paese. Mosca vede questa crisi come un’opportunità per sbarazzarsi di un’Armenia che guarda sempre più all’Occidente e per questo cerca di provocare un cambio di regime a Yerevan. Dall’ascesa al potere di Pashinyan con la Rivoluzione di velluto nel 2018, la rivoluzione pacifica che segnò la fine dei regimi autoritari e fortemente corrotti, l’Armenia si è avvicinata a Washington e si è rifiutata di sostenere l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Il Parlamento armeno ha recentemente ratificato lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, ciò comporterebbe che Putin, ricercato dal tribunale dell’Aia per crimini di guerra, se si dovesse recare in Armenia, potrebbe essere arrestato e consegnato alla Corte penale internazionale.

Quello azero-armeno rimane ancora un conflitto aperto perché è ancora irrisolta la disputa sui corridoi e sui confini e non è un caso adesso che molti osservatori nel mondo arabo e in Iran guardino da vicino gli sviluppi nel Nagorno Karabakh e le varie dispute. In altre parole, gli eventi nel Caucaso meridionale ora sono visti anche come un’estensione della politica del Medio Oriente.

L’Iran aveva interessi in questa parte del Caucaso, ma il suo ruolo era piuttosto marginale. La seconda guerra del 2020 ha cambiato tutto questo. La Turchia ha dato pieno sostegno militare all’Azerbaigian, rivelatosi cruciale per ottenere una vittoria sugli armeni. Le forze di pace russe, duemila peacekeepers, furono schierate lungo la linea di contatto del Nagorno Karabakh. Il formato dell’Osce è crollato e l’Occidente è stato emarginato.  In questo contesto, dopo il 24 febbraio 2022, il conflitto si è intrecciato con la guerra d’invasione dell’Ucraina e con le più ampie dinamiche mediorientali. L’Iran ha iniziato a sostenere più da vicino l’Armenia, perché teme che l’Azerbaigian e la Turchia prendano il controllo del suo confine settentrionale. Israele sostiene l’Azerbaigian per contenere l’Iran. Il Pakistan fornisce armi a Baku e l’India le fornisce a Yerevan. Le dimensioni delle annose dispute territoriali del Nagorno Karabakh, dunque, andavano ben oltre l’enclave etnicamente armena in territorio azero. Le loro dimensioni ora si estendono. La propaganda nazionalista, da sempre presente su entrambi i lati, è adesso massicciamente diffusa da parte azera in proporzione inquietante. Basti pensare che anche recentemente il presidente azero İlham Aliyev ha usato una inquietante retorica irredentista definendo l’Armenia meridionale come “Azerbaigian occidentale” chiamata da Baku come regione del “Zangezur”, che aveva una consistente popolazione azera all’inizio del XX secolo. Lo scorso dicembre Aliyev ha annunciato la creazione di una “comunità dell’Azerbaigian occidentale” e ha affermato che quella regione è il luogo dove gli azeri “devono poter tornare nelle loro terre natali”.

L’operazione in Karabakh del settembre 2023 ha accelerato il raffreddamento delle relazioni tra l’Azerbaigian e l’Occidente, che fino all’ultimo momento aveva cercato di mediare una soluzione pacifica del conflitto. Ora le relazioni Armenia-Russia sono giunte a un punto di rottura spettacolare e l’Ue sta intensificando il suo impegno con Yerevan. Aliyev si sente forte di una doppia polizza assicurativa con i suoi due grandi vicini: una stretta alleanza con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e una partnership reciprocamente vantaggiosa con il leader russo Vladimir Putin. I tre leader parlano lo stesso linguaggio autoritario e revanscista.

I percorsi negoziali facilitati dall’Occidente a Bruxelles e a Washington e i documenti prodotti sono stati ridotti da Baku a carta straccia e sono stati di fatto archiviati nella scorsa estate. Ciò che resta è un processo bilaterale, guidato dai consiglieri per la sicurezza nazionale armeno e azerbaigiano, che lavorano per stilare un testo di un accordo di pace. Si tratta di un processo serio che ha prodotto un buon esito il 7 dicembre, quando detenuti armeni sono stati rilasciati in cambio della caduta del veto armeno alla candidatura dell’Azerbaigian all’ospitalità del vertice sul clima COP-29 che si terrà alla fine del 2024. Un processo di pace bilaterale senza mediatori ha il vantaggio che nessun programma o nessuna entità straniera potrà ostacolare l’accordo. Ma la parte armena, che si trova indubbiamente in una situazione di debolezza, teme che Baku spinga per ottenere concessioni con la minaccia dell’uso della forza come è avvenuto nell’autunno scorso.

