Azerbaijan, le elezioni più imbarazzanti di sempre (Osservatorio Balcani e Caucaso 09.02.24)

Nonostante lo scontato trionfo dell’attuale presidente Ilham Aliyev, le elezioni presidenziali anticipate del 7 febbraio in Azerbaijan sono state segnate ancora una volta da violazioni, brogli ed atteggiamento aggressivo nei confronti di osservatori e giornalisti indipendenti

09/02/2024 –  Arzu Geybullayeva

La tornata elettorale dello scorso 7 febbraio in Azerbaijan, per il presidente in carica Ilham Aliyev poteva essere un’occasione per provare a conquistare la vittoria senza compiere le solite violazioni e frodi elettorali  . E per i sei milioni di aventi diritto poteva essere forse un’occasione per vivere, per una volta, elezioni eque e libere. Si è rivelata però un’occasione mancata, considerando le innumerevoli violazioni denunciate e documentate, tra cui voto carosello  [elettori che si spostano di seggio in seggio per votare più volte], brogli  comportamenti aggressivi  nei confronti di osservatori e giornalisti indipendenti.

Le elezioni si sono tenute in un contesto in cui “le libertà fondamentali di associazione, espressione e riunione pacifica sono state ristrette”, come si legge in un rapporto  pubblicato lo scorso 23 gennaio dall’Ufficio OSCE per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIHR). D’altra parte, parlando con i giornalisti, i tanti falsi osservatori  , che sostengono di aver monitorato il voto per conto del leader del partito al potere, non hanno potuto nemmeno citare  il nome di quest’ultimo.

Un’era tutt’altro che nuova

A gennaio, nel corso di un incontro con un gruppo di giornalisti dei media filogovernativi, attentamente selezionati, il presidente Ilham Aliyev, parlando  dei motivi che lo hanno spinto a indire elezioni anticipate, ha affermato che la tornata elettorale si sarebbe svolta in “una nuova era”: per la prima volta nella storia dell’Azerbaijan le elezioni si sarebbero tenute in tutto il paese, compresi gli ex territori occupati, riconquistati dall’Azerbaijan dopo la guerra dei 44 giorni del 2020 e l’operazione militare del 23 settembre 2023. Quindi, le prime elezioni a svolgersi in quei territori, secondo Aliyev, dovevano essere quelle presidenziali. Per avvalorare la sua tesi, Aliyev ha portato la sua intera famiglia a votare a Khankendi (Stepanakert in armeno).

Inizialmente era previsto che le elezioni presidenziali si tenessero ad aprile 2025, dopo le politiche in programma a febbraio 2025 e le amministrative a dicembre 2024.

Tutti e sei i candidati che, oltre al presidente in carica, si sono presentati alle elezioni del 7 febbraio, hanno apertamente espresso il loro sostegno  ad Aliyev, il quale invece durante la campagna elettorale non ha mai partecipato di persona a dibattiti televisivi con altri candidati, né tanto meno li ha appoggiati.

Musavat e il Fronte popolare sono stati gli unici partiti di opposizione ad aver boicottato il voto. Gli altri ventitré partiti presenti nel paese, compreso il partito di governo (Partito Nuovo Azerbaijan, YAP), hanno espresso solidarietà e sostegno ad Aliyev in una dichiarazione  rilasciata nell’ottobre dello scorso anno.

In una sua analisi  del contesto alla vigilia del voto, la ricercatrice Hamida Giyasbayli ha sottolineato che le speranze che il governo azero potesse introdurre alcune riforme dopo la seconda guerra del Karabakh sono state deluse, sollevando anche la questione della “direzione in cui si sviluppa la politica interna” dell’Azebaijan.

Dopo la guerra dei 44 giorni del 2020, la situazione in Azerbaijan è solo peggiorata, dalle intimidazioni  online e offline nei confronti degli attivisti pacifisti  che si erano opposti alla guerra del Karabakh del 2020, alle nuove leggi restrittive  sui media, passando per il perseguimento delle critiche online  e dei giornalisti  attivisti politici  e l’utilizzo delle tecnologie di sorveglianza invadenti  contro i membri della società civile, per citare solo alcune delle misure messe in atto. Ne sono seguiti ulteriori arresti  e repressione contro gli oppositori della leadership di Baku.

L’anno scorso, le autorità hanno arrestato Gubad Ibadoglu, noto economista e professore. La scorsa estate le autorità hanno represso con violenza  le proteste degli abitanti di un villaggio che denunciavano i danni ambientali causati da una miniera d’oro. Poi sono stati presi di mira molti attivisti per i diritti dei lavoratori  , diventando vittime di arresti e intimidazioni  . La situazione è poi ulteriormente deteriorata  con una serie di arresti  contro la piattaforma di informazione indipendente Abzas, a cui hanno fatto seguito l’ennesimo arresto di un esponente dell’opposizione  altre repressioni  .

Nel frattempo, l’elenco degli arresti politicamente motivati ha continuato, e probabilmente continuerà ad allungarsi, considerando l’esito delle elezioni del 7 febbraio. Al tempo della pubblicazione di questo articolo, secondo la Commissione elettorale centrale (CEC), Aliyev è in testa  con il 92,1% dei voti.

Il partito di opposizione Musavat ha chiesto  l’annullamento delle elezioni, parlando di un “ambiente non libero e iniquo”.

Tutto come al solito

Interpellata da OBCT, la giornalista Ulviyya Ali, che ha seguito le elezioni appena concluse, ha affermato di essere stata sottoposta a pressioni da parte dei rappresentanti della commissione elettorale all’interno di alcuni seggi, notando che molti osservatori indipendenti hanno subito simili pressioni. “Da giornalista, sono stata più volte avvertita e mi è stato detto dove stare e cosa filmare”, ha affermato Ali. Un’altra giornalista indipendente, Lida Abbasli, ha dichiarato all’emittente Meydan che le è stato impedito di filmare e che è stata cacciata da un seggio elettorale.