Vi sono tre principali punti critici che si frappongono al raggiungimento di un accordo.

Il primo è quello della demarcazione dei rispettivi confini. Le mappe di epoca sovietica danno interpretazioni diverse su dove tracciare le linee di confine.
Il secondo punto critico è rappresentato dalle garanzie e dai meccanismi internazionali necessari per il monitoraggio e il rispetto degli accordi. Gli armeni chiedono il più ampio sostegno delle istituzioni internazionali, mentre gli azeri preferirebbero semplicemente la garanzia di paesi amici.
Il terzo punto critico è quello altamente controverso ed è rappresentato dalla riapertura di un corridoio di transito in territorio armeno, al confine con l’Iran, di 43 chilometri rimasto a lungo chiuso, che collega l’Azerbaigian alla sua exclave di Nakhchivan, situata al confine con la Turchia. L’Azerbaigian ha interesse a ricollegare le due parti del suo territorio con rotte che abbiano il minor controllo armeno possibile su di esse. Yerevan dal canto suo non vuole cedere la sovranità o la sicurezza sulla sua zona di confine meridionale che è strategicamente vitale.

L’Azerbaigian insiste affinché siano le guardie di frontiera del Servizio di sicurezza federale russo (Fsb) a controllare i collegamenti ferroviari e stradali di quel corridoio in virtù della dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco firmata tra Armenia, Azerbaigian e Russia il 10 novembre del 2020, dopo la sconfitta militare armena nella seconda guerra per il Nagorno Karabakh, che menziona esplicitamente questo punto. Ma quell’accordo è ormai diventato lettera morta dopo la guerra lampo di Baku nel Karabakh del settembre scorso. Tuttavia, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov insiste affinché questa parte dell’accordo venga comunque applicata.  Yerevan sta lavorando per liberarsi della tutela di Mosca compresa la presenza delle guardie di frontiera russe schierate lungo i confini armeno-azeri dopo la caduta dell’Unione sovietica.

Il governo armeno teme che vi sia già un accordo tra Baku e Mosca sulla permanenza militare russa su quel confine al quale Ankara avrebbe tacitamento aderito. Per i russi infatti il controllo di quella via di transito è strategicamente importante soprattutto dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Per Mosca, acquisire il controllo di un tratto ferroviario e autostradale che collega la Russia all’Iran e alle rotte verso il Golfo Persico, per la prima volta dopo decenni, è di fondamentale importanza strategica perché rappresenta la principale linea ferroviaria nord-sud che ha collegamenti con il Medio Oriente e l’Asia centrale, preziosi per sostenere la guerra contro l’Ucraina e la contesa con l’Occidente.

Sono dunque fondate le preoccupazioni di Bruxelles sul fatto che l’Azerbaigian non firmerebbe alcun accordo di pace se non avrà ottenuto ciò che vuole nell’Armenia meridionale. Yerevan certamente subirà sempre più forti pressioni sia da Baku che da Mosca affinché aderisca a un piano per il corridoio di Zangezur che non favorirebbe né l’Armenia né i paesi occidentali.

L’espansione del conflitto nel Caucaso meridionale rimane dietro l’angolo. L’Armenia ora sembra essere sempre più convinta della necessità del completamento del suo percorso di integrazione con l’Occidente e si prepara a presentare a Bruxelles la richiesta di riconoscimento dello status di paese candidato all’ingresso nell’Unione europea.

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Classica: Venti dell’Est, musiche dall’Ungheria e dall’Armenia e concerto di Primavera (Arezzo24 06.04.24)

ASSOCIAZIONE CULTURALE D.I.M.A. PRESENTA Renata LACKO, violino, Lilit KHACHATRYAN, pianoforte. SABATO 6 APRILE, ORE 18:00 IN CASA PETRARCA (Arezzo). Domenica 7 aprile il concerto di primavera

Dopo il successo dei Concerti degli scorsi mesi, che ha visto protagonisti in Casa Petrarca i maltesi Pierre Louis Attard e Colin Attard al pianoforte (Gaulitana Festival Of Music di Gozo), il FORTE TRIO, trio di Stato della Repubblica del Kazakistan e Trio InBreve dalla Francia, prosegue la stagione concertistica con il DUO LACKO-KHACHATRYAN, violino e pianoforte – sabato 6 aprile, ore 18:00 nella Sala Concerti DIMA sede Casa Petrarca, via dell’Orto n. 30 Arezzo.