Anche altri giornalisti che hanno seguito il voto hanno raccontato testimonianze simili, subendo un trattamento che, secondo Alasgar Mammadli, esperto di diritto dei media, è illegale. Molti giornalisti sono stati vittime di pressioni, nonostante nella giornata del voto Mazahir Panahov, presidente della CEC, abbia dichiarato che “non dovrebbero esitare a filmare qualsiasi problema”.

Alla vigilia del voto, almeno tre osservatori indipendenti hanno raccontato a OBCT di tentativi di violazione dei loro account su Telegram. Poi è giunta la notizia, riportata dall’emittente Meydan, che l’Università statale di Baku starebbe utilizzando WhatsApp per la propaganda elettorale. Notizia prontamente smentita dall’Università che ha negato di aver coinvolto i suoi studenti nelle attività di propaganda elettorale.

“Lei mi chiede perché sono qui? So perché sono qui”, ha risposto un elettore ottantenne ad un giornalista del servizio azero di Radio Liberty. Nello stesso reportage, una donna ha affermato di aver votato perché se non lo avesse fatto, i suoi figli avrebbero perso il lavoro. “Non raccontarmi favole”, ha risposto la donna quando il giornalista le ha chiesto quali fossero le sue aspettative nei confronti del nuovo presidente. “Sì, certo, nomineranno mio figlio presidente. Vattene. Non parlo più”, ha detto andandosene dopo essere uscita dal seggio elettorale.

Tuttavia, nessuna di queste storie, né le numerose prove di brogli elettorali, sembrano aver sconcertato un gruppo di osservatori internazionali  che hanno spudoratamente elogiato le elezioni. Tra questi spicca Oracle Advisory Group, rappresentato da George Birnbaum, il quale, dopo aver condotto un’analisi del voto  , ha affermato che l’esito  delle elezioni rappresenta una “vittoria della democrazia”. Birnbaum è noto per essere l’uomo dietro alla campagna denigratoria contro Soros che, secondo un’inchiesta condotta da Buzzfeed  “ha finito per scatenare un’ondata globale di attacchi antisemiti contro l’investitore miliardario”. Stando alla stessa inchiesta, Birnbaum sembra aver giocato un ruolo anche nell’ascesa di Orban al potere.

Anche Salvatore Caiata, membro della delegazione italiana, non sembra minimamente infastidito dalle violazioni registrate durante le elezioni. In un’intervista  rilasciata ai media filogovernativi, Caiata ha dichiarato che i cittadini azeri, a differenza degli italiani, sono stati molto attivi il giorno del voto. Ha capito bene la parte dell’attivismo, ma non le motivazioni sottostanti: non è un compito facile organizzare il voto carosello e altri brogli, così come non è facile temporeggiare e impedire agli osservatori indipendenti di fare i loro lavoro, e infine votare se, alla fine di una giornata di lavoro dura e dinamica, si riesce ancora a trovare il proprio seggio elettorale.

Forse questa svista è dovuta al fatto che Caiata è membro di un gruppo interparlamentare di amicizia tra Azerbaijan e Italia  all’interno del partito Fratelli d’Italia (FDI). È probabile che la controparte azera abbia dimenticato di menzionare come l’intera storia delle elezioni in Azerbaijan – amministrative, politiche o presidenziali che fossero – è macchiata di violazioni e frodi elettorali, poiché il paese non è mai riuscito a soddisfare gli standard fondamentali di elezioni libere, eque, democratiche e trasparenti. Gli esponenti di FDI lo avrebbero saputo se avessero prestato maggiore attenzione durante il loro viaggio in Azerbaijan  l’anno scorso per celebrare il centenario della nascita dell’ex presidente Haydar Aliyev.

Date queste premesse, viene da chiedersi perché il presidente Aliyev durante le ultime elezioni abbia fatto ricorso a così tanti meccanismi di controllo? Probabilmente perché, non avendo alcuna esperienza nello svolgimento di elezioni libere ed eque, aveva paura e voleva evitare un risultato inaspettato. Ed è riuscito ad evitarlo. Questo sarà il quinto mandato del presidente Ilham Aliyev e probabilmente non l’ultimo se la salute gli consentirà di candidarsi anche nel 2031, quando compirà 69 anni.

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L’importanza dell’Azerbaigian va oltre il gas. L’analisi di Tzogopoulos (Formiche)

 

Roma: formazione per le Forze di polizia armene (Poliziadistato 09.02.24)

È terminato oggi il primo corso in materia di tecniche investigative antidroga, dedicato a 10 esperti di polizia della Repubblica dell’Armenia ed un secondo corso si avvierà già nella prossima settimana con la partecipazione di altrettanti funzionari di polizia armeni per approfondimenti in materia di ordine pubblico e gestione dei grandi eventi.

I corsi sono il frutto dell’attuazione delle intese raggiunte a dicembre, tra il capo della Polizia Vittorio Pisani e l’omologo armeno Major-General Aram Hovhannisyan, tese a rafforzare la collaborazione bilaterale.

Alla giornata conclusiva per la Polizia di Stato era presente il dirigente superiore Eufemia Esposito; erano inoltre presenti l’ambasciatrice d’Armenia in Italia, Tsovinar Hambardzumyan, il vice direttore generale della Farnesina, ministro plenipotenziario Alessandro Azzoni; in collegamento da Vienna ha partecipato, per l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), la deputy director for operations service, del Conflict prevention centre.

formazione per la polizia armenaL’ambasciatrice Hambardzumyan ed il ministro Azzoni hanno evidenziato l’importanza della cooperazione tra i nostri Paesi – uniti da profondi legami culturali e da significative interlocuzioni a livello politico e di scambi commerciali –  e manifestato grande apprezzamento per l’attività svolta dalla Polizia di Stato, quale interlocutore fondamentale nel processo di riorganizzazione del ministero dell’Interno armeno e della Forza di polizia di quel Paese che, come sottolineato da Małgorzata Alicja Twardowska, è parte di un progetto più ampio di capacity building, finanziato dall’Osce stessa.