Il duo, formato da musiciste dalla carriera internazionale, propone un programma ricco e variegato: Venti dell’Est. Musiche dall’Ungheria e dall’Armenia è un viaggio musicale nella cultura ungherese e quella armena con l’esecuzione di alcuni compositori che le rappresentano. In particolare Bartok (ungherese) e Komitas (armeno) si accomunano per il grande lavoro etnomusicologico svolto nella loro vita. Un lavoro di ricerca dei canti della tradizione popolare armena per Komitas e dell’Europa orientale per Bartok. Il programma prevede l’esecuzione delle famosissime Danze rumene di Bartok nella versione per violino e pianoforte e Tre Danze ungheresi di Leo Weiner. Dell’Armenia verranno eseguite due danze del balletto Gayaneh di Khachaturian e una serie di brani di Komitas nella versione per violino e pianoforte. Komitas, emblema della cultura armena, ma figura poco conosciuta al mondo occidentale, svolse un lavoro etnomusicologico importantissimo tramandando la musica popolare attraverso una serie di registrazioni e trascrizioni realizzate da lui stesso. Raccolse un patrimonio immenso che comprendeva canti legati alla coltivazione dei campi, canti patriottici, canti d’amore, canti rituali per nozze, danze e anche ninna nanne.

Renata Lacko ha collaborato con diverse orchestre in Ungheria, Svizzera, Germania e Italia. Si è esibita in più di 20 paesi nelle sale più celebri del mondo quali: Prag Dvorak Hall, Mosca SalaTschaikowski, Kiev Philharmonie, Minsk Grande Sala del Concerto, London Royal Albert Hall, Berliner Filharmonie, Wiener Musikverein, Rotterdam De Doelen, Manila Cultural Center of the Philipines, Sejong Cultur Center, Lucerna KKL. Ha svolto attività cameristica in Ungheria, in Svizzera, in Germania, in Polonia, in Repubblica Ceca in Israele e in Italia. E’ un’appassionata di musica Klezmer, musica popolare e Jazz che suona in diverse formazioni. Si esibisce anche con il violino elettrico con la viola e con il violino barocco. Dal 2019 collabora con ERT in diverse produzioni del regista Claudio Longhi in scena nei maggiori teatri italiani. Nel giugno 2020 per la riapertura dei Teatri viene chiamata da ERT e Radio3 per curare la parte musicale ed eseguire l’accompagnamento al monologo di Lino Guanciale su testo di Bertold Brecht. La produzione è stata ripresa a Bologna al Teatro del Sole e nel dicembre 2020 va in onda su Rai 3 nello speciale ‘Ripartiamo da Rai 3’ per la regia di Stefano Massini. Collabora con il Teatro Piccolo. Fondatrice del gruppo Sviolinando e della manifestazione MUSIC HUG, due realtà che collegano fra loro giovani musicisti di tutto il mondo con il fine di superare attraverso la musica le barriere di distanza, lingua, estrazione sociale e vivere le diversità come una ricchezza e non come motivo di divisione.

Lilit Khachatryan pianista armena, nel 1996 si diploma con il massimo dei voti in pianoforte presso la Scuola Musicale Speciale “P. I. Ciajkovskij” di Yerevan e successivamente nel 2002, sempre con il massimo dei voti, consegue la Laurea in Pianoforte ad indirizzo Concertistico e Didattico presso il Conservatorio Statale  “Komitas” di Yerevan sotto la guida del M° Robert Shugarov. Nel 1995 si perfezionata con il M° Villi Sargsyan approfondendo così la letteratura pianistica armena. Attualmente svolge attività concertistica sia in veste di solista che in formazioni da camera. Ha suonato per varie associazioni armene quali: “Compositorneri Tun”, “Golden Apricot Festival”, “Camerain Tun”. In Italia si è esibita presso il Teatro Comunale di Cavriglia, il “Gruppo Donatello” di Firenze, la Chiesa San Gregorio degli armeni a Napoli per le celebrazioni del centenario del genocidio armeno, l’auditorium Leonardo Da Vinci di Marciano, la Filarmonica Romana per il Festival delle Nazioni di Roma, il Teatro Morlacchi di Perugia, il Teatro dei Rozzi di Siena, ecc. Da anni collabora con il soprano Agnessa Gyurdzhyan proponendo un programma dedicato interamente alla letteratura armena per voce e pianoforte. Il repertorio spazia dalla musica sacra fino al ‘900 concentrandosi particolarmente sulla figura del compositore Komitas. Nel 2012 ha conseguito con il massimo dei voti, sotto la guida del M° Marco Albrizio, la Laurea Specialistica di II livello in Pianoforte ad indirizzo concertistico presso il Conservatorio di Musica di Perugia. Attualmente affianca all’attività concertistica anche quella didattica, ricoprendo la cattedra di Pianoforte principale presso l’Istituto di Musica Hans Werner Henze della Fondazione Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano e presso la Scuola Comunale di Musica “U. Cappetti” di Monte San Savino.

INGRESSO LIBERO FINO A ESAURIMENTO POSTI.

Concerto di Primavera a cura degli allievi dell’Accademia DIMA Arezzo
DOMENICA 7 APRILE, ORE 18:00 IN CASA PETRARCA (Arezzo)

Masterclass di Alto Perfezionamento pianistico con Luigi Tanganelli

III edizione
13 – 14 e 20 – 21 APRILE IN CASA PETRARCA (Arezzo)

DOMENICA 7 APRILE, ORE 18:00 IN CASA PETRARCA (Arezzo) – Concerto di Primavera a cura degli allievi dell’Accademia DIMA Arezzo. Un pomeriggio musicale con i migliori allievi delle classi di pianoforte, chitarra e musica d’insieme dell’Accademia DIMA dei maestri Sebastian Maccarini, Matteo Guasconi, Roberto Rossi, Serena Meloni, Alice Anikstejn, Apolline Leveque, Gianmarco Boncompagni. Si esibirà anche il DIMA Ensemble, eterogeneo gruppo orchestrale formato da chitarre, violino, flauti e sassofono. Con la partecipazione straordinaria degli studenti delle classi di pianoforte del Liceo Musicale “F. Petrarca” di Arezzo.

13 – 14 e 20 – 21 APRILE IN CASA PETRARCA (Arezzo) – Masterclass di Alto Perfezionamento pianistico con Luigi Tanganelli (III edizione).

Per il terzo anno consecutivo l’Associazione Culturale D.I.M.A. ospita il corso di alto perfezionamento d’interpretazione pianistica. Un’opportunità per approfondire la tecnica, la prassi esecutiva e interpretativa al pianoforte, aperta ad allievi e pubblico. Le lezioni saranno tenute dal M° Luigi TANGANELLI, docente al Conservatorio Statale di Musica “F. Morlacchi” di Perugia, per due fine settimana: sabato 13 e domenica 14 aprile, poi sabato 20 e domenica 21 aprile, p.v., dalle ore 10.00 alle ore 18.30, presso Casa Petrarca, sede dell’Associazione, in via dell’Orto 30 ad Arezzo.

“Con il maestro Tanganelli c’è una storia che viene da lontano – afferma Giorgio Albiani, direttore artistico di D.I.M.A. – una collaborazione che ci ha visto insieme all’interno di importanti istituzioni italiane di alta formazione, di collaborazioni concertistiche e didattiche. Questo mi ha permesso di apprezzare le doti di un grande maestro e di profonda umanità, con una visione della musica che affondando le radici nel passato si proietta nel futuro. Un’offerta formativa ricchissima per gli allievi che parteciperanno”.

Info: www.dimamusicarezzo.com e canali social Facebook – Instagram

Turkiye: “L’incontro Armenia-USA-UE minerà l’approccio di neutralità nel Caucaso meridionale” (Trt 05.04.24)

La Turkiye ha dichiarato che l’incontro che verrà organizzato tra l’Armenia, gli Stati Uniti (USA) e l’Unione Europea (UE) minerà l’approccio di neutralità che dovrebbe essere assunto come base per la soluzione dei complessi problemi della regione.

Il Ministero degli Esteri turco ha rilasciato una dichiarazione scritta sull’incontro trilaterale tra Armenia, Stati Uniti e Unione Europea che si terrà il 5 aprile a Bruxelles, capitale del Belgio.

Nella dichiarazione si afferma che a seguito della liberazione da parte dell’Azerbaigian dei territori occupati in seguito alla seconda guerra del Karabakh (novembre 2020) e del ristabilimento della sovranità in tutti i territori del Paese con l’operazione antiterrorismo in Karabakh, del 19-20 settembre, è emersa un’opportunità storica per una pace e una stabilità durature nella regione.