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Polizia di Stato: corso in materia di tecniche investigative antidroga tra Italia e Armenia (Reportdifesa)

L’Aia: l’Armenia è il 124° membro della Corte penale internazionale (Euronews 08.02.24)

A ottobre Erevan aveva firmato la ratifica dello Statuto di Roma, entrato in vigore il primo febbraio 2024, che riconosce la giurisdizione della Corte penale internazionale

L’Armenia è ufficialmente il 124° membro della Corte penale internazionale, il principale tribunale per crimini di guerra e contro l’umanità.

La cerimonia si è tenuta giovedì 8 febbraio a L’Aia, dove la Corte ha sede. Il giudice e presidente Piotr Hofmański ha affermato che “la ratifica dello Statuto di Roma da parte dell’Armenia è una decisione significativa” per il Paese e per il tribunale.

La ratifica dello Statuto di Roma

Nell’ottobre 2023, Erevan aveva firmato la ratifica dello Statuto di Roma che riconosce la giurisdizione della Corte: l’ordinamento è entrato in vigore il primo febbraio 2024.

I rapporti con la Russia

La decisione è stata considerata una presa di distanza dalla Russia, storico alleato dell’Armenia, soprattutto dopo che la Corte ha emesso un mandato di arresto per Vladimir Putin. Il tribunale ha accusato il presidente russo di crimini di guerra in Ucraina: le autorità armene sarebbero tenute ad arrestare Putin qualora entrasse in territorio armeno.

In occasione della ratifica dello Statuto di Roma, l’Armenia ha però rassicurato la Federazione russa dicendo che Putin non verrebbe arrestato se si recasse nel Paese.

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Aliyev è peggio di Putin (altro che “partner affidabile dell’Ue”) (Tempi.it e altri 08.02.24)

Almeno Vladimir Putin un vero sfidante alle elezioni in Russia, il cui esito è comunque scontato, potrebbe averlo (Boris Nadezhdin sembra fare sul serio). Il “partner affidabile dell’Ue” (copyright Ursula von der Leyen) Ilham Aliyev invece neanche quello. Al plebiscito andato in scena ieri in Azerbaigian, che non ha nulla a che fare con la democrazia, i due principali partiti di opposizione non hanno neanche partecipato. Il trionfo era scontato per il dittatore al potere da più di 20 anni, dopo i dieci del padre Heydar, ex presidente del Kgb e primo segretario del Comitato centrale del Partito comunista dell’Azerbaigian sovietico.

«Le elezioni sono un insulto alla democrazia»

Il leader del partito Musavat, Arif Hajili, ha spiegato così all’Associated Press la decisione di non partecipare alla corsa elettorale: «Molti giornalisti e attivisti politici sono in carcere. Ci sono più di 200 prigionieri politici. Ci sono gravi problemi con la legge elettorale e le commissioni elettorali sono sostanzialmente sotto l’influenza delle autorità».

Anche Ali Karimli, a capo del Fronte del popolo dell’Azerbaigian, ha definito inutile la partecipazione alla glorificazione del dittatore Aliyev: che senso ha partecipare a un voto anticipato senza dibattiti pubblici? «Queste elezioni sono un insulto alla democrazia».

L’umiliazione degli armeni come programma

Il voto si sarebbe dovute svolgere nel 2025, ma nello scorso dicembre Aliyev ha deciso di anticiparlo al 7 febbraio, lasciando poco più di un mese di tempo per la campagna elettorale. L’obiettivo del dittatore è ottenere percentuali bulgare alle urne, capitalizzando il sostegno della popolazione galvanizzata dalla recente invasione del Nagorno-Karabakh, che ha obbligato 120 mila armeni a scappare dalle proprie case e ad abbandonare la propria terra. A ben vedere, l’umiliazione degli armeni è il suo unico programma elettorale.

Aliyev non ha nulla da temere: nessuno gli rinfaccerà i crimini di guerra e contro l’umanità compiuti a danno degli armeni, dal momento che i quattro sfidanti non fingono neanche di offrire un’alternativa politica, ma sono talmente spudorati da fare apertamente campagna elettorale per lui.

Aliyev fa arrestare tutti gli oppositori

Nonostante sia senza sfidanti, poiché la paranoia è il marchio di fabbrica dei dittatori, Aliyev ha aumentato la repressione di ogni tipo di dissenso negli ultimi mesi. Da novembre, sottolinea Amnesty International, le autorità di Baku hanno arrestato 13 dissidenti, tra i quali giornalisti, oppositori politici e un difensore dei diritti umani. Undici di loro sono tuttora in carcere sulla base di false accuse. Altri, soprattutto giornalisti, sono scampati all’arresto autoesiliandosi all’estero.

In particolare sono stati arrestati otto giornalisti, e perseguitati i loro parenti, del portale indipendente Absaz, uno dei pochissimi che ancora realizza inchieste sulla corruzione dei politici al potere. Uno dei casi più eclatanti è quello di Ofelya Maharramova (madre del direttore del giornale, Sevinj Vagifgizi, attualmente in carcere), alla quale le autorità hanno bloccato i conti bancari, congelandole la pensione e impendendole di pagare le cure mediche di cui ha urgente bisogno.