“In un periodo in cui questa opportunità storica è molto vicina al successo, è ancora più importante che le terze parti, in particolare gli attori extra-regionali, affrontino il processo in modo equo e imparziale ed evitino accuratamente di danneggiarlo.

In questo contesto, è una questione di responsabilità affermare chiaramente che l’incontro trilaterale previsto per il 5 aprile 2024 tra l’Armenia, l’UE e gli Stati Uniti minerà l’approccio di neutralità che dovrebbe essere assunto come base per la soluzione dei complessi problemi della regione. Questa iniziativa, che esclude l’Azerbaigian, aprirà la strada alla trasformazione del Caucaso meridionale in un’area di rivalità geopolitica piuttosto che al servizio della pace”, si legge nella dichiarazione.

Inoltre, nella dichiarazione si ribadisce l’invito ai Paesi terzi a prendere in considerazione i parametri della regione e ad avvicinarsi alle parti in modo equo nei passi che intraprenderanno nel contesto del processo, e si esprime piena fiducia nel fatto che il Caucaso meridionale si risolleverà sulla base della pace permanente e della stabilità che si stabilirà nella regione e raggiungerà la prosperità regionale che merita.

In fine, nella dichiarazione si sottolinea che la Turkiye è sempre pronta a fare la sua parte in questo senso e continuerà a incoraggiare l’utilizzo dell’opportunità storica di una pace duratura tra Azerbaigian e Armenia.

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L’Armenia si avvicina sempre più velocemente all’Occidente (AgenziaNova 05.04.24)

Unione europea e Stati Uniti sono pronte a dare sostegno all’Armenia, al fine di garantire al Paese del Caucaso “un futuro democratico e prospero” e una prospettiva di stabilità alla regione nel suo insieme. Questo il messaggio trasmesso dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e dal segretario di Stato Usa Antony Blinken, che oggi a Bruxelles hanno incontrato il premier armeno Nikol Pashinyan. Von der Leyen ha annunciato un piano di crescita e resilienza per l’Armenia del valore di 270 milioni di euro, “mantenendo una promessa fatta lo scorso ottobre”. L’Ue intende offrire “una visione per il futuro del nostro partenariato”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea, specificando che i 270 milioni di euro saranno stanziati in sovvenzioni nei prossimi quattro anni. “Investiremo per rendere l’economia e la società armene più solide e resistenti agli shock. Sosterremo le vostre imprese, i vostri talenti, in particolare le piccole e medie imprese, per aiutarle a crescere, innovare e accedere a nuovi mercati. E investiremo in progetti infrastrutturali chiave. Per esempio, nel cavo elettrico del Mar Nero, una via di trasmissione ricca di opportunità, che può portare in Europa energia pulita e rinnovabile”, ha spiegato von der Leyen. La presidente della Commissione Ue ha citato poi gli investimenti nella produzione di energia rinnovabile in Armenia e in migliori interconnessioni con la Georgia e le nuove misure “per la sicurezza aerea e nucleare e per la diversificazione del commercio”.

Politiche giovanili. In Armenia si discute sulle soluzioni basate sulla natura. (Sardegnagol 05.04.24)

Si terrà nella fantastica location dell’Università statale di Yerevan (Armenia), nei pressi del Lago Sevan, la prossima mobilità internazionale alla quale parteciperà l’Associazione ABICI. Dal 14 al 19 maggio i giovani partecipanti, provenienti dall’Italia, Slovenia, Moldova, Armenia e Georgia, si incontreranno per fare il punto sulle cosiddette soluzioni basate sulla natura (NBS), ovvero alla gestione e all’uso sostenibile della natura per affrontare le sfide socio-ambientali come il cambiamento climatico, il rischio idrico, l’inquinamento dell’acqua, la sicurezza alimentare e la gestione del rischio di calamità ambientali.

L’iniziativa, inserita all’interno del programma Erasmus+, è aperta a giovani sardi/e senza limite di età con buona conoscenza della lingua inglese e interesse per il tema delle NBS.

I costi di partecipazione, fanno sapere dall’organizzazione giovanile sarda, membro del Comitato CASMI, “saranno interamente a carico dei promotori della mobilità. Per presentare la propria candidatura basterà mandare una email all’indirizzo associazione@associazioneabici.eu”.

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