Aliyev calpesta la bandiera armena del Nagorno-Karabakh dopo l'invasione dell'Artsakh
Aliyev calpesta la bandiera armena del Nagorno-Karabakh dopo l’invasione dell’Artsakh (Ansa)

L’Azerbaigian perseguita i giornalisti

I giornalisti che osano criticare il regime e sono costretti a scappare dall’Azerbaigian, dove la libertà di espressione e di stampa sono state azzerate, non sono al sicuro nemmeno all’estero. Come riportato da Rferl, i tanti reporter fuggiti in Georgia dopo essere stati minacciati, picchiati, torturati e in alcuni casi arrestati, vengono presi di mira da criminali «che parlano con l’accento azero» anche a Tbilisi.

In base alla classifica World Press Freedom Index, l’Azerbaigian si trova tra i 30 paesi che più perseguitano i giornalisti. Nel sultanato di Aliyev «non esistono più programmi televisivi o radiofonici indipendenti e tutti i giornali cartacei che criticano il governo sono stati chiusi».

Anche la popolazione è ridotta al silenzio quando osa criticare il regime.  Elmaddin Shamilzade, uno dei tanti reporter scappati in Georgia, è fuggito l’anno scorso dopo aver cercato di dare voce alla protesta dei residenti di Soyudlu, un piccolo villaggio dell’Azerbaigian occidentale che si è rivoltato contro le autorità dopo l’ennesimo disastro ambientale. I cittadini sono stati messi a tacere con la forza, Shamilzade è stato arrestato e torturato.

Aliyev non è diverso da Putin

Quando si parla di repressione dei diritti umani, crimini di guerra e calpestamento del diritto dei popoli all’autodeterminazione, insomma, Aliyev non si distingue affatto da Putin. Ma l’Ue, Italia in testa, ha deciso ugualmente di gettarsi tra le sue braccia per rifornirsi di quel gas che dopo l’invasione dell’Ucraina non può più acquistare da Mosca.

Aliyev sa di essere indispensabile a Bruxelles e non nasconde la sua arroganza: dopo l’invasione del Nagorno-Karabakh minaccia apertamente l’Armenia nella consueta indifferenza della comunità internazionale, che continua a vezzeggiarlo nei modi più svariati.

Dopo l’imbarazzante fallimento della Cop28 a Dubai, ad esempio, l’Onu ha regalato al petroliere Aliyev, che di crimini ambientali se ne intende come pochi, l’organizzazione della Cop29, nonostante l’Azerbaigian ricavi dal gas e dal petrolio i due terzi delle sue entrate (più dei tanto criticati Emirati arabi uniti).

Il “partner affidabile dell’Ue”

Il “partner affidabile dell’Ue” si appresta a governare per un quinto mandato grazie alle modifiche alla Costituzione fatte approvare nel 2009, con le quali ha abolito il limite dei mandati presidenziali, come Xi Jinping in Cina. Citare la percentuale di voti ottenuta dal dittatore alle elezioni di ieri è totalmente inutile e un aneddoto risalente a dieci anni fa capire bene perché.

Nel 2013 la Commissione elettorale centrale dichiarò sulla sua app Aliyev vincitore delle elezioni con il 72,76% dei voti. La popolazione è abituata alle percentuali bulgare ottenute dal dittatore, quella volta però i risultati fecero clamore dal momento che furono pubblicati il giorno precedente all’apertura dei seggi. Le goffe scuse della Commissione per l’errore «tecnico» non convinsero nessuno. Il trionfo di Aliyev fu annunciato ufficialmente il giorno successivo, in serata, con l’84,5% delle preferenze.

@LeoneGrotti

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Azerbaijan, rieletto Aliyev: presidente col 92% dei voti (TgSky24)


Elezioni in Azerbaijan, Aliyev si conferma presidente con il 92 per cento dei consensi (Repubblica)


Il presidente azero Ilham Aliyev rieletto per un quinto mandato (Internazionale)

“Visibili/invisibili, storie di popoli e persone”: lo sguardo del fotogiornalismo oltre le apparenze (LaStampa 08.02.24)

VARESE. Dall’11 febbraio al 3 marzo 2024, Villa Pomini a Castellanza (Varese) ospita tre mostre dedicate al fotoreportage, evento apripista della 12esima edizione del Festival Fotografico Europeo curato da Claudio Argentiero.

Le esposizioni – con le immagini di Roberto TravanGiovanni MereghettiReza Khatir e Ugo Panella – sono state organizzate dall’Archivio Fotografico Italiano con il patrocinio del Comune di Castellanza, nell’ambito di Filosofarti – Festival di Filosofia. I temi affrontati anticipano quelli del prossimo Festival Fotografico Europeo (dal 16 marzo al 25 aprile) con l’obiettivo di «affondare lo sguardo oltre le apparenze per dare evidenza all’invisibile – dal punto di vista ecosistemico, sociale, culturale, etico e teologico, attraverso diverse forma di analisi e di espressione artistica – e costruire a livello comunitario forme di vita, di relazioni generative e antropiche», spiega il curatore.

Nagorno Karabakh, la pace tradita
È il progetto a lungo termine iniziato nel 2016 da Roberto Travan nella piccola enclave stretta fra Armenia e Azerbaijan, nel Caucaso del Sud. La storia di un popolo costretto a difendere le sue radici e la sua stessa esistenza dall’aggressione dell’Azerbaijan: la Guerra per l’Indipendenza nel 1992, quella dei Quattro giorni nel 2016, la Guerra dei Quarantaquattro giorni nel 2020. Infine il drammatico epilogo, nel 2023: oltre 100.000 persone, il 90% della popolazione, sono costrette ad abbandonare il Nagorno Karabakh per sempre stremate da quasi un anno di totale isolamento, private di cibo e generi di prima necessità a causa del blocco azero dell’unico valico di frontiera, il corridoio di Lachin. «Un’autentica operazione di pulizia etnica costata in trent’anni quarantamila morti, un milione di sfollati e immense distruzioni. Una guerra purtroppo dimenticata, invisibile: l’ennesima, non l’ultima» afferma l’autore.

Iran, oltre il velo. «Se gli occhi, come sostengono in molti, sono lo specchio dell’anima, attraverso la sottile fessura del niqab ci viene offerta un’opportunità. Quella di imparare a leggerli», sostiene Giovanni Mereghetti, autore della ricerca fotografica realizzata con l’iraniano Reza Khatir.

 

Foto Reza Khatir

 

Nel mondo sono quasi cento milioni le donne che indossano il velo. «Con l’eleganza e la dolcezza che contraddistingue il gentil sesso – dal Maghreb al Medio Oriente, ma anche più a est – queste figure prive di un’identità apparente, si muovono nella vita di tutti i giorni in una società che per tradizione e religione le vuole così: nascoste agli occhi dello sconosciuto» racconta Khatir. Nei loro scatti si libera la verità invisibile e misteriosa di una umanità velata.

 

Foto Giovanni Mereghetti

 

Ucraina, dalla parte dei bambini
«Mancano gli antidolorifici, la sala operatoria non ha sempre a disposizione la strumentazione per le operazioni più complicate, i medici proteggono le finestre con strisce di nastro isolante per evitare che lo spostamento d’aria delle granate trasformino in proiettili le schegge di vetro».

 

Foto Ugo Panella

 

Descrive con queste parole Ugo Panella il fotoreportage che ha realizzato nell’ospedale oncologico nazionale di Kiev, in Ucraina. Un viaggio nel dolore e nella speranza dei piccoli ricoverati e dei loro genitori, piegati dalla malattia e dal terrore della guerra scatenata dalla Russia che non esita a bombardare scuole, abitazioni, ospedali. Immagini che rendono visibile «pesi psicologici e pratici difficilmente immaginabili da chi è lontano, per sua fortuna, dalle conseguenze di una guerra».

 

Dove: Villa Pomini, via Don Luigi Testori 14, Castellanza (Varese)
Quando: Dall’11 febbraio al 3 marzo
Orari: sabato 15-18.30; domenica 10-12 e 15-18.30
Ingresso libero

Per informazioni: afi.fotoarchivio@gmail.com

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Chi è Henrikh Mkhitaryan? Il profilo, valore di mercato e dove ha giocato prima dell’Inter (Dazn.com 07.02.24)

l centrocampista armeno, arrivato a zero dalla Roma, è il più esperto della mediana nerazzurra. Caratteristiche tecniche e squadre in cui ha giocato.

Tra i centrocampisti a disposizione dell’Inter che sta guidando la  Serie A TIM  c’è anche  Henrikh Mkhitaryan  il giocatore in mediana con la maggior esperienza internazionale e a dirlo non è solo l’età, ma anche il Palmarès dell’armeno.

Ma chi è Henrikh Mkhitaryan? Andiamo a scoprire tutto quello che c’è da sapere sul centrocampista armeno.

Henrikh Mkhitaryan, la carriera

Mkhitaryan con la maglia dello ShakhtarGetty

Le esperienze in Armenia e Ucraina e il Dortmund

Mkhitaryan diventa subito protagonista in Armenia: con il Pyunik realizza 35 gol in 89 partite vincendo quattro titoli consecutivi. Ben presto si dimostra un giocatore di caratura superiore e si trasferisce in un campionato più prestigioso: quello ucraino.

Prima al Metalurh , poi allo Shakhtar , Mkhitaryan si afferma come uno dei migliori calciatori del campionato (ne vince tre), tanto da attirare una squadra da sempre attenta ai giovani all’estero: il Borussia Dortmund reduce dalla finale di Champions League.

In Bundesliga , i gialloneri non riescono ad interrompere il dominio del Bayern , ma riescono comunque a vincere due Supercoppe di Germania. Poi, nel 2016, la grande occasione: arriva la chiamata dalla Premier League  e dal Manchester United.

Mkhitaryan esulta dopo il gol in finale di Europa LeagueGetty

La Premier League: lo United e l’Arsenal

Agli ordini di José Mourinho, Mkhitaryan diventa uno dei principali artefici dell’ultimo titolo europeo ottenuto dai Red Devils: l’Europa League 2016/2017 e con tanto di gol in finale contro l’Ajax.  Arrivano poi anche Community Shield e Carabao Cup : sarà tuttavia la migliore stagione per lui e lo United, che poi non sarà mai in lotta per la Premier.

Così, nel 2018/2019 , si trasferisce all’Arsenal ma, anche in quel caso, non riuscirà a contendere la Premier alle big: il City e il Liverpool . Così, nel 2019, saluta l’Inghilterra per approdare in Serie A TIM: alla Roma.

Henrikh Mkhitaryan, Roma, Serie A 2021-2022, DAZN Italia

La Serie A: la Roma e il passaggio a zero all’Inter

In giallorosso, Mkhitaryan gioca per ben tre stagioni, contribuendo a far tornare la Roma ad alti livelli in Italia e in Europa. Nel 2021/2022, ultima stagione nella Capitale, vince ancora insieme a José Mourinho la sua seconda coppa europea: la Conference League vinta contro il Feyenoord.

Infine, a parametro zero, si libera dai giallorossi e passa all’Inter, dove vince nel 2022/2023 la Supercoppa Italiana (poi sollevata anche nel 2024 a Riyadh), la Coppa Italia e raggiunge la finale di Champions League persa contro il City .

Nel 2023/2024, gioca una delle migliori partite in nerazzurro: il Derby vinto 5-1 contro il Milan, match nel quale l’armeno realizza una doppietta .

Fiorentina Inter MkhitaryanGetty

La carriera nell’Armenia

Mkhitaryan è uno dei membri fissi dell’Armenia oltre che uno dei giocatori più rappresentativi. Dalla prima convocazione nel lontano 2007 , il centrocampista ha totalizzato 95 presenze e messo a segno 32 reti , risultando il miglior marcatore della storia della Nazionale e il secondo per partite disputate. La sua Armenia, però, non prende parte né ai Mondiali né agli Europei.

I numeri della carriera di Henrikh Mkhitaryan e le squadre in cui ha giocato

Squadra Stagioni Presenze Gol
Pyunik 2006-2009 89 35
Metalurh Donetsk 2009-2010 45 17
Shakhtar Donetsk 2010-2013 106 44
Borussia Dortmund 2013-2016 140 41
Manchester United 2016-gennaio 2018 63 13
Arsenal gennaio 2018-agosto 2019 59 9
Roma agosto 2019-2022 117 29
Inter 2022-in corso 79 7
Armenia 2007-in corso 95 32

Il valore di mercato di Henrikh Mkhitaryan

Secondo i dati di Transfermarkt, la valutazione di Henrikh Mkhitaryan si aggira sui 6  milioni di euro.

Le caratteristiche tecniche

Mkhitaryan è un centrocampista che, nel corso della sua lunga carriera, è però riuscito anche a ricoprire diversi ruoli: da quello di ala al trequartista, dimostrandosi un vero e proprio jolly in mediana.

L’armeno è in grado tanto di inserirsi quanto di far circolare la palla, proponendosi come un’ottima mezzala nell’Inter di Inzaghi.

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Nell’Azerbaijan alle urne: il regno degli Aliyev cavalca la pace in Karabakh (Repubblica e altri 07.02.24)

BAKU — «Voterò per Ilham Aliyev, per chi se no?». Shain Hamidov, il volto coriaceo segnato dalle rughe a dispetto dei suoi 52 anni, sorride alla retorica domanda sulle presidenziali anticipate indette oggi in Azerbaijan. Dopo la sconfitta dei separatisti armeni del Karabakh nella guerra di 44 giorni del 2020 e nella fulminea offensiva di 24 ore dello scorso settembre, nessuno dubita che “Aliyev il Vittorioso” — come lo ha soprannominato la stampa locale — conquisterà un quinto mandato. «Anche mio figlio ha combattuto per liberare i territori occupati. Aliyev ci ha restituito le nostre terre. Ha riportato la pace dopo trent’anni di conflitto», continua il venditore di tappeti e souvenir mentre spazzola una papakha, il tradizionale copricapo caucasico di pelle di pecora, sull’uscio del suo negozio nella Città Vecchia fortificata.

Alle sue spalle, oltre alle antiche mura color miele, svettano le sinuose Torri di Fiamma, i tre iconici grattacieli della capitale azera affacciata sul Mar Caspio, simbolo delle ricchezze naturali valse al Paese il soprannome di Terra del fuoco. Tutta Baku è un innesto. Tra Vecchio e Nuovo Mondo. Tra Asia ed Europa. Una stratificazione di antiche vestigia persiane, facciate neoclassiche, palazzoni sovietici e architetture avveniristiche innaffiate dai petrodollari.

Nel centro cittadino non c’è vetrina dove non sia affisso un grande poster che ricorda che «il 7 febbraio è il giorno delle presidenziali». Non ci sono nomi. Non serve. Da oltre mezzo secolo c’è una sola famiglia al potere: gli Aliyev. Nel 1969 l’allora capo del Kgb locale Heydar prese il potere in quella che era ancora una Repubblica sovietica. E alla sua morte nel 2003 subentrò il figlio Ilham, oggi 62enne, rieletto l’ultima volta nel 2018 con l’86% delle preferenze (sotto al record dell’89% del 2008).

Il voto di oggi, avverte però Anar Mammadli, 45 anni, a capo del Centro di studio per il monitoraggio elettorale e la democrazia (Emds), è «il meno competitivo nella storia dell’Azerbaijan», anche perché è stato indetto con 40 mesi di anticipo. «L’opposizione reale lo boicotta perché non era realistico preparare una campagna elettorale in due mesi. I sei rivali non hanno fatto che tessere le lodi di Aliyev o persino invitare a votare per lui. Decine di giornalisti indipendenti e attivisti sono stati arrestati. Le libertà non sono garantite», spiega Mammadli, egli stesso un ex prigioniero politico insignito del Premio Václav Havel per i diritti umani.

A partire dal 2014 «lo spazio per la discussione politica si è progressivamente ridotto», conferma Zohrab Ismayil, capo e fondatore delle Ong “Open Azerbaijan” e “Associazione pubblica di assistenza alla libera economia”. «Il governo controlla tutto: la politica, la magistratura, i media, l’economia. Ma non vuole correre rischi». Da qui gli stratagemmi per promuovere l’affluenza. «Dal 24 gennaio non c’è giorno in cui non abbia ricevuto un sms della Commissione elettorale con inviti a “usare il diritto di voto”», si lamenta il 31enne Cavanshir Mammadov che però non andrà alle urne. «La politica non mi interessa. Tanto non c’è speranza che cambi qualcosa».

Finora l’unica sorpresa delle presidenziali è che siano state indette. Il voto era programmato nel 2025, ma lo scorso dicembre Aliyev ha annunciato che sarebbe stato anticipato e il 10 gennaio in un’intervista ha spiegato perché: coronare con il voto, il primo nel Karabakh, l’inizio di una «nuova era» e il «ripristino dell’integrità territoriale» del Paese e celebrare così i suoi 20 anni al potere. L’obiettivo, secondo molti analisti, è proprio capitalizzare la vittoria dello scorso autunno, spalleggiata da Turchia e Russia, che ha portato la sua popolarità al culmine, anche tra i più giovani.

Il consenso è genuino. Dai ventenni Elmir Jafarov e Tenzar Amirova al loro primo voto che gironzolano tra i vivaci café della Piazza delle Fontane alla madre trentenne Aidan Abdullaeva che spinge un passeggino sul Bulvar fronte Caspio, nessuno ha dubbi: «Voterò Aliyev. Ha portato la pace». Soltanto una cinquantenne protesta dietro anonimato: «Non c’è libertà di parola. Non conta il merito, conta avere soldi. E i governanti li tengono per sé». Il rischio, sostiene Farid Mehralizada, economista 29enne, cofondatore del think tank Agora Analitik Kollektiv, è proprio questo: che l’euforia della vittoria nel Karabakh non distragga a lungo dall’economia stagnante. «Il Pil è aumentato soltanto dell’1,1% nel 2023, sotto le previsioni statali del 2.7%», spiega. «E benché quest’anno ospiteremo la Conferenza Onu sul Clima, oltre la metà di questo Pil dipende ancora dagli idrocarburi. Ma la produzione petrolifera è diminuita del 30% in dieci anni, tendenza che continuerà».

Finora, coi petrodollari, Aliyev è riuscito a lustrare l’immagine del Paese con gli European Games 2015, gli Europei di calcio 2020, i Gran Premi di F1, ma soprattutto a tessere preziose partnership energetiche con la Ue, come il gasdotto Tap che porta all’Italia. «E ora che la Russia è sanzionata a causa del conflitto in Ucraina, punta a raddoppiare le esportazioni di petrolio verso l’Europa». Secondo Ismayil, il legame con la Ue è una garanzia per la società civile. «Non diventeremo il Turkmenistan. Ma è anche vero che l’Occidente spesso chiude gli occhi perché teme di spingere il Paese nella sfera d’influenza di Russia o Turchia. Ma se Mosca perdesse in Ucraina, forse c’è speranza che qualcosa cambi».

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Elezioni presidenziali in Azerbaijan, verso riconferma per la “dinastia” degli Aliyev (Skytg24)


Azerbaigian al voto, vittoria scontata del presidente Aliyev (Euronews)


Elezioni presidenziali Azerbaigian: agli exit poll Aliyev stravince con oltre il 90% (Euronews)


Azerbaigian: urne aperte per le elezioni presidenziali, Aliyev vota nel Nagorno Karabakh (Rainews)


Il paradosso delle elezioni in Azerbaijan (Liberioltreleillusioni)


Elezioni presidenziali anticipate in Azerbaigian (Rsi)

Giochi pericolosi: l’Armenia e l’Ue (di Mattia Bagnoli) (Ansa 06.02.24)

>>La cenerentola del Caucaso cerca la pace con l’Azerbaigian, guarda a Occidente e si smarca da Mosca.

Memorandum Armenia e Ungheria di cooperazione nel campo della cultura, istruzione e scienza (Agenpress 06 02.24)

AgenPress – Nell’ambito della visita ufficiale del Presidente della Repubblica armena Vahagn Khachaturyan in Ungheria è stato firmato un memorandum sulla cooperazione tra i due paesi nei settori della cultura, dell’istruzione e della scienza.

Secondo il servizio stampa del Ministero dell’Istruzione, della Scienza, della Cultura e dello Sport della Repubblica di Armenia, il memorandum è stato firmato dal Vice Ministro armeno dell’Istruzione, della Scienza, della Cultura e dello Sport Artur Martirosyan e dal Segretario di Stato ungherese per l’Innovazione e l’Istruzione Superiore Balázs Hankó.

Secondo la fonte, alla cerimonia della firma del memorandum era presente anche il presidente ungherese Katalin Novák.

Secondo il memorandum, le parti coopereranno nel quadro dei programmi finanziati dalle organizzazioni internazionali (UNESCO, OCSE, Itinerari Culturali del Consiglio d’Europa e Cooperazione Economica del Mar Nero (BSEC)) e dall’Unione Europea per promuovere attività culturali, educative e cooperazione nella ricerca tra Armenia e Ungheria.

Ciò include l’attuazione di programmi culturali, educativi e di ricerca congiunti attraverso la creazione di nuove piattaforme per lo scambio di esperienze.

NAGORNO KARABAKH. L’ASCIA DEL DITTATORE AFFILATA DALLA TURCHIA E ISRAELE (Notizie Geopolitiche 06.02.24)

di Grigor Ghazaryan –

Qualche giorno fa il presidente azero Ilham Aliyev ha ricevuto un’ascia da Hulusi Akar, presidente della Commissione di Difesa nazionale del Parlamento ed ex ministro della Turchia. Nel contesto delle nuove minacce all’Armenia da parte dei due stati neo-ottomanisti, questo oggetto appare come simbolo guerrafondaio che chiama alla “decapitazione” della democrazia armena dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), realizzata tra l’altro mediante uccisioni (in molti casi extra-giudiziarie) di armeni durante la guerra del 2020; allo stesso tempo, quel simbolo fa ritornare ai capitoli precedenti della storia turca-ottomana fatti di terrore antiarmeno, di aggressioni e conquiste delle terre dell’Armenia storica, a partire dagli anni del primo genocidio del 20mp e fino alla legalizzazione e glorificazione dei crimini contro gli armeni già nel 21mo secolo. Quest’ultimo capitolo è stato ufficialmente inaugurato in Azerbaijan con il caso del militare Ramil Safarov, il quale, avendo assassinato con un’ascia il pari grado armeno Gurgen Margaryan durante un corso del programma “Partenariato per la pace” della Nato nel 2004, venne condannato a Budapest, e in seguito all’estradizione ricevette in patria diverse onorificenze e venne proclamato perfino “eroe nazionale dell’Azerbaigian”.
Chi sta dietro all’imminente “rielezione”?
Nel paese autocratico, il quale si è guadagnato il titolo di “partner affidabile” dell’Ue amministrando il transito del gas russo verso i paesi europei, si attende ora la ri-elezione di Aliyev. Lo sostengono anche gli altri “candidati” dedicando le risorse della loro campagna alla glorificazione unanime del presidente in carica: uno spettacolo rarissimo nella storia delle elezioni presidenziali. Nel frattempo il regime del dittatore petrolifero fa scomparire qualsiasi oppositore. Così è scomparso recentemente l’attivista e blogger Arzu Sayadoğlu, in seguito all’arresto di Aziz Orujov, caporedattore di Kanal 13 Television, e di un attivista religioso, Murad Abdullayev.
Va ricordato qui uno degli ultimi post sulla pagina FB di Sayadoğlu, pubblicato pochi giorni prima della sua scomparsa, nel quale il rappresentante del “Movimento di Servizio al Popolo” porge le condoglianze alle famiglie iraniane in lutto a seguito del “sanguinoso terrorismo commesso nella Repubblica Islamica dell’Iran” che lasciò 211 morti; condanna l’atto atroce contro persone innocenti e ogni forma di terrorismo, chiede all’opposizione e al governo dell’Azerbaigian “di rivelare il loro rapporto con il sanguinoso atto di terrorismo commesso e di esprimere una posizione libera” e, tra l’altro, esprime un forte “rifiuto del sionismo” che egli definisce come “assassino dell’umanità”.
È nota la collaborazione strategica tra Israele ed Azerbaijan, i quali condividono una linea geopolitica contro l’Iran. Al presente Baku sostiene l’offensiva militare israeliana e le conseguenti brutalità commesse a Gaza, ripagando “moralmente” il massiccio sostegno tecnologico-militare ottenuto da Israele per l’attacco alla popolazione armena dell’Artsakh. Secondo l’opinione degli esperti, citata da Armen Gevorgyan, membro della delegazione RA presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE), “la decisione di Ilham Aliyev di risolvere le divergenze con l’Armenia non diplomaticamente ma mediante la guerra è stata determinata dal fatto che le aziende israeliane avevano accettato di vendergli le ultime tecnologie militari. Secondo fonti aperte, nel 2016-2020, poco prima dell’inizio della guerra dei 44 giorni nel Nagorno Karabakh, Israele fornisce quasi il 70% delle “armi principali” dell’Azerbaigian”.

Verso una nuova guerra?
La settimana scorsa l’Azerbaigian è stato espulso dall’APCE per la sua incapacità di condurre elezioni libere ed eque, la mancanza di separazione dei poteri, la debolezza del suo corpo legislativo rispetto all’esecutivo, la mancanza d’indipendenza della magistratura e di rispetto dei diritti umani, e per “non avere riconosciuto le gravi conseguenze sul piano umanitario e sui diritti umani derivanti dalla mancanza di un accesso libero e sicuro attraverso il corridoio di Lachin”, per cui l’Assemblea ha ricordato la sua “condanna dell’operazione militare del settembre 2023 che ha portato alla fuga dell’intera popolazione armena del Nagorno-Karabakh all’Armenia e alle accuse di “pulizia etnica””.

Sempre nuove minacce.
Nel frattempo Baku ha respinto le proposte del primo ministro armeno Pashinyan di istituire un meccanismo di controllo reciproco degli armamenti e un patto di non aggressione. E’ naturale che dopo l’occupazione dell’Artsakh, gli aggressori neo-ottomanisti stiano cercando una nuova scusa per riaprire le pagine delle violenze e strappare nuovi territori mediante un’altra guerra contro l’Armenia. Tanto l’uso della forza è ormai il metodo instaurato da diversi aggressori del mondo moderno e basta seguire le vicende tra Israele e Palestina e utilizzare l’“antiterrorismo” come etichetta/pretesto per legittimare la nuova aggressione, come hanno fatto prima della pulizia etnica del Nagorno Karabakh (Artsakh), attaccando lo stato autoproclamato e strappando tutto il territorio alla sua popolazione autoctona.
È così che viene estesa la copertura geopolitica della Turchia: attraverso l’Azerbaijan, giovane dittatura dei tartari del Caspio che ha già inghiottito l’Artsakh armeno e ora pone nuove richieste minacciose: “che l’Armenia cambi la propria costituzione”, cercando così di dettare le regole allo stato democratico dell’Armenia. Nello specifico chiede all’Armenia di cancellare da tutti i documenti ufficiali la menzione dell’Artsakh e dei diritti del rimpatrio degli sfollati armeni. Allo stesso tempo le autorità azere hanno avviato una massiccia campagna sulle piattaforme social presentando tutto il territorio e il patrimonio culturale dell’Armenia come “non armeno”, un revisionismo che attribuisce l’intero patrimonio storico-ulturale armeno ad altri popoli.

Continua il genocidio culturale e damnatio memoriae.
Non considerando il dolore degli armeni per la perdita dell’Armenia storica, che a seguito del genocidio del 1915 è stata denominata “Armenia occidentale”, ora gli azeri, si sono inventati in modo speculare il termine “Azerbaigian occidentale” pretendendo che l’intero territorio e il patrimonio culturale dell’Armenia siano turco-azere e siano appartenute ad un immaginario “Azerbaijan” identificabile con Aghwank o Aluank (Albania), il quale però era un paese confinante, i territori del quale non si estendevano a quelli dell’Artsakh e dell’Armenia.
Allo stesso tempo Baku blocca l’accesso delle organizzazioni internazionali al territorio occupato dell’Artsakh, mentre il Ministero della cultura ha ricevuto l’ordine di cancellare ogni testimonianza della presenza millenaria degli armeni sul territorio del Karabakh. La lingua armena ne è un segno vivo e onnipresente, ecco perché nella situazione attuale sono in grave pericolo, prima di tutto le antiche iscrizioni armene presenti su oltre 4mila monumenti nell’Artsakh.

